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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte
Psychoanalysis applied to Medicine, Pedagogy, Sociology, Literature and Arts

 

 Sede redazionale: Ce.Psi.Di. (Centro Psicoterapia Dinamica "Mauro Mancia"), via Lombardia, 18 - 73100 Lecce   tel. (0039)3386129995 fax  (0039)0832933507

Direttore Responsabile: Giuseppe Leo

Direttore Editoriale: Nicole Janigro

Board scientifico: Leonardo Ancona (Roma), Brenno Boccadoro (Ginevra), Marina Breccia (Pisa), Mario Colucci (Trieste), Lidia De Rita (Bari), Santa Fizzarotti Selvaggi (Carbonara di Bari),

Patrizia Guarnieri (Firenze), Massimo Maisetti (Milano), Livia Marigonda (Venezia), Franca Mazzei (Milano), Salomon Resnik (Paris), Mario Rossi Monti (Firenze), Mario Scarcella (Messina).

Rivista iscritta al n. 978 Registro della Stampa del Tribunale di Lecce

ISSN: 2037-1853

Edizioni Frenis Zero

  Numero 13, anno VII, gennaio 2010

"Malessere delle Culture"

 

   PORTE CHE CERCHIAMO DI APRIRE. Totalitarismo e psicoanalisi.

 

 

  di Michael Šebek

 

 

   
 

Michael Šebek è psicoanalista I.P.A. della Repubblica Ceca. Cultore di storia della psicoanalisi, ha curato la voce "Repubblica Ceca" dell'"International Dictionary of Psychoanalysis" (editor: Elizabeth Roudinesco). In questo suo lavoro, apparso nel 2002  nella rivista dell'EPF "Psychoanalysis in Europe" (Bull. 56), oltre a delineare una esaustiva storia della psicoanalisi nella Cecoslovacchia, analizza il rapporto degli analisti cechi con lo Stato totalitario durante gli anni del regime comunista. Nell' anno appena trascorso in cui si è celebrato il ventennale della caduta del Muro di Berlino e della Cortina di Ferro ci è sembrato interessante proporvi queste riflessioni di un analista la cui pratica terapeutica è stata volutamente esaminata in rapporto con le trasformazioni politico-sociali di un più ampio contesto. Oltre all'autore si ringrazia Dieter Bürgin ("Editor general EPF") per aver concesso il nulla osta della rivista in cui questo articolo è stato originariamente pubblicato. Infine, per commemorare la Rivoluzione di Velluto, che iniziò nel novembre 1989, nel "Podcast" di Frenis Zero (al link: www.youtube.com/assepsi?ql=IT&hl=it ) potete trovare un estratto di un video ad essa dedicata che è in mostra presso il Museo del Comunismo di Praga.

 

 

 La prima parte del mio articolo è dedicata ad una sintetica storia dello sviluppo della psicoanalisi in questo Paese. La seconda parte tratta alcuni aspetti della realtà esterna che sono stati anch'essi importanti nell'evoluzione della Società Ceca di Psicoanalisi e della psicoanalisi ceca.

Questo si può considerare un contributo ad una psicologia sociale psicoanalitica. Parlerò di porte sul mondo esterno e dei loro guardiani. La storica "Cortina di Ferro" è un esempio delle porte chiuse dalle conseguenze di vasta portata per lo sviluppo della psicoanalisi ceca. Ma, ovviamente, la maggioranza delle porte del mondo esterno sono capaci di essere aperte. E nell'attuale società globalizzata, in cui i confini reali stanno rapidamente scomparendo, siamo interessati, e ne siamo anche più dipendenti, alle porte ed ai guardiani elettronici.  Ci sono anche delle porte interne nella nostra mente, almeno tra conscio e preconscio, e ci sono anche delle porte nel 'setting' psicoanalitico, non solo le porte dello studio dell'analista, ma tutte le procedure di selezione; ci sono, ancora, delle porte immaginarie nel processo analitico (ad esempio, il modo con cui otteniamo il materiale dal paziente e ciò che scegliamo nel dirgli).

