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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte
Psychoanalysis applied to Medicine, Pedagogy, Sociology, Literature and Arts 

   Sede redazionale: Ce.Psi.Di. (Centro Psicoterapia Dinamica), viale Gallipoli, 29 - 73100 Lecce   tel. (0039)3386129995 fax  (0039)0832933507

Direttore Responsabile: Giuseppe Leo

Board scientifico: Leonardo Ancona (Roma), Brenno Boccadoro (Ginevra), Mario Colucci (Trieste), Lidia De Rita (Bari), Santa Fizzarotti Selvaggi (Carbonara di Bari), Patrizia Guarnieri (Firenze), Livia Marigonda (Venezia), Salomon Resnik (Paris), Mario Rossi Monti (Firenze), Mario Scarcella (Messina).

 
 Numero 9, anno V, gennaio 2008

"Psicoanalisi e Neuroscienze"

Numero speciale in memoria di Mauro Mancia

 

Editoriale

 
Foto: Asger Jorn, "Senza titolo", 1956-1957

 

"Per un dialogo tra la psicoanalisi e le neuroscienze"    

           

di Franco Scalzone

 

"Memoria, inconscio e funzioni terapeutiche: la psicoanalisi in dialogo con le neuroscienze"  di Mauro Mancia  
 "Dopo il pluralismo: verso un nuovo, integrato paradigma psicoanalitico" di Juan Pablo Jiménez

Franco Scalzone è nato a Napoli dove si è laureato in Medicina e Chirurgia è si è specializzato in Psichiatria a Roma.

Ha lavorato come psichiatra in O.P. e altre strutture del S.S.N. È membro Associato della SPI e attualmente lavora privatamente come psicoanalista.

Suoi principali campi di interesse sono la sindrome isterica, il dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze ecc. È autore di articoli scientifici sul concetto di seduzione, sul pensiero, sulla memoria, sul sogno ecc. tra cui “Notes for a dialogue between psychoanalysis and neuroscience”. Int. J. Psycho-Anal., 2005, 86(5), 1405-1423, e curatore con la dr.ssa G. Zontini, dell’antologia: Perché l’isteria? (Liguori, Napoli, 1999).

 
"Identificazione proiettiva e alterazione della coscienza. Un ponte tra psicoanalisi e neuroscienze?" di Cristiana  Cimino e Antonello Correale

 

 

 

   

PROBLEMI DI METODO

 
 
 
 

Tra i primi problemi che dobbiamo porci nell’affrontare il tema del dialogo tra la psicoanalisi e le neuroscienze ci sono quelli che riguardano l’area del “metodo”: in altre parole dobbiamo chiederci quali metodi usare per rendere possibile un tale dialogo senza pretendere di utilizzare una delle due discipline per validare l’altra. Ciò che ci interessa è il tentativo di far uscire il rapporto fra psicoanalisi e neuroscienze da una sterile contrapposizione per trovare un nuovo punto di vista da cui guardare ad entrambe. La soluzione non è facile. I metodi di passaggio che rendono possibile il dialogo tra la psicoanalisi e le neuroscienze, non possono ridursi ad un solo metodo ma devono tener conto di varie opzioni.

Come al solito iniziamo ascoltando prima Freud: “Ogni scienza è di per sé unilaterale; e deve esserlo, in quanto deve concentrarsi su determinati oggetti, punti di vista e metodi. È privo di senso contrapporre una scienza ad un’altra, ed io mi guardo bene dal farlo. La fisica non diminuisce per nulla il valore della chimica; essa non può sostituirla, ma non può neppure essere sostituita da quella. La psicoanalisi è anch’essa in modo particolare unilaterale, in quanto scienza dell’inconscio psichico.” (Freud, 1926, pp. 397-398).

Inoltre Freud nella Lettera a Jung del 30 novembre 1911 sostenne, a proposito dell’intenzione di Sabina Spielrein di subordinare il materiale psicologico a punti di vista biologici: “La YA farà da sé” (1990, p. 505). Egli tese perciò sempre più ad evitare di subordinare la psicoanalisi alle altre scienze e a fondarla sempre più “su sé stessa”.

 

Metodo psicoanalitico

 

 

 

All’espressione ‘metodo psicoanalitico’ Freud stesso dava tre significati, posti a differenti livelli, che costituiscono un sistema di modelli e di teorie con differenti gradi di astrazione ma strettamente interconnessi e interagenti tra loro. I tre principali significati del termine sono:

1.    un metodo scientifico di osservazione e di indagine dei processi mentali, in particolare di quelli inconsci, che non sarebbero accessibili altrimenti: la semeiotica clinica;

2.    un metodo terapeutico: la talking cure;

3.    una serie di concezioni di psicologia e di psicopatologia, nonché di teorie: la metapsicologia.

Gli aspetti del metodo psicoanalitico che in questo momento ci interessano sono soprattutto i punti 1 e 3, anche perché lo stesso Freud (1926) non riteneva che l’aspetto terapeutico della psicoanalisi il suo cardine, ma lo considerava solo una delle sue applicazioni e neanche la più importante.

La prima osservazione che si può fare è che basterebbe questa triplicità di significati per capire che la psicoanalisi può organizzarsi secondo una circolarità autoreferente. Proprio considerando la sua struttura ternaria vediamo che essa va a costituire un complesso e potente sistema euristico, generativo di nuove conoscenze e in grado di fondare anche quella che P-L. Assoun (1981) chiama l’epistemologia freudiana; cioè la possibilità di effettuare un’indagine sulle condizioni del sapere psicoanalitico stesso.

 

Freud individuò i fondamenti della sua teoria nei concetti che provenivano dall’interno della psicoanalisi stessa: in primis la “teoria della rimozione”, e perciò il postulare l’esistenza dell’“inconscio”. Pertanto la psicoanalisi sembrerebbe configurarsi come un sapere senza fondamenti esterni; una scienza sui generis autofondata, funzionante in modo autoreferente e ricorsivo, che si avvale del metodo scientifico dell’osservazione dei pazienti all’interno di un setting, e le cui fondamenta poggiano soprattutto sul metodo psicoanalitico e su un potente strumento euristico: l’autoanalisi del suo inventore. Notiamo che la mente dell’osservatore si rivelò un elemento necessario della struttura della teoria: la psicoanalisi era nella mente di Freud che era nella psicoanalisi. C’è qui un’“implicazione” massima dell’osservatore nel fenomeno osservato.

La psicoanalisi è dunque una scienza cognitivamente autopoietica. Ciò comporta conseguenze di cui la più importante è che la validazione della sua “scientificità”, dei suoi sviluppi teorici e clinici e dell’efficacia terapeutica, possa essere fatta solo a partire dalle premesse teoriche proprie della psicoanalisi stessa e all’interno di essa. La cosa freudiana è composta dall’“oggetto della psicoanalisi”: cioè dall’inconscio, dalla propria teoria, dal proprio metodo e dalla propria prassi, che formano un corpus teorico unico, e infine dalla relativa tecnica per indagare un campo che essa stessa continuamente “crea” nel momento in cui lo esplora. I due aspetti principali: cioè la teoria e la prassi, sono due facce della stessa medaglia e non potremmo concepirli uno senza l’altro. L’inestricabilità intrinseca dei due aspetti si sdoppia solo nel dominio descrittivo che di volta in volta utilizziamo. La teoria-prassi, perciò, non solo fonda, ma “crea” l’oggetto da indagare il quale, a sua volta, permetterà alla teoria di eseguire l’indagine e perciò di autorizzare la sua possibilità di validazione.

