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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Frenis Zero  Publisher

     "Spazio Rosenthal. Tra psicoanalisi e femminile". Numero 17, anno IX, 2012. 

 

 "IL MASOCHISMO: UNA TRASMISSIONE AL FEMMINILE?"

di Adele Nunziante Cesaro e Giuseppe Stanziano

 

 

 

Questo testo è stato presentato al seminario internazionale "La trasmissione del femminile" (Napoli, 25 marzo 2011). Si ringraziano gli autori  per l'autorizzazione concessa a Frenis Zero alla pubblicazione.

Adele Nunziante Cesaro è Professore Ordinario di Psicologia Clinica, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Coordinatore della Scuola di Dottorato in Scienze Psicologiche e Pedagogiche. Giuseppe Stanziano è Dottorando in Studi di genere, Università degli Studi di Napoli “Federico II”.


 



 


 


 

 

 

            

 

 

  

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

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"Psicoanalisi e luoghi della negazione" a cura di A. Cusin e G. Leo (Editors)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian,  A. Cusin, N. Janigro, G. Leo, B.E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini Scalmati, G. Schneider, M.  Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-4-2

Anno/Year: 2011

Pages: 400

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"Lebensruckblick"

by Lou Andreas Salomé

(book in German)

Author:Lou Andreas Salomé

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-97479-00-0

Anno/Year: 2011

Pages: 267

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"Psicologia   dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 30,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-0-4

Anno/Year: 2008

Prezzo/Price: € 18,00

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"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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1. Madre e figlia

Come è noto, la relazione madre-figlia, per molto tempo, è passata sotto silenzio nello sviluppo teorico della psicoanalisi, costituendo un nodo di difficile riflessione, come precipitato in una rimozione particolarmente inesorabile (Freud 1931, p. 64). Il vincolo primario, grigio, remoto, umbratile, che lega figlia e madre, è il terreno di un corpo-a-corpo in cui ha inizio e si dipana la soggettivazione femminile. Nell’illusione originaria di essere tutt’uno con la propria madre, l’identificazione primaria è imitazione all’insegna della sensorialità. I processi assimilativi[1], attraverso i quali si va costituendo un nascente mondo interno, permangono come una traccia insondabile nella psiche adulta, uno strato che eccede e precede la possibilità rappresentativa della psiche; traccia in cui è iscritta la percezione di sé e del proprio corpo sessuato. Il passaggio evolutivo che dall’indifferenziato conduce al riconoscimento dei limiti dello spazio corporeo e della propria individualità, implica il riconoscimento della madre come altro da sé; separazione e perdita dell’oggetto primario sono i requisiti necessari dello sviluppo. Ciò che contraddistingue l’evoluzione della diade madre-figlia è che tale separazione avviene all’insegna del “medesimo” (Nunziante Cesàro 1996, Giuffrida 2009). Mentre per il bambino la differenza è insita nel corpo e le vicissitudini della sua identità virile lo confronteranno con vissuti di alterità rispetto alla relazione primaria, per la bambina, invece, permane una linea identificatoria che la riconduce alla madre, ponendola di fronte al paradosso di separarsi per esistere e riconoscersi per affermare la propria identità femminile. L’incontro corporeo madre-figlia mette in gioco il vissuto inconscio della madre nei confronti del corpo e del sesso, di sé e della bambina (Nunziante Cesàro 1996, Vigneri, 2009). In questo rispecchiamento avviene la trasmissione generazionale femminile, che fornisce alla bambina una sponda in cui riconoscersi e tracciare la propria autonomia e la propria identità.

Se la relazione primaria si è svolta con madri poco inclini a ripercorrere le vicende della propria sessuazione, riattivate con le trasformazioni del corpo nella gravidanza, nel parto, nell’allattamento, madri, cioè, che vivono la propria corporeità come estranea e minacciosa, la trasmissione inconscia degli aspetti connessi al corpo e alla sessualità può essere segnata dall’angoscia e da difficoltà di elaborazione. La duplicazione del medesimo, di madre in figlia, si presta a veicolare aspetti muti e rigidi connessi alla propria identità di genere e al corpo sessuato, che catturano la figlia in identificazioni alienanti. Il narcisismo primario come vissuto esperienziale di rispecchiamento benefico è messo profondamente in crisi: di qui possono dipanarsi una serie di intoppi, distorsioni nella costituzione della personalità femminile, alcuni dei quali saranno spunto di riflessione a partire dal romanzo di Elfriede Jelinek, La pianista, che ci è apparso particolarmente significativo ad illustrare alcune dinamiche di una relazione perversa.

 

L’insegnante di pianoforte Erika Kohut si precipita come un ciclone nell’appartamento che divide con la madre. Il piccolo terremoto, come la chiama sempre la madre, certe volte corre via a velocità pazzesca nel tentativo di sfuggire alle sue grinfie. Erika va per i quaranta. Quanto all’età, sua madre potrebbe anche esserle nonna. Sfreccia attraverso la porta di casa come uno stormo di foglie in autunno, decisa a raggiungere la sua stanza senza farsi vedere. La mamma però è già piantata lì davanti e la blocca: a rapporto! Al muro! (Jelinek 1983, p. 3)

 

La scrittrice austriaca, Elfriede Jelinek, premio Nobel per la letteratura nel 2004, con queste parole introduce la torbida storia della pianista Erika, unita alla madre in un legame asfissiante. Le donne dividono un piccolo appartamento cupo in una Vienna grigia e austera, pochi metri quadri in cui i movimenti sono cadenzati simmetricamente, sotto il controllo reciproco; la porta della stanza di Erika è priva di serrature, una figlia non ha mica segreti da nascondere. (ibidem, p. 5) La vita è scandita dalle lezioni di pianoforte, impartite con un rigore che sfiora la crudeltà, e dalle attese della madre, cronometrate meticolosamente affinché la figlia non sottragga tempo per frivole e sconosciute occupazioni, motivi di litigi furiosi e colluttazioni violente.

