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"Apeiron". Tra psicoanalisi e religiosità.

 

 

 

     L'IRRAZIONALE E LA PSICOSI.

 

 

 di Salomon Resnik

 

 

Salomon Resnik è Psicoanalista e psichiatra , membro della International Psychoanalytic Association , ha studiato in Argentina per poi proseguire la sua formazione a Londra con Melanie Klein , Rosenfeld , Bion e Winnicot . Attualmente esercita la professione a Parigi , e periodicamente a Venezia , dove tiene Seminari di ricerca  e formazione per psichiatri , psicologi , educatori presso il Centro Internazionale Studi Psicodinamici della Personalità , di cui è Presidente . E’ molto noto anche in Italia , in particolare per la sua esperienza terapeutica e i suoi studi sulla psicosi . Oltre a numerosissimi lavori pubblicati in diverse riviste internazionali , ha pubblicato anche in italiano diversi libri , tra cui ricordiamo : “Il teatro del sogno” (1982), “L’esperienza psicotica” (1986), “Spazio mentale:sette lezioni alla Sorbona” (1990), “Sul fantastico” (1993,1996) e ha curato il volume collettivo “Dialoghi con la psicosi”(1989).

                              Tradizionalmente l'irrazionale corrisponde a quello che sfugge alla ragione, alla non-ragione-che non vuole dire non avere ragione. Cervantes parla della ragione senza ragione (la razon sin razon). la "sin razon" corrisponde anche a ciò che sfugge alla coscienza, ma che ha la sua ragione di essere. Tutto quello che non è ragionevole e in accordo ai principi razionali della nostra cultura, appartiene allo sconosciuto.

L'irrazionale è una ragione di essere che non segue i canali abituali e che non rispetta le regole di una certa cultura. Questo però non significa che non ci siano altre regole, diverse o meno controllate; in termini di spazio l'irrazionale è quello che non è contenuto dalla ragione. La ragione non può capire, non vuole capire la semantica dell'"irrazionale". La ragione ha paura dell'incontrollabile, di ciò che è estraneo e che ubbidisce a forze e desideri indipendentemente da essa.

L'irrazionale corrisponde in parte alle pulsioni che non si tengono insieme, che si rifiutano tra loro, che esplodono, che si disperdono. L'irrazionale si esprime nel comportamento e nel pensiero, ma si fa soprattutto conoscere attraverso le crisi.

La mitologia, la religione e la filosofia, rappresentano tentativi di spiegare l'inspiegabile, di dare un senso all'irrazionale e di sistematizzare le forze incontrollabili che nascono dal buio.

Il concetto classico di "pazzia" è implicito in quello dell'irrazionale, ma sarebbe un equivoco considerarlo equivalente. Nella cultura greca l'irrazionale della follia non è soltanto una perdita della ragione, ma anche una tentazione ed un'ispirazione divina.

Ate incita Agamennone a compensare la perdita della sua amante attraverso il rapimento di quella di Achille. Ma colui che agisce, che ruba, lo fa in uno stato compulsivo, avendo perso il controllo di sé; è come un'alienazione dell'essere.

Colui che ruba e uccide senza controllo di se stesso è vittima del destino, secondo il pensiero greco. Io non sono colpevole, dice Agamennone; responsabili sono gli dei, Zeus, Moira, le Erinni, che agiscono sul mio intendimento. Siamo schiavi della divinità che fa di noi ciò che vuole.

Giove agisce sulla mente degli uomini con le sue "atai", Giove agisce sul "thumos". Gli dei possono rendere folli gli uomini, privarli del senno, ma alla fine possono anche ridonare il buon senso al folle, come avviene nell'Iliade di Omero.

In Omero si ritrova attribuita all'influenza di Ate la condotta inesplicabile e "imprudente". L'"ate" è uno stato d'animo, un accecamento, una perturbazione momentanea della coscienza normale, attribuito sempre ad un agente esterno alla persona; corrisponde al concetto dell'essere posseduto. L'impazzire è un intervento imprevisto, che viene sempre dall'esterno, collegato al soprannaturale. Talvolta è concepito come una punizione alla temerarietà colpevole.

L'"ate" sorprende Patroclo, ma la sua temerarietà ammirata e invidiata è attribuita anche alla volontà di Giove. Lo stato di sogno che presenta Ulisse nell'Odissea è stato provocato dagli dei: la sua è una specie di "ate" ipnotica.