Ciò non vuole dire che non si possa valutare la psicoanalisi ponendosi in una posizione esterna ad essa: in una posizione extra-analitica, vuol dire solo che dobbiamo tener presente che in tal caso questo tipo di giudizi sono di natura diversa; essi sono giudizi formulati in un meta-linguaggio diverso da quello della psicoanalisi. In questo caso però la psicoanalisi viene trattata come un linguaggio-oggetto dalle altre epistemologie le quali si assumono il compito di validarla o meno in base ai propri principi. Si tratta allora di utilizzare un metalinguaggio costruito e articolato da un osservatore posto all’esterno del sistema psicoanalitico il quale pertanto giungerà a conclusioni che, sebbene più o meno valide, non avranno però una validità per l’epistemologia psicoanalitica. Per operare un giudizio psicoanalitico sulla validità della psicoanalisi nei suoi aspetti più significativi, sia teorico-clinici che terapeutici, si deve usare un “linguaggio” psicoanalitico che resti all’interno del sistema psicoanalitico stesso; in caso contrario si farebbe un’operazione epistemologica che non riguarda più strettamente lo psicoanalista come tale, ma il filosofo della scienza. Credo che sia di fondamentale importanza differenziare metodologicamente questi due tipi di approcci per una corretta valutazione della psicoanalisi, per permettere un dialogo con le altre scienze e per non cadere in continue e inutili confusioni metodologiche, sebbene esista ovviamente una loro complementarietà. Possiamo dire in sintesi che non ha senso utilizzare le neuroscienze per validare la psicoanalisi e viceversa.

 

Sono convinto che la nascita, la costruzione e la storia dello sviluppo della psicoanalisi non possono portare che alla conclusione che si tratta di una scienza sui generis autofondata, autoreferente e autopietica organizzata su di una forte ‘chiusura operazionale’. Questa chiusura costituisce la forza del suo assetto cognitivo e del suo potenziale euristico; essa serve a conservare la sua identità come “disciplina” allo scopo di evitare, ad esempio, l’eclettismo o, peggio, il mero pragmatismo terapeutico di altre psicoterapie, come purtroppo alcuni vorrebbero.

Bisogna però precisare che qui ci si schiera per un “dogmatismo scientifico”, non per un “dogmatismo ideologico” né tanto meno per un “dogmatismo religioso”.

La chiusura operazionale, di cui si è detto, non deve essere però scambiata con l’isolamento dal mondo culturale circostante, ma è importante per prima cosa definire con precisione l’identità della psicoanalisi perché sia possibile poi dialogare con le altre scienze, onde evitare di fare commistioni confusive o tentare modelli pseudo-integrati. Una volta delimitata e definita l’identità della psicoanalisi e del suo metodo, sarà possibile stabilire un confronto con le altre scienze senza timore di contaminazioni o ibridazioni che ne snaturino le caratteristiche peculiari.

L’organizzazione di un sistema definisce quelle componenti che devono restare invarianti per poter permettere la conservazione dell’identità del sistema. Un sistema, sebbene “chiuso” operativamente, deve comunque scambiare con l’esterno sia per poter mantenere il proprio assetto interno e la propria omeostasi, sia per trasformarsi, pena la sua disorganizzazione e la morte. L’adattamento di un sistema consiste proprio nella capacità di conservare la propria autonomia: esso cambia selezionando fra gli stimoli provenienti dall’esterno quelli che ritiene significativi per cambiare conservando, nello stesso tempo, la propria identità e l’organizzazione interna. Tutto ciò vale anche per la psicoanalisi.

Inoltre notiamo che il mutamento evolutivo di un sistema autonomo è reso possibile soltanto dalla presenza e dalla stabilità di una sua parte che conserva la sua chiusura organizzazionale. In questo senso devono essere valutati i tentativi di apportare continui cambiamenti teorici e tecnici nella psicoanalisi, nonché di innestare, nel corso degli anni, nuovi concetti che la teoria originaria può stentare ad integrare e armonizzare con il nucleo teoretico freudiano, con il rischio che quest’ultimo divenga qualcosa di fondamentalmente diverso dalla ‘psicoanalisi’ così come il suo inventore la concepì e come noi la conosciamo. Si pone cioè il problema di scegliere a quale livello della gerarchia teoretica della psicoanalisi possono essere inserite le innovazioni teoriche e tecniche senza che siano violati i suoi fondamenti e il metodo psicoanalitico stesso. Credo che per quanto riguarda il dialogo con le neuroscienze il rischio è minore, specie se ci si attiene al metodo indicato da Freud stesso nelle sue opere. A mio avviso il compito dall’“ortodossia” psicoanalitica sarebbe perciò al massimo quello di operare un controllo discreto sulla correttezza metodologica entro cui avviene il dialogo con le altre scienze, e non quello di attuare chiusure concettuali e blindature ideologiche ponendosi in un atteggiamento antiscientifico.

 

Veniamo ora all’esposizione di un possibile metodo per operare il dialogo mediante il quale possiamo riunire la psicoanalisi alle neuroscienze in un modo che sia compatibile con le assunzioni di base di Freud.

Il fatto che in molte sindromi neurologiche ci sia un concomitante disturbo psichico ci fa supporre che esiste comunque una relazione tra la neuropatologia e la psicopatologia, sebbene ovviamente non possiamo ridurre i sintomi psichici alle lesioni organiche perché le funzioni psichiche non risiedono nelle strutture neuroanatomiche ma, come dice Freud, tra di esse (cfr. Freud 1899). Vorrei però sottolineare che il riduzionismo non è forte e non è tale quando nella ricerca scientifica si analizza con sempre maggior precisione il percorso che va dai livelli alti dell’organizzazione a quelli bassi passando per tutte le tappe intermedie, pur se dobbiamo riconoscere che ancora non è stato risolto il problema del “misterioso salto” tra il corpo e la mente, né quello dello “iato” concettuale in una ipotetica dottrina che volesse individuare tout court la localizzazione dei processi psichici in aree discrete del cervello (cfr. Freud 1915-17). Lo stesso Freud scrisse: “Per quanto la filosofia si sia sempre sforzata di colmarlo, l’abisso che separa il corporeo dallo psichico continua a sussistere per la nostra esperienza e per i nostri sforzi pratici.” (Freud, 1926, p. 412). I problemi e le difficoltà non risiedono nel sostenere o rifiutare che i livelli psichici siano spiegabili in base alla neurofisiologia ma il dimostrare quali sono i correlati neurofisiologici dello psichismo, come essi funzionano, e passare poi a verificarne l’interconnessione, al di là delle ‘ideologie’.