 

La madre controlla che lo strumento venga accordato bene e intanto gira e rigira i cavicchi della figlia, non perché si preoccupi della sua armonia interiore, quanto dell’influsso che lei come madre può esercitare su questo strumento vivo, ricalcitrante e facilmente influenzabile. (Jelinek 1983, p. 35)

Torniamo ora al narcisismo ricordando che Freud, nel saggio del 1914, descrive un ulteriore dualismo pulsionale - pulsione oggettuale e narcisistica - che segue al dualismo della pulsione sessuale e dell’autoconservazione, discusso negli scritti precedenti.[2] L’antico narcisismo, caratterizzato dall’onnipotenza e dalla pienezza, resta una tensione sempre presente e dà luogo a un intenso sforzo inteso a recuperarlo (Freud, 1914; p. 470). L’amore dei genitori verso i propri figli dà prova di questa speranza mai completamente sopita, rivelando, oltre l’amore oggettuale, l’anelito di ripristinare l’immortalità dell’Io che la realtà mette radicalmente in forse (ibidem, p. 461). In tale accezione, il/la figlio/a può divenire estensione narcisistica del genitore, incarnando, oltre la finitezza e la caducità dell’Io, i sogni e i desideri irrealizzati. Molti anni dopo Piera Aulagnier (1975) riflette sul discorso materno che investe il nascituro in attesa di una risposta che l’infans non è ancora in grado di dare, compiendo quella violenza primaria, necessaria e istitutrice dello psichico. Inoltre, prima ancora della nascita, preesiste un discorso anticipatore che preannuncia l’avvento, una sorta di ombra parlata, e supposta dalla madre parlante, che, non appena l’infans è lì, si proietterà sul suo corpo (ibidem, p. 161). Il primo punto di ancoraggio, tra l’ombra, che condensa fantasie e vissuti del corpo, consci e inconsci, e la presa sul corpo è rappresentato dal sesso. In questa investitura possono condensarsi drammaticamente aspetti inelaborati e muti, costituendo un primo nodo critico della nascita psichica.

Erika, il fiore della brughiera. Questa donna porta il nome di quel fiore. Prima che nascesse, aleggiava davanti agli occhi di sua madre qualcosa di timido e delicato. Quando poi vide schizzar fuori dal proprio corpo quell’ammasso di fango, si mise subito ad aggiustarlo a scalpellate senza alcun riguardo, per ricavarne qualcosa di pulito e raffinato. Tolse un pezzo qui e un pezzo là. (Jelinek 1983, p. 23)

La violenza di cui parla Aulagnier (1975) sembra materializzarsi in un maltrattamento psichico promosso dal disgusto materno di fronte alla figlia reale, rispetto alla creatura narcisisticamente idealizzata; l’accanimento a deformarla sarà il terribile filo rosso di tutta la narrazione. È possibile   guardare ora alle modalità relazionali madre-figlia adulta, che appaiono estranee al mondo, come barricate in un corpo-a-corpo denso di ambivalenza, in riferimento alle disarmoniche integrazioni nelle identificazioni precoci femminili, in cui, a partire dai vissuti corporei, si articola la sessuazione.

 

2. La sessuazione

Se fin qui abbiamo caratterizzato un versante della diade in questione come “figlia adulta”, riconoscendo un’immagine tipica e a volte caricaturale del vivere comune, sul piano teorico la madre di cui stiamo parlando è la madre pre-genitale: il preedipico che Freud descriverà denso di vicissitudini, come i fasti della civiltà minoico-micenea precedente alla civiltà greca (Freud 1931, p. 64). Il vincolo materno primario profondamente radicato nei processi identitari femminili, implica una maggiore permanenza della bambina nel pre-edipo[3]. Tale richiamo alla sessualità pre-genitale è introduttivo sia alle questioni teoriche che tra poco affronteremo, sia alle suggestioni letterarie che abbiamo scelto da stimolo, in cui Erika, nelle sue brevi fughe temerarie dalla madre, sembra attraversare gli scenari di una sessualità nascente, perversa-polimorfa appunto, in cerca di una breccia che le permetta di transitare verso un’identità femminile che le sia propria .

 

Il prolungamento dei suoi occhi è il binocolo … il binocolo ereditato dal padre … Le luci man mano si perdono in lontananza. La sig.na Kohut sa per esperienza che in questa zona si possono osservare senza problemi le prostitute che allacciano e troncano i loro rapporti di lavoro. … Con l’aiuto del binocolo cerca quelle coppie davanti alle quali la gente farebbe subito dietro-front. … L’oscurità apre i battenti: venite e passeggiate! … Segue solo il suo udito, com’è abituata a fare sul lavoro. … Finalmente l’osservatrice è giunta alla meta agognata. … Come la casa natale si staglia all’orizzonte, così la coppia che sta chiavando si stacca dalla bellissima distesa verde per conficcarsi nei globi oculari di Erika. Un uomo s’avvita dentro una donna gemendo in una lingua straniera (Jelinek 1983, p.137).