Giove è l'agente mitologico con maggiori responsabilità nel dare potere ai mortali, ma anche nel farli impazzire; è una questione di destino, di "moira" e di destinazione: a che cosa è destinato ogni uomo, qual è la sua "parte" nel mondo?

Il concetto di destino è collegato al cosmo e all'astrologia; anche la follia è associata agli astri e a certi pianeti in particolare. Le Erinni con il loro spirito vendicativo si costituiscono come promotrici dell'atto dell'impazzire. Per Eschilo le Erinni sono le dispensatrici dell'"ate". Il "menos" nell'Iliade è quello che Athena mette nel cuore del suo protetto Diomede e che Apollo mette nel petto di Glauco ferito. Il menos (vigore, coraggio) è anche uno stato d'animo che aiuta a combattere l'ate, la perdita di valore o coscienza, che alimenta la volontà e il desiderio, rappresenta l'energia vitale che agisce sull'"areté". Così gli uomini, come i personaggi dell'Iliade in piena battaglia, sono le vittime o i "protetti" di forze superiori, soprannaturali.

L'idea della possessione è ricorrente nella cultura greca. Nell'Odissea i personaggi attribuiscono certi eventi fisici o psichici all'intervento di un "daimon". Nel caso del destino Moira è una parte impersonale che si realizza nel senso di un destino personale, "daimon" invece è il dispensatore di parti personali in origine (daio; daimoné) che diventano poi impersonali e imprevedibili.

Il bisogno di oggettivare e razionalizzare le "pulsioni emotive" è un modo intellettuale proprio del pensiero socratico, per spiegare e contenere l'inspiegabile, ma il principio dell'irrazionale è implicitamente presente.

L'uomo nella tradizione greca dovrebbe saper difendersi dalle influenze soprannaturali, ma ciò non è possibile perché c'è il destino; quello che l'uomo può fare è proiettarsi, trovare un modo per sbarazzarsi dell'ate.

Le bacchidi e le sibille sono profetesse che, non essendo legate a nessun tempio in particolare, vanno dove le chiama il bisogno di coloro che chiedono consiglio. Le sibille in stato di visione estatica rivelano le cose occulte e con suoni selvaggi, che fanno parte del "furore divino", agiscono.  le bacchidi possono guarire le donne in stato di "furore epidemico", aspetto sociale della contaminazione dell'"ate". L'idea di contaminazione della malattia mentale è già presente nel concetto di "furore epidemico".

Ecate è un demone maligno che con la sua schiera di cani infernali o con le sue donne agisce sulle vittime. Ecate stessa è figurata talvolta con la testa di cane.

La malattia mentale e l'idea di delirio che appartiene ad ogni psicosi sono affini alla nozione di mito o di "spiegazione delirante" di una certa realtà. La crisi psicotica è l'espressione dell'irrazionale, ma la spiegazione, che è il delirio, è un fenomeno razionale. Il sentimento dell'impazzire, la pazzia in se stessa sono vissuti come un essere posseduti dall'irrazionale, da forze incontrollabili. L'individuo in crisi ad un certo punto ha paura dei suoi cani infernali. Un paziente psicotico ha paura dei cani che abitano il suo corpo e che, quando si arrabbiano saltano e divorano il cervello delle persone intelligenti.

Il cane personifica il lanciarsi incontrollato dell'invidia che non tollera il modo di pensare dell'altro, il cervello dell'altro, specie se la parola dell'altro è investita di potere o ammirazione. Questo paziente parla della sua paura dei cani che non sempre arriva a controllare. Talvolta c'è la bestemmia incontrollata contro Dio: Dio cane. L'altro idealizzato, diventato Dio che agisce con la sua intelligenza sul suo pensiero e sul suo corpo, viene degradato, "canificato". La paura della bestemmia come atto irrazionale si aggiunge alla colpevolezza religiosa: attaccare e degradare tutto ciò che nello stesso tempo è adorato e rispettato. Il sentimento della pazzia appare come paradosso, come giochi di opposti che non si integrano. Questo paziente sogna di essere a pezzi. Nel sogno contempla un cesto contenente pezzi di carne di cane che ad un certo punto sente come pezzi del proprio corpo: io mi vedevo in pezzi guardando tutto ciò. Talvolta non si rendeva più conto se si trattava di pezzi di cane o di carne.