Solms (1995, 1997), ad esempio, propone di utilizzare l’“approccio neurodinamico” di A.R. Luria: un metodo di correlazione anatomo-clinico di localizzazione dinamica che egli sceglie anche perché compatibile con la metapsicologia freudiana. Questo è un metodo che serve ad identificare le diverse componenti di un sistema funzionale complesso. Esso si articola in due momenti successivi: la qualificazione (o identificazione) del sintomo e l’analisi sindromica. Nella prima parte della procedura si valutano le diverse modalità in cui la funzione in esame è lesa, e poi si esamina la struttura psicologica di ciascun sintomo mediante metodi psicologici di analisi per ciascun caso clinico. Il secondo passo, cioè l’analisi sindromica, consiste nell’analizzare, sempre con metodi psicologici, quali altre funzioni sono disturbate, oltre a quelle primarie, al fine di scoprire l’esistenza di un fattore sottostante unico che spieghi le varie manifestazioni cliniche: questo fattore unico sarebbe la funzione psicologica elementare di una specifica parte del cervello. Lo studio completo dei modi in cui una facoltà psicologica complessa è lesa da danni in varie parti del cervello svelerà la sua organizzazione dinamica neurologica e il sistema funzionale complesso che sottende questa facoltà. La funzione psicologica elementare non sarà localizzabile in nessun luogo particolare del cervello ma sarà distribuita su varie aree. Questa procedura può metterci in grado di identificare l’organizzazione neurologica di una qualunque funzione mentale. Solms applicò la procedura della localizzazione dinamica per chiarire, ad esempio, la neurodinamica dei processi onirici.

Esistono anche altri paradigmi scientifici globali che possono costituireo un cemento concettuale in grado di co-legare ambiti scientifici apparentemente molto distanti, e perciò anche la psicoanalisi e le neuroscienze, ma non possono essere trattati per ragioni di spazio.

Innumerevoli sono le aree di ricerca nelle quali il dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze trova un fertile campo di applicazione: pulsione-energia, sogno, memoria, inconscio-coscienza, linguaggio, affetti, pensiero, temporalizzazione, psicosomatica, talking cure ecc.

 

“la strega” metapsicologica come scienza delle strutture virtuali

 

 

 

“Mi sembra che la teoria dell’appagamento di desiderio fornisse solamente la soluzione psicologica, e non quella biologica, o meglio metapsicologica. (Peraltro ti chiederò seriamente se posso usare il temine “metapsicologia” per la mia psicologia che conduce dietro la coscienza.)”

(Freud, Lettera a Fliess del 10 marzo 1898, p. 339)

 

Come quasi tutti i testi ci dicono, Freud, dopo un estremo tentativo fatto col Progetto di realizzare il sogno di sviluppare una psicologia scientifica collegata alla neurofisiologia, non all’anatomia, e vista la difficoltà di affrontare l’esplorazione dei livelli intermedi tra il somatico e lo psichico con le conoscenze allora disponibili, abbandonò questo progetto per affrontare i problemi da un angolatura più squisitamente psicologica; le strutture psichiche sono infatti “reperibili” concettualmente a metà strada tra il livello anatomico del sistema nervoso e il livello mentale, e tra questo e il livello comportamentale delle nostre azioni.

Seguendo le idee espresse da Kuhn (2000) postulo che l’incommensurabilità tra scienze differenti non è semplicemente il risultato di una mancata traduzione di singoli concetti: gli scienziati sostenitori di diversi paradigmi si trovano ad affrontare problemi di incommensurabilità perché costruiscono differenti tassonomie lessicali e, di conseguenza, classificano il mondo in modo diverso. Sono richiesti processi molto differenti di interpretazione e di acquisizione della lingua altrui. C’è necessità pertanto di costruire lessici reciprocamente congruenti aventi la stessa struttura più astratta, e più diversa nel genere, rispetto ai lessici delle singole scienze o ai moduli mentali che la incorporano. Vorrei perciò chiedermi quale potrebbe essere la lingua franca da utilizzare negli scambi tra psicoanalisi e neuroscienze. Per tale motivo potremmo rispondere con Freud, a proposito degli interrogativi che si poneva circa i rapporti tra pulsioni e Io e alla strada e ai mezzi mediante cui si raggiungerebbe il soddisfacimento: “Dobbiamo dirci: ‘Allora non c’è che la strega’. Ebbene questa strega è la metapsicologia. Non si può avanzare di un passo se non speculando, teorizzando - stavo per dire fantasticando - in termini metapsicologici.” (Freud 1937, p. 508).

Ascoltiamo ancora Freud: “Per evitare ogni abuso basta ricordare che rappresentazione, pensieri, formazioni psichiche in generale, non possono affatto venir localizzate in elementi organici del sistema nervoso, ma per così dire tra questi, e allora resistenze e facilitazioni ne costituiscono il corrispettivo adeguato. Tutto ciò che può divenire oggetto della nostra percezione interna è virtuale, come l’immagine nel telescopio data dal passaggio dei raggi luminosi. Ma i sistemi – che di per sé non sono affatto psichici e non diventano mai accessibili alla nostra percezione psichica – siamo autorizzati a considerarli alla stregua delle lenti del telescopio, che proiettano l’immagine.” (Freud, 1899, p. 556).

E molti anni dopo scrisse: “La psicoanalisi parte da una premessa di fondo, la cui discussione è riservata al pensiero filosofico e la cui giustificazione risiede nei suoi stessi risultati. Di ciò che chiamiamo la nostra psiche (o vita psichica) ci sono note due cose: innanzitutto l’organo fisico e il suo scenario, il cervello (o sistema nervoso) e, in secondo luogo, i nostri atti di coscienza che sono dati immediatamente e che nessuna descrizione potrebbe farci comprendere più da vicino. Tutto ciò che sta in mezzo fra queste due cose ci è sconosciuto, e non è data una relazione diretta fra i due estremi del nostro sapere. Ma se pure una tale relazione esistesse, al massimo potrebbe fornire un’esatta localizzazione dei processi della coscienza, comunque non potrebbe aiutarci a comprenderli meglio.” (Freud, 1938c, p. 572. Corsivo mio).

Nella frase finale viene stigmatizzata indirettamente la differenza dei compiti e degli ambiti propri della neuro-anatomo-fisiologia mentre: “Tutto ciò che sta in mezzo” e, aggiungerei, il processo in grado di

stabilire la “relazione diretta fra i due estremi del nostro sapere”, deve essere teorizzato in termini psicoanalitici e metapsicologici.

Anche l’apparato neuronico del Progetto di una psicologia di Freud, testo che fonda la metapsicologia, non è un apparato anatomico né una metafora, ma una sorta di macchina virtuale formata da strutture virtuali, non materiali, della quale possiamo parlare in termini psicoanalitici. La metapsicologia, inoltre, può costituire la piattaforma comune di intercomunicazione per un dialogo con le neuroscienze. Essa rappresenta un livello intermedio nella gerarchia in cui è organizzata la concettualizzazione dell’apparato psichico e le possibili interconnessioni e relazioni tra le sue parti: i sistemi, i sub-sistemi e, a livello superiore, i sistemi di sistemi. Ciò ci da la possibilità di trovare più facilmente “linguaggi” che ci mettano nelle condizioni di riferirci a queste realtà e che siano condivisibili, o almeno traducibili, e perciò utilizzabili nel processo di scambio di conoscenze con le neuroscienze.

