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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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Pages: 158
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ISBN: 978-88-903710-2-8
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
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Confini"
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Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
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Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
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1.
Madre e figlia
Come è noto,
la relazione madre-figlia, per molto tempo, è passata sotto
silenzio nello sviluppo teorico della psicoanalisi, costituendo un
nodo di difficile riflessione, come precipitato
in una rimozione particolarmente inesorabile (Freud 1931, p. 64).
Il vincolo primario, grigio,
remoto, umbratile, che lega figlia e madre, è il terreno di un
corpo-a-corpo in cui ha inizio e si dipana la soggettivazione
femminile. Nell’illusione originaria di essere tutt’uno con la
propria madre, l’identificazione primaria è imitazione
all’insegna della sensorialità. I processi assimilativi,
attraverso i quali si va costituendo un nascente mondo interno,
permangono come una traccia insondabile nella psiche adulta, uno
strato che eccede e precede la possibilità rappresentativa della
psiche; traccia in cui è iscritta la percezione di sé e del proprio
corpo sessuato. Il passaggio evolutivo che dall’indifferenziato
conduce al riconoscimento dei limiti dello spazio corporeo e della
propria individualità, implica il riconoscimento della madre come
altro da sé; separazione e perdita dell’oggetto primario sono i
requisiti necessari dello sviluppo. Ciò che contraddistingue
l’evoluzione della diade madre-figlia è che tale separazione
avviene all’insegna del “medesimo” (Nunziante Cesàro 1996,
Giuffrida 2009). Mentre per il bambino la differenza è insita nel
corpo e le vicissitudini della sua identità virile lo confronteranno
con vissuti di alterità rispetto alla relazione primaria, per la
bambina, invece, permane una linea identificatoria che la riconduce
alla madre, ponendola di fronte al paradosso di separarsi per esistere
e riconoscersi per affermare la propria identità femminile.
L’incontro corporeo madre-figlia mette in gioco il vissuto inconscio
della madre nei confronti del corpo e del sesso, di sé e della
bambina (Nunziante Cesàro 1996, Vigneri, 2009). In questo
rispecchiamento avviene la trasmissione generazionale femminile, che
fornisce alla bambina una sponda in cui riconoscersi e tracciare la
propria autonomia e la propria identità.
Se la relazione primaria
si è svolta con madri poco inclini a ripercorrere le vicende della
propria sessuazione, riattivate con le trasformazioni del corpo nella
gravidanza, nel parto, nell’allattamento, madri, cioè, che vivono
la propria corporeità come estranea e minacciosa, la trasmissione
inconscia degli aspetti connessi al corpo e alla sessualità può
essere segnata dall’angoscia e da difficoltà di elaborazione. La
duplicazione del medesimo, di madre in figlia, si presta a veicolare
aspetti muti e rigidi connessi alla propria identità di genere e al
corpo sessuato, che catturano la figlia in identificazioni alienanti.
Il narcisismo primario come vissuto esperienziale di rispecchiamento
benefico è messo profondamente in crisi: di qui possono dipanarsi una
serie di intoppi, distorsioni nella costituzione della personalità
femminile, alcuni dei quali saranno spunto di riflessione a partire
dal romanzo di Elfriede Jelinek, La
pianista, che ci è apparso particolarmente significativo ad
illustrare alcune dinamiche di una relazione perversa.
L’insegnante
di pianoforte Erika Kohut si precipita come un ciclone
nell’appartamento che divide con la madre. Il piccolo terremoto,
come la chiama sempre la madre, certe volte corre via a velocità
pazzesca nel tentativo di sfuggire alle sue grinfie. Erika va per i
quaranta. Quanto all’età, sua madre potrebbe anche esserle nonna.
Sfreccia attraverso la porta di casa come uno stormo di foglie in
autunno, decisa a raggiungere la sua stanza senza farsi vedere. La
mamma però è già piantata lì davanti e la blocca: a rapporto! Al
muro! (Jelinek 1983, p. 3)
La scrittrice austriaca,
Elfriede Jelinek, premio Nobel per la letteratura nel 2004, con queste
parole introduce la torbida storia della pianista Erika, unita alla
madre in un legame asfissiante. Le donne dividono un piccolo
appartamento cupo in una Vienna grigia e austera, pochi metri quadri
in cui i movimenti sono cadenzati simmetricamente, sotto il controllo
reciproco; la porta della stanza
di Erika è priva di serrature, una figlia non ha mica segreti da
nascondere. (ibidem, p. 5) La vita è scandita dalle lezioni di
pianoforte, impartite con un rigore che sfiora la crudeltà, e dalle
attese della madre, cronometrate meticolosamente affinché la figlia
non sottragga tempo per frivole e sconosciute occupazioni, motivi di
litigi furiosi e colluttazioni violente.
