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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-0-4
Anno/Year: 2008
Prezzo/Price: € 18,00
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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
Price: € 15,00
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Sono nato
in un piccolo villaggio come primo figlio di genitori benestanti. Mi
padre era un contadino, che insieme a uno zio di mia madre aveva preso
in affitto una proprietà abbastanza vasta nella Bukovina del nord,
l'avamposto più estremo della cultura germanica. Fin dall'inizio, la
mia lingua madre fu il tedesco, così come la mia educazione
scolastica. I miei genitori consideravano importante che io non mi
esprimessi in yiddish, l'idioma della popolazione dei dintorni; lo
consideravano <<rozzo>>. L'uso di qualsiasi espressione in yiddish
veniva severamente punito. Il confine che separava i miei genitori
dagli ebrei ortodossi poggiava su una base molto materiale.
Nell'azienda agricola diretta da mio padre, vi erano tre tipi di
lavoratori: i lavoratori a giornata, che erano contadini dei villaggi
vicini; i braccianti agricoli, che erano impiegati pagati
dall'azienda; e, infine, gli impiegati d'ufficio, il fattore, il
cassiere, e così via. Mio padre era un cosiddetto <<spirito libero>>
ma, in qualità di capo, doveva tenere una certa distanza sia dalla
popolazione ucraina che dallo staff amministrativo ebreo. La struttura
dell'azienda era assolutamente gerarchica e patriarcale.
La lingua
ebraica, a differenza dello yiddish, era una espressione di reverenza
verso l'antica tradizione ebraica fondata sulla storia di seimila
anni. Esisteva quindi una aristocrazia ebraica e grande importanza
veniva attribuita al proprio linguaggio. Il padre di mio padre era
stato anch'egli uno spirito libero, un <<pensatore>> tenuto in
timorosa considerazione dagli ebrei ortodossi e altrettanto stimato
dai contadini ucraini. Era conosciuto come <<uomo molto saggio>>.
Dirigeva un'azienda agricola, ma in realtà lasciava ogni questione
riguardante gli affari in mano alla moglie.
Leggeva molti
libri, sgridava i contadini e dava consigli alle donne come meglio
poteva. Era, come usavano dire, <<cosmopolita>> e un <<gentile amico>>
della gente. Aderiva alla legge ebraica, ma solo per evitare
chiacchiere. Una volta, quando avevo circa sei anni, andammo a fargli
visita nel giorno della Propiziazione, giorno in cui gli ebrei
ortodossi digiunano. Mi fu chiesto di andare nel tempio a chiamarlo
per il pranzo. Ma si dimenticarono di dirmi di parlare a voce bassa.
Ne nacque un gran trambusto e mio padre mi sculacciò.
Mio padre aveva
investito tutti i suoi averi liquidi e aveva ricevuto la maggior parte
dell'aiuto finanziario dal suo prozio, che già all'epoca era un uomo
benestante. Papà era una persona di mentalità moderna e, nonostante
non fosse uno spendaccione, non era nemmeno un accorto risparmiatore.
Dovette lavorare con tutte le sue forze per non avere problemi
finanziari mantenendo nel frattempo una casa confortevole.
Un anno dopo la
mia nascita arrivò un secondo bambino, una femmina, ma morì quasi
subito. Due anni più tardi nacque mio fratello Robert e siccome la sua
nascita fu travagliata divenne necessario per mia madre assentarsi in
due o tre occasioni per andare a curarsi alle terme.
E' da quella data
che i miei ricordi iniziano ad essere chiari. Ricordo una scena che
riesco a ricostruire vividamente in tutti i suoi dettagli: mio
fratello avrà avuto circa un anno, e io quattro. La mamma era via e ci
aveva affidato alle cure dei domestici, fatto che avrebbe giocato un
ruolo importante nel mio futuro sviluppo, in particolar modo per
quanto concerne la sessualità. Avevamo tre domestici: un cuoco; una
cameriera, che era una ragazza di campagna; e una balia per Robert.