Ricordo inoltre che Rapaport (e Gill, 1959) diceva che le strutture sono processi a bassa velocità di cambiamento, stabili, e i processi sono strutture in rapido movimento, sono cioè strutture labili; in questo modo collegava strettamente queste due realtà anzi, mostrava come in qualche modo esse sono cose molto affini che appartengono ad un continuum: due facce di una stessa medaglia. La struttura è come l’ordito del nostro psichismo mentre i processi ne costituiscono la trama. Possiamo anche dire che esse appartengono ‘contemporaneamente’ alla res cogitans e alla res extensa e che possono essere sia simboliche che sub-simboliche.

Anche Freud parla di strutture quando parla ad esempio di “istanze”: “Ciò che è l’apparato psichico risulterà presto chiaro. Vorrei invece pregarLa di rinunciare a chiedere di che materiale sia fatto. Questo problema non ha interesse psicologico: per la psicologia esso è indifferente, come per l’ottica la questione se le pareti del cannocchiale sono metalliche o di cartone. Lasciamo da parte il punto di vista essenzialistico per non prendere in considerazione che quello spaziale. Ci rappresentiamo l’apparato ignoto che serve per l’esecuzione delle operazioni psichiche proprio come uno strumento costruito con più parti - che diciamo istanze - ciascuna delle quali ha una sua particolare funzione; esse presentano fra loro una stabile connessione spaziale: in altri termini la relazione spaziale - “avanti” e “indietro”, “superficiale” e “profondo” - ha per il momento per noi solo il significato di una rappresentazione della regolare successione delle funzioni. Sono ancora abbastanza chiaro?” (Freud, 1926, pp. 361-362).

Qui Freud sembra esprimersi a favore del funzionalismo.

Una volta che abbiamo accettato l’esistenza concettuale di strutture neuro-psichiche, possiamo procedere oltre.

Non è facile definire con precisione il concetto di “struttura virtuale”, da non confondersi con quello di essenza: esso è un concetto poliedrico, ma penso sia comunque utile impiegarlo per esplorare un campo, pur tenendo presente il suo ampio alone semantico. In che modo possiamo teorizzare su queste strutture se non con l’aiuto della strega metapsicologica?

Molte sono le strutture. Alcune sono rinvenibili nelle interfacce: ad esempio nell’interfaccia in cui si effettua il “misterioso salto” dalla mente al corpo di cui parla Freud (1915-1917), l’interfaccia tra Inc e Prec (sogno, censura) e tra Prec e P-C, quella tra individuo e mondo esterno (Reizschutz). Possiamo inoltre nominare i componenti della seconda topica: l’Io, l’Es e il Super-io, la rappresentazione d’oggetto e quella di parola, la funzione a di Bion, i significanti e gli schemi di Lacan, i gruppi neuronali, i repertori e le mappe di Edelman, i neuroni e i sistemi mirror di Rizzolatti ecc. Persino i neurotrasmettitori possono essere considerati ‘strutture’ se pensiamo alla loro funzione nel dominio del loro operare con un insieme di relazioni tra elementi.

Le strutture indicano entità astratte e processi astratti, non sostanziali, ma comunque reali; processi in atto che elaborano variabili di un qualche tipo. Inoltre dobbiamo postulare che in queste strutture circoli energia psichica che rende possibile la loro stabilità nonché lo sviluppo dei processi psichici stessi.

Le parti del sistema psichico sono ordinate gerarchicamente secondo un ordine finalistico e una connessione dinamica. Le strutture di cui sto parlando, quindi, sono anch’esse organizzate secondo un ordinamento gerarchico-eterarchico; sono poste perciò a vari livelli e utilizzano codici differenti, per formare apparati o sistemi; quindi esse necessitano di continue transcodifiche, trasduzioni e traduzioni. Una struttura psichica virtuale è formata perciò dall’unione di una particolare funzione mentale e di una correlata attività di una regione anatomica.

Il funzionamento ‘in parallelo’ delle varie agenzie della psiche fa sì che la metapsicologia preveda, come dice Freud: il punto di vista topico, economico e dinamico. La topica è una topica virtuale che indica la ‘localizzazione’ di strutture virtuali: l’economia riguarda un’energia di cui non sappiamo la vera natura, e la dinamica, infine, consiste nell’esecuzione stessa in parallelo di meccanismi dei processi psichici che si muovono continuamente da un topos virtuale a un altro altrettanto virtuale utilizzando un’energia libidica di natura altrettanto sconosciuta; esse ci servono per parlare dell’indicibile.

Non è importante, in ogni caso, il nome di queste strutture quanto il fatto che esse possano fornire un modello concettuale per spiegare i fatti osservati, ad esempio dei fatti clinici, e che questo modello ci permetta di rappresentare il funzionamento del sistema mente-corpo mediante le modalità e le regole secondo cui le parti o i singoli elementi, tra loro interconnessi, si comportano.

 

Ipotizzo che la metapsicologia possa essere la teoria delle strutture virtuali attraversate da energia, non isomorfe alle strutture anatomiche, e delle loro attività e delle loro relazioni di interconnessione. Le strutture immaginarie, ma ‘reali’, immateriali e non-osservabili, si situano lungo un continuum concettuale di natura somato-psichica posto tra il corpo e la mente. La ‘virtualità’ è ciò che nasconde le sottostanti ‘computazioni’ operate dai processi dinamici.

La metapsicologia è una sorta di meta-teoria speculativa, un meta-linguaggio inventato da Freud per teorizzare le sue scoperte in campo psicologico. Essa era il metareferente teorico che doveva servire a rielaborare intellettualmente le scoperte cliniche fatte nel corso dell’autoanalisi e dell’analisi dei pazienti. Freud, per poter dare espressione teorica alla sua autopercezione endopsichica, cioè al suo ‘sentire’, doveva prima esprimerla come se fosse ottenuta osservando un altro (autosservazione) e poi ordinarla secondo una teoria utilizzando l’elaborazione del processo secondario. Egli stesso pensava che la percezione endopsichica dei fattori e dei rapporti psichici dell’inconscio dovesse essere tradotta in una psicologia dell’inconscio di tipo scientifico e non semplicemente ‘introspettiva’, come era stato fatto fino ad allora.

Green stesso ci ricorda che: “...la psicologia è costretta a limitare il suo campo alla coscienza (al massimo può arrivare al preconscio, ma non può andare oltre), mentre la metapsicologia psicoanalitica si occupa di ciò che si trova oltre il muro della coscienza e affonda le radici nel corpo. Il desiderio non è uguale alla motivazione o all’intenzionalità.” (1996, p. 33. Corsivo aggiunto). La metapsicologia, perciò, si situa oltre e dietro la coscienza e al di là della psicologia, a differenza della psicologia dei sistemi filosofici già esistenti. Essa cioè è una meta-psicologia posta ad un livello più alto di astrazione rispetto alla psicologia ma, il suo spazio concettuale si situa più in basso: sia in un’area di mezzo tra la biologia e la psicologia fornendo a quest’ultima un’attività significante e simbolizzante ad alto livello di astrazione, sia nel fondamento ontologico dello psichismo.

