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"Mnemosyne": psicoanalisti e memoria dei traumi collettivi

 Prefazione a "Psicologia dell'Antisemitismo"

 

di Jacques Hassoun e Claude Rabant

 

  NOTA EDITORIALE

La "Psicologia dell'antisemitismo" di Imre Hermann, pubblicata originariamente nel 1945, è stata edita in francese da le "Editions de l'éclat" nel 1986. E' imperdonabile che in Italia non ci siano a tutt'oggi traduzioni di questa opera dello psicoanalista di origine ungherese. La prefazione di cui sotto riportiamo il testo compare nella citata edizione francese.

                                            <<... Ce n'est rien d'autre que le kakon de son

                                                propre etre, que l'aliéné cherche à atteindre

                                                 dans l'objet qu'il frappe.  >>

                                                                            J.  Lacan,  Ecrits ,  175.

 

                                             

Questo non è un libro sul genocidio degli ebrei. Psicologia dell'antisemitismo è piuttosto, lo si vedrà, un libro sull'antisemitismo ordinario, storicamente ripetitivo, concepito come scena radicale o esemplare di tutte le follie razziali che esplodono, per crisi, nelle società occidentali. Quando Imre Hermann, durante la seconda guerra mondiale, senza dubbio verso il 1943, o tutt'al più all'inizio del 1944, concepisce e scrive questa lunga riflessione sull'antisemitismo, che pubblica solamente nel 1945 dopo la liberazione, è non solamente a titolo di psicoanalista, ma in quanto sostenitore del marxismo-leninismo. Nel momento in cui, sullo slancio dell'"Istinto filiale"(1)  egli scrive questo libro, l'estremo della convulsione antisemita, per lui, come da lui indicato, è rappresentato dai campi di lavoro obbligatorio in Ucraina, in cui gli ebrei ungheresi sono ristretti al servizio degli eserciti ungheresi (1941-1942). Dei campi di sterminio egli non sa nulla. La deportazione degli ebrei ungheresi, dopo l'invasione tedesca, comincia solamente nel maggio 1944.

Per certi versi si troverà qui, dunque, l'analisi di un antisemitismo nei limiti della semplice ragione: almeno nei limiti della ragione socio-economica da un lato (di cui Hermann ha cura nel  riservarne il ruolo), psicoanalitica dall'altro. Perciò questo testo, pubblicato qui in francese dopo più di quaranta anni, offre due interessi pressoché contrari. Da una parte egli mostra i limiti di un pensiero ancora <<ragionevole>> dell'antisemitismo, un pensiero che, malgrado l'inquietudine ed il pessimismo che si sentirà trapelare sotto la fredda analisi, non è stato ancora colpito dagli effetti della vertigine sterminatoria. Ma d'altra parte, in questi stessi limiti, esso resta, persino nelle sue 'impasses', di una flagrante attualità.

Scena radicale o esemplare di tutte le follie razziali che contraddistinguono le società occidentali: è così che Hermann tenta di avvicinare questo crocevia atroce in cui i popoli si negano, e che egli designa come <<psicosi epidemica delle masse>>. Una tale psicosi non può dipendere da un concetto unico o da una struttura semplice. Non solamente il puro concetto dell'odio si trova interamente squalificato, ma la struttura paranoica, che fornisce il modello del meccanismo della proiezione, trova il suo estremo ed il limite in ciò che Hermann chiama <<l'assioma di scelta>>, termine attorno al quale, in favore dell'ambiguità mantenuta dalla lingua ungherese tra <<paranoico>> e <<paranoide>>, l'analisi di Hermann ruota fino a congiungere alla paranoia il suo altro psicotico. Progressivamente in effetti, la dimensione paranoica che Hermann dimostra dapprima nella psicologia individuale dell'antisemitismo deborda a tal punto dal suo modello psichiatrico estendendosi alla psicologia collettiva, che la schizofrenia viene a poco a poco a duplicarla in un terribile paradosso, per tentare di caratterizzare le deviazioni più radicali dei meccanismi che sono all'origine per l'essere umano della sua presa nel socius, fino ad unirsi ad essa in questo specchio folle che presenta ad una folla razzista il suo leader.

