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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Autobiografie dell'inconscio.

Numero 11, anno VI, gennaio 2009

 

 

     "LA MIA INFANZIA"

 

 di Wilhelm Reich

 


Questo testo corrisponde al primo capitolo del libro "Passioni di gioventù. Un'autobiografia 1897-1922" (SugarCo edizioni, 1990).

            

 

 

  Foto: Wilhelm Reich.

 
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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-0-4

Anno/Year: 2008

Prezzo/Price: € 18,00

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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini"

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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 Sono nato in un piccolo villaggio come primo figlio di genitori benestanti. Mi padre era un contadino, che insieme a uno zio di mia madre aveva preso in affitto una proprietà abbastanza vasta nella Bukovina del nord, l'avamposto più estremo della cultura germanica. Fin dall'inizio, la mia lingua madre fu il tedesco, così come la mia educazione scolastica. I miei genitori consideravano importante che io non mi esprimessi in yiddish, l'idioma della popolazione dei dintorni; lo consideravano <<rozzo>>. L'uso di qualsiasi espressione in yiddish veniva severamente punito. Il confine che separava i miei genitori dagli ebrei ortodossi poggiava su una base molto materiale. Nell'azienda agricola diretta da mio padre, vi erano tre tipi di lavoratori: i lavoratori a giornata, che erano contadini dei villaggi vicini; i braccianti agricoli, che erano impiegati pagati dall'azienda; e, infine, gli impiegati d'ufficio, il fattore, il cassiere, e così via. Mio padre era un cosiddetto <<spirito libero>> ma, in qualità di capo, doveva tenere una certa distanza sia dalla popolazione ucraina che dallo staff amministrativo ebreo. La struttura dell'azienda era assolutamente gerarchica e patriarcale.

La lingua ebraica, a differenza dello yiddish, era una espressione di reverenza verso l'antica tradizione ebraica fondata sulla storia di seimila anni. Esisteva quindi una aristocrazia ebraica e grande importanza veniva attribuita al proprio linguaggio. Il padre di mio padre era stato anch'egli uno spirito libero, un <<pensatore>> tenuto in timorosa considerazione dagli ebrei ortodossi e altrettanto stimato dai contadini ucraini. Era conosciuto come <<uomo molto saggio>>. Dirigeva un'azienda agricola, ma in realtà lasciava ogni questione riguardante gli affari in mano alla moglie.

Leggeva molti libri, sgridava i contadini e dava consigli alle donne come meglio poteva. Era, come usavano dire, <<cosmopolita>> e un <<gentile amico>> della gente. Aderiva alla legge ebraica, ma solo per evitare chiacchiere. Una volta, quando avevo circa sei anni, andammo a fargli visita nel giorno della Propiziazione, giorno in cui gli ebrei ortodossi digiunano. Mi fu chiesto di andare nel tempio a chiamarlo per il pranzo. Ma si dimenticarono di dirmi di parlare a voce bassa. Ne nacque un gran trambusto e mio padre mi sculacciò.

Mio padre aveva investito tutti i suoi averi liquidi e aveva ricevuto la maggior parte dell'aiuto finanziario dal suo prozio, che già all'epoca era un uomo benestante. Papà era una persona di mentalità moderna e, nonostante non fosse uno spendaccione, non era nemmeno un accorto risparmiatore. Dovette lavorare con tutte le sue forze per non avere problemi finanziari mantenendo nel frattempo una casa confortevole.

Un anno dopo la mia nascita arrivò un secondo bambino, una femmina, ma morì quasi subito. Due anni più tardi nacque mio fratello Robert e siccome la sua nascita fu travagliata divenne necessario per mia madre assentarsi in due o tre occasioni per andare a curarsi alle terme.