La madre
controlla che lo strumento venga accordato bene e intanto gira e
rigira i cavicchi della figlia, non perché si preoccupi della sua
armonia interiore, quanto dell’influsso che lei come madre può
esercitare su questo strumento vivo, ricalcitrante e facilmente
influenzabile. (Jelinek
1983, p. 35)
Torniamo ora al narcisismo ricordando che Freud, nel
saggio del 1914, descrive un ulteriore dualismo pulsionale - pulsione
oggettuale e narcisistica - che segue al dualismo della pulsione
sessuale e dell’autoconservazione, discusso negli scritti
precedenti. L’antico narcisismo, caratterizzato dall’onnipotenza e dalla pienezza,
resta una tensione sempre presente
e dà luogo a un intenso sforzo inteso a recuperarlo (Freud, 1914;
p. 470). L’amore dei genitori verso i propri figli dà prova di
questa speranza mai completamente sopita, rivelando, oltre l’amore
oggettuale, l’anelito di ripristinare l’immortalità
dell’Io che la realtà mette radicalmente in forse (ibidem, p.
461). In tale accezione, il/la figlio/a può divenire estensione
narcisistica del genitore, incarnando, oltre la finitezza e la caducità
dell’Io, i sogni e i desideri irrealizzati. Molti anni dopo Piera
Aulagnier (1975) riflette sul discorso materno che investe il
nascituro in attesa di una risposta che l’infans non è ancora in
grado di dare, compiendo quella violenza primaria, necessaria e
istitutrice dello psichico. Inoltre, prima ancora della nascita,
preesiste un discorso anticipatore che preannuncia l’avvento, una
sorta di ombra parlata, e supposta dalla madre parlante, che, non
appena l’infans è lì, si proietterà sul suo corpo (ibidem, p.
161). Il primo punto di ancoraggio, tra l’ombra, che condensa
fantasie e vissuti del corpo, consci e inconsci, e la presa sul corpo
è rappresentato dal sesso. In questa investitura possono condensarsi
drammaticamente aspetti inelaborati e muti, costituendo un primo nodo
critico della nascita psichica.
Erika, il
fiore della brughiera. Questa donna porta il nome di quel fiore. Prima
che nascesse, aleggiava davanti agli occhi di sua madre qualcosa di
timido e delicato. Quando poi vide schizzar fuori dal proprio corpo
quell’ammasso di fango, si mise subito ad aggiustarlo a scalpellate
senza alcun riguardo, per ricavarne qualcosa di pulito e raffinato.
Tolse un pezzo qui e un pezzo là. (Jelinek 1983, p. 23)
La violenza di cui parla
Aulagnier (1975) sembra materializzarsi in un maltrattamento psichico
promosso dal disgusto materno di fronte alla figlia reale, rispetto
alla creatura narcisisticamente idealizzata; l’accanimento a
deformarla sarà il terribile filo rosso di tutta la narrazione. È
possibile guardare
ora alle modalità relazionali madre-figlia adulta, che appaiono
estranee al mondo, come barricate in un corpo-a-corpo denso di
ambivalenza, in riferimento alle disarmoniche integrazioni nelle
identificazioni precoci femminili, in cui, a partire dai vissuti
corporei, si articola la sessuazione.
2.
La sessuazione
Se fin qui abbiamo
caratterizzato un versante della diade in questione come “figlia
adulta”, riconoscendo un’immagine tipica e a volte caricaturale
del vivere comune, sul piano teorico la madre di cui stiamo parlando
è la madre pre-genitale: il preedipico che Freud descriverà denso di
vicissitudini, come i fasti della civiltà
minoico-micenea precedente alla civiltà greca (Freud 1931, p.
64). Il vincolo materno primario profondamente radicato nei processi
identitari femminili, implica una
maggiore permanenza della bambina nel pre-edipo.
Tale richiamo alla sessualità pre-genitale è introduttivo sia alle
questioni teoriche che tra poco affronteremo, sia alle suggestioni
letterarie che abbiamo scelto da stimolo, in cui Erika, nelle sue
brevi fughe temerarie dalla madre, sembra attraversare gli scenari di
una sessualità nascente, perversa-polimorfa appunto, in cerca di una
breccia che le permetta di transitare verso un’identità femminile
che le sia propria .
Il
prolungamento dei suoi occhi è il binocolo … il binocolo ereditato
dal padre … Le luci man mano si perdono in lontananza. La sig.na
Kohut sa per esperienza che in questa zona si possono osservare senza
problemi le prostitute che allacciano e troncano i loro rapporti di
lavoro. … Con l’aiuto del binocolo cerca quelle coppie davanti
alle quali la gente farebbe subito dietro-front. … L’oscurità
apre i battenti: venite e passeggiate! … Segue solo il suo udito,
com’è abituata a fare sul lavoro. … Finalmente l’osservatrice
è giunta alla meta agognata. … Come la casa natale si staglia
all’orizzonte, così la coppia che sta chiavando si stacca dalla
bellissima distesa verde per conficcarsi nei globi oculari di Erika.
Un uomo s’avvita dentro una donna gemendo in una lingua straniera (Jelinek 1983, p.137).