Papà era andato in città per tutta la giornata per questioni di lavoro
e non aspettavamo il suo ritorno prima delle dieci di sera. Mio
fratello ed io stavamo giocando in cucina sul letto di uno dei
domestici. Improvvisamente mio fratello lanciò un urlo. Ero molto
spaventato perché avevo una gran paura delle botte che il nostro
austero padre elargiva sempre con generosità. In quel momento, in
effetti, entrò mio padre per chiedere che cosa stesse succedendo.
Naturalmente, non fui in grado di rispondere. La balia raccontò tutto.
Come dichiarò più tardi il nostro <<medico di famiglia>> (che era
anche il fattore della nostra azienda e vantava una grande esperienza
pratica in queste questioni), avevo lussato il minuscolo braccio di
mio fratello. Posso ancora vederlo lì disteso sul letto, coperto solo
con una camiciola da bebé, che strilla al massimo della sua potenza
vocale.
Il nostro fattore
rimise a posto il braccio, mentre io mi facevo piccolo piccolo in un
angolo, aspettando ciò che sarebbe arrivato. Ma con mio grande stupore
questa volta non arrivò. Mio padre si limitò a squadrarmi con quella
terribile espressione che presagiva guai e che, quando divenni più
adulto, mi faceva ancora tremare.
Non riesco a
ricordare che a quei tempi mio padre mi abbia mai coccolato o trattato
teneramente - né riesco a ricordare di aver provato nei suoi confronti
alcuna forma di affetto (vorrei sottolineare a quei tempi).
Una seconda
esperienza immediatamente precedente o immediatamente successiva a
quella descritta sopra, alla quale attribuisco molto significato,
servirà ad illustrare le prime fasi della mia sessualità conscia.
Come ho già
detto, noi bambini vivevamo coi domestici. Papà era sempre in viaggio
dato che amava profondamente la mamma e non sopportava di restare a
casa quando lei non c'era. Robert e io dormivamo con la balia, tutti
nello stesso letto. Ricordo che anche allora le donne erano un mistero
per me. A riprova di questo posso dire che non ricordo (e nessuno lo
ha mai menzionato) di aver mai posto le solite domande infantili tipo
<<Da dove vengono i bambini?>>, ecc.. So molto bene però che avevo già
passato parecchio tempo a riflettere su questo e altri problemi simili
molto prima di tale periodo e non avevo mai formulato quelle domande
perché sentivo che erano qualcosa di Verboten.
La nostra
cameriera aveva una relazione con il cocchiere, un giovane e attraente
contadino che ogni sera veniva in casa a svolgere delle mansioni e
spesso improvvisava delle piccole recite umoristiche quando papà non
c'era.
Una sera che era
con noi, ero particolarmente attento a ogni sua occhiata e gesto.
L'osservai mentre gesticolava in vicinanza dei genitali. Lanciò una
ridente occhiata alla ragazza, si portò le dita alla bocca, le leccò e
fece un clic con la lingua che voleva probabilmente dire <<ha un buon
sapore>>. Notò la mia curiosità e con una risata m'istruì sul come
imitare questo gesto. Mi divertiva molto farlo e lo ripetei alcune
volte affascinando e divertendo tutti i presenti.
Una notte fece
visita alla sua ragazza e io ascoltai di nascosto i rumori del loro
atto sessuale. Questo produsse in me sensazioni erotiche di enorme
intensità. (All'epoca avevo circa quattro anni e mezzo.)
Un pomeriggio,
qualche tempo dopo, la balia era coricata a letto con Robi. M'infilai
nel letto con loro perché, dissi, volevo fare un pisolino. E' ovvio
che avevo altre motivazioni. La posizione supina della ragazza con i
suoi seni scoperti mi aveva eccitato e in effetti volevo fare ciò che
il cocchiere aveva fatto con la cameriera, avere un rapporto sessuale.