E' da quella data che i miei ricordi iniziano ad essere chiari. Ricordo una scena che riesco a ricostruire vividamente in tutti i suoi dettagli: mio fratello avrà avuto circa un anno, e io quattro. La mamma era via e ci aveva affidato alle cure dei domestici, fatto che avrebbe giocato un ruolo importante nel mio futuro sviluppo, in particolar modo per quanto concerne la sessualità. Avevamo tre domestici: un cuoco; una cameriera, che era una ragazza di campagna; e una balia per Robert. Papà era andato in città per tutta la giornata per questioni di lavoro e non aspettavamo il suo ritorno prima delle dieci di sera. Mio fratello ed io stavamo giocando in cucina sul letto di uno dei domestici. Improvvisamente mio fratello lanciò un urlo. Ero molto spaventato perché avevo una gran paura delle botte che il nostro austero padre elargiva sempre con generosità. In quel momento, in effetti, entrò mio padre per chiedere che cosa stesse succedendo. Naturalmente, non fui in grado di rispondere. La balia raccontò tutto. Come dichiarò più tardi il nostro <<medico di famiglia>> (che era anche il fattore della nostra azienda e vantava una grande esperienza pratica in queste questioni), avevo lussato il minuscolo braccio di mio fratello. Posso ancora vederlo lì disteso sul letto, coperto solo con una camiciola da bebé, che strilla al massimo della sua potenza vocale.

Il nostro fattore rimise a posto il braccio, mentre io mi facevo piccolo piccolo in un angolo, aspettando ciò che sarebbe arrivato. Ma con mio grande stupore questa volta non arrivò. Mio padre si limitò a squadrarmi con quella terribile espressione che presagiva guai e che, quando divenni più adulto, mi faceva ancora tremare.

Non riesco a ricordare che a quei tempi mio padre mi abbia mai coccolato o trattato teneramente - né riesco a ricordare di aver provato nei suoi confronti alcuna forma di affetto (vorrei sottolineare a quei tempi).

Una seconda esperienza immediatamente precedente o immediatamente successiva a quella descritta sopra, alla quale attribuisco molto significato, servirà ad illustrare le prime fasi della mia sessualità conscia.

Come ho già detto, noi bambini vivevamo coi domestici. Papà era sempre in viaggio dato che amava profondamente la mamma e non sopportava di restare a casa quando lei non c'era. Robert e io dormivamo con la balia, tutti nello stesso letto. Ricordo che anche allora le donne erano un mistero per me. A riprova di questo posso dire che non ricordo (e nessuno lo ha mai menzionato) di aver mai posto le solite domande infantili tipo <<Da dove vengono i bambini?>>, ecc.. So molto bene però che avevo già passato parecchio tempo a riflettere su questo e altri problemi simili molto prima di tale periodo e non avevo mai formulato quelle domande perché sentivo che erano qualcosa di Verboten.

La nostra cameriera aveva una relazione con il cocchiere, un giovane e attraente contadino che ogni sera veniva in casa a svolgere delle mansioni e spesso improvvisava delle piccole recite umoristiche quando papà non c'era.

Una sera che era con noi, ero particolarmente attento a ogni sua occhiata e gesto. L'osservai mentre gesticolava in vicinanza dei genitali. Lanciò una ridente occhiata alla ragazza, si portò le dita alla bocca, le leccò e fece un clic con la lingua che voleva probabilmente dire <<ha un buon sapore>>. Notò la mia curiosità e con una risata m'istruì sul come imitare questo gesto. Mi divertiva molto farlo e lo ripetei alcune volte affascinando e divertendo tutti i presenti.

Una notte fece visita alla sua ragazza e io ascoltai di nascosto i rumori del loro atto sessuale. Questo produsse in me sensazioni erotiche di enorme intensità. (All'epoca avevo circa quattro anni e mezzo.)