Erika sembra ricercare disperatamente sia una coppia di amanti generatrice di vita, sia una presenza paterna, negata e espulsa dall’abraccio materno, che introduca il valore della differenza e dell’alterità: un’ottica differenziante del maschile, il binocolo del padre, che apra la visione verso nuovi scenari in cui riconoscersi.

Lo sviluppo dell’identità di genere e della percezione del corpo sessuato avviene a più riprese, attraverso nodi organizzatori che risignificano il passato, a posteriori, e tirano le fila del caos precedente in costrutti più strutturati, dei quali l’Edipo mantiene la sua centralità[4]. Tra questi poli organizzatori dell’esperienza, la scena primaria rappresenta una delle fantasie primarie (Urphantasien) che veicolano i grandi interrogativi sulle origini: l’origine del soggetto, il sorgere della sessualità e la differenza dei sessi, nelle riflessioni di Laplanche e Pontalis (1964, 1967).[5]

Il processo di scena primaria[6] (Gaddini 1974) affianca la separazione-individuazione, introducendo la figura del padre, presente nella mente della madre come partner sessuale; figura fantasmatizzata dall’infante come madre estranea, non immediatamente disponibile e impegnata in un rapporto intenso con un altro, che esclude e separa. Qualora la madre preclude questo accesso alla differenza, e, in collusione col partner-padre, si pone come oggetto d’amore esclusivo e fusionale (Nunziante Cesàro 1996, p. 49) si può assistere a distorsioni nella costruzione dell’identità di genere, con identificazioni patogene che non permettono una adeguata rappresentazione del corpo sessuato. La presenza del padre per la figlia, fantasmatizzata nella scena primaria, implica l’iscrizione della propria sessuazione nella differenza, sottratta all’orbita dell’indifferenziato materno; un’iscrizione che si avvale dell’investimento affettivo paterno, come proveniente dall’altro differente. Il padre è probabilmente colui che provoca la prima breccia nella collusione originaria che rendeva indissociabili il soddisfacimento del bisogno del corpo e il soddisfacimento del bisogno libidico. (Aulagnier 1975 p. 199). Nella scena primaria si annida l’interrogativo sulla sessualità svincolata dall’autoconservazione: la sessualità come desiderio e possibilità di piacere.

Erika è venuta al mondo solo dopo vent’anni di matrimonio, lo stesso mondo per il quale suo padre ha perso la ragione[7]. Ora è affidato a un ospedale psichiatrico, perché non diventi un pericolo per il mondo.. restiamo tra di noi, Erika, non è vero? Non abbiamo bisogno di nessuno (ibidem, p. 13) dice la madre alla sua bambina. Erika vaga nel buio desolato della squallida periferia viennese in cerca di quei segreti ultimi, che la stimolano a voler sempre vedere qualcosa di nuovo, di più profondo e proibito. Il suo corpo non ha mai rivelato i suoi molti segreti, nemmeno alla sua padrona! … Erika, l’osservatrice chiusa. (Jelinek 1983, p. 107).

Il segreto degli organi sessuali - organi di un corpo erogeno e investito dal fantasma della sessualità - ricade nella trasmissione inconscia tra l’infante e il suo seduttore. Nella trasmissione tra madre e figlia, il corpo - il medesimo corpo, accomunato dalla conformazione anatomica – è investito di significati inconsci sulla propria sessuazione femminile. Se l’ambivalenza della madre ha imboccato la strada del disprezzo, dell’autosvalutazione, e del non riconoscimento della propria sessuazione (Nunziante Cesàro 1996 p. 35), l’immagine corporea ereditata rischia di essere  monca, amputata, ferita narcisistica che rivela le faglie identitarie. La trasmissione intergenerazionale – lungo un arco di tempo che copre almeno tre generazioni (ibidem p. 32) -  può veicolare una difficoltà di rappresentazione degli organi genitali, in cui la vagina diviene evocatrice di un’assenza, innominabile, interdicendo il piacere.

La madre e la nonna, la brigata femminile, stanno all’erta per proteggerla dal maschio cacciatore appostato lì fuori. Le due vecchie, con i loro organi sessuali cicatrizzati e inariditi, si avventano su qualunque uomo, per impedirgli di intrufolarsi fino al loro capriolo. L’amore e il piacere non devono far del male al loro cucciolo. Le vulve pietrificate delle due vecchie si chiudono con uno scatto secco e rumoroso ... Stanno avvinghiate alla carne giovane della figlia, e nipote, e la riducono lentamente in pezzi, mentre con le loro corazze fanno la guardia al sangue giovane, perché nessuno venga ad avvelenarlo. (Jelinek 1983, p. 33)

Nelle sue passeggiate in avanscoperta, Erika si dirige in uno squallido bar di periferia, per poter fissare, immobile, le donne che si spogliano ansimando tra uomini che si masturbano. Erika osserva con attenzione … dentro di lei non si risveglia e non s’agita più niente. Eppure deve restare lì a guardare. (ibidem p. 53) L’uomo guarda il nulla, la pura assenza. Per prima cosa vede questo vuoto, poi tutto quel che resta della mammina. (ibidem p. 51) L’oggetto della sua curiosità si tocca con una mano fra le cosce e mostra di godere facendo una piccola «O» con la bocca. (ibidem p. 53)  Erika è un apparecchio compatto in forma umana. Sembra che la natura non abbia lasciato alcuna apertura in lei; nel posto in cui ogni vera donna ha la sua porticina, Erika sente un pezzo di legno massiccio, un legno spugnoso, marcio e solitario nel bosco d’alto fusto dove la putrefazione avanza. Per questo cammina impettita, regale: dentro si sta decomponendo … (ibidem, p. 51).