E' ben noto che Sigmund Freud nacque in Moravia, a Freiberg (Pribor), una piccola città vicina ad Ostrava, ma questo fatto ha avuto poca influenza sull'evoluzione locale della psicoanalisi. Il movimento psicoanalitico ceco è probabilmente l'unico che abbia avuto tre Gruppi di Studio nella sua storia. Il primo Gruppo di Studio venne riconosciuto al 14° Congresso dell'I.P.A. a Marienbad. Tale gruppo non poté continuare dopo il 1939 a causa dell'occupazione nazista della Cecoslovacchia. Alcuni membri del gruppo si salvarono emigrando. Il secondo Gruppo - quello del Dopoguerra - fu chiuso dal regime comunista, nuovamente dopo 3 anni (nel 1949). Fu solo  il terzo Gruppo di Studio, negli anni '90, che potette attraversare le porte esterne, ed il Congresso dell'IPA a Santiago del Cile del 1999 riconobbe il Gruppo di Studio Ceco di Praga come Società Provvisoria.  Il primo gruppo ad essere interessato alla psicoanalisi si originò a Praga attorno all'analista russo Ossipov negli anni '20 e consisteva per la maggior parte di emigrati russi. Ossipov era in contatto con Freud, e Freud gli diede dei consigli su dove reperire persone adatte  a Praga con cui stabilire un gruppo. Il secondi gruppo si organizzò a Kaschau (nella Slovacchia orientale) attorno alla psichiatra ceco Jaroslav Stuchlik. Due membri del gruppo di Stuchlik's, Emanuel Windholz e Jan Frank, andarono via da Praga alla fine degli anni '20 e nei primi anni '30 si unirono al gruppo di analisti ebrei tedeschi che erano arrivati a Praga per salvarsi dalle persecuzioni antisemitiche in Germania.

Otto Fenichel arrivò a Praga da Oslo nel 1935 e, insieme a svariati analisti provenienti da Vienna, aiutarono il gruppo di Praga a diventare un Gruppo di Studio al 14° Congresso dell'IPA a Marienbad nel 1936. Otto Fenichel  a Praga lavorò, formò dei candidati, organizzò seminari e conferenze e scrisse le sue "Rundbriefe" (lettere circolari) fino al 1938, quando lasciò Praga per gli Stati Uniti, ed Emanuel Windholz assunse la direzione del Gruppo Ceco. L'occupazione tedesca del 1939 mise fine all'esistenza del Gruppo di Studio. Alcuni emigrarono, altri morirono nei campi di concentramento. Ci fu solo un membro di questo gruppo pre-bellico, Bohodar Dosuzkov, che tenne in vita la psicoanalisi in modo clandestino durante la Seconda Guerra Mondiale. Era anch'egli di origini russe. Il regime comunista alla fine degli anni '40 bandì ufficialmente il Gruppo Ceco, che continuò il suo lavoro clandestinamente. Questa situazione durò per 40 anni. Il gruppo era solito avere incontri regolari in appartamenti privati, ed il "training" dei nuovi candidati continuò senza interruzione. La nostra situazione e le nostre condizioni erano simili a quelle vigenti in Ungheria. Il campo comunista venne chiuso e gli analisti cechi erano soliti addirittura aiutare nel 'training' qualche collega proveniente da Varsavia negli anni '60, '70 e persino '80. Alcuni colleghi polacchi ottennero quella che oggi chiamiamo una "shuttle analysis" (un'analisi concentrata in tempi brevi) o analisi condensata.

Il mondo esterno era diviso in senso verticale dalla Cortina di Ferro che teneva le porte chiuse. La parte totalitaria del mondo era divisa in senso orizzontale in un piano "alto" ufficiale e formale ed in un piano "sotterraneo" non ufficiale, informale che conteneva la maggior parte della vita reale e privata della gente. Il destino della psicoanalisi era quello di esistere per lo più nella realtà sotterranea in cui si collocavano anche le vite private delle persone (un'area più prossima al vero sé). E' innanzitutto questa connessione  tra la psicoanalisi e la vita privata della gente ad avere reso possibile la sopravvivenza e l'evoluzione della psicoanalisi persino in condizioni ideologiche piuttosto sfavorevoli ed in una situazione esterna di oppressione. Dopo la cosiddetta Rivoluzione di Velluto del 1989 il Gruppo Psicoanalitico di Praga divenne ancora il gruppo ufficiale del "piano alto". Ottenemmo presto il riconoscimento di Gruppo di Studio. Siamo stati Società Provvisoria fino al Congresso IPA tenutosi in Cile nel 1999.