Un pomeriggio, qualche tempo dopo, la balia era coricata a letto con Robi. M'infilai nel letto con loro perché, dissi, volevo fare un pisolino. E' ovvio che avevo altre motivazioni. La posizione supina della ragazza con i suoi seni scoperti mi aveva eccitato e in effetti volevo fare ciò che il cocchiere aveva fatto con la cameriera, avere un rapporto sessuale. La balia mi lasciò procedere con calma; mi arrampicai sopra di lei, le sollevai il vestito e cercai febbrilmente i suoi genitali (cosa dalla quale lei sembrava trarre piacere). I suoi peli mi eccitavano in modo particolare (avevo sempre dormito con la cameriera e già altre volte avevo fatto finta di dormire e toccato i suoi genitali tirandole i peli. Dopo un bel po' di tempo, si svegliava, mi colpiva e minacciava di dirlo a papà. Di solito smettevo per alcuni giorni e poi ricominciavo). Non facevo movimenti coitali ma la sua vagina palpitava con il mio pene. Non posso dire con certezza se avevo un'erezione, ma presumo di sì. Questa attività andava avanti da almeno dieci minuti quando mio fratello si svegliò (quello che segue è molto caratteristico e, per alcuni individui che ancora si rifiutano di credere, sarà estremamente istruttivo), mi vide e gridò: <<Lo dirò a papà>> e così dicendo si alzò dal letto e uscì trotterellando dalla porta nella sua piccola camicia rossa. Naturalmente, ero di nuovo terrorizzato, saltai giù e lo rincorsi. Ma era troppo tardi, perché papà era appena rientrato dalla fattoria ed era stato già informato della <<buona notizia>> dal piccolo - anche se non so come. Non ricevetti le botte, ma non mi fu più permesso di dormire con la cameriera.

Tra le altre esperienze che ebbi in questo periodo, e che posso solo riferire dai racconti dei miei genitori, vi furono le seguenti. Mi trovavo con un gruppo numeroso (i miei genitori, uno zio e la sua famiglia) in un parco pubblico. Mio zio mi prese in braccio e tra il divertimento di tutti i parenti io gli diedi una sberla in faccia. Ho sempre detestato la gente con le facce unte e grasse. Non so perché. Mamma e papà erano snelli e ben fatti. Ma questo zio di mia madre, che più tardi fu la rovina finanziaria di mio padre, era un grasso milionario e un grosso proprietario terriero. Io lo trovavo ripugnante.

In un'altra occasione (mi ricordo  l'episodio molto vagamente) eravamo di nuovo nel parco - avevo due anni all'epoca. Una bambina piccola con una ciambellina salata in mano mi superò camminando. Mi buttai su di lei, le presi la ciambellina, la spinsi e corsi via. Cominciò a piangere, allora tornai da lei, ruppi in due la ciambella, gliene diedi metà e tenni per me l'altra metà.

Collego entrambi gli episodi, specialmente il primo, alla mia pronunciata componente sadica e alla mia avidità e penso di non sbagliare nel rintracciare la mia presente frenetica e risoluta ambizione in questo mio tratto. Anche altri fattori hanno pesantemente contribuito allo sviluppo della mia ambizione. Ma di questi parlerò più in là.

Si dice anche che quando mi mostrarono mio fratello subito dopo la sua nascita tentati di colpirlo e gridai: <<Non ho bisogno di un fratello!>>. Non ho motivo di collegare l'incidente a un complesso materno solo per quest'ultima esclamazione, dato che non ho ricordi di altre mie azioni durante quel periodo che possano indicare la presenza di tale complesso. Devo ripetere che dopo la nascita di mio fratello mia madre passò un lungo periodo alle terme - credo che si trattasse di due anni, senza interruzioni - e quindi non ebbi l'opportunità di avere alcun contatto intimo con lei. Mi ricordo però chiaramente che più tardi provai un affetto molto più profondo per lei che per mio padre. Oggi, nove anni dopo la sua morte e cinque anni dopo quella di papà, il mio desiderio di amore materno è più grande di quello di affetto paterno e forse si manifesta nel mio ricercare l'amore di donne che le assomigliano. Ciò nonostante il rapporto con mio padre migliorò in modo significativo dopo la morte della mamma. Considero la morte di papà come l'evento più cruciale della mia vita fino ad oggi.

 

 

 

   

 

 
 
 
 
   

 

 

 

 

   

 

 
 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

   
   
   
 

 

   
   
 

 

   
   
   
 

 

   
   
   
   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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