Separarsi dalla madre, cambiare oggetto di investimento libidico, recuperare l’originario legame come riferimento della propria identità sessuata: in breve, sono questi alcuni difficili nodi della femminilità. In questi passaggi, ciò che di volta in volta si perde e si rielabora è la trasmissione al femminile del corpo con i suoi organi, in cui è in gioco anche la possibilità del piacere, la conquista dell’autorizzazione a una vita sessuale, che transita per il baluardo materno, che concede, proibisce, nega o lascia passare.

Torniamo ora ad Erika voyeuse di una sorta di scena primaria riattualizzata nel buio dei giardini di Vienna: Senza che la coppia ne abbia la più pallida idea, trasforma quel duo in un trio. Uno dei suoi organi comincia improvvisamente a funzionare a velocità doppia o addirittura tripla, non può controllarlo in alcun modo. Una violenta pressione sulla vescica, un dolore molesto che l’assale ogniqualvolta si eccita. … La spettatrice è costretta a muoversi dalla posizione accovacciata, per trovare un po’ di sollievo e placare quel prurito, quello stimolo pungente e ormai incontenibile. … Erika Kohut non resiste più, lo stimolo è più forte di lei. Si tira giù le mutande con cautela e orina per terra.  (ibidem, p. 140)

L’eccitazione diviene qualcosa di incomprensibile, che scuote il corpo senza trovare un punto di coagulo, organizzatore del desiderio e accesso possibile al piacere, le zone erogene sono contigue e confuse come nella sessualità infantile. La carica libidica non trova una rappresentazione nell’ordine simbolico, capace di veicolare e dar forma alle sensazioni, che in maniera bruta, in mancanza di una rappresentazione adeguata che le distingue, vengono agite compulsivamente ed evacuate.

3. Il masochismo

Sempre ispirato dal testo della Jelinek, ciò che salta agli occhi è la questione del masochismo, che insieme alla femminilità, costituisce uno dei nodi tematici particolarmente spinosi nel corpus freudiano. È noto l’iter teorico di Freud in merito al masochismo, che, in un primo momento, appare preceduto dal sadismo, descritto come il rivolgimento della pulsione sulla persona stessa del soggetto (Freud 1915), assumendo poi una valenza primaria (Freud 1924). Ci soffermiamo su alcuni testi significativi di questi anni di trasformazione teorica, decisivi per il pensiero psicoanalitico. Nel 1914 Freud aggiunge al più volte rimaneggiato Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), vero e proprio cantiere della psicoanalisi, il seguente capoverso: Il sadismo e il masochismo occupano fra le perversioni una posizione particolare, poiché la coppia antitetica attività-passività che ne è alla base appartiene ai caratteri generali della vita sessuale. (ibidem p. 471). Da queste indicazioni, che sottolineano gli aspetti della passività e dell’attività, proviamo a seguire la lettura di Laplanche (1970) della supposta prima teoria del masochismo in Freud. In Pulsioni e loro destini (1915) Freud riconosce nell’esercizio della violenza e della forza contro un’altra persona, il primo tempo della coppia sadismo-masochismo. Lo psicoanalista francese, legge, e in qualche modo forza il testo freudiano, verso una traduzione non-sessuale di questa aggressività etero-diretta, distinguendola dal sadismo vero e proprio che conserva un aspetto sessuale. Freud fa seguire a questo primo momento l’abbandono dell’oggetto esterno e il rivolgimento sulla propria persona della pulsione; passando in tal senso dall’attività alla passività. Laplanche (1970) argomenta che la pulsione appare solo in questo secondo tempo, con la riflessione su di sé, pertanto, nel campo della sessualità, il masochismo è già considerato primario (ibidem p. 135)[8].

Il fantasma del masochismo è analizzato da Freud qualche anno dopo, con Un bambino viene picchiato del 1919, che reca il sottotitolo Contributo alla conoscenza dell’origine della perversione sessuale. Il punto di vista clinico proposto da Freud riguarda sei pazienti, di cui quattro donne. La rappresentazione fantastica di “un bambino percosso da un adulto”, che introduce l’analisi clinica, presenta dei tratti sadici in quanto al culmine della situazione immaginata s’impone, quasi regolarmente, un soddisfacimento onanistico (Freud 1919, p. 41)[9]. Tuttavia Freud sottolinea che la fase incomparabilmente più importante è quella inconscia e masochistica (ibidem, p. 56), che non viene ricordata ma “costruita”, il suo enunciato è: “Vengo picchiata da mio padre”. Le forme delle fantasie consce sono sadiche, tuttavia, dall’analisi, l’eccitazione e il soddisfacimento ricavato dall’onanismo che le accompagna, rivelano i tratti masochistici originari, per cui la fantasia si è assunta l’investimento libidico della parte rimossa (ibidem, p. 52). Il fantasma masochistico non è specifico solo di un’organizzazione patologica, ma proprio perché si situa all’origine della perversione, assume un tratto costitutivo della stessa sessualità infantile perversa-polimorfa. Su questa traccia Laplanche (1970) argomenta il carattere privilegiato del masochismo nella costituzione della sessualità umana, tuttavia evidenzia non solo l’aspetto del contenuto masochistico, ovvero la fantasia passiva di fustigazione, ma sottolinea il carattere riflessivo della fantasia, cioè il volgere la fantasia dentro di sé, farla entrare in sé stessi come fantasma (ibidem, p. 152). La posizione passiva del bambino rispetto all’adulto non è solo passività nella relazione reale con l’attività adulta, ma anche passività nei confronti del fantasma dell’adulto che si introduce dentro di lui (ibidem, p. 153).

