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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte
Psychoanalysis applied to Medicine, Pedagogy, Sociology, Literature and Arts

 

 Sede redazionale: Ce.Psi.Di. (Centro Psicoterapia Dinamica "Mauro Mancia"), via Lombardia, 18 - 73100 Lecce   tel. (0039)3386129995 fax  (0039)0832933507

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Direttore Editoriale: Nicole Janigro

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Patrizia Guarnieri (Firenze), Massimo Maisetti (Milano), Livia Marigonda (Venezia), Franca Mazzei (Milano), Salomon Resnik (Paris), Mario Rossi Monti (Firenze), Mario Scarcella (Messina).

Rivista iscritta al n. 978 Registro della Stampa del Tribunale di Lecce

ISSN: 2037-1853

Edizioni Frenis Zero

  Numero 13, anno VII, gennaio 2010

"Malessere delle Culture"

   

"PER UNA PSICOLOGIA GEOPOLITICA CLINICA"

 

  di Françoise  Sironi

 

  Françoise Sironi è laureata in Psicologia Clinica ed in Psicopatologia, Psicoterapeuta e Docente all'Università di Parigi 8.

Foto: Françoise Sironi

E' fondatrice del Centro "Primo Levi" per le vittime di tortura, ma anche fondatrice in Russia di un centro per il trattamento dei disturbi psichiatrici degli ex-soldati reduci dall'Afganistan. E' stata anche direttrice del Centro "Georges Devereux".

In italiano è uscito nel 2001 il suo libro "Vittime e persecutori. Strategie di violenza"(Feltrinelli) e sempre per Feltrinelli è in corso di pubblicazione "Psicopatologia delle violenze collettive".

 

  INTRODUZIONE
 

 

Come scriveva Yehudi Menuhin nel  2000 in suo libro "Un violino per la pace", << Il mondo è a un incrocio pericoloso. Per la prima volta dobbiamo seguire due strade allo stesso tempo. Una di queste strade va verso l'unità, sempre più ampia, più grande, verso la comunità delle nazioni, verso il globale. Mentre  un' altra strada conduce l'essere umano di oggi verso la  propria cultura, i suoi bisogni, la sua dignità, le sue speranze, le sue paure... Vivere insieme e rispettare le nostre differenze è una delle sfide più grandi con cui tutti paesi nel mondo sono messi a confronto in questo nuovo millennio".

 

Questa sfida riguarda anche i clinici (psicologi, psicoanalisti, psichiatri, altri medici, infermieri, ...), gli educatori, gli insegnanti, e gli operatori sociali. I nostri modelli teorici, i nostri interventi non sono mai "culture free". Le sofferenze psichiche dipendono dal contesto storico, politico e sociale. A volte il contesto induce di per  se stesso forme di psicopatologia specifiche. Come distinguere l'influenza del fattore storico e politico nella psicopatologia individuale e collettiva? Come si lavora, durante una psicoterapia o durante i nostri interventi clinici, educativi e sociali, sulla parte collettiva della storia individuale, presente in ciascuno di noi?

 

Più che mai, le tracce della violenza collettiva hanno delle conseguenze visibili, dato l'impatto della  mondializzazione e della circolazione migratoria. Siamo messi a confronto con psicopatologie che risultano direttamente dalle violenze collettive (massacri, tortura, conflitti armati, stupri collettivi, genocidi,...). Siamo anche messi a confronto con sofferenze di tipo reattivo (depressione, ...) con pazienti dell'Occidente, dato l' impatto psicologico dell' autoritarismo democratico nelle società dove il liberalismo totalitario è trionfante.

 

1. CONTESTO ATTUALE DELLA VIOLENZA COLLETTIVA

 

Nel rapporto dell' OMS "Violenza e salute" del 2002, la violenza collettiva è definita come una violenza tra due Stati, una violenza data da gruppi politici organizzati all' interno di uno Stato, o una violenza originata da milizie o gruppi terroristici. Il rapporto menziona il pericolo che costituisce la frequente strumentalizzazione di questo tipo di violenza. