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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività | ||||||||
Mind Sciences, Philosophy, Psychotherapy and Creativeness | ||||||||
Numero 4, anno II, giugno 2005 | ||||||||
la
depressione nel borderline Da
qualche tempo la parola depressione è diventata un concetto acchiappatutto,
una sorta di «parola-valigia» che, dopo essere stata riempita alla rinfusa di
troppe cose, comincia a dare segni di cedimento. La sempre più insistente
valutazione dell'aspetto quantitativo-misurabile e la sempre più diffusa disattenzione per
l'aspetto qualitativo della
depressione mostrano tutti i loro
limiti proprio nello studio dell'area borderline. All'interno della sindrome
borderline il termine «depressione» indica infatti una costellazione di
esperienze che può anche prescindere dall'abbassamento del tono dell'umore
o comunque della quale l'abbassamento del tono dell'umore può costituire
soltanto un aspetto marginale. Nella classica
distinzione della depressione in due sottotipi (Blatt,1974; Blatt,Zuroff,1992),
uno dipendente-anaclitico, orientato
in senso interpersonale, caratterizzato da sentimenti di mancanza di aiuto,
paura di abbandono, sentimenti di vuoto, l'altro autocritico-introiettivo,
caratterizzato da autocritica, sentimenti di indegnità, inferiorità e
colpa, la depressione borderline è stata unanimemente collocata nell'ambito
della prima variante dipendente-anaclitica (Gunderson,Phillips, 1991). La
affettività «depressiva» del borderline è una condizione affettiva «atipica»,
per descrivere la quale si è fatto spesso ricorso a termini che rimandano
alla noia, alla anedonia (Hoch, Polatin,1949), a sentimenti di futilità e
soprattutto di vuoto interiore, ad una sorta di depressione senza affetto
depressivo (Grinker,Werble,Drye,1968) pervasa semmai da irritazione, disforia,
lamentosità, da esperienze di depersonalizzazione auto e allo-psichica e occasionalmente
percorsa da accessi di rabbia. Sono assenti i vissuti di colpa che
costituiscono il tradizionale marker psicopatologico
delle depressioni melanconiche. La particolarità della depressione borderline
non è quindi di carattere quantitativo ma qualitativo,
relativa appunto alla qualità del sentimento depressivo (Gunderson, Phillips,1991;
Rogers,Widiger, Krupp,1995). Inoltre,
mentre i disturbi dell'umore hanno prevalentemente un andamento fasico, ad
episodi e quindi possono essere - magari a posteriori, anche da parte dello
stesso paziente - ricondotti ad un momento, separato e distinto dal resto della
propria vita, la affettività «depressiva» del borderline ha carattere
diffusivo, permea tutta la vita, non si lascia limitare all'interno di uno
spazio temporale separabile dal resto del corso vitale. La
perturbazione dell'affettività borderline non è delimitabile in episodi separati
dal corso della vita psichica normale, non è centrata sulla tristezza, si
manifesta con modalità diverse dalla depressione maggiore, coinvolge un vasto
agglomerato di affetti di natura spiacevole, può accompagnarsi a condotte
provocatorie e di rottura (che stonerebbero in un quadro depressivo tipico
dominato da tristezza vitale e inibizione) ed è in stretto rapporto di
interdipendenza con l'andamento delle relazioni interpersonali (Westen et
al.,1992). In
questo senso la affettività instabile e caleidoscopica del borderline
costituisce parte integrante di un complessivo assetto di personalità nel quale
gli stati affettivi non si configurano come sistemi chiusi, rinserrati in se
stessi (come ad esempio nel caso estremo di un arresto melancolico) ma si
mantengono in una condizione di grande apertura, di forte reattività, esposti
alle influenze dell'ambiente ed estremamente sensibili ad ogni variazione
atmosferico-relazionale. Al
centro della instabilità affettiva cosiddetta depressiva del borderline si
colloca l'umore disforico. Da molto
tempo la disforia bussa alle porte dell'area borderline. Fin da quando Liebowitz
e Klein (1979) coniarono il termine di disforia
isteroide che non ha avuto molta fortuna sul piano nosografico (Spitzer,Janet,Williams,
1982) ma che ha avuto il merito di mettere a fuoco un particolare stato
affettivo estremamente dipendente dalle variabili relazionali. A questo
proposito il DSM-IV descrive un «umore disforico di base» del paziente
borderline nel quale si inscrivono accessi di rabbia, panico o disperazione
che lasciano solo raramente posto a momenti di benessere o di soddisfazione.