La situazione originaria dell’infante, dipendente dall’adulto e impotente (Hilflosigkeit), è caratterizzata dalla passività, per cui egli è sopraffatto dalla sessualità adulta inconscia, che fa irruzione istituendo lo psichismo. L’iscrizione originaria del masochismo assume un valore fondativo in riferimento all’intrusione del sessuale adulto nello psicosoma del bambino.

Da questo discorso Jacques Andrè (1995) mette in relazione il bambino sedotto delle origini con la posizione femminile, descritta a partire dalle sensazione vaginali precoci, occultate nelle riflessioni freudiane sul femminile, ma che costituiscono una traccia tematica presente fin dal principio. Il bambino sedotto è un bambino cavità, un bambino orifiziale (ibidem, p.125), in cui fa irruzione la sessualità adulta. L’anello teorico di congiunzione individuato da Andrè è la passività: passività originaria dell’infante sopraffatto da una sessualità adulta, passività pulsionale intesa come il godere di ciò che (vi) arriva, partecipare con godimento a ciò che (in voi) penetra, fa intrusione – cioè il legame intimo fra passività e l’interno (ibidem, p. 138)[10]. La proposta di Andrè, preceduta da una attenta disamina del testo freudiano in riferimento all’origine del femminile svincolato dal fantasma della castrazione, argomenta una femminilità originaria, comune per il bambino e per la bambina, intesa come prima rappresentazione della passività dell’infans dinanzi all’effrazione del sessuale inconscio adulto. La declinazione del femminile centrata sulla ferita-apertura, più che la ferita-taglio, consente ad Andrè di situare la femminilità alle origini della psicosessualità. La sessualità adulta deriva dalla rielaborazione in après coup dell’originaria apertura dell’interno verso un esterno che irrompe e istituisce la sessualità. Nel maschio le vicende identitarie implicano un’elaborazione della passività originaria, con il passaggio all’attività, e la disidentificazione dal femminile dell’origine. Per la femmina, la sessualità adulta suppone la correlazione tra l’intrusione seduttrice dell’origine, traumatica e fondatrice della vita sessuale, con la penetrazione del pene paterno nella dinamica edipica. Ciò che permane nelle vicende del femminile è l’apertura verso l’interno, la prossimità al tema delle origini[11].

Provando a intrecciare queste riflessioni con il nostro tema, il masochismo e la femminilità si pongono come carattere necessario, e nello stesso tempo primitivo (Andrè 1995, p. 143), della costituzione dell’inconscio stesso. La sessualità femminile adulta, con la penetrazione del corpo, segue e rinnova l’intromissione originaria dell’esterno nell’interno, riattivando secondo le storie individuali, il piacere o il traumatismo (ibidem, p. 146). Come luogo di penetrazione, la vagina è atta a riafferrare, a simbolizzare, l’intromissione della sessualità adulta nello psicosoma del bambino – col rischio di avvicinarsi troppo (ibidem, p. 147). Le vicende della sessuazione nella trasmissione madre-figlia, sono il luogo privilegiato in cui si percorre il limite tra l’accesso al piacere adulto e la sua mortificazione, con pericolose e possibili deviazioni, tra le quali la perversione masochistica, non nel senso di originario in questo caso, ma come organizzazione libidica adulta, che ci riporta alla nostra traccia letteraria.

 Quando in casa non c’è nessuno, la figlia si fa dei tagli nella propria carne con premeditazione … appena è scattata la maniglia e tutto tace, corre a prendere la lama milleusi del padre, il suo piccolo talismano. … lei si siede a gambe divaricate davanti allo specchio da barba, a ingrandimento, e pratica un taglio per ingrandire l’apertura che fa da ingresso al suo corpo. … Come la cavità orale, anche questa, che serve da entrata e uscita del suo corpo, non può proprio definirsi bella, ma è necessaria. … Dilata l’orifizio con il supporto metallico dello specchio e afferra un punto adatto per incidere … accosta nel punto esatto in cui ritiene debba crearsi un buco. Il sangue comincia a sgorgare. Come sempre non sente dolore … lei non sente niente. … Con tutto quel sangue, non riesce più a vedere che cos’ha tagliato. Era il suo corpo, eppure anche qualcosa di terribilmente estraneo. (Jelinek 1983, p. 86)

E’ il pene paterno assente che la nostra protagonista assume a mo’ di lama per operare il taglio dal corpo materno, per agire una fantasia di coito sadico, e infine per simulare un’identità adulta di adolescente menstruata? L’impossibilità di simbolizzare la propria sessuazione, radicata in un corpo sentito come possibile fonte di piacere, determina agiti autolesivi, come probabili tentativi di recuperare tracce percettive e frammenti di rappresentazioni, che conferiscano un senso a vissuti corporei oscuri e incomprensibili. Il buco che disprezzava, che ignorava, ora ha preso possesso di lei. (ibidem p. 186). Tuttavia, di fronte alla confusione e alle conseguenze drammatiche dei suoi comportamenti, non può che ritirarsi terrorizzata, Erika immagina di giacere in una bara e di decomporsi nella terra … Lei è il nulla. E nulla esiste più per lei (idem).  

Proseguendo cronologicamente con l’analisi del masochismo nei testi freudiani, nella lettera a Ferenczi del 17 marzo 1919, Freud comunica di aver terminato il saggio Un bambino viene picchiato e di aver iniziato Al di là del principio di piacere. Il discorso sul nuovo dualismo pulsionale Eros-Thanatos, era già nella mente di Freud, tuttavia ancora in una fase embrionale da non poter essere assunto come nuova direttrice teorica per le questioni del masochismo. Prima di affrontare il testo del 1924, Il problema economico del masochismo, consacrato esplicitamente all’argomento, vorremo tornare ancora sul saggio del 1919, riconoscendo in esso una linea di discorso che stimola una riflessione che ci porta oltre le proposte teoriche di Laplanche-Andrè: se anche si devono ammettere sin dall’inizio, soprattutto nella donna, pulsioni aventi una meta passiva, la passività non è ancora tutto il masochismo; di esso fa parte integrante anche il carattere di dispiacere, che in un appagamento pulsionale appare così strano. La trasformazione del sadismo in masochismo sembra verificarsi per influsso del senso di colpa che concorre all’atto di rimozione. La rimozione si esplica dunque qui con un triplice effetto: rende inconsci gli esiti dell’organizzazione genitale, costringe quest’ultima a regredire allo stadio precedente sadico-anale, e trasforma il sadismo di questo stadio in masochismo; tale masochismo è passivo e in un certo qual senso di nuovo narcisistico. (Freud 1919, p. 55)

Molte le questioni messe in gioco con questo passo, procediamo per ordine partendo dall’ultima: il narcisismo, che ci riporta all’indifferenziazione primaria da cui eravamo partiti. Riprendiamo la definizione di Andrè Green: il narcisismo è la cancellazione della traccia dell’Altro nel desiderio dell’Uno. La differenza instaurata dalla separazione tra la madre e il bambino è compensata dall’investitura narcisistica. (Green 1983, p. 154). Tuttavia, in certi casi la perdita dell’unità originaria, è caratterizzata da risentimento, odio e disperazione, con l’impossibilità di tollerare la distanza dall’oggetto. Comincia allora la ricerca attiva non dell’unità, ma del niente: vale a dire di un abbassamento delle tensioni al livello zero, che è l’approssimarsi della morte psichica (ibidem, p. 28) intesa come liberazione assoluta dal desiderio[12]. La riflessione freudiana sulla pulsione di morte, che qui intendiamo con Aulagnier (1975) desiderio di non-desiderio (ibidem, p.74), tendenza regressiva verso un’impossibile prima (ibidem, p. 95), è messa in relazione da Green (1983) con un narcisismo negativo, oscuro doppio dell’Eros.

Il raffronto del masochismo con il narcisismo di morte introdotto da Green (1983) necessita di una chiarificazione: il narcisismo negativo è diverso dal masochismo, nella misura in cui il primo mira all’inesistenza, all’anestesia e al vuoto, mentre il secondo, sebbene originario anch’esso, tende al dolore e al suo mantenimento come sola forma di esistenza, di vita, di sensibilità possibili (ibidem, p. 48). La nostra ipotesi è che il masochismo può essere inteso come una perversione dell’autoerotismo, come un agito disperato, nel tentativo di fuoriuscire dall’indifferenziato inglobante, da un narcisismo contrassegnato dalla pulsione di morte, polo attrattore mortifero. Il masochismo si configura in tal senso come una possibilità dell’impasto pulsionale (Freud 1924), una manovra tesa a reperire un probabile investimento oggettuale, in cui tuttavia Thanatos impone su Eros la sua vocazione all’annientamento.

Erika incontra alle sue lezioni di pianoforte un giovane, Walter Klemmer, che le urla nell’orecchio una novità assoluta sul suo amore per lei. (Jelinek 1983, p. 174) Erika non può sentire e gli scrive una lettera in cui descrive minuziosamente i suoi desideri di violenza e umiliazione. Ha messo tutto per iscritto. Vuole farsi letteralmente fagocitare dall’uomo, finché cesserà di esistere. … vuole scomparire sotto di lui e spegnersi completamente. (ibidem, p. 202)

In riferimento alle distinzioni proposte da Freud nel saggio del 1924, se le prime due, masochismo erogeno e masochismo femmineo, possiamo considerarle in parte affrontate fin qui in questo scritto, ciò che resta, last but not least, è il masochismo morale, che introduce la questione non semplice del rapporto tra l’Io e l’istanza morale. Come evidenziato da Freud nel passo precedentemente citato (Freud 1919), il senso di colpa ha un ruolo importante nel masochismo: il bisogno di punizione del masochista deriverebbe dal non essere riuscito a soddisfare le esigenze del proprio ideale, il Super-io (Freud 1924, p. 13). Oltre alle implicazioni che legano la formazione dell’ideale dell’Io alle identificazioni con i genitori e agli ideali collettivi, vorremmo evidenziarne la connessione con il narcisismo e il processo di idealizzazione, esaminando quella polarità del Super-io che Green (1983) indica come miraggi dell’illusione, distinguendola dalla rinuncia pulsionale, sempre di matrice superegoica. Chasseguet-Smirgel (1975) sottolinea che di fronte alla rottura della fusione originaria, l’infante proietta sull’oggetto, idealizzandolo, l’onnipotenza narcisistica perduta. Tale processo può assumere una valenza fortemente difensiva, qualora la separazione si configura come un vuoto impensabile. In tal senso la perdita, che scatena un’angoscia di annientamento, è negata con l’illusione che l’oggetto idealizzato, detentore della perfezione, non è separato. L’affermazione traumatica della differenza, quando l’oggetto non corrisponde magicamente ai bisogni del soggetto, è caratterizzata da rabbia e delusione. L’ideale dell’Io, modellato sugli aspetti rigidi e difensivi dell’idealizzazione, assume una valenza mortificante e irraggiungibile, determinando vissuti di umiliazione.