Naturalmente, c'era non solo la massiccia influenza della realtà esterna sul movimento psicoanalitico ceco, ma anche una potente influenza esterna sul processo e sul "setting" psicoanalitico. La questione generale era quella del come le condizioni esterne del totalitarismo, caratterizzate dalla presenza di oggetti totalitari, potessero permettere un processo di libere associazioni in psicoanalisi.  Il paziente si sentiva abbastanza sicuro col suo analista, il quale era inevitabilmente una parte della realtà esterna per lui? Gli oggetti totalitari erano solo esterni, o avevano anche la loro esistenza interna? Quanto dovevano il paziente e l'analista negare la realtà totalitaria per poter lavorare insieme all'interno del processo psicoanalitico così complesso? Non ci sono risposte semplici. Certamente le difese del paziente e quelle dell'analista dovevano aiutare a proteggere la sicurezza analitica. Oggi, ci sono molti analisti nel mondo che hanno esperienza del lavoro analitico in condizioni esterne piuttosto sfavorevoli. Il lavoro psicoanalitico in condizioni ideali di non pericolo simili a quelle di laboratorio è un'illusione. Io entrai nella formazione psicoanalitica clandestina all'inizio degli anni '70 quando la realtà politica esterna era divenuta piuttosto repressiva. In realtà ho trovato che la situazione psicoanalitica rappresentava per me l'unico posto sicuro oltre alla mia famiglia. Vidi questo desiderio di sicurezza e di libertà in uno spazio sicuro (lo spazio per dispiegare il vero sé) più tardi nei miei pazienti quando iniziai a lavorare come analista in clandestinità. Era la presenza di una qualche fiducia di base nei pazienti, parti affidabili di buoni oggetti genitoriali e diniego del pericolo esterno, ad aiutare, tra gli altri fattori, a mantenere l'alleanza di lavoro. C'era un desiderio perché le porte dell'analista fossero una porta sicura per entrare nel mondo della riservatezza e della libertà. E, davvero, nessun analista ceco è stato mai denunciato da alcun paziente alle autorità totalitarie sebbene alcuni pazienti mostrassero i loro sentimenti minacciosi nei confronti dei loro analisti nel flusso del processo analitico. Ma c'era spesso una non espressa percezione nell'analista e nel paziente che vivessero su una nave col nemico ovunque fuori. Questa realtà e questa proiezione condivisa poteva essere allo stesso tempo in alcuni casi una zavorra per l'analisi vera e propria degli impulsi aggressivi del paziente. In breve, le porte tra la realtà sotterranea ed il piano superiore erano tenute chiuse.

Scoprii solo in seguito - nella mia pratica post-totalitaria - gli oggetti totalitari interni posti in differenti parti della psiche (Sebek, 1996, 1998). Naturalmente, il processo inconscio di internalizzazione aveva compiuto il suo lavoro durante 40 anni di regime comunista. Tale oggetto divenne un ostacolo maggiore dello stesso pericolo esterno. Quando questo oggetto era collocato più nell'io, il paziente era tormentato di più dalle credenze totalitarie nel proprio comportamento con gli altri. Quando era più posto nel Super-io, il paziente aveva la tendenza ad essere crudele e sadico con se stesso. Quando l'oggetto totalitario era proiettato all'esterno, l'atmosfera paranoidea inondava il transfert ed il paziente per lo più poteva mostrare solo la parte falsa di se stesso. L'analista poteva avere gli stessi problemi nell'essere più manipolativo, meno paziente, troppo ansioso o meno sicuro.