Pertanto la meta-(neuro)-psicologia potrebbe essere la scienza delle strutture virtuali, organizzata su di una struttura concettuale triadica autoreferente formata ad esempio: dalla psicologia del profondo, dalla teoria clinica e dalla neurofisiologia. Il problema attuale, allora, è che bisogna osare riprendere la possibilità di rielaborare nuove miscele proposizionali metapsicologiche (cfr. Molinari, 1979) proprio per una ripresa del dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze.

Possiamo insomma dire, paradossalmente, che se utilizziamo la metapsicologia nel senso suddetto, essa si pone alla base delle psico-scienze e delle neuro-scienze, e non il contrario. Cioè che è questa scienza astratta che sta alla base della scienze delle strutture psico-biologiche.

La metapsicologia, trattando delle strutture fondamentali della psiche come matrice intermedia, sarebbe quella parte della psicoanalisi in grado di rendere visibile l’invisibile. Essa costituirebbe quel sistema di notazioni in grado di trattare i livelli di astrazione teorica della psicoanalisi e, perciò, di proteggere quest’ultima dal pericolo di cadere nelle mani della ciarlataneria e della chiacchiera.

La metapsicologia potrebbe costituirne perciò una sorta di “linguaggio di mezzo” tutto da costruire, una “lingua franca”, un ponte in grado di rendere possibile l’attuazione di un dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze. Forse sarebbe più giusto dire che la metapsicologia potrebbe essere uno dei tratti di unione in grado di sviluppare una piattaforma concettuale comune, formata per esempio da più modelli integrati, nonché di elaborare un lessico e un vocabolario comune che sia in grado di consentire una maggiore comunicazione tra campi differenti che si occupano di oggetti differenti.

 

Un esempio di dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze

 

 

 

“La psicoanalisi è una psicologia scientifica anche e soprattutto perché non oppone la mente al corpo, ma la considera una funzione differenziata del funzionamento corporeo. Non intende dunque opporsi alla neurofisiologia, ma si attende invece di conoscere da questa il funzionamento neurofisiologico che sta alla base della funzione mentale. La necessità di distinguere questi funzionamenti non è nata nella mente di Freud come una sua estrosa invenzione, ma come la naturale conseguenza della sua profonda partecipazione alle vicissitudini del cammino scientifico nella seconda metà del secolo scorso.”

(Gaddini, 1980, p. 501. Cosivo aggiunto)

 

 

Ora vorrei proporre una riflessione su i risultati di recenti ricerche di neurofisiologia, che sembrano offrire alla psicoanalisi la possibilità di trovare la base anatomica e il correlato anatomo-fisiologico di alcuni fenomeni e meccanismi psichici ben noti come: l’imitazione, l’introiezione, l’identificazione introiettiva e l’identificazione tout court, l’empatia, l’identità, la coscienza, l’apprendimento, aspetti del rapporto madre-bambino, della comunicazione nei rapporti sociali, della talking cure ecc.

 

Ricerche di neurofisiologia eseguite presso l’Università di Parma dal gruppo del prof. Rizzolatti ci dicono che è stata scoperta nella corteccia premotoria delle scimmie una nuova classe di neuroni visuomotori: i neuroni specchio. Questi neuroni si attivano sia quando un’azione particolare è eseguita dalla scimmia in esame sia quando la stessa azione, eseguita da un altro individuo, viene osservata. I neuroni specchio sembrano costituire un sistema corticale che abbina l’osservazione e l’esecuzione delle azioni motorie che abbiano uno scopo.

Questi esperimenti mostrano che il sistema “specchio”, o meglio i “sistemi specchio”, che confrontano l’osservazione dell’azione e la sua esecuzione, non sono una prerogativa della corteccia premotoria soltanto, ma che si estendono anche al lobo parietale posteriore. Sulla base di queste ricerche si vede che il processo di integrazione sensomotorio, supportato dalla rete fronto-parietale F5-PF, instanzia una ‘copia interna’ delle azioni utilizzate, non solo per generare comportamenti di controllo collegati alla meta, ma anche per fornire – ad un livello pre-riflessivo e pre-linguistico – un resoconto significativo dei comportamenti compiuti da altri individui. Anzi a volte sembra che forse i ricercatori ipotizzino che tutto il cervello funzioni come un sistema mirror.

È interessante notare come anche nell’uomo esistano neuroni mirror i quali sono situati all’interno di un’area del cervello che corrisponde alla parte anteriore dell’area di Broca (area motoria del linguaggio). Quando questi neuroni si attivano si ha una risonanza del sistema motorio in relazione all’azione dell’agente osservato ed essi operano una risposta automatica, una sorta di simulazione o, diremmo noi, di imitazione, trattandosi di un processo non-intenzionale ma inconsapevole e automatico: nel caso dell’uomo potremmo dire anche ‘non-cosciente’ o... “inconscio”.

Gallese e Goldman (1998) pensano anche che sia difficile concettualizzare queste risposte in termini puramente sensori e motori. Più plausibile è postulare che gli oggetti la cui osservazione elicita le risposte dei neuroni sono analizzati in termini relazionali.

I ricercatori allora si chiedono: “Quale è la funzione del sistema specchio? Una possibile funzione potrebbe essere quella di promuovere l’apprendimento mediante l’imitazione. Quando vengono apprese nuove capacità motorie, spesso si occupano le prime fasi di apprendimento cercando di replicare i movimenti guardando un istruttore. I neuroni specchio come regola dovrebbero facilitare questo tipo di apprendimento”. E aggiungono: “Noi non siamo d’accordo con questo possibile ruolo dei MN (mirror neurons), almeno nei primati non-umani. Qui noi esploriamo un’altra possibilità: quella che i MN sottostiano al processo di ‘lettura del pensiero’, o che servano come precursori di tale processo.” (Gallese e Goldman, 1998, p. 495).

L’ipotesi è che sia l’imitazione che l’empatia sono sottesi da uno stesso meccanismo, che chiamano “simulazione incarnata”, il cui correlato neuro-anatomo-fisiologico consiste dei sistemi mirror. Questi sistemi, e il relativo meccanismo dell’imitazione, entrano nella dinamica del processo dell’apprendimento, della comunicazione e dell’identità.

Possiamo qui solo di sfuggita ricordare alcuni esperimenti compiuti da autori inglesi (T. Singer et al.) che mostrano l’esistenza di parti di regioni cerebrali (insula, corteccia cingolata, tronco dell’encefalo e cervelletto) implicate nel fenomeno dell’empatia. Queste aree si attivano allorché un soggetto osserva un altro soggetto mentre sperimenta uno stimolo doloroso, ma nell’osservante si attivano solo le strutture implicate nella risposta ‘affettiva’ e non quelle sensoriali.