Torniamo ancora ad Erika, ai suoi ricordi infantili che balzano fuori dalla sua inesauribile scatola cranica (Jelinek 1983, p. 223), a quando la madre la punisce perché la posizione della piccola mano da bambina sul pianoforte non è corretta. La passione per l’arte della musica è il campo privilegiato in cui si esercita il diktat materno, come estensione narcisistica da madre a figlia, di desideri inappagati di successo e riscatto. L’intransigenza materna è introiettata dalla figlia, configurando un modello ideale implacabile, a cui Erika sente di non aver mai abbastanza adempiuto con la sua vita modesta. Finora la vita ti ha punita ignorandoti e ora ti punisce tua madre allo stesso modo, anche se ti agghindi e ti pitturi come un clown (ibidem p. 5): è l’ingiunzione che Erika sente risuonare ad ogni passo falso. La musica e il costante esercizio al piano imposto alla figlia, condensano anche ideali di purezza e controllo sulle passioni del corpo. I timidi tentativi dell’adolescente Erika, di guardare fuori dalla finestra dello studio, intravedendo nei corpi di giovani che giocano all’aria aperta una possibilità per i suoi desideri nascenti, sono repressi violentemente, in nome della dedizione incondizionata alla perfezione del suono[13]. Le cinque linee del pentagramma la dominano sin da quando è capace di pensare. … In combutta con la madre, le maglie di quel sistema l’hanno stretta in una rete indistruttibile di norme, di prescrizioni, di precisi divieti (ibidem p. 186). La rinuncia al desiderio, che assume forme terribili di carattere masochistico quando sfugge agli interdetti e alle proibizioni, è il tributo da pagare per un ideale impossibile[14]. 

 

Conclusioni

Le note teoriche che abbiamo delineato, sottolineano la valenza originaria del masochismo, che rimanda alle origini della nascita dello psichismo e della psicosessualità, per gli uomini come per le donne. In questa accezione ci è sembrato necessario sottolineare soprattutto le vicende legate al corpo e alla sua rappresentazione, che nello specifico della sessualità femminile assumono una rilevanza particolare, ponendo l’interrogativo sulla nascita come differenza e continuità, verso il materno-femminile. In accordo con le riflessioni introdotte all’inizio di questo scritto, è possibile pensare che le donne siano più esposte dell’uomo nell’elaborare la separazione, più assorbite nella relazione con la madre a causa dell’uguaglianza di genere che rende il processo di separazione-individuazione più complesso (Nunziante Cesàro 1996, p. 72).

Con questo non intendiamo risuscitare a nuova vita la teoria che legge il masochismo come un tratto «originario» della femminilità, come nella versione degli anni ’30 della Deutsch, piuttosto crediamo che l’aspetto primitivo del masochismo interroghi il vincolo materno primario costitutivo della psiche, implicato nelle vicende del femminile in maniera a volte così drammatica. Questa specificità “al femminile” è una linea di riflessione essenziale per la nostra ricerca clinica, in modo particolare quando ci confrontiamo con casi in cui la relazione perversa con l’uomo, caratterizzata da violenze e umiliazioni, svela l’aspetto perturbante del piacere nel dolore e dell’impossibilità a sottrarsi al pericolo.

I desideri masochistici di Erika confessati al giovane innamorato risvegliano pulsioni nascoste e malvagie (ibidem p. 248), la madre addita alla figlia le conseguenze dell’amore con gli uomini, che si sono puntualmente avverate come lei aveva predetto, ma la figlia non sente. Piange a dirotto e intanto viene presa a calci nello stomaco (ibidem p. 267).

In conclusione, e dopo una linea di riflessione strettamente centrata sui processi intrapsichici, non è secondario evidenziare l’influsso degli ordinamenti sociali (Freud 1932, p. 222), che, come lo stesso Freud ricorda quasi un secolo fa, ma ancora drammaticamente attuale, favorisce una posizione di passività della donna, causa di dipendenza e difficoltà di ribellione da uomini violenti, come in più occasioni abbiamo avuto modo di constatare nella nostra pratica clinica.

L’intreccio complesso che lega madre e figlia nelle vicende identitarie femminili, può essere il terreno di scambio e trasmissione di una problematica identità sessuata, in cui la violenza e il dolore possono rappresentare la solo strada conosciuta, confermata dalla realtà a volte drammatica. Questo dà sicurezza e la sicurezza genera paura dell’incerto. Erika teme che tutto rimanga così com’è e allo stesso tempo teme che possa cambiare qualcosa. (ibidem, p. 186)

     


[1] L’incorporazione prima e l’introiezione poi, sono i processi psichici che contraddistinguono le prime fasi di sviluppo dello psichismo, caratterizzate da vissuti piacevoli e spiacevoli. Le percezioni e le sensazioni nel corpo, con le modificazioni imitative tese a riprodurre la fusione originaria, rappresentano sedimenti di una graduale differenziazione che porterà all’individuazione.

[2] La necessità di argomentare la natura eminentemente conflittuale della sessualità, induce Freud a ricercare una coppia di opposti che animi la dinamica psichica. In questo caso a segnare il conflitto è la pulsione che investe l’Io o che si rivolge all’oggetto, in una distribuzione economica che regola la fuoriuscita dal narcisismo primario con la scoperta dell’oggetto esterno e il suo investimento.