Sotto questo profilo la cosiddetta depressione borderline potrebbe essere
ricondotta al Disturbo Distimico, non tanto nella descrizione che ne dà il
DSM-IV nell'ambito dei Disturbi dell'Umore, quanto per come viene descritto nei
Criteri Alternativi di Ricerca della Appendice B. E' stato tuttavia messo in
luce come la distinzione di carattere categoriale tra depressione maggiore e
disturbo distimico sia in gran parte un artefatto nosografico che dà luogo ad
una «chiarezza immaginaria» e non è utile nemmeno per la ricerca biologica in
psichiatria (van Praag,1993). D'altra parte, ragionare in termini di co-presenza
di due disturbi (disturbo distimico e
disturbo di personalità border-line), ricorrendo all'ambiguo stratagemma della
comorbilità, fa della disforia un
affetto incomprensibile, disconnesso dal soggetto che ne è
"portatore" ma anche "autore" (Gaddini,1989). Ma
che cosa significa umore disforico? La scuola di Vienna, partendo dal rilievo
che la riflessione psichiatrica sui disturbi affettivi è rimasta per troppo
tempo in uno stato di immobilismo basato sulla dicotomia tra affetto depressivo
ed affetto maniacale, ha smosso le acque introducendo, con la disforia, un «terzo
campo affettivo». Riprendendo le
riflessioni di Specht (1901) sull'affetto patologico retrostante alla
paranoia, Berner, Musalek e Walter (1987) hanno cercato di mettere a fuoco dal
punto di vista psicopatologico il concetto di disforia, tenendo conto delle
diverse accezioni nelle quali il termine viene utilizzato nella psichiatria
europea e nella psichiatria statunitense. Mentre nella letteratura anglosassone
la disforia viene considerata uno stato affettivo strettamente collegato con la
depressione o addirittura come un suo sinonimo, gli autori della scuola di
Vienna ne hanno individuato alcune qualità specifiche che consentono di
considerarlo come uno stato affettivo non coincidente con l'affetto depressivo.
E' stato in questo senso proposto di circoscrivere l'uso del termine disforia a quelle condizioni caratterizzate da un sentimento di
tensione spiacevole, irritazione, umore scontroso, con aumentata propensione ad acting
out rabbiosi e rigidità affettiva con riduzione della capacità di modulare
gli affetti (Berner, Musalek, Walter,1987;Gabriel,1987). Se
la scissione viene tradizionalmente considerata il marker
psicodinamico della condizione borderline, la disforia ne costituisce invece
il marker psicopatologico. Da questo punto di vista la disforia nel
borderline è stata interpretata come la risultante di un effetto patoplastico
svolto dalla organizzazione di personalità che, un po' come un prisma, filtra
l'esperienza depressiva distorcendola. L'affetto disforico segnalerebbe una vera
e propria resistenza della persona alla invasione di una più autentica
tristezza, un tentativo di ribellarsi al destino depressivo (Stanghellini,1996). La disforia rappresenterebbe il
segnale di una condizione affettiva che non riesce a trovare una sua
stabilità, ad assestarsi in un equilibrio che non sia - come da sempre è stato
notato - stabile nella sua instabilità; il segnale, quindi, di una vicenda in
perenne transizione, non in grado di accedere alla forma invariante di un quadro
tipico (come quello estremo della melancolia); il sintomo di una depressione
permanentemente evitata. Del resto anche le caratteristiche degli episodi
deliranti nei pazienti borderline (subitaneità dell'esordio, transitorietà,
revisione critica) fanno pensare a questa capacità funambolica dei pazienti
borderline di camminare sull'orlo delle più gravi patologie psichiatriche. La
cosiddetta «depressione» borderline non è quindi la manifestazione
esteriore di una fallimentare elaborazione del lutto relativo ad una perdita,
quanto piuttosto una condizione nella quale viene allo scoperto la miscela di
rabbia, solitudine e vuoto interiore che si accompagna al ciclico
perpetuarsi di oscillazioni affettive che dalla speranza, dalla fiduciosa illusione
nel contatto con un oggetto idealizzato conducono alla delusione ed alla
rabbia per il rinnovarsi della minaccia della perdita (Pazzagli, Rossi Monti).