Erika sembra ricercare
disperatamente sia una coppia di amanti generatrice di vita, sia una
presenza paterna, negata e espulsa dall’abraccio materno, che
introduca il valore della differenza e dell’alterità: un’ottica
differenziante del maschile, il binocolo del padre, che apra la visione verso nuovi scenari in cui
riconoscersi.
Lo sviluppo
dell’identità di genere e della percezione del corpo sessuato
avviene a più riprese, attraverso nodi organizzatori che
risignificano il passato, a posteriori, e tirano le fila del caos
precedente in costrutti più strutturati, dei quali l’Edipo mantiene
la sua centralità.
Tra questi poli organizzatori dell’esperienza, la scena primaria
rappresenta una delle fantasie primarie (Urphantasien)
che veicolano i grandi interrogativi sulle origini: l’origine del
soggetto, il sorgere della sessualità e la differenza dei sessi,
nelle riflessioni di Laplanche e Pontalis (1964, 1967).
Il processo di scena
primaria
(Gaddini 1974) affianca la separazione-individuazione, introducendo la
figura del padre, presente nella mente della madre come partner
sessuale; figura fantasmatizzata dall’infante come madre
estranea, non immediatamente disponibile e impegnata in un
rapporto intenso con un altro, che esclude e separa. Qualora la madre
preclude questo accesso alla differenza, e, in collusione col
partner-padre, si pone come oggetto d’amore esclusivo e fusionale (Nunziante Cesàro
1996, p. 49) si può assistere a distorsioni nella costruzione
dell’identità di genere, con identificazioni patogene che non
permettono una adeguata rappresentazione del corpo sessuato. La
presenza del padre per la figlia, fantasmatizzata nella scena
primaria, implica l’iscrizione della propria sessuazione nella
differenza, sottratta all’orbita dell’indifferenziato materno;
un’iscrizione che si avvale dell’investimento affettivo paterno,
come proveniente dall’altro differente. Il
padre è probabilmente colui che provoca la prima breccia nella
collusione originaria che rendeva indissociabili il soddisfacimento
del bisogno del corpo e il soddisfacimento del bisogno libidico. (Aulagnier
1975 p. 199). Nella scena primaria si annida l’interrogativo sulla
sessualità svincolata dall’autoconservazione: la sessualità come
desiderio e possibilità di piacere.
Erika è
venuta al mondo solo dopo vent’anni di matrimonio, lo stesso mondo
per il quale suo padre ha perso la ragione. Ora è affidato a un
ospedale psichiatrico, perché non diventi un pericolo per il mondo..
restiamo tra di noi, Erika, non è vero? Non abbiamo bisogno di
nessuno (ibidem, p. 13) dice la madre alla sua bambina. Erika vaga nel buio
desolato della squallida periferia viennese in cerca di quei segreti ultimi, che la
stimolano a voler sempre vedere qualcosa di nuovo, di più profondo e
proibito. Il suo corpo non ha mai rivelato i suoi molti segreti,
nemmeno alla sua padrona! … Erika, l’osservatrice chiusa. (Jelinek
1983, p. 107).
Il segreto degli organi
sessuali - organi di un corpo erogeno e investito dal fantasma della
sessualità - ricade nella trasmissione inconscia tra l’infante e il
suo seduttore. Nella trasmissione tra madre e figlia, il corpo - il
medesimo corpo, accomunato dalla conformazione anatomica – è
investito di significati inconsci sulla propria sessuazione femminile.
Se l’ambivalenza della madre
ha imboccato la strada del disprezzo, dell’autosvalutazione, e del
non riconoscimento della propria sessuazione (Nunziante Cesàro
1996 p. 35), l’immagine corporea ereditata rischia di essere
monca, amputata, ferita narcisistica che rivela le faglie
identitarie. La trasmissione intergenerazionale – lungo
un arco di tempo che copre almeno tre generazioni (ibidem p. 32) -
può veicolare una difficoltà di rappresentazione degli organi
genitali, in cui la vagina diviene evocatrice di un’assenza,
innominabile, interdicendo il piacere.