In un altro sogno cerca di comprare una cintura, mentre la gente ride di lui nel vederlo comprare questa cintura: cerca il modo di poter contenere i suoi cani, di avere una cintura efficace e di cancellare le bestemmie.

Talvolta vorrebbe trovare la donna che possa contenerlo sessualmente o contenere la sua incontinenza all'interno dell'organo sessuale. La sessualità come atto incontrollato cerca la cintura di una figura femminile per contenere l'irrazionale del sesso.

Le bocche incontrollate dei suoi cani infernali come le sue pulsioni sessuali indifferenziate cercano uno spazio dove "ricoverarsi". La pazzia è un problema anche di spazio, come lo è la vita e il problema dell'uomo in generale: essere significa abitare, dove abitare, avere una propria casa, significa non avere bisogno di "ricoverarsi" nelle case altrui.

Un aspetto esistenziale della psicosi, che ho descritto in altri lavori, è il bisogno di vivere sempre dentro un oggetto che può essere il proprio corpo, scelto come seconda natura, come casa protettrice (e questo è il caso della difesa autistica) oppure un altro corpo in cui "espandersi" e essere.

Essere nell'altro, che corrisponde al concetto di identificazione proiettiva di M. Klein, è l'espressione in uno stato patgico del bisogno assoluto di non essere con l'altro, ma nell'altro.

Per non impazzire, per non essere posseduto dalle forze animali, dai cani, un'altra possibilità consiste nel non fare niente, nell'ammazzare il tempo, come dice questo paziente: cioè cronicizzare la crisi, calmare i cani, ipnotizzarli o prendere dei farmaci che li invitino a dormire. Oppure non fare niente significa anche paralizzare il tempo, pietrificarsi: una volta trasformato in pietra, non ci sarà più bisogno i cintura alcuna. Il fenomeno catatonico è l'espressione di questo desiderio. Ma non si può restare pietrificato per tutta la vita, bisogna uscire; ma come uscire senza impazzire e fare impazzire gli altri? La stereotipia, il manierismo costituiscono la "soluzione", un modo di uscire dalla paralisi, assicurandosi uno spazio in un tempo circolare che lo chiude e lo contiene nel movimento.

Ex-sistere significa essere fuori e ek-sistere significa essere in piedi, in contatto con la terra. Il problema dell'essere con l'altro, il problema cioè della relazione, coinvolge la ex-sistentia e la ek-sistentia. Come è possibile, infatti, essere fuori nel mondo con gli altri, senza cadere, tenendosi in piedi? Oppure senza irrigidirsi e diventare di pietra?

La problematica esistenziale della psicosi pone il problema dell'essere in generale, di come assumere il proprio corpo, la casa dove abita l'anima, tollerando e rispettando lo spazio che divide ogni "habitat".

Non c'è relazione né comunicazione senza spazio interpersonale, senza spazio proprio. Tenersi in piedi e affrontare il mondo significa tollerare la caduta, significa essere nel mondo, avere un "asse", una spina dorsale che aiuti a "vertebrare" il mondo fatto a pezzi. Avere una spina "mentale" forte significa avere un buon scheletro fisico e psichico che permette di contenere ciò che è difficile da controllare, il desiderio e la "furia".

Le Erinni si chiamano anche Furie e le Sibille per aiutare gli altri dovevano soffrire del "furore divino", assumere e drammatizzare il loro "incontrollo", vivere nel corpo la furia dell'altro. L'oracolo di Delfo è un luogo che promuove la catarsi, ma che offre anche uno spazio dove essere contenuto, tenuto in piedi.

Secondo la leggenda, Abari viaggia nell'aria come Museo, sulla sua freccia, per allontanare le epidemie mediante la forza della magia. L'attività catartica si sviluppa in Grecia a Delo e in altre città con cerimonie "efficaci" che avevano una funzione mediatrice. Orfeo stesso, supposto fondatore della setta orfica, passa per colui che introdusse il culto dionisiaco: emigrato dalla Tracia diventa un dio greco, compagno degli dei olimpici.

Nella tradizione orfica anche la pazzia è segno di impurità e la funzione dei sacerdoti è quella di purificare.