[3] Le specifiche vicende dello sviluppo della identità sessuale femminile riattualizzano antichi vissuti corporei che rimandano al legame originario con la madre pre-edipica, permettendoci, come altrove abbiano già detto (Nunziante Cesàro 1996), di ipotizzare - rispetto al maschile - una coloritura più pre-genitale della sessualità femminile, che apparirebbe più prossima alla condizione infantile della sessualità perverso-polimorfa. Laddove intendiamo il pre-genitale, non un livello meno evoluto, piuttosto una forma della sessualità sempre presente e non imbrigliata nel godimento sessuale genitale. L’eccesso della sessualità pre-edipica, la cui ingordigia della libido infantile non ha limiti! (Freud 1931, p. 72), appare supportare l’ipotesi che le donne sperimentino il piacere in maniera più intensa e precoce dell’uomo … con un piacere più diffuso e pervasivo (Ferraro e Nunziante Cesàro 1985, p. 35).

[4] Simona Argentieri (1988) ipotizza che solo in epoche successive, nel corso dei processi di individuazione e differenziazione, avvenga – come «effetto retroattivo» - una ricategorizzazione delle esperienze e delle fantasie primitive in termini di maschile e femminile a livelli più integrati (ibidem, p. 84).

[5]  Come precedentemente ribadito, la nascita dello psichismo avviene a partire dalle prime vicende sensoriali del corpo, tuttavia, oltre un’impostazione essenzialista ed esclusivamente endogena del sessuale, è nella relazione con l’altro che si innesta il “germe” della sessualità, nella seduzione originaria delle cure primarie, quando nell’interazione della tenerezza slitta, si insinua l’azione inconscia dell’altro; la faccia sessuale inconscia del messaggio dell’altro (Laplanche 1993-1999, p. 62). La sessualità in psicoanalisi è sempre una psicosessualità, come intreccio irrisolvibile tra affetti del corpo e configurazioni psichiche, per cui nel mondo interno la rappresentazione e l’affetto sono l’oggetto di un incontro che il fantasma suggella (Green 1973, p. 70).

[6] La scena primaria ha una duplice funzione: scena di qualcosa, tesa a raffigurare l’enigma della sessualità, presente nel messaggio inconscio dell’altro, scena per qualcosa, come momento costitutivo dello psichismo e fonte mai satura di simbolizzazione (Ferraro e Garella 2005).

[7] Aldilà di un intento a “psicoanalizzare” il testo letterario, ma in quanto proposta di riflessione sulla trasmissione dell’interdetto tra le generazioni, apprendiamo dalla biografia della scrittrice che il padre, figlio di un ebreo, si era salvato dalla deportazione grazie al suo lavoro di chimico, ritenuto necessario dalle autorità nazionalsocialiste. Dopo la guerra ebbe numerose crisi psichiche, che lo portarono all’internamento psichiatrico, per poi morire. Il segreto su un passato impronunciabile e orribile ci sembra attraversi tutto il testo “La pianista” , immerso nell’atmosfera culturale, decadente e mortifera, dell’ Austria post-guerra. 

 

[8] La cornice teorica di riferimento, è la teoria freudiana dell’«appoggio», che intende la genesi della sessualità nel momento della riflessione su di sé: Per la sessualità il momento costitutivo è quello riflessivo (selbst o auto-) … l’autoerotismo, in cui l’oggetto reale è stato sostituito da un fantasma, da un oggetto, riflesso nel soggetto. (Laplanche 1970, p. 133).

[9] L’approfondimento analitico rivela una prima fase, più antica e appartenente ad un periodo remoto dell’infanzia, in cui il padre picchia il bambino odiato dal soggetto. Anche in questo caso siamo ancora sul terreno del sadismo, in cui la bambina può affermare che il padre non ama che lei, per cui picchia gli altri bambini.

[10] La coppia passività/femminilità è un nodo spinoso e poco agevole, a forte rischio teorico come mette in guardia lo stesso Freud (1920, 1931, 1937) a più riprese, che nella storia del pensiero psicoanalitico ha rappresentato uno schiacciamento teorico della femminilità sul discorso della castrazione e della mancanza.

[11] Il rifiuto della femminilità, nell’uomo e nella donna, non è in relazione con l’angoscia di castrazione o con l’invidia del pene, come lo ritroviamo nel discorso freudiano (1937), ma rimanda al nucleo più difficilmente accettabile della propria soggettività, nata da un’effrazione.

 

[12] La perdita intollerabile in tal caso non rimanda alla melanconia, per cui l’oggetto resta irraggiungibile sullo sfondo, ma all’afanisi, all’anoressia di vivere, una pietrificazione dell’Io che mira all’inerzia (Green 1983, p. 29).

[13] La vergogna, connessa alla inadeguatezza e al sentirsi inerme, di marca narcisistica quindi, si staglia sullo sfondo dei vissuti di rabbia e colpa, d’ordine oggettuale, verso colei – la madre onnipotente - che l’ha scacciata, sottraendole e proibendole il piacere.

[14] La spinta ad aderire ad un ideale impossibile è paralizzata da uno scarto incolmabile, in cui il tempo è immobile (Nunziante Cesàro 1996) cristallizzato ad una ferita insanabile. Erika è un insetto imprigionato nell’ambra, senza tempo, senza età. Non ha storia e non ha neppure storie (Jelinek 1983, p. 14).

 

 

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