La caratteristica intensità del coinvolgimento relazionale del borderline, ma
anche la elevata instabilità della relazione, estremamente sensibile ad ogni
micro-frattura della empatia, sono il segnale, sul versante della relazione, di
uno stato affettivo ciclicamente oscillante tra speranza e idealizzazione da un
lato e delusione e svalutazione dall'altro. Per questa estrema suscettibilità
alle variazioni atmosferico-ambientali il paziente borderline è più esposto,
più allo scoperto, meno rinserrato nella propria strutturazione
psicopatologica che è invece rimasta aperta, carente, un po' come una frattura
esposta, dolorante ed estremamente sensibile alle influenze dell'ambiente.
Intrappolato in una condizione di instabilità ed esposto alle variazioni di
un ambiente che vorrebbe (e - soprattutto - avrebbe voluto) più stabile, il
borderline resta così irretito in una piccola
bipolarità, in un ciclico alternarsi di speranza e delusione i cui
affetti emergenti sono costituiti dalla irritazione e dalla disforia. Disforia
e condotte suicidarie nel Borderline Il
disturbo borderline di personalità è l'unico disturbo di personalità che
prevede tra i criteri diagnostici la presenza di comportamenti di carattere
suicidario o autolesivo. Questo tipo di condotte non può essere facilmente
ricondotto nell'alveo dei disturbi dell'umore, come da qualche tempo gran parte
della psichiatria contemporanea è invece sempre più incline a fare, sulla base
dell'assunto che ogni condotta suicidaria possa essere "spiegata" da
una patologia psichiatrica o come esito di una malattia degli affetti. Due
importanti ammonimenti di Karl Jaspers (1913) conservano ancora oggi tutto il
loro valore. In primo luogo - scrive Jaspers - ogni singolo suicidio non si
presta mai ad essere compreso o spiegato in maniera sufficiente secondo una
legge causale che abbia validità generale; possiamo soltanto cercare di
ricostruire alcune circostanze che lo hanno reso possibile. In secondo luogo
è necessario ricordare che la via più semplice e comoda di fronte ad un
suicidio è quella di attenersi strettamente all'ipotesi della malattia mentale.
Questa ipotesi occlude il problema dei motivi che possono spingere un individuo
ad uccidersi; il problema viene sbrigativamente risolto, collocandolo in un
contesto altro ed alieno. Il rischio è che questa impostazione colluda con
pressante bisogno di non-sapere che si annida in ciascuno di noi: se ci
ponessimo davvero simili domande anche la nostra tranquillità rischierebbe di
cadere in frantumi (Miller,1981). I
comportamenti suicidari del borderline sono anch'essi per così dire borderline,
nel senso che non sono nel loro complesso riconducibili ad un vissuto depressivo
né possono essere spiegati in base alla comorbidità con un disturbo affettivo
maggiore (Kullgren,1988; Paris,1989; Kjelsberg et al.,1991; Soloff et al.1994).