Il concetto di pazzia come segno dell'irrazionale per eccellenza, non è stato sempre sinonimo di malessere, esiste anche una tradizione del benessere della follia. Socrate (nella Fedra di Platone) dice che i più grandi beni vengono dalla follia. Questo pur sembrando un paradosso rileva come l'umanità ha trascorso periodi di idealizzazione della follia e di ammirazione dell'irrazionale, e periodi di dis-idealizzazione associata a un sentimento persecutorio: essere  posseduti dal demonio della follia. Tutto il Medioevo è colorato di questo mito, di questo pregiudizio.  L'umanità pensa in termini estremi: l'eccessiva idealizzazione è un modo di negare la paura della follia, mentre la concezione demoniaca si fonda sull'idea di persecuzione, tentando di difendere la salute del popolo isolando e allontanando i posseduti; la fantasia di base è quella dell'epidemia, della contaminazione.

Lo sciamano1 è la personificazione della mediazione per eccellenza di cui l'uomo in crisi di "irrazionalità" ha bisogno per ottenere aiuto o per calmare le forze soprannaturali.

La cultura sciamanica, che sopravvive ancora in Siberia e che ha lasciato tracce in un vasto territorio (che va dalla Scandinavia, passando per la massa continentale euro-asiatica, fino all'Indonesia), dispone che lo sciamano, come la Pitia di Delo o il medium in generale, sia in grado di abbandonarsi, di lasciare il suo corpo per viaggiare verso terre lontane, verso il mondo degli spiriti.

Uno sciamano deve essere capace di viaggiare simultaneamente in luoghi diversi, deve avere il potere di una "schizofrenizzazione" reversibile: ritornare alla fine al proprio corpo. Uno sciamano improvvisato potrebbe non tornare mai.

La mediazione dello sciamano trova nella maschera mediazione e collegamento con l'extraterrestre.

Ermotino di Clazomene, un greco dell'Asia, realizza viaggi a grande distanza, osserva gli eventi lontani, mentre il suo corpo inanimato lo aspetta.

Il paziente schizofrenico che soffre di "distrazioni" più o meno gravi e permanenti, viaggia anch'egli molto, lascia la propria casa che è diventata una prigione, ma per trovare un'altra casa.

Nella sua molteplicità l'Io psicotico cerca di appostarsi dispersivamente e contemporaneamente in luoghi diversi, da dove osservare e controllare il mondo: il prezzo della sua pluralità operante è lo spezzettamento del suo essere.

Lo psicotico, in particolare lo schizofrenico, non è solo un essere irrazionale, ma l'espressione di una ragione multipla che porta avanti la sua concezione del mondo. In ogni punto dello spazio dove abita il pensiero delirante fa propaganda "politica", cerca di convincere e vincere.

Ritornare al proprio corpo significa chiudersi in se stesso, proteggersi dalla minaccia che rappresenta l'esistere.

C'è un momento della psicosi in cui l'anima "errante"deve scegliere una casa: non può stare dentro al corpo in modo assoluto, neppure fuori pluralmente, deve assumere l'incertezza, l'ambiguità del razionale che si sente irrazionale e che perciò ha bisogno di aiuto. Aiutare non ha soltanto un significato intenzionale mistico e gratuitamente altruistico, ma deve anche significare, comprendere ed assumere la propria "non-ragione", la sin razon de la razon di Cervantes.

Lo psichiatra e lo psicanalista che si occupano di pazienti psicotici devono accettare di viaggiare fino ad un certo punto: l'esperienza psicoanalitica, come le esperienze terapeutiche dell'antichità classica, si fonda in gran parte nell'assumere la mobilità dell'Io. Tale mobilità costituisce un rischio se non c'è flessibilità ed elasticità: un corpo non elastico si rompe, non tutti possono essere veri sciamani, mediatori tra il razionale e l'irrazionale.

<<Io ho bisogno di Lei>>  dice il mio paziente <<da solo non voglio avventurarmi, viaggiare in un mondo che mi fa paura, pieno di buio e di forze sconosciute. Ho paura dei miei impulsi, io non posso controllarli, ho bisogno di essere contenuto, di avere buoni pantaloni e una forte cintura, altrimenti me ne esco in pezzi. Anche i cani hanno bisogno di una cintura e di comprensione, perché non sono felici: abitano il mio corpo e talora mi confondo con loro>>.

<<Mi fa paura l'amore e la sessualità: l'atto sessuale per me è una "confusione" tra desiderio e irrazionalità>>.