 

Introduciamo ora nella nostra esposizione un meccanismo di funzionamento psichico che E. Gaddini (1969) studiò e che chiamò “imitazione” e diamone una definizione, ma prima riporto una citazioni di Freud per mostrare che egli già aveva parlato di qualcosa di molto simile.

“ “Avere” ed “essere” nel bambino. Il bambino esprime volentieri la relazione oggettuale mediante l’identificazione: “Io sono l’oggetto.” L’avere è [tra i due] successivo, dopo la perdita dell’oggetto ricade nell’essere. Prototipo: il seno. Il seno è una parte di me, io sono il seno. Solo in seguito: io ce l’ho, dunque non lo sono.” (Freud, 1938, p. 565).

Questa citazione, per inciso, ci fa azzardare che Freud sosteneva un’ontologia relazionale co-esistenziale in cui l’“essere”, fortemente legato al biologico, precede la coscienza e il “cogito” di tipo cartesiano, non conformandosi perciò alla nota formula del “cogito ergo sum”.

Gaddini sostiene: “Io ho tenuto a distinguere (1969), nelle prime vicissitudini del rapporto con l’oggetto, due aree di esperienza mentale, corrispondenti a una duplice disposizione originaria verso l’oggetto: ho definito queste due aree come psicosensoriale l’una e psicoorale l’altra. La prima, più antica, mette capo alla percezione primitiva attraverso il soma; la seconda è connessa invece al graduale riconoscimento percettivo di stimoli esterni al Sé, come avviene attraverso l’attività orale. ... L’attività dell’area psicosensoriale si sviluppa secondo un modello funzionale – “imitare per essere” – che è l’equivalente psichico del modello biologico della percezione primitiva (“imitare per percepire”) e conduce all’immagine allucinatoria, alle fantasie di fusione attraverso l’identità magica con l’oggetto e alle imitazioni, nella direzione di “essere” l’oggetto, e quindi di non riconoscerlo come esterno e separato. L’attività dell’area psicoorale si sviluppa invece secondo il modello funzionale della introiezione – che è l’equivalente psichico del modello biologico della incorporazione – e conduce alle fantasie di fusione attraverso l’immissione dell’oggetto nel proprio Sé, nella direzione di “possedere” l’oggetto, ciò che comporta il graduale riconoscerlo come esterno al Sé e il dover confrontarsi con la dipendenza reale dall’oggetto.” (1974, pp. 328-329).

Ricordiamo che quella che Gaddini chiamò area psicosensoriale, come egli stesso ci dice in una nota (1974, p. 329), corrisponde all’elemento femminile puro di Winnicott (1971) collegato all’“essere”, e quello che chiamò area psicoorale (area oggettuale) collegata agli istinti e al “fare” corrisponde al elemento maschile puro di Winnicott.

Ma in un’altra parte del suo lavoro lo stesso Gaddini afferma qualcosa che incontrovertibilmente attiene perfettamente alla tesi che voglio sostenere:

“[...] il modello fisico “imitare per percepire” si tramuta nel modello psichico parallelo, in cui percepire diventa “essere”. “Imitare per percepire” diventa cioè “imitare per essere.” [o, piuttosto, percepire è ancora, come prima, “essere”, ma mentre ciò avveniva precedentemente a un livello prevalentemente fisico, ora avviene a un livello che tende ad essere psichico.] Noi non sappiamo in quale maniera il modello funzionale fisico venga convertito in un modello psichico parallelo, ma l’attività psichica primitiva ci offre più di un esempio di questo genere.” (Gaddini, 1969, pp. 163-164. Corsivo aggiunto).

Ora anche nel caso dell’imitazione di Gallese l’importante è l’attivazione dei neuroni mirror del percepiente e cioè la sua modificazione percettiva.

Gaddini sostenne inoltre che il primo processo di conoscenza del bambino è operato mediante la motilità che si collega al meccanismo dell’imitazione: prima all’“imitare per percepire” e poi all’“imitare per conoscere”, quindi il modello fisico dell’imitare per percepire si trasforma in un modello psichico parallelo dell’“imitare per essere” che è successivo.

Sembra allora che non si aspetti altro che di disporre della scoperta della base anatomica di questi processi, e osservare come essa ‘si trasformi’ nei processi psichici: cioè della scoperta di quei ‘neuroni specchio’ e che la loro organizzazione supporti una funzione che chiameremo ‘simulazione’ (Gallese) o ‘imitazione’ (Gaddini).

Infatti sempre Gaddini ci dice a proposito dell’introiezione e dell’incorporazione: “Questo ci consente di dedurre che lo stesso modello di base è un modello parallelo ma differenziato, rispetto a quello corporeo, e che pertanto una funzione mentale differenziata dal corpo esiste già, nel momento in cui un modello di base parallelo a un modello fisico si instaura. Ciò che non sappiamo, e che ci aspettiamo di conoscere dalle discipline che studiano il funzionamento corporeo, è in quale modo un modello funzionale fisico viene convertito in un modello parallelo psichico. Che è come dire: in quale modo il funzionamento fisico dà luogo alla funzione differenziata della mente.” (1980, pp. 471-472. Corsivo aggiunto).

Possiamo convenire che ciò resta ancora insoluto a tutt’oggi, almeno se si pone la domanda in questi termini. Qui si entra nel cuore del problema mente-corpo che da solo meriterebbe una trattazione a parte.

Più avanti Gaddini cerca comunque di affrontare la questione dandoci qualche indicazione:

“Vorrei osservare in proposito che l’instaurarsi di un modello parallelo non sembra possibile prima che la “memoria” di un modello fisiologico si sia stabilita. La memoria, cioè, potrebbe essere un punto chiave del passaggio dal funzionamento fisiologico a quello mentale e, in termini di sviluppo, fornire l’indicazione del tempo presumibile in cui, nella vita intrauterina, tale passaggio può avere inizio.” (1980, 473. Corsivo aggiunto).

Gallese formula l’ipotesi che ci possa essere un meccanismo che supporti la nostra capacità di condividere sentimenti ed emozioni con gli altri in una modalità extra-linguistica. La sua proposta è che anche le sensazioni e le emozioni mostrate dagli altri possano essere ‘empatizzate’, e perciò implicitamente comprese, attraverso un meccanismo di tipo mirror matching. Qui è possibile mettere in evidenza il fatto che la costituzione dell’identità sé-altro è una forza che guida lo sviluppo cognitivo e psichico di più articolate e sofisticate forme di relazioni intersoggettive. È anche possibile che i sistemi mirror matching possano essere coinvolti nella costruzione dell’identità e che il concetto di empatia potrebbe essere esteso al fine di aprire la possibilità di unificare i diversi aspetti e i possibili livelli della descrizione delle relazioni intersoggettive non-verbali. È l’alterità dell’altro che fonda mediante le differenze il carattere oggettivo della realtà e la nostra soggettività.

La capacità di comprendere gli altri non dipende solo da competenze mentalistico-linguistiche ma anche dalla natura relazionale dell’azione (cfr. 2001, p. 78), dell’essere nel mondo in una dimensione situazionale e co-esistenziale. Inoltre, se consideriamo la funzione dei mirror neurons si può vedere in che modo: “La passività si trasforma in attività e l’azione in pensiero.” (Solms e Turnbull, 2002, p. 283); un ulteriore passo per colmare il “misterioso salto” (vedi Freud, 1915-17) medianti i processi di trasformazione.