C'era anche l'influenza della realtà esterna sui confini del "setting" psicoanalitico. Nessun analista nel mondo sotterraneo ceco poteva lavorare come analista a tempo pieno. La loro pratica analitica era per lo più una segreta appendice del lavoro nel servizio pubblico di salute mentale (psichiatrico o psicologico, ambulatoriale o ospedaliero) oppure era praticata a casa dell'analista, in genere in una stanza con più funzioni che non il solo trattare i pazienti. C'era anche una certa instabilità negli orari poiché si supponeva che gli analisti dessero priorità al loro lavoro nel servizio pubblico prima che potessero dedicare il proprio tempo libero ai pazienti in analisi. L'analista non era capace di proteggere delle sedute dall'impatto esterno di diversi elementi dato che non c'era alcunché che assomigliasse ad una seduta analitica ufficiale. Quando l'impatto esterno era troppo grande, la seduta doveva essere interrotta, ma piccole distorsioni venivano prese in seduta come materiale di ulteriore analisi, come ad esempio rumori da altre stanze se la seduta aveva luogo, come accadeva di solito, in un piccolo appartamento privato, o anche occasionali chiamate telefoniche a cui si doveva rispondere. Era anche difficile stabilire un contratto buono e affidabile con il paziente; le condizioni sotterranee non erano molto adatte, ad esempio, per stabilire la regola del pagamento per le sedute perse.

 

 

 

 
 
 

Lascerò ora questo resoconto storico che ritengo sia sufficiente per illustrare il modo in cui il tema della realtà esterna era ed è così importante per gli analisti cechi. Purtroppo, l' importanza della realtà esterna non dice un granché del concetto della realtà esterna. Facilmente diveniamo confusi se gli aspetti epistemologici sono definiti in modo impreciso. Ad esempio, se crediamo che la psicoanalisi possa soddisfare i criteri della scienza odierna, in modo più o meno tacito implichiamo il fatto che stiamo usando la situazione clinica come la realtà esterna, come l'oggetto delle nostre osservazioni; ed inferiamo le nostre ipotesi teoriche da queste osservazioni, e modifichiamo le nostre teorie in relazione ai nostri cambiamenti nell'interpretazione dei dati osservativi. Questo è ciò che ha fatto Freud quando, ad esempio, abbandonò la teoria della seduzione come causa della nevrosi. La teoria della seduzione era importante come teoria della realtà sociale esterna, sebbene limitata riguardo al campo patologico.

A questo punto sarebbe opportuna una  rassegna dei concetti psicoanalitici riferiti alla realtà esterna: ad esempio, il concetto di Hartmann di "ambiente mediamente prevedibile", o quello di Winnicott di "ambiente facilitante", di "madre sufficientemente buona", ecc..

I concetti psicoanalitici della realtà esterna sono perlopiù limitati agli oggetti primari, dato che crediamo fortemente nell'importanza dei periodi precoci della vita per la formazione della personalità. Sebbene ciò sia solo parzialmente vero, sono convinto che altri oggetti ed altri spazi (possiamo chiamarli oggetti secondari e spazi secondari) siano anch'essi rilevanti. Ad esempio, sappiamo che gli Stati totalitari nel XX secolo hanno cercato di sminuire il ruolo della famiglia nella socializzazione dei bambini. Tali Stati hanno accentrato su di sé molta influenza sull'educazione dei bambini utilizzando a questo proposito gli asili d'infanzia, le scuole e varie istituzioni pubbliche. Purtroppo, un tale lavaggio del cervello ideologico ha avuto qualche successo e, ne sono convinto, fa avuto come conseguenza lo sviluppo infausto di una patologia tipo falso sé nella popolazione interessata da queste pratiche educative. Più concretamente, ciò significa che le persone non possono sviluppare in modo appropriato le proprie identità personali; esse sono rimaste passive, conformiste, ritirate in se stesse, portatrici di un senso di pericolo, tendenti alla dissimulazione quando esposti all'autorità, ecc. Per questa ragione ritengo sia utile descrivere, definire ed anche impiegare qualche altro concetto della realtà esterna. Concetti quali "un mondo diviso", "confini", "porte", "guardiani", "superficiale - sotterraneo" (in inglese: "upper - under ground", nota del Traduttore), e naturalmente la possibilità o l'impossibilità di movimento tra vari spazi, possono essere interessanti per il pensiero psicoanalitico e ci possono essere anche d'aiuto nel vedere meglio ciò che accade nel processo psicoanalitico. Il concetto di oggetto totalitario può costituire l'oggetto primario qualora esso sia rappresentato da un genitore, ma può avere anche la qualità dell'oggetto secondario. Esso può essere il potere statale, che penetra i legami familiari ed anche quelli personali, e distrugge la capacità di pensare, di sviluppare e di esprimere le emozioni. Nella seconda parte del mio contributo esprimerò alcuni miei pensieri sull'oggetto familiare che può essere anche un oggetto secondario, e che è un antidoto molto importante per lo sviluppo della situazione totalitaria. I cosiddetti guardiani (ad es., le autorità di controllo per gli immigrati, i doganieri, i portieri, ma anche altre figure, comitati ed istituzioni responsabili delle decisioni su chi far entrare o meno, ecc.) sono detentori di un potere reale e al contempo magico. La gente può entrare? E come uscire? E ci sono delle "porte" nel trattamento psicoanalitico? Cosa accade con le porte?