L'atto sessuale è un qualcosa che equivale ad una pazzia, ad una agitazione del corpo e simile ad un essere agitato e "furioso" che cerca di svuotarsi.

Nella tradizione popolare impazzire significa perdere la ragine, il controllo per cui la società ha dovuto "alienare" il malato mentale dalla quotidianeità, dis-umanizzarlo, concepirlo un "essere animale". Nella storia della psichiatria, non molti anni orsono, il fatto che il malato mentale cronico nell'asilo potesse restare senza vestiti, nudo, fuori in pieno inverno, confermava il principio di animalità: come gli animali non ha bisogno di vestito e non soffre per il freddo.

Oggi sappiamo che cos'è la catatonia, la difesa autistica e la depersonalizzazione: sono mezzi per negare il freddo e il calore della vita; il calore significa affettività e sessualità, sentimenti che fanno paura, incontrollabili e che il malato mentale non può assumere. Il freddo significa ibernazione, coagulare e congelare il tempo vissuto, evitare l'evocazione e l'invocazione: non si deve domandare niente a nessuno, neanche agli dei. Domandare aiuto significa accettare di essere soltanto "umano", cioè mortale.

Il narcisismo patologico della psicosi utilizza la "ragione" per razionalizzare freddamente la vita; contenere così l'affettività, raffreddarla e congelarla, non soffrire, non ricordare. Ricordare significa evocare con "cordis", cioè con il cuore, con l'emozione, perciò il paziente psicotico può avere solo reminiscenze, cioè evocare senza cuore e non ricordare veramente.

Il delirio utilizza la ragione meccanica o il "calore" eccessivo della crisi per ex-primersi, per venire fuori. Con il razionalismo morboso, descritto da Minkowski, lo psicotico esce con i suoi pensieri "congelati", e dunque non soffre. I pensieri "congelati" non costituiscono un'energia, ma assicurano di non essere posseduto da un "menos" irrazionale, incontrollabile. Al contrario il calore eccessivo e bruciante della crisi acuta cerca espressione nell'utilizzazione di un massimo di energia di vita, per svuotarsi della morte che abita lo psicotico: ma per questo deve esplodere, diventare pezzi "vivi", abitare altri luoghi. Nell'esplosione l'essere si sfoga, ma anche si perde nella molteplicità di un mondo frammentato e perso "selvaggiamente".

L'irrazionale della pazzia appare drammaticamente nella crisi acuta. Ma colui che vive la crisi ha paura anche delle sue pulsioni incontrollabili; questa angoscia profonda è anche segno del razionale. Non esiste un irrazionale assoluto perché c'è paura e la paura è la manifestazione del sentire della coscienza in crisi. La vita che deve confrontarsi con la morte che la abita.

Le istituzioni psichiatriche dovrebbero approfondire la problematica ontologica dell'irrazionale della ragione e della ragione dell'irrazionale, capire i veri bisogni ontologici dell'essere in crisi. Il valore sociale delle ricerche sulle malattie mentali si giustifica e si privilegia come espressione "estrema" di un'angoscia universale, che "fa corpo" in ogni essere.

L'uomo "normale" porta con sé l'immagine della follia, così come porta l'incontenibile dell'amore, del sesso e della ragione che non attende ragioni. Ogni individuo si vede nello specchio dell'irrazionalità dell'altro, ma questo non basta, bisogna assumere ed anche utilizzare quello che c'è di puro, spontaneo e creativo nell'"animalità" dell'essere uomo.

Anche gli animali giocano e l'uomo deve imparare ad assumere la sua filogenia ontologicamente, come pure deve imparare a convivere e a scoprire la ragione del vivere dell'irrazionale che abita la natura, costituendo la ragione di essere della natura, del corpo che si guarda razionalmente e "vitalmente" e ludicamente nel corpo della natura2.

          

Note dell'autore:

 
 

(Nota 1) Lo sciamano è un guaritore, utilizza le sue tecniche particolari, soprattutto quando si tratta di considerare le alterazioni dell'anima. Gli abiti dello sciamano, "dove" abita la sua anima, sono elementi di estrema importanza. Abitualmente indossa  una maschera ed un soprabito. In certe popolazioni eskimo, lo sciamano si denuda completamente, mostrando così il suo abito "originario".