La madre e
la nonna, la brigata femminile, stanno all’erta per proteggerla dal
maschio cacciatore appostato lì fuori. Le due vecchie, con i loro
organi sessuali cicatrizzati e inariditi, si avventano su qualunque
uomo, per impedirgli di intrufolarsi fino al loro capriolo. L’amore
e il piacere non devono far del male al loro cucciolo. Le vulve
pietrificate delle due vecchie si chiudono con uno scatto secco e
rumoroso ... Stanno avvinghiate alla carne giovane della figlia, e
nipote, e la riducono lentamente in pezzi, mentre con le loro corazze
fanno la guardia al sangue giovane, perché nessuno venga ad
avvelenarlo. (Jelinek 1983, p. 33)
Nelle sue passeggiate in
avanscoperta, Erika si dirige in uno squallido bar di periferia, per
poter fissare, immobile, le donne che si spogliano ansimando tra
uomini che si masturbano. Erika osserva con attenzione … dentro di lei non si risveglia e non
s’agita più niente. Eppure deve restare lì a guardare. (ibidem
p. 53) L’uomo guarda il nulla,
la pura assenza. Per prima cosa vede questo vuoto, poi tutto quel che
resta della mammina. (ibidem p. 51) L’oggetto
della sua curiosità si tocca con una mano fra le cosce e mostra di
godere facendo una piccola «O» con la bocca. (ibidem p. 53)
Erika è un apparecchio
compatto in forma umana. Sembra che la natura non abbia lasciato
alcuna apertura in lei; nel posto in cui ogni vera donna ha la sua
porticina, Erika sente un pezzo di legno massiccio, un legno spugnoso,
marcio e solitario nel bosco d’alto fusto dove la putrefazione
avanza. Per questo cammina impettita, regale: dentro si sta
decomponendo … (ibidem, p. 51).
Separarsi dalla madre,
cambiare oggetto di investimento libidico, recuperare l’originario
legame come riferimento della propria identità sessuata: in breve,
sono questi alcuni difficili nodi della femminilità. In questi
passaggi, ciò che di volta in volta si perde e si rielabora è la
trasmissione al femminile del corpo con i suoi organi, in cui è in
gioco anche la possibilità del piacere, la conquista
dell’autorizzazione a una vita sessuale, che transita per il
baluardo materno, che concede, proibisce, nega o lascia passare.
Torniamo ora ad Erika
voyeuse di una sorta di scena primaria riattualizzata nel buio dei
giardini di Vienna: Senza che la
coppia ne abbia la più pallida idea, trasforma quel duo in un trio.
Uno dei suoi organi comincia improvvisamente a funzionare a velocità
doppia o addirittura tripla, non può controllarlo in alcun modo. Una
violenta pressione sulla vescica, un dolore molesto che l’assale
ogniqualvolta si eccita. … La spettatrice è costretta a muoversi
dalla posizione accovacciata, per trovare un po’ di sollievo e
placare quel prurito, quello stimolo pungente e ormai incontenibile.
… Erika Kohut non resiste più, lo stimolo è più forte di lei. Si
tira giù le mutande con cautela e orina per terra. (ibidem, p. 140)
L’eccitazione diviene
qualcosa di incomprensibile, che scuote il corpo senza trovare un
punto di coagulo, organizzatore del desiderio e accesso possibile al
piacere, le zone erogene sono contigue e confuse come nella sessualità
infantile. La carica libidica non trova una rappresentazione
nell’ordine simbolico, capace di veicolare e dar forma alle
sensazioni, che in maniera bruta, in mancanza di una rappresentazione
adeguata che le distingue, vengono agite compulsivamente ed evacuate.
3.
Il masochismo
Sempre ispirato dal
testo della Jelinek, ciò che salta agli occhi è la questione del
masochismo, che insieme alla femminilità, costituisce uno dei nodi
tematici particolarmente spinosi nel corpus freudiano. È noto
l’iter teorico di Freud in merito al masochismo, che, in un primo
momento, appare preceduto dal sadismo, descritto come il rivolgimento
della pulsione sulla persona stessa del soggetto (Freud 1915),
assumendo poi una valenza primaria (Freud 1924). Ci soffermiamo su
alcuni testi significativi di questi anni di trasformazione teorica,
decisivi per il pensiero psicoanalitico. Nel 1914 Freud aggiunge al più
volte rimaneggiato Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), vero e proprio cantiere
della psicoanalisi, il seguente capoverso: Il
sadismo e il masochismo occupano fra le perversioni una posizione
particolare, poiché la coppia antitetica attività-passività che ne
è alla base appartiene ai caratteri generali della vita sessuale.
(ibidem p. 471). Da queste indicazioni, che sottolineano gli aspetti
della passività e dell’attività, proviamo a seguire la lettura di
Laplanche (1970) della supposta prima teoria del masochismo in Freud.
In Pulsioni e loro destini
(1915) Freud riconosce nell’esercizio della violenza e della forza
contro un’altra persona, il primo tempo della coppia
sadismo-masochismo. Lo psicoanalista francese, legge, e in qualche
modo forza il testo freudiano, verso una traduzione non-sessuale di
questa aggressività etero-diretta, distinguendola dal sadismo vero e
proprio che conserva un aspetto sessuale. Freud fa seguire a questo
primo momento l’abbandono dell’oggetto esterno e il rivolgimento
sulla propria persona della pulsione; passando in tal senso
dall’attività alla passività. Laplanche (1970) argomenta che la
pulsione appare solo in questo secondo tempo, con la riflessione su di
sé, pertanto, nel campo della sessualità, il masochismo è già considerato primario
(ibidem p. 135).