Dopo essere approdato negli USA svariati anni fa, dovevo essere identificato come di routine da un ufficiale addetto al controllo degli immigrati. Questi diede un'occhiata al mio passaporto e disse che il tipo di visto che io avevo non era confacente al proposito del mio viaggio che era il soggiorno presso il Centro "Austen Riggs". Egli allora mi chiese cosa significasse "Riggs", poiché il logo di "Riggs" (sulla lettera di invito) non dava alcuna indicazione. Quando risposi che era un "ospedale psicoanalitico", ciò improvvisamente gli permise di diventare informale e sorridente. Mi disse che sua moglie lavorava coi tossicodipendenti, e così egli non ebbe alcuna altra obiezione nei miei confronti e mi lasciò andare. Purtroppo, cinque minuti dopo avevo nuovamente problemi. I doganieri scoprirono nel mio bagaglio una piccola salsiccia e di fronte a me la gettarono nei rifiuti. Nessun cibo del genere era permesso negli USA. Essi mi volevano addebitare una multa di 50 dollari ed io protestai. Quindi, all'improvviso, uno dei doganieri mi chiese se io fossi di Praga, e mi disse che i suoi genitori erano anch'essi di Praga. Quindi mi fece andare senza farmi pagare alcunché.

Questi due episodi, tra loro connessi, si possono interpretare in vari modi, ma sono interessato perlopiù a due aspetti correlati: (1) il processo di cambiamento da un'autorità esterna, formale e potente ad un'altra contenitiva, erotizzante ed informale che è flessibile, ma allo stesso tempo incapace di aderire in modo preciso alle regole ed alle leggi; (2) un desiderio di trovare un'analogia tra gli oggetti interni di una persona ed i suoi oggetti esterni, o anche gli oggetti interni altrui. In breve, un desiderio di trovare oggetti familiari nella realtà esterna. Ma le storie, quando vengono ri-raccontate, hanno certe caratteristiche simili ai sogni. Ad esempio, si può dire che io potevo entrare negli USA perché la moglie di qualcuno, che non avevo mai incontrato, lavorava coi tossicodipendenti. E non pagai la multa poiché i genitori di qualcuno erano vissuti in qualche periodo del passato nella mia stessa città. In più, la mia salsiccia era considerata pericolosa per gli americani. Queste persone si erano salvate grazie al doganiere che la gettò nella spazzatura. Nondimeno, questi processi primari (agiti), al di là del processo della legge, sono una parte importante di identificazione basata sulla separazione di oggetti buoni da quelli cattivi. Per fortuna, fui scelto come oggetto buono da entrambi gli ufficiali della dogana grazie ad una capacità fortuita di rispecchiare o di rappresentare i loro oggetti buoni. La mia salsiccia secca, essendo per definizione l'oggetto cattivo, finì la sua esistenza nella pattumiera.

Un analista britannico, Roger Money-Kyrle (1947), che appartiene a quei professionisti del passato che erano anche interessati ai processi sociali, scrisse:

<<Se queste due cose, l'oggetto interno e quello esterno, non corrispondono da vicino, la società diventa per noi qualcosa di altro rispetto agli individui; e se il divario tra di essi è notevole, possiamo abbandonare gli individui per abbracciare delle astrazioni; o piuttosto cerchiamo di controllarli, in una modalità compulsiva ed onnipotente, per dei presunti benefici. In una forma estremizzata, questa mancanza di conformità tra l'oggetto interno e quello esterno porta all'inganno totalitario che il bene dello Stato astratto venga meglio servito sacrificando il bene di tutti i suoi concreti cittadini>> (Money-Kyrle, 1947, p. 204).