Con il vestito speciale e dopo alcuni preparativi, lo sciamano arriva allo stato di estasi, all'ispirazione, per poter realizzare la sua missione spirituale, il suo "viaggio" e uscire dal mondo-spazio-temporale.

Lo smembramento subito dalla psiche è un'esperienza che comprende il dramma della morte, il non-essere nel proprio abito.

La maschera è fatta di pelle di animale, di legno, di metallo, di stoffa, a volte anche dipinta. Il lusso della maschera è in strettissima relazione con le società segrete.

Un altro strumento indispensabile è il bastone, segno di potere, che ha il significato di una bella bacchetta magica.

Talvolta è utilizzato anche uno specchio che viene posto sul petto o sul dorso del vestito.

Il simbolismo dell'ascensione al cielo è dato da una scala, un albero, un palo o una corda.

La comunicazione con altri spazi è simbolizzata talvolta da un ponte (che si collega al termine "pontefice").

Un altro elemento rappresentativo del viaggio è la barca; il canto e la danza talora fanno parte del rituale. C'è un canto segreto e un canto comprensibile.

Igor Istomin nei suoi interessantissimi studi sullo sciamanesimo, parla di Arlecchino come dell'ultimo degli sciamani. Considera le maschere regionali dell'Occidente e quelle della Commedia dell'Arte come una derivazione sciamanica. Arlecchino ha una funzione mistica e burlesca che lascia intravedere le sue origini antichissime.

Nella tradizione greca, accanto alla commedia e nello stesso tempo diverso, esiste il dramma satirico, un misto di eroico e di burlesco. Passando in ambiente italico e latino, la produzione comica e satirica conserva il suo residuo magico e "ponteficio", cioè medianico tra il pubblico e l'angoscia dello sconosciuto.

Una grande importanza ebbe il mimo. I mimi erano i rappresentanti latini di quelli che erano venuti dalla Magna Grecia. Il mimo conserva il suo carattere originario sacro, rituale, anche dopo l'avvento del cristianesimo. Gli attori del mimo non portavano maschera, il viso doveva avere la massima espressività: una maschera vera. Il mimo poteva giocare il ruolo del buffone o del pagliaccio astuto, detto in latino "sannio". Il "sannio" vestiva un costume variopinto, messo insieme da pezzi di stoffa di colore diverso, detto "centone" e che è praticamente il costume di Arlecchino.

Il termine "sannio" deriva da "sanna" che significa burla. Arlecchino è una  trasformazione del "sannio", una caricatura dello sciamano, si presenta come una figura burlesca di pezzente demoniaco con un bastone a spatola ed un vestito policromo, fatto di pezzi. Così si ritrova la molteplicità dello stato sciamanico, del suo essere "compartimentalizzato" e diverso, capace di proiettarsi pluralmente sul pubblico, come l'antico sciamano in diversi luoghi del cosmo.

Il modello schizoide dell'essere e del pensare si adatta alla concezione sciamanica anche da un punto di vista costruttivo e creativo: capacità e grado di elaticità psichica che consentono di muoversi contemporaneamente in diversi luoghi, nello spazio e nel tempo, per ritornare poi alla propria "casa", al proprio corpo. "Il faut se perdre pour se retrouver, mais il faut se retrouver".

La disponibilità ludica dello psichiatra dell'infanzia e degli adulti psicotici svolge un ruolo fondamentale sulla scena terapeutica. Capire l'altro "rispettosamente" significa viaggiare e ritornare, conoscere senza intrusione. Lo spazio della scena deve essere preservato ed offrire la possibilità a dei cambiamenti spazio-temporali che costituiscono punti di riferimento per lo svolgimento del discorso. Come per lo sciamano anche qui il ponte è essenziale, elemento che collega e nello stesso tempo differenzia le rive.

 (Nota 2)

La passione e la vocazione costituiscono aspetti dell'irrazionale collegati all'amore per l'altro e al perseguimento di un determinato fine: seguire un percorso, essere ispirato autentico nell'avventura.

La passione è un aspetto potenzializzato dell'amore, prossima all'idea di "incontrollabile". La passione, che non è il furore, rappresenta una modalità quantitativamente e qualitativamente superinvestita dell'amore.

Istomin, in uno studio filologico sull'amore, mette l'accento sull'aspetto orale dell'"am", come espressione fonetica della fame, associata al bisogno della madre. Se il bisogno diventa divorante, l'amore diventa passione e anche furore.

 

 

 

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Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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