Evidenziamo ora alcune altre ricadute di queste ricerche sulla scienza psicoanalitica a noi più familiare. Abbiamo già parlato del meccanismo dell’imitazione, accenniamo solo ad altri aspetti.

Restando nella stessa area tematica, l’esistenza e il funzionamento dei mirror neurons possono essere collegati anche, ad esempio, alla ‘funzione di specchio’ operato per il bambino dal volto della madre proprio al fine di “restituire al bambino il suo proprio Sé” (vedi Winnicott, 1967) e perciò anche contribuire alla formazione dell’identità. A tal proposito Winnicott dice che “il precursore dello specchio è la faccia della madre”. Notiamo che anche la mimica facciale della madre può essere considerata una forma di ‘azione espressiva’ nella quale si “rispecchia” il bambino, del tipo feedback espressivo-motorio.

Ciò che allora è in gioco è qualcosa di più specificamente legato all'interazione e alla “sintonizzazione” emotiva madre-ambiente/bambino e quindi, forse, paziente-analista, anche se in psicoanalisi è avvenuta la consensuale rinuncia all’attività motoria a favore dell’espressione linguistica, sua sostituta ed erede, che costituisce il punto di forza di una strategia tesa a favorire le operazioni trasformative delle esperienze emotive.

Questa sintonizzazione, oltre che affettiva, deve essere anche pragmatica e motoria, nell’ampio senso in cui abbiamo impiegato questo termine. Cioè essa deve comprendere una sintonia che si attua anche mediante un rispecchiamento motorio, sia a livello pragmatico che neuronale, a cui si collegherà una ristrutturazione sinaptica (vedi anche Kandel, 1979).

Anche A.-M. Rizzuto (1995) evidenzia che il primo contatto tra madre e bambino è sensoriale; ciò in un periodo antecedente a quello in cui il bambino è in grado di capire il significato referenziale e simbolico delle parole udite. La scoperta dei mirror neurons supporta l’importanza del contatto visuo-motorio. Il primo sistema di comunicazione tra genitori e bambino perciò non è semantico, ma piuttosto sensoriale e senso-motorio (visuo-motorio), e ciò costituisce un importante supporto dei processi di identificazione.

Ci sembra perciò abbastanza chiaro ora il collegamento tra il “learning by imitation” di Gallese con l’“imitare per conoscere” e l’“imitare per essere” di Gaddini. Ambedue confluiranno in un processo imitativo volto a sviluppare sia i processi di comunicazione interna che di coscienzializzazione – passaggio dall’automatismo alla coscienza – sia processi di comunicazione empatica non-vebale, processi co-cognitivi e di sviluppo co-identitario, di interazione e intercomunicazione sociale, dei quali un caso particolare è la complessa interazione analista-paziente in corso di talking-cure.

Ricordo che il fatto che i sistemi mirror si attivano anche allorché il soggetto osserva l’azione compiuta da un ‘altro’ indica che l’attivazione dei mirror neurons non corrisponde ad un’attività volontaria, ma automatica e... mentale. Il meccanismo psichico dell’imitazione, a forte componente percettiva, è anch’esso involontario, addirittura inconscio, per cui non sembra esserci una pregiudiziale preclusione al fatto di collegare questi due fenomeni tra loro: il meccanismo psichico e la sua controparte neurofisiologica. L’imitazione è, in tutte e due i casi, un’attività molto precoce del funzionamento sia del cervello che dello psichismo. In un caso è alla base di tutti i fenomeni di apprendimento imitativo degli animali, nell’altro invece è alla base dei processi di identificazione degli umani. Vogliamo qui far notare che in tutto quello che si è detto non esiste né un mero riduzionismo né una colpevole mancanza di prove empiriche, visto la psicoanalisi non può essere verificata empiricamente, ma c’è la possibilità di fare delle congetture che devono poi essere corroborate e verificate con ‘strumenti psicoanalitici’.

 

Considerazioni conclusive

 

 

 

“[...] per il campo psichico, quello biologico svolge veramente la funzione di una roccia basilare sottostante.” (Freud, 1937, p. 535)

 

“I teorici della psicoanalisi, a partire dallo stesso Freud, hanno affermato ripetutamente che un giorno lo spazio tra la teoria psicoanalitica e la neurofisiologia verrà colmato. Questo spazio non verrà mai colmato, a meno che gli psicoanalisti non facciano uno sforzo per renderlo colmabile.” (Rubinstein, 1967, p. 72)

 

Nella sua semplice assertività la frase di Freud in esergo ci dice a mio parere molto di più di quello che può apparire a prima vista. Essa ci dice che Freud riconosceva che il “campo psichico” non è separabile da quello “biologico”; detto in altri termini, se non vogliamo sposare il dualismo cartesiano ‘forte’ ma restare monisti, dobbiamo necessariamente conservare il legame concettuale con la “roccia biologica” in tutti i sensi, pena rischiare di cadere nello “spiritualismo”. Sebbene lo stesso Freud spesso sembri oscillare tra posizioni antitetiche, il suo non è mai un dualismo ontologico, ma al massimo un dualismo ‘convenzionalistico’. Tuttavia Freud, riferendosi alla “rappresentazione primitiva delle anime” diceva che: “Questa ‘nozione primitiva di dualità’ per usare un’espressione di Herbert Spencer, si identifica con quel dualismo che si manifesta nella separazione per noi abituale di spirito e corpo, e le cui espressioni linguistiche inestirpabili...” (1912-1913, p. 98. Corsivo aggiunto).

Resta perciò il fatto che noi continuiamo a pensare in modo dualistico e a dover necessariamente usare due tipi di scienze per studiare il corpo e la mente; ciò può dare a volte l’illusione che si tratti di due entità separate, ma solo le “espressioni linguistiche” sono “inestirpabili”. Ricordo Green (1991) il quale preferisce parlare di “dualismo della riunione” diverso dal dualismo della separazione, piuttosto che di monismo. Con esso egli intende “la differenza di struttura fra psichico e non psichico (= corporeo) non una differenza di essenza.” (1991, p. 48).

In realtà il dualismo che interessava veramente Freud non era il dualismo tra corpo e mente ma quello tra processi consci e processi inconsci. La vera ambizione di Freud era quella di trovare la variabile nascosta, cioè una causa unica neuro-psichica in grado di produrre un effetto specifico, e su questa base costruire una meta-scienza che comprendesse in sé le scienze del corpo e della mente; cioè di trovare la base biologica, i fattori psicologici del vivente e una teoria che li spiegasse entrambi. Per questo motivo Freud non era interessato a prendere una posizione ‘forte’ in merito al problema mente-corpo, ma avvertiva comunque il pericolo che la sua scienza, la psicoanalisi, si potesse disincarnare e perciò disancorare sempre più dalle scienze della natura, e credo che alludesse proprio a questo pericolo in un colloquio con Jung che scrive: “Ho ancora vivo il ricordo di ciò che Freud mi disse: ‘Mio caro Jung, promettetemi di non abbandonare mai la teoria della sessualità. Questa è la cosa più importante. Vedete, dobbiamo farne un dogma, un incrollabile baluardo’. Me lo disse con passione, nel tono di un padre che dica: ‘E promettetemi solo questo, figlio mio, che andrai in chiesa tutte le domeniche!’ Con una certa sorpresa gli chiesi: ‘Un baluardo contro che cosa?’ Al che replicò: ‘Contro la marea di fango’ e qui esitò un momento, poi aggiunse ‘dell’occultismo’.” (Jung, 1961, p. 191).