Riesaminando entrambe le storielle già menzionate, gli ufficiali che rappresentavano la legge e l'autorità dotata di potere divennero meno oppressivi quando scoprirono qualche analogia tra loro e me, o anche quando trovarono qualcuno dei loro oggetti interni connessi con me (essendo io un oggetto esterno per loro). Questo è anche il modo in cui ogni autorità totalitaria può diventare meno totalitaria. Money-Kyrle indica che crescenti differenze tra oggetti interni ed esterni provocano un'onnipotenza totalitaria ed un controllo compulsivo. Penso che questa sia la componente importante dell'origine di ciò che chiamo l'oggetto totalitario (Sebek, 1996, 1998, 2001) e la situazione totalitaria. Una situazione totalitaria è caratterizzata da un piccolo spazio esterno e da uno interno in cui la porta reale o immaginaria è chiusa. Entrambi i guardiani nelle situazioni prima citate sono in una posizione tale da essere un'autorità formale che mantiene e rappresenta regole e leggi impersonali. Se un individuo non si adatta a queste regole o leggi, può essere arrestato o punito. In questo modo si può sviluppare una situazione totalitaria. Ma entrambi i guardiani erano probabilmente delle figure paterne abbastanza buone, ognuna indipendentemente dall'altra capace di mantenere le regole e le leggi all'interno di un contesto umano familiare, e di astenersi dall'usare il loro potere assoluto per imporre possibili penalità. Ciò si può considerare una normale situazione edipica o post-edipica. Diminuendo il divario tra gli oggetti interni ed esterni, cosa che io vedo come una sorta di erotizzazione dell'intera situazione, queste figure conservano il loro volto umano. Vedo anche in questa situazione una certa creatività: qualcosa di veramente nuovo ed originale venne introdotto nel quadro trovando oggetti familiari a livello della porta tra dentro e fuori. Una capacità di fidarsi gioca un ruolo in parte in questa più indulgente applicazione delle regole. Se questi ufficiali statali avessero avuto paura di avvicinarsi alla mente individuale di coloro che dipendevano da essi, essi avrebbero potuto creare una situazione totalitaria. La situazione totalitaria significherebbe che i rappresentanti del potere non darebbero alcuna possibilità di accettare le menti individuali come individui, e che chiunque con la minima irregolarità nel visto verrebbe respinto, e che ognuno che fosse stato trovato con del cibo pericoloso verrebbe multato. Un certo grado di sfiducia e di paranoia, come espressione di maggiore differenza tra oggetti interni ed esterni, è parte della situazione totalitaria. Il concetto di oggetto totalitario può essere usato per descrivere il potere che blocca il pensiero ed il dialogo, che offre solo soluzioni pre-formate e comandi, e che non permette alcun sostanziale sviluppo, impiegando l'ideologia, di qualsiasi tipo, per la razionalizzazione di azioni sadiche utilizzate per opprimere coloro che sembrano essere differenti. Inoltre, gli oggetti esterni totalitari vogliono anche controllare lo spazio interno delle persone. La paura della vicinanza e la sfiducia operano in una tale situazione. Gli oggetti totalitari sono inconsciamente interiorizzati come gli altri oggetti che vivono nello spazio esterno ed accessibile. I concetti di Money-Kyrle sul divario tra oggetti interni ed esterni indicano indirettamente l'esistenza di un aspetto molto importante per la nostra vita interiore:  c'è una qualche spinta nel trovare nella realtà esterna ciò che consciamente, ed anche inconsciamente, ci aspettiamo, e ciò deriva dagli oggetti interni e dalle loro relazioni. Quando incontriamo un nuovo oggetto esterno, cerchiamo di identificare qualcosa di familiare con noi, che sia scoperto dai processi percettivi o che sia proiettato al di fuori del nostro spazio interno. Un senso di somiglianza può avere una qualità psicotica quando prevalgono i processi proiettivi. Non esagero nel suggerire la possibilità che tutti gli individui in condizioni normali si sforzino di cambiare i loro oggetti esterni per renderli più simili ai loro oggetti interni. Perciò  il mondo esterno rispecchia quello interno, o dà un senso o un significato alla realtà psichica. Il divario tra oggetti esterni ed interni può essere ridotto dal processo di identificazione, e dalle proiezioni ed introiezioni per quanto queste sono parte del processo di identificazione. Così, gli oggetti familiari ci proteggono dalle situazioni totalitarie e hanno un'importante influenza nel regolare l'equilibri tra un individuo e la sua realtà esterna. Per inciso, gli oggetti familiari sono un importante mezzo di sopravvivenza in una società totalitaria, come ad esempio l'avere una rete sociale che si conosca e su cui si possa contare, e che possa anche aiutare. Alcuni divari tra oggetti interni ed esterni sono necessari per la protezione dei confini del sé. I divari quindi sembrano avere una qualità dinamica; inconsciamente monitoriamo e regoliamo questi divari nella nostra vita quotidiana. Insomma, trovare vicinanza con gli oggetti simili è la via più facile per stabilire una relazione significativa, una nuova struttura psichica che si mantiene nella memoria a lungo termine. Può darsi che in qualche futura occasione l'ufficiale addetto all'immigrazione si ricorderà non solo di me attraverso il lavoro di sua moglie coi tossicodipendenti, e che il doganiere potrà ricordarsi non solo di me, ma anche della mia salsiccia a causa dei suoi genitori giunti negli USA da Praga.