Questi rilievi sono comunque coerenti con la specificità qualitativa della esperienza cosiddetta "depressiva" del
borderline. Se la suicidarietà acuta costituisce
un problema di grande rilevanza nella patologia borderline, riguardando circa un
paziente su dieci, ancora maggiore rilevanza ha quella che è stata chiamata suicidarietà
cronica (Schwartz,Flinn,Slawson,1974; Olin,1976; Fine,Sansone, 1990). La
suicidarietà acuta sembra essere legata a stati acuti di angoscia, disperazione
o rabbia, scatenati dalla percezione di un mondo interno irrimediabilmente
vuoto. Questo sentimento diviene particolarmente drammatico quando si associa
alla percezione del vuoto anche nel mondo esterno, al problema della solitudine
del borderline, intesa come incapacità di stare solo, di vivere una tranquilla
solitudine fondata sulla istituzione di un ambiente interno capace di
assicurare stabilità (Winnicott,1958). La rabbia annichilatoria o la
disperazione scatenate da questa condizione possono avere una alta potenzialità
suicidaria. Nella
suicidarietà cronica rientrano tutte quelle condotte autodistruttive che
costituiscono la "specialità comportamentale" del borderline
(grave temerarietà ed imprudenza, comportamenti di addiction, propensione agli
infortuni, autolesionismo, tentativi di suicidio, continua minaccia di porre
termine alla propria vita) (Fine,Sansone,1990). Queste condotte hanno un
andamento nel tempo molto più esteso del comportamento suicidario. In
particolare sono stati individuati tre pattern
di decorso: il primo a bassa frequenza, il secondo con andamento
progressivamente declinante degli episodi ed il terzo con andamento fluttuante (Sabo,Gunderson
et al.,1995). Quest'ultimo pattern, di
gran lunga più frequente, è caratterizzato dalla presenza di un elevato
livello di disforia. In questo senso l'affetto disforico può essere considerato
come il miglior predittore del decorso fluttuante delle condotte di tipo
suicidario e della sucidarietà cronica. Le
relazioni del borderline nel loro complesso, e la relazione terapeutica in
particolare, sono quasi sempre profondamente impregnate di disforia ed il
ricatto autolesivo può rappresentare proprio un tentativo di modulare
l'affetto disforico (van der Kolk et al.,1989; van der Kolk et al.,1991). La
minaccia ricattatoria del suicidio o di condotte autolesive pesa come una spada
di Damocle sulla testa della maggior parte degli psichiatri che si imbarcano
in un trattamento psicoterapico di un paziente borderline.
Ma se la suicidarietà cronica è una modalità gravemente distorta, disturbata
(e disturbante) di relazionarsi con gli altri, essa è pur sempre una modalità
di relazione. Attribuendo all'altro la responsabilità del proprio comportamento
lo si coinvolge intensamente, suscitando nel terapeuta sentimenti assai
difficili da gestire (Maltsberger,Buie,1974; Gabbard,Wilkinson,1994). In una
condizione caratterizzata da una identità diffusa, poco coerente e coesa,
queste condotte possono assolvere alla funzione di ridurre l'ansia e la disforia
favorendo una maggiore coesione di un Sé altrimenti incline alla
frammentazione, permettere l'espressione della rabbia, suscitare una viva
risposta affettiva nell'altro (Gunderson,1984; Favazza,1989). Se
il borderline può essere considerato come un vero e proprio bricoleur
dell'identità, costretto a ricorrere agli altri per riempire il vuoto del
proprio spazio interiore, egli deve per così dire vivere nel mondo esterno e
cercare di volta in volta «un regista per sentirsi esistere» (Bergeret,1975).
In questo senso è necessario che molte emozioni che non possono essere vissute
nella loro concatenazione narrativa e temporale, vengano fatte vivere a chi lo
circonda. Il vissuto di perenne insoddisfazione, di irritazione, di
frustrazione sorda, precursore di una rabbia più esplicitata, esprime nel
borderline la insopportabilità di una condizione nella quale si cerca
tardivamente di riparare una ferita che si è già prodotta, di volta in volta
innescando nelle relazioni con gli oggetti un circolo vizioso che riporta
sempre allo stesso punto. Irritazione, sconforto, frustrazione, rabbia, talvolta
odio, svilimento delle proprie capacità umane e professionali sono tuttavia
anche sentimenti caratteristici del terapeuta in ogni psicoterapia con un
paziente borderline. Per lavorare in modo efficace con i pazienti borderline -
ha scritto Paris (1989) - è necessario
non lasciarsi intrappolare nella costante minaccia del ricorso a condotte
suicidarie: «paradossalmente è possibile curare i pazienti borderline in modo
efficace soltanto se l'aspetto cronico della loro suicidarietà viene tollerato».
Si tratta, anche in questo caso, di fare un po' da «portabagagli» (Ferro,1996;Wheelis,
Gunderson,1998) di queste emozioni, prestandosi a vivere al posto del paziente
stati emotivi e concatenazioni di affetti che sono avvertite come
intollerabili per una organizzazione di personalità che non ha raggiunto una
stabile strutturazione ma che è rimasta - un po' come un cantiere in cui i
lavori non si sono conclusi - esposta
a tutte le intemperie; sensibile a tutte le incursioni dell'ambiente, di cui
ha grande timore ma anche disperato bisogno. Bibliografia Bergeret
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