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Foto: Sergio Piro "Trattato della ricerca diadromico-trasformazionale" di Sergio Piro

 

Sergio Piro, "Trattato della ricerca diadromico-trasformazionale", La Città del Sole, Napoli, 2005, pagg. 435.  Recensione di Antonio Mancini 
 

 

                             

 

 

Il Trattato della ricerca diadromico trasformazionale è l’ultimo libro di Sergio Piro e segna una svolta importante nel suo percorso di ricerca. Il libro è sia la storia breve ed essenziale di una ricerca personale durata più di cinquanta anni partendo dalla semantica del linguaggio schizofrenico, sia un manuale utilizzato da ricercatori molteplici e diversi (psichiatri, medici specializzandi in psichiatria, studenti in medicina, malati “mentali”, volontari, giovani dei Centri Sociali) per una ricerca collettiva (la ricerca regionale denominata “Prassi trasformazionali in campo di esclusione antropica”, 2003-2005) nel campo unificato dell’esclusione sociale e dell’abbandono istituzionale: è un campo che opera una connessione fra forme di esclusione e di abbandono, ma che pone anche osservante e osservato, in quanto soggetti che vivono la medesima condizione di emarginazione e negazione dei diritti, sullo stesso piano da un punto di vista operazionale.

Si diceva che il Trattato della ricerca diadromico trasformazionale è un libro che segna una svolta. Essa (la svolta) consiste, a mio avviso, nella scomparsa nel titolo, rispetto ai due libri importanti precedenti quali Antropologia trasformazionale e Introduzione alle antropologie trasformazionali, del sostantivo “antropologia/e” unito  all’altro termine caro al nostro autore: “trasformazionale” (che invece giustamente e pervicacemente persiste).

Di fatto non muta il preso di mira, la condizione antropica colta nel suo incessante mutamento linguistico, patico, doxico-ideologico, noetico-noematico, ma muta la protensione dell’autore, il suo linguaggio.

Questo – sempre controllato ma mai sterile, astuto sotto il profilo epistemologico ma mai pedissequo – diviene strumento del volgersi di Piro alla sua stessa intera ricerca, a quel procedere a zig-zag oltre le barriere disciplinari che è sempre stata cifra peculiare e inconfondibile del percorso di cui si diceva in apertura.

Nella protensione di Piro verso il mondo, la diadromia e la trasformazionalità diventano i caratteri stabili della ricerca antropologica. Antropologico continua a designare il campo di studio, ma le portanti del:

   -  continuo rimbalzo/rimpallo tra epistemogenesi ed epistemologia, generatore di paradossi e di transitorietà (diadromia),

-     l’inarrestabile trasformazione dell’osservante e dell’osservato

sono i caratteri distintivi di quella ricerca antropologica pratica che Piro addita come lo sforzo di una vita e come una possibilità per altri ricercatori nel campo. Facciamone un paio di citazioni:

 

«4.7.5.3. Se tutti coloro che fanno ricerca, nel senso più lato della parola, tentassero di esplicitare il contatto (o il corto circuito) fra la loro epistemologia spontanea, continuamente rinascente in ogni esperienza ontica, con la tematizzazione e l’espressione  dei risultati della loro ricerca, si avrebbe un duplice positivo risultato: da un lato una più decisa espulsione dei reismo e della “logica” cosale, dall’altro lato una maggiore disposizione ad accogliere contraddizioni, paralogismi e paradossi come una componente ineliminabile in un sistema auto-riflettente» (cap. IV p. 249). E più avanti: «4.8.6. E se la definizione di diadromia come paradossale è data per scontata (una proliferazione locale di spunti teorici mutualmente incompatibili), ne viene che ancor più propria e generale è l’attribuzione di transitorio all’atteggiamento epistemologico della fase che si apre negli ultimi anni per questa ricerca» (ibidem p. 256).

 

E qui occorre un richiamo e una conclusione per questo discorso che potrebbe apparire astratto, teorico, per addetti ai lavori. Così non è.

Occorre tenere a mente la scomparsa nel titolo di quel termine “antropologia”. Infatti esso accompagnato all’attributo “trasformazionale” ha ingenerato, nel passato, equivoci e ha lasciato spazio a tentativi neodisciplinari e perfino libro-professionali. Piro se ne avvide e già nel 1997 titolò il suo libro “Introduzione alle antropologie trasformazionali”, mitigando in parte la durezza semantica di una antropologia sussuntiva unitaria. Ora la ricerca antropologica diviene diadromico-trasformazionale, ora nessuno equivoco è più possibile. Essa, la ricerca antropologica, che si dispiega (se vera ricerca) tra l’inarrestabile capovolgersi di ogni discorso nel suo contrario e l’inarrestabile trasformarsi dell’osservante e dell’osservato, è, ad un tempo, pratica e teorica, a tutti appartiene e a tutti pertiene, senza distinzione di censo, di razza, di laurea o diploma. Essa non mira a cattedre universitarie o a posti di primario o alla professione privata.

Il Trattato della ricerca diadromico trasformazionale, punto di arrivo (e di rilancio orbitale) di una ricerca individuale lunga, appassionata, contraddittoria, può dunque offrirsi come manuale per una ricerca plurima, corale, democratica, egualitaria: qui la sua grande novità, espressione fortemente attiva della nostra speranza per un mondo diverso.

Antonio Mancini

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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