Le somiglianze ed i divari tra oggetti esterni ed interni sono onnipresenti nel processo psicoanalitico. Ad esempio, ci sono situazioni in cui avvertiamo che il paziente sia in qualche modo distante da noi, inaccessibile: potremmo persino pensare non analizzabile. Certamente utilizziamo il controllo sulla nostra porta d'ingresso quando cerchiamo di selezionare i pazienti per la psicoanalisi oppure per il "training" psicoanalitico, ma il più delle volte conosciamo fin troppo bene le limitazioni di tutte le prime interviste. L'ampio divario tra l'analista ed il paziente può creare una situazione totalitaria ed una soluzione nel processo psicoanalitico: ad esempio, il terapeuta meno esperto può tentare di spingere il paziente a diventare più "analitico" o a cessare l'analisi; mentre quello più esperto sarebbe in grado di studiare i sentimenti di controtransfert e di scoprire che il paziente distante sta tentando di nascondersi in qualche sotterraneo mentale.

Quando sceglie il terapeuta, qualche paziente lo seleziona unicamente nel sesso opposto oppure, al contrario, solo dello stesso sesso. Così l'analisi già parte come il processo in cui il sesso dell'analista e del paziente sono indicazioni, come a me sembra, del ponte tra due realtà interne, che stanno l'una di fronte all'altra nella relazione delle realtà interne ed esterne (il paziente è esterno all'analista, e l'analista è esterno al paziente). Una paziente pensava di aver scelto me perché si era trovata sempre meglio con gli uomini, cominciando già molto presto con suo padre. In questo modo ella pensava che gli uomini fossero più vicini rispetto alle donne ai suoi oggetti familiari con cui poteva comunicare.

Alcuni pazienti analizzati in una lingua straniera talora riferiscono una distanza o un divario tra il loro mondo interno ed il mondo dell'analista che parla la sua lingua nativa.  Sia l'analista che il paziente sono rinchiusi nei loro rispettivi linguaggi attraverso cui parlano i loro oggetti interni. L'analisi va sempre avanti, anche in queste condizioni, ma non dovremmo confondere le resistenze con le distanze. Le distanze sono distanze. Un paziente mi disse che poteva piangere sul divano solo nella sua lingua originaria. Il suo analista di lingua inglese non capiva. Quando il paziente traduceva il contenuto traumatico in inglese, non riusciva a piangere. Si sentiva distaccato, nonostante il fatto che l'analista gli mostrasse empatia. Il paziente sentiva che c'erano alcune parti della sua esperienza traumatica che non era possibile tradurre. Per impiegare la metafora della porta, c'era una porta del  discorso attraverso cui si può solo portare una quantità limitata di "bagaglio", ed alcune sfumature semantiche non possono essere mai riconosciute e comprese poiché sono impacchettate nel loro specifico linguaggio.