Così si trova fondata come specifica, per Hermann, l'indagine psico-analitica di queste devianze. Se c'è, in effetti, una necessità per lui di scrivere e di pubblicare la "Psicologia dell'antisemitismo", è a titolo di approfondimento che può essere in contributo, a tutte le altre analisi o descrizioni possibili, della teoria psicoanalitica. Questo approfondimento porta più lontano rispetto alle tesi freudiane che egli riprende superandole. Esso consiste, per noi, in una parola che emerge dal testo di Hermann: quella del godimento. L'antisemitismo tocca al godimento, non solamente ignorato, nascosto, ma incompiuto dell'uomo in quanto essere sociale, e discende dalle modalità dell'orrore che, per disconoscimento e ribaltamento proiettivo, ma anche per destrutturazione nel profondo, esso suscita nella realtà. Le manifestazioni storiche dell'antisemitismo si intersecano quindi sempre in una duplice dialettica dell'orrore e del godimento che tiene nella sua tenaglia allo stesso tempo i persecutori ed i perseguitati, gli assassini e le loro vittime. E lo si vedrà se, fino ad un certo punto, lo stesso Hermann non  si porterà a momenti all'interno di questa dialettica. Almeno qui sottolineiamo quanto dall'inizio alla fine insista sotto la sua pena la questione del reale: questo reale che tramuta nell'abominevole tutti i tratti della realtà, compresi quelli economici, in cui il razzismo può trovare il suo pretesto.

<<I crimini reali, scrive Imre Hermann, non danno luogo a delle accuse così ben fornite, così continuamente alimentate dall'immaginario e così apportatrici di godimento per gli accusatori. Che si tratti dell'avvelenamento dei pozzi, origine dell'epidemia di colera, o di assassinio o di incesto, l'orrore è la caratteristica principale delle accuse>>.

Capovolgiamo dunque questa proposizione per esporne chiaramente la conseguenza: il godimento destrutturato, pervertito, proiettato immaginariamente nell'impossibile, non solo produce il crimine reale degli accusatori nell'incontro con le loro vittime, ma lo genera indefinitamente, miriadi di volte, senza senso.

 

 

Di passaggio, sottolineiamo  i tratti pungenti con cui Hermann disegna il ruolo della colpevolezza cristiana: attorno alla dualità conflittuale padre-figlio, il godimento che ossessiona il cristianesimo ed il suo capovolgimento dialettico fanno vedere negli Ebrei dei fantasmi e dei 'reventants' di ciò che è stato respinto o ucciso, in virtù di un assioma che Hermann enuncia qui, e le cui conseguenze sono sempre vere: <<I padri detronizzati non sono ciò nonostante annientati nello psichismo>>.

L'altro concetto chiave che a noi piacerebbe ricordare è che l'antisemitismo non dev'essere considerato solo nei momenti parossistici delle sue esplosioni, ma anche nei suoi periodi di latenza e di preparazione. In tal senso, è proprio come se fosse una malattia collettiva che bisogna analizzare, non solo epidemica, ma endemica. Se non si ammette in effetti l'esistenza di meccanismi di ordine paranoico nella produzione del capro espiatorio, bisogna ancora smontare il meccanismo di attribuzione collettiva che funziona al principio dell'epidemia, ed è a ciò che si dedica Hermann cercando di comprendere, al di là di una somma di processi singoli, <<come il persecutore individuale si fonda nella collettività, come la famiglia, lo Stato, l'associazione, la razza diventino dei persecutori>>.

Oltre ancora ai meccanismi della proiezione, bisogna ammettere un <<istinto che riduce la vita, abolisce le particolarità e rende gli individui uniformi>>. Questo sforzo di rendere l'altro identico ad un tratto, ad un segno unico, non avviene senza ricordare <<lo sforzo di rendere i sessi somiglianti>> che si trova anche nella paranoia. Come anche la trasposizione della classificazione zoologica ai gruppi umani. Ma al di là di un vizio di pensiero, è la radice ambivalente dello statuto dell'animalità per l'uomo che è in causa. Perciò non è un caso se tutto il testo di Hermann appaia come ossessionato dalla questione dell'animalità. Al contempo fonte di modelli e contrasto, spazio da conquistare e da distruggere, luogo di pregnanza istintuale e di attrazione orribile, l'animalità testimonia della profonda ambiguità dell'uomo nei confronti del suo statuto simbolico, che si paga sempre con il godimento. (...)

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 Note:

(1) Pubblicato a Budapest nel 1943, "L'istinto filiale" contiene un breve capitolo sull'antisemitismo, che prefigura gli sviluppi del testo del 1945. In francese, "L'istinto filiale", Denoel, Paris, 1972, traduzione di Georges Kassai, introduzione a Hermann di Nicolas Abraham, p. 177-184 (<<Manifestazioni in psicologia sociale: l'antisemitismo>>). I fenomeni dell'antisemitismo, scrive Hermann, si chiariscono <<a partire da una formazione sostitutiva dell'istinto di aggrappamento>>.

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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