Il fantasma del
masochismo è analizzato da Freud qualche anno dopo, con Un
bambino viene picchiato del 1919, che reca il sottotitolo Contributo
alla conoscenza dell’origine della perversione sessuale. Il
punto di vista clinico proposto da Freud riguarda sei pazienti, di cui
quattro donne. La rappresentazione fantastica di “un bambino
percosso da un adulto”, che introduce l’analisi clinica, presenta
dei tratti sadici in quanto al
culmine della situazione immaginata s’impone, quasi regolarmente, un
soddisfacimento onanistico (Freud 1919, p. 41).
Tuttavia Freud sottolinea che la
fase incomparabilmente più importante è quella inconscia e masochistica (ibidem, p. 56), che non viene ricordata
ma “costruita”, il suo
enunciato è: “Vengo picchiata da mio padre”. Le forme delle
fantasie consce sono sadiche, tuttavia, dall’analisi,
l’eccitazione e il soddisfacimento ricavato dall’onanismo che le
accompagna, rivelano i tratti masochistici originari, per cui la
fantasia si è assunta l’investimento libidico della parte rimossa
(ibidem, p. 52). Il fantasma masochistico non è specifico solo di
un’organizzazione patologica, ma proprio perché si situa
all’origine della perversione, assume un tratto costitutivo della
stessa sessualità infantile perversa-polimorfa. Su questa traccia
Laplanche (1970) argomenta il
carattere privilegiato del masochismo nella costituzione della
sessualità umana, tuttavia evidenzia non solo l’aspetto del
contenuto masochistico, ovvero la fantasia passiva di fustigazione, ma
sottolinea il carattere riflessivo della fantasia, cioè il volgere la
fantasia dentro di sé, farla entrare in sé stessi come fantasma (ibidem, p. 152). La
posizione passiva del bambino rispetto all’adulto non è solo
passività nella relazione reale con l’attività adulta, ma anche
passività nei confronti del fantasma dell’adulto che si introduce
dentro di lui (ibidem, p. 153).
La situazione originaria
dell’infante, dipendente dall’adulto e impotente (Hilflosigkeit),
è caratterizzata dalla passività, per cui egli è sopraffatto dalla
sessualità adulta inconscia, che fa irruzione istituendo lo psichismo.
L’iscrizione originaria del masochismo assume un valore fondativo in
riferimento all’intrusione del sessuale adulto nello psicosoma del
bambino.
Da questo discorso
Jacques Andrè (1995) mette in relazione il bambino
sedotto delle origini con la
posizione femminile, descritta a partire dalle sensazione vaginali
precoci, occultate nelle riflessioni freudiane sul femminile, ma che
costituiscono una traccia tematica presente fin dal principio. Il
bambino sedotto è un bambino cavità, un bambino orifiziale
(ibidem, p.125), in cui fa irruzione la sessualità adulta. L’anello
teorico di congiunzione individuato da Andrè è la passività:
passività originaria dell’infante sopraffatto da una sessualità
adulta, passività pulsionale intesa come il godere di ciò che (vi) arriva, partecipare con godimento a ciò che (in
voi) penetra, fa intrusione – cioè il legame intimo fra passività
e l’interno (ibidem, p. 138). La proposta di Andrè,
preceduta da una attenta disamina del testo freudiano in riferimento
all’origine del femminile svincolato dal fantasma della castrazione,
argomenta una femminilità originaria, comune per il bambino e per la
bambina, intesa come prima rappresentazione della passività dell’infans
dinanzi all’effrazione del sessuale inconscio adulto. La
declinazione del femminile centrata sulla ferita-apertura,
più che la ferita-taglio,
consente ad Andrè di situare la femminilità alle origini della
psicosessualità. La sessualità adulta deriva dalla rielaborazione in
après coup dell’originaria apertura dell’interno verso un esterno
che irrompe e istituisce la sessualità. Nel maschio le vicende
identitarie implicano un’elaborazione della passività originaria,
con il passaggio all’attività, e la disidentificazione dal
femminile dell’origine. Per la femmina, la sessualità adulta
suppone la correlazione tra l’intrusione seduttrice dell’origine,
traumatica e fondatrice della vita sessuale, con la penetrazione del
pene paterno nella dinamica edipica. Ciò che permane nelle vicende
del femminile è l’apertura verso l’interno, la prossimità al
tema delle origini.
Provando a intrecciare
queste riflessioni con il nostro tema, il masochismo e la femminilità
si pongono come carattere necessario, e nello stesso tempo primitivo (Andrè 1995,
p. 143), della costituzione dell’inconscio stesso. La sessualità
femminile adulta, con la penetrazione del corpo, segue e rinnova
l’intromissione originaria dell’esterno nell’interno,
riattivando secondo le storie individuali, il piacere o il traumatismo (ibidem,
p. 146). Come luogo di
penetrazione, la vagina è atta a riafferrare, a simbolizzare,
l’intromissione della sessualità adulta nello psicosoma del bambino
– col rischio di avvicinarsi troppo (ibidem, p. 147). Le vicende
della sessuazione nella trasmissione madre-figlia, sono il luogo
privilegiato in cui si percorre il limite tra l’accesso al piacere
adulto e la sua mortificazione, con pericolose e possibili deviazioni,
tra le quali la perversione masochistica, non nel senso di originario
in questo caso, ma come organizzazione libidica adulta, che ci riporta
alla nostra traccia letteraria.