Ci sono altri esempi di divario, che sono parti delle dinamiche del processo psicoanalitico. Quando un paziente entra in seduta, può fare un'osservazione del tipo: <<Lei [l'analista] sembra come se fosse di malumore oggi, o lei è stanco?>> Oppure: <<Lei sembra carino oggi, indossa qualcosa di nuovo?>>  Il paziente talvolta ha ragione, nel qual caso ciò è più percezione che proiezione. Certamente non sembriamo sempre allo stesso modo, ed alcuni pazienti sono estremamente sensibili mentre passano dalla porta al divano. Ancora una volta la questione è se la nostra apparenza combaci o meno con la realtà interna o con la fantasia inconscia del paziente, oppure quale sia il divario tra realtà interna ed esterna. Un piccolo esempio clinico: un paziente mi disse all'inizio della seduta che sembravo stanco. Aveva piuttosto ragione, mi sentivo davvero stanco, ma egli aggiunse che anche lui si sentiva stanco, e suggerì semplicemente di non far nulla in seduta. Fui rapidamente guarito della mia pena e proposi che egli considerasse l'interessante tema del "non fare nulla". Ma egli mi diede una lezione su quanto sia importante tenere in mente la differenza tra proiezione e percezione nel processo analitico. (Non c'è anche un qualche divario tra una vita "normale" e la situazione analitica? Nelle situazioni della vita normale le persone non pensano di proiettare, ma credono di percepire. Nella situazione analitica spesso dimentichiamo che anche i pazienti percepiscono e non solo proiettano).

Gli incontri psicoanalitici ed il lavoro nella diade sono anch'essi fortemente influenzati dalla tendenza a ridurre un divario tra il mondo interno del paziente e quello dell'analista. Quando il paziente ha scoperto che al suo analista piace ascoltare ed analizzare i sogni, egli conosce una delle "porte" attraverso cui entrare nell'analista. Allora l'analista può ricevere abbondanza di sogni, talora troppi. Il concetto di transfert è basilare per comprendere la tendenza del paziente a creare un mondo familiare in psicoanalisi. Potenzialmente, l'analista è capace di farsi carico del ruolo storico ed attuale degli oggetti interni del paziente. Infatti, suppongo che questa tendenza a ridurre il divario tra oggetti interni ed esterni vada oltre ciò che si concepisce essere di solito il transfert, dato che è un aspetto delle normali relazioni quotidiane: ad esempio, la vicinanza della coppia quando ci si riferisce all'identificazione genitale che coinvolge simultanee ed intense identificazioni con il ruolo sessuale proprio di ognuno dei due e con il ruolo complementare dell'oggetto durante il rapporto sessuale. Gli adulti normali hanno una capacità di entrare in un'altra persona e di diventare una sola cosa con essa.

Ci sono molti oggetti familiari nella cultura che entrano nel processo psicoanalitico. Alcuni possono temporaneamente disturbare la terapia: può succedere nella nostra cultura che il paziente non venga alla seduta regolare poiché egli entri in conflitto con un importante incontro di hockey su ghiaccio alle Olimpiadi. Il paziente può rifiutarsi di pagare la seduta mancata perché presume che anche l'analista stesse guardando l'incontro (ognuno - essendo "normale" - lo guarda).

La grande differenza o il grande divario tra oggetti interni ed esterni (o con gli oggetti degli altri) crea una tensione e può portare ad una soluzione totalitaria nelle relazioni sociali. Una tendenza libidica generale a diminuire il divario tra oggetti di individui trovando oggetti familiari è un importante pietra da costruzione in tutte le relazioni umane partendo, probabilmente, dalla nascita. Anche le relazioni psicoanalitiche tra paziente e terapeuta sono caratterizzate dalla convergenza o anche dalla divergenza di relazioni oggettuali, cosa che va oltre il transfert ed il controtransfert nonché la resistenza normalmente intesi.

 

 

 

 

 

 BIBLIOGRAFIA

 

MONEY-KYRLE, R. (1947). Social conflict and the challenge to psychology. In (ed. D. Meltzer with E. O´Shaughnessy) The Collected Papers of Roger Money-Kyrle, Strathtay, Perthshire: Clunie Press, 1978


SEBEK, M. (1996). Fates of totalitarian objects, Int. Forum Psychoanal., 5, 289-294
---- (1998). Post-totalitarian personality - old internal objects in a new situation. J. Amer. Academy Psychoanal., 26, 295-309
----(2001). Zeit, Raum und Gedachtnis für totalitäre Objekte. In (eds. W. Bohleber & S. Drews) Die Gegenwart der Psychoanalyse - die Psychoanalyse der Gegenwar. Stuttgart: Klett - Cotta, 179-207

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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