La balia mi lasciò procedere con calma; mi arrampicai sopra di lei, le
sollevai il vestito e cercai febbrilmente i suoi genitali (cosa dalla
quale lei sembrava trarre piacere). I suoi peli mi eccitavano in modo
particolare (avevo sempre dormito con la cameriera e già altre volte
avevo fatto finta di dormire e toccato i suoi genitali tirandole i
peli. Dopo un bel po' di tempo, si svegliava, mi colpiva e minacciava
di dirlo a papà. Di solito smettevo per alcuni giorni e poi
ricominciavo). Non facevo movimenti coitali ma la sua vagina palpitava
con il mio pene. Non posso dire con certezza se avevo un'erezione, ma
presumo di sì. Questa attività andava avanti da almeno dieci minuti
quando mio fratello si svegliò (quello che segue è molto
caratteristico e, per alcuni individui che ancora si rifiutano di
credere, sarà estremamente istruttivo), mi vide e gridò: <<Lo dirò a
papà>> e così dicendo si alzò dal letto e uscì trotterellando dalla
porta nella sua piccola camicia rossa. Naturalmente, ero di nuovo
terrorizzato, saltai giù e lo rincorsi. Ma era troppo tardi, perché
papà era appena rientrato dalla fattoria ed era stato già informato
della <<buona notizia>> dal piccolo - anche se non so come. Non
ricevetti le botte, ma non mi fu più permesso di dormire con la
cameriera.
Tra le altre
esperienze che ebbi in questo periodo, e che posso solo riferire dai
racconti dei miei genitori, vi furono le seguenti. Mi trovavo con un
gruppo numeroso (i miei genitori, uno zio e la sua famiglia) in un
parco pubblico. Mio zio mi prese in braccio e tra il divertimento di
tutti i parenti io gli diedi una sberla in faccia. Ho sempre detestato
la gente con le facce unte e grasse. Non so perché. Mamma e papà erano
snelli e ben fatti. Ma questo zio di mia madre, che più tardi fu la
rovina finanziaria di mio padre, era un grasso milionario e un grosso
proprietario terriero. Io lo trovavo ripugnante.
In un'altra
occasione (mi ricordo l'episodio molto vagamente) eravamo di
nuovo nel parco - avevo due anni all'epoca. Una bambina piccola con
una ciambellina salata in mano mi superò camminando. Mi buttai su di
lei, le presi la ciambellina, la spinsi e corsi via. Cominciò a
piangere, allora tornai da lei, ruppi in due la ciambella, gliene
diedi metà e tenni per me l'altra metà.
Collego entrambi
gli episodi, specialmente il primo, alla mia pronunciata componente
sadica e alla mia avidità e penso di non sbagliare nel rintracciare la
mia presente frenetica e risoluta ambizione in questo mio tratto.
Anche altri fattori hanno pesantemente contribuito allo sviluppo della
mia ambizione. Ma di questi parlerò più in là.
Si dice anche che
quando mi mostrarono mio fratello subito dopo la sua nascita tentati
di colpirlo e gridai: <<Non ho bisogno di un fratello!>>. Non ho
motivo di collegare l'incidente a un complesso materno solo per quest'ultima
esclamazione, dato che non ho ricordi di altre mie azioni durante quel
periodo che possano indicare la presenza di tale complesso. Devo
ripetere che dopo la nascita di mio fratello mia madre passò un lungo
periodo alle terme - credo che si trattasse di due anni, senza
interruzioni - e quindi non ebbi l'opportunità di avere alcun contatto
intimo con lei. Mi ricordo però chiaramente che più tardi provai un
affetto molto più profondo per lei che per mio padre. Oggi, nove anni
dopo la sua morte e cinque anni dopo quella di papà, il mio desiderio
di amore materno è più grande di quello di affetto paterno e forse si
manifesta nel mio ricercare l'amore di donne che le assomigliano. Ciò
nonostante il rapporto con mio padre migliorò in modo significativo
dopo la morte della mamma. Considero la morte di papà come l'evento
più cruciale della mia vita fino ad oggi.
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