Quando
in casa non c’è nessuno, la figlia si fa dei tagli nella propria
carne con premeditazione … appena è scattata la maniglia e tutto
tace, corre a prendere la lama milleusi del padre, il suo piccolo
talismano. … lei si siede a gambe divaricate davanti allo specchio
da barba, a ingrandimento, e pratica un taglio per ingrandire
l’apertura che fa da ingresso al suo corpo. … Come la cavità
orale, anche questa, che serve da entrata e uscita del suo corpo, non
può proprio definirsi bella, ma è necessaria. … Dilata
l’orifizio con il supporto metallico dello specchio e afferra un
punto adatto per incidere … accosta nel punto esatto in cui ritiene
debba crearsi un buco. Il sangue comincia a sgorgare. Come sempre non
sente dolore … lei non sente niente. … Con tutto quel sangue, non
riesce più a vedere che cos’ha tagliato. Era il suo corpo, eppure
anche qualcosa di terribilmente estraneo. (Jelinek 1983, p. 86)
E’ il pene paterno
assente che la nostra protagonista assume a mo’ di lama per operare
il taglio dal corpo materno, per agire una fantasia di coito sadico, e
infine per simulare un’identità adulta di adolescente menstruata?
L’impossibilità di simbolizzare la propria sessuazione, radicata in
un corpo sentito come possibile fonte di piacere, determina agiti
autolesivi, come probabili tentativi di recuperare tracce percettive e
frammenti di rappresentazioni, che conferiscano un senso a vissuti
corporei oscuri e incomprensibili. Il
buco che disprezzava, che ignorava, ora ha preso possesso di lei.
(ibidem p. 186). Tuttavia, di fronte alla confusione e alle
conseguenze drammatiche dei suoi comportamenti, non può che ritirarsi
terrorizzata, Erika immagina di
giacere in una bara e di decomporsi nella terra … Lei è il nulla. E
nulla esiste più per lei (idem).
Proseguendo
cronologicamente con l’analisi del masochismo nei testi freudiani,
nella lettera a Ferenczi del 17 marzo 1919, Freud comunica di aver
terminato il saggio Un bambino
viene picchiato e di aver iniziato Al
di là del principio di piacere. Il discorso sul nuovo dualismo
pulsionale Eros-Thanatos, era già nella mente di Freud, tuttavia
ancora in una fase embrionale da non poter essere assunto come nuova
direttrice teorica per le questioni del masochismo. Prima di
affrontare il testo del 1924, Il
problema economico del masochismo, consacrato esplicitamente
all’argomento, vorremo tornare ancora sul saggio del 1919,
riconoscendo in esso una linea di discorso che stimola una riflessione
che ci porta oltre le proposte teoriche di Laplanche-Andrè: se
anche si devono ammettere sin dall’inizio, soprattutto nella donna,
pulsioni aventi una meta passiva, la passività non è ancora tutto il
masochismo; di esso fa parte integrante anche il carattere di
dispiacere, che in un appagamento pulsionale appare così strano. La
trasformazione del sadismo in masochismo sembra verificarsi per
influsso del senso di colpa che concorre all’atto di rimozione. La
rimozione si esplica dunque qui con un triplice effetto: rende
inconsci gli esiti dell’organizzazione genitale, costringe quest’ultima
a regredire allo stadio precedente sadico-anale, e trasforma il
sadismo di questo stadio in masochismo; tale masochismo è passivo e
in un certo qual senso di nuovo narcisistico. (Freud 1919, p. 55)
Molte le questioni messe
in gioco con questo passo, procediamo per ordine partendo
dall’ultima: il narcisismo, che ci riporta all’indifferenziazione
primaria da cui eravamo partiti. Riprendiamo la definizione di Andrè
Green: il narcisismo è la
cancellazione della traccia dell’Altro nel desiderio dell’Uno. La
differenza instaurata dalla separazione tra la madre e il bambino è
compensata dall’investitura narcisistica. (Green 1983, p. 154).
Tuttavia, in certi casi la perdita dell’unità originaria, è
caratterizzata da risentimento, odio e disperazione, con
l’impossibilità di tollerare la distanza dall’oggetto. Comincia allora la ricerca attiva non dell’unità, ma del niente: vale
a dire di un abbassamento delle tensioni al livello zero, che è
l’approssimarsi della morte psichica (ibidem, p. 28) intesa come
liberazione assoluta dal desiderio. La riflessione freudiana
sulla pulsione di morte, che qui intendiamo con Aulagnier (1975) desiderio
di non-desiderio (ibidem, p.74), tendenza
regressiva verso un’impossibile prima (ibidem, p. 95), è messa
in relazione da Green (1983) con un narcisismo
negativo, oscuro doppio dell’Eros.