 

Esistono vari aspetti dell’“anatomia” – se utilizziamo il termine con un uso estensivo – che va dall’anatomia ‘in sé’, di cui affermiamo l’inconoscibilità, all’anatomia immaginaria che Freud ad esempio attribuisce all’isterico: “l’isteria, nelle sue paralisi e in altre sue manifestazioni, si comporta come se l’anatomia non esistesse per nulla o come se essa non ne avesse nessuna conoscenza.” (Freud, 1893, p. 80).

Esiste poi un’altra anatomia come concettualizzata da Maturana e Varela:

“Ogni componente del sistema nervoso che l’osservatore descrive è definito, nel dominio delle interazioni delle sue osservazioni, e come tale è alieno al sistema che è supposto integrare. Ogni funzione ha una struttura che la materializza e la rende possibile, ma questa struttura è definita dalla funzione nel dominio del suo operare come un insieme di relazioni tra elementi, pure definiti in questo dominio. I neuroni sono le unità anatomiche del sistema nervoso, ma non sono gli elementi strutturali del suo funzionamento. Gli elementi strutturali del sistema nervoso funzionante non sono ancora stati definiti, e probabilmente sarà evidente quando saranno definiti che devono essere espressi in termini di invarianti di attività relative tra neuroni, in qualche modo materializzati in invarianti di relazioni di interconnessioni, e non in termini di separate unità anatomiche.” (1980, pp. 97-98).

Questa concezione dell’“anatomia” può fondare la piattaforma comune per un dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze.

Se ora ci chiediamo, come fa Solms (1995) se il cervello sia più reale della mente, sarà opportuno che ci chiediamo anche se la psiche sia più reale del cervello. J.A. Friedman (2004) giustamente dice: “Io ritengo che l’impresa vada al di là del rinvenire “il” cervello nelle “nostre” menti e le “nostre” menti “nel” cervello. Piuttosto questa aspirazione si realizzerebbe attraverso il ritrovamento dell’attività della psiche in entrambi” (p. 2).

Gli psicoanalisti devono però guardare anche “l’altra faccia dello specchio”, cioè l’apparato fisiologico subsimbolico, perché: “siamo convinti che tutto ciò che si riflette nella nostra esperienza soggettiva sia strettamente connesso a processi fisiologici indagabili in modo oggettivo, che su di essi si basi, e che anzi, in modo misterioso, si identifichi addirittura con essi.” (Lorenz, 1973, p. 22. Corsivo aggiunto).

D’altra parte, per J.A. Friedman dobbiamo purtroppo considerare l’attuale estrema valorizzazione del merito sperimentale come arbitro ultimo di ogni pretesa di verità e l’idea che il processo, se affidabile e valido, può essere attuato in modo anonimo... cioè da chiunque indistintamente. Cosa importante è che si pensa che il carattere, l’integrità o ogni altro attributo dello sperimentatore in quanto individuo non devono in alcun modo entrare nei dati della ricerca. (cfr. 1998).

Ma sempre questo autore rileva che da tempo negli ‘esperimenti mentali’ il pensatore-scienziato non è affatto anonimo; l’esperimento può essere ripetuto ma rimane il fatto che c’è stato un primo autore. Così anche nella psicoanalisi di Freud non c’è niente di impersonale.

La psicoanalisi pertanto può avere un importante compito nei confronti delle altre scienze, e perciò anche delle neuroscienze, che consiste nel sottolineare, al di là delle ‘leggi’, non solo l’importanza della soggettività e dell’individualità, ma anche l’importanza di quello che Prigogine (1992) chiama l’evento, l’importanza dell’evoluzione, del tempo e quindi della storia, della probabilità e dell’incertezza.

La psicoanalisi freudiana non si fonda su un’ontologia neurofisiologica ‘oggettiva’ né su un’ontologia meta-psicologica, meno che mai su un’ontologia narratologica ‘soggettiva’ che alieni il soggetto stesso dalla sua storia, ma su di un’ontologia psico-logica della soggettività storiografica all’interno dell’intersoggettività, la quale però emerge dallo “sfondo” neurofisiologico della biologia del cervello ed è descrivibile in termini metapsicologici. La psicoanalisi si fonda soprattutto sulla psiche ‘inconscia’ del suo inventore in dialogo con se stessa e con i suoi interlocutori, specie con i pazienti e i colleghi, con l’Altro e con gli altri, ed è perciò parte della realtà psichica del suo inventore, rielaborata mediante il processo secondario, che ne costituisce il ‘fondamento’. Insomma non si fonda su un’ontologia delle sostanze ma su un’ontologia dei flussi di eventi (vedi Manzotti R. e Tagliasco V., 2004). Ciò fa della psicoanalisi una scienza ontologica ed evoluzionista perché essa è anche una scienza del fondamento.

Sulla questione culturale in ambito psicoanalitico ritengo che il riaccendersi dell’interesse per le neuroscienze sia l’espressione più attuale della cosiddetta ‘crisi’ della psicoanalisi. Uso la parola ‘crisi’ sia nella sua connotazione negativa come termine per definire una certa diminuzione del potenziale euristico degli indirizzi ‘alternativi’ correnti rispetto ad una ‘psicoanalisi pura’, sia anche nella sua connotazione positiva, come occasione di una spinta verso possibili sviluppi sul piano scientifico di cui non possiamo per ora assolutamente prevedere gli esiti. Credo che questo sia il motivo per cui da qualche parte si ri-cerca l’“appoggio” di scienze osservative e di teorie forti per compiere quel ‘passo indietro’ verso le neuroscienze in grado di far ripartire in avanti la ricerca psicoanalitica, ripercorrendo e riprendendo l’insegnamento dello stesso Freud. C’è bisogno che gli psicoanalisti riconoscano il loro ‘debito impensato’ nei confronti delle neuroscienze così come c’è bisogno che pretendano la riscossione da queste di un ‘credito impensato’.

Siamo agli inizi di un percorso di ricerca che ha solo graffiato la superficie di una profonda complessità, ma sono del parere che ci troviamo di fronte all’opportunità di ri-prendere il ‘progetto’ freudiano e che questa sarà la sfida nei prossimi anni: siamo ad uno storico punto di svolta gnoseologico ed euristico in grado di condurci verso un imprevedibile espansione della nostra conoscenza. Ciò deciderà anche quale sarà la strada che la psicoanalisi sceglierà di intraprendere nei prossimi anni: quella dello sviluppo scientifico che gli è proprio o... dell’“occultismo”.

 

 

 

 

 

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