Il raffronto del
masochismo con il narcisismo di morte introdotto da Green (1983) necessita di una
chiarificazione: il narcisismo negativo è diverso dal masochismo,
nella misura in cui il primo mira all’inesistenza, all’anestesia e
al vuoto, mentre il secondo, sebbene originario anch’esso, tende al dolore e al suo mantenimento come sola forma di esistenza, di vita, di
sensibilità possibili (ibidem, p. 48). La nostra ipotesi è che
il masochismo può essere inteso come una perversione
dell’autoerotismo, come un agito disperato, nel tentativo di
fuoriuscire dall’indifferenziato inglobante, da un narcisismo
contrassegnato dalla pulsione di morte, polo attrattore mortifero. Il
masochismo si configura in tal senso come una possibilità dell’impasto
pulsionale (Freud 1924), una manovra tesa a reperire un probabile
investimento oggettuale, in cui tuttavia Thanatos impone su Eros la
sua vocazione all’annientamento.
Erika incontra alle sue
lezioni di pianoforte un giovane, Walter
Klemmer, che le urla
nell’orecchio una novità assoluta sul suo amore per lei. (Jelinek
1983, p. 174) Erika non può sentire e gli scrive una lettera in cui
descrive minuziosamente i suoi desideri di violenza e umiliazione. Ha
messo tutto per iscritto. Vuole farsi letteralmente fagocitare
dall’uomo, finché cesserà di esistere. … vuole scomparire sotto
di lui e spegnersi completamente. (ibidem, p. 202)
In riferimento alle
distinzioni proposte da Freud nel saggio del 1924, se le prime due, masochismo
erogeno e masochismo
femmineo, possiamo considerarle in parte affrontate fin qui in
questo scritto, ciò che resta, last
but not least, è il
masochismo morale, che introduce la questione non semplice del
rapporto tra l’Io e l’istanza morale. Come evidenziato da Freud
nel passo precedentemente citato (Freud 1919), il senso di colpa ha un
ruolo importante nel masochismo: il bisogno di punizione del
masochista deriverebbe dal non
essere riuscito a soddisfare le esigenze del proprio ideale, il
Super-io (Freud 1924, p. 13). Oltre alle implicazioni che legano
la formazione dell’ideale dell’Io alle identificazioni con i
genitori e agli ideali collettivi, vorremmo evidenziarne la
connessione con il narcisismo e il processo di idealizzazione,
esaminando quella polarità del Super-io che Green (1983) indica come miraggi
dell’illusione, distinguendola dalla rinuncia
pulsionale, sempre di matrice superegoica. Chasseguet-Smirgel
(1975) sottolinea che di fronte alla rottura della fusione originaria,
l’infante proietta sull’oggetto, idealizzandolo, l’onnipotenza
narcisistica perduta. Tale processo può assumere una valenza
fortemente difensiva, qualora la separazione si configura come un
vuoto impensabile. In tal senso la perdita, che scatena un’angoscia
di annientamento, è negata con l’illusione che l’oggetto
idealizzato, detentore della perfezione, non è separato.
L’affermazione traumatica della differenza, quando l’oggetto non
corrisponde magicamente ai bisogni del soggetto, è caratterizzata da
rabbia e delusione. L’ideale dell’Io, modellato sugli aspetti
rigidi e difensivi dell’idealizzazione, assume una valenza
mortificante e irraggiungibile, determinando vissuti di umiliazione.
Torniamo ancora ad
Erika, ai suoi ricordi infantili che balzano
fuori dalla sua inesauribile scatola cranica (Jelinek 1983, p.
223), a quando la madre la punisce perché la posizione della piccola
mano da bambina sul pianoforte non è corretta. La passione per
l’arte della musica è il campo privilegiato in cui si esercita il
diktat materno, come estensione narcisistica da madre a figlia, di
desideri inappagati di successo e riscatto. L’intransigenza materna
è introiettata dalla figlia, configurando un modello ideale
implacabile, a cui Erika sente di non aver mai abbastanza adempiuto
con la sua vita modesta. Finora la vita ti ha punita ignorandoti e ora ti punisce tua madre allo
stesso modo, anche se ti agghindi e ti pitturi come un clown (ibidem
p. 5): è l’ingiunzione che Erika sente risuonare ad ogni passo
falso. La musica e il costante esercizio al piano imposto alla figlia,
condensano anche ideali di purezza e controllo sulle passioni del
corpo. I timidi tentativi dell’adolescente Erika, di guardare fuori
dalla finestra dello studio, intravedendo nei corpi di giovani che
giocano all’aria aperta una possibilità per i suoi desideri
nascenti, sono repressi violentemente, in nome della dedizione
incondizionata alla perfezione del suono.
Le cinque linee del pentagramma
la dominano sin da quando è capace di pensare. … In combutta con la
madre, le maglie di quel sistema l’hanno stretta in una rete
indistruttibile di norme, di prescrizioni, di precisi divieti
(ibidem p. 186). La rinuncia al desiderio, che assume forme terribili
di carattere masochistico quando sfugge agli interdetti e alle
proibizioni, è il tributo da pagare per un ideale impossibile.
Conclusioni
Le note teoriche che
abbiamo delineato, sottolineano la valenza originaria del masochismo,
che rimanda alle origini della nascita dello psichismo e della
psicosessualità, per gli uomini come per le donne. In questa
accezione ci è sembrato necessario sottolineare soprattutto le
vicende legate al corpo e alla sua rappresentazione, che nello
specifico della sessualità femminile assumono una rilevanza
particolare, ponendo l’interrogativo sulla nascita come differenza e
continuità, verso il materno-femminile. In accordo con le riflessioni
introdotte all’inizio di questo scritto, è possibile pensare che le donne siano più esposte dell’uomo
nell’elaborare la separazione, più assorbite nella relazione con la
madre a causa dell’uguaglianza di genere che rende il processo di
separazione-individuazione più complesso (Nunziante Cesàro 1996,
p. 72).
Con questo non
intendiamo risuscitare a nuova vita la teoria che legge il masochismo
come un tratto «originario» della femminilità, come nella versione
degli anni ’30 della Deutsch, piuttosto crediamo che l’aspetto
primitivo del masochismo interroghi il vincolo materno primario
costitutivo della psiche, implicato nelle vicende del femminile in
maniera a volte così drammatica. Questa specificità “al
femminile” è una linea di riflessione essenziale per la nostra
ricerca clinica, in modo particolare quando ci confrontiamo con casi
in cui la relazione perversa con l’uomo, caratterizzata da violenze
e umiliazioni, svela l’aspetto perturbante del piacere nel dolore e
dell’impossibilità a sottrarsi al pericolo.
I desideri masochistici
di Erika confessati al giovane innamorato risvegliano
pulsioni nascoste e malvagie (ibidem p. 248), la madre addita
alla figlia le conseguenze dell’amore con gli uomini, che si sono
puntualmente avverate come lei aveva predetto, ma la figlia non sente.
Piange a dirotto e intanto viene presa a calci nello stomaco (ibidem
p. 267).
In conclusione, e dopo
una linea di riflessione strettamente centrata sui processi
intrapsichici, non è secondario evidenziare l’influsso
degli ordinamenti sociali (Freud 1932, p. 222), che, come lo
stesso Freud ricorda quasi un secolo fa, ma ancora drammaticamente
attuale, favorisce una posizione di passività della donna, causa di
dipendenza e difficoltà di ribellione da uomini violenti, come in più
occasioni abbiamo avuto modo di constatare nella nostra pratica
clinica.
L’intreccio complesso
che lega madre e figlia nelle vicende identitarie femminili, può
essere il terreno di scambio e trasmissione di una problematica
identità sessuata, in cui la violenza e il dolore possono
rappresentare la solo strada conosciuta, confermata dalla realtà a
volte drammatica. Questo dà
sicurezza e la sicurezza genera paura dell’incerto. Erika teme che
tutto rimanga così com’è e allo stesso tempo teme che possa
cambiare qualcosa. (ibidem, p. 186)
La scena primaria ha una duplice funzione: scena di qualcosa, tesa a raffigurare l’enigma della sessualità,
presente nel messaggio inconscio dell’altro, scena per
qualcosa, come momento costitutivo dello psichismo e fonte mai
satura di simbolizzazione (Ferraro e Garella 2005).
Aldilà di un intento a “psicoanalizzare” il testo letterario, ma in
quanto proposta di riflessione sulla trasmissione dell’interdetto
tra le generazioni, apprendiamo dalla biografia della scrittrice che
il padre, figlio di un ebreo, si era salvato dalla deportazione
grazie al suo lavoro di chimico, ritenuto necessario dalle autorità
nazionalsocialiste. Dopo la guerra ebbe numerose crisi psichiche,
che lo portarono all’internamento psichiatrico, per poi morire. Il
segreto su un passato impronunciabile e orribile ci sembra
attraversi tutto il testo “La pianista” , immerso
nell’atmosfera culturale, decadente e mortifera, dell’ Austria
post-guerra.
La cornice
teorica di riferimento, è la teoria freudiana dell’«appoggio»,
che intende la genesi della sessualità nel momento della
riflessione su di sé: Per la
sessualità il momento costitutivo è quello riflessivo (selbst o
auto-) … l’autoerotismo, in cui l’oggetto reale è stato
sostituito da un fantasma, da un oggetto, riflesso nel soggetto.
(Laplanche 1970, p. 133).
Il rifiuto
della femminilità, nell’uomo e nella donna, non è in
relazione con l’angoscia di castrazione o con l’invidia del
pene, come lo ritroviamo nel discorso freudiano (1937), ma rimanda
al nucleo più difficilmente accettabile della propria soggettività,
nata da un’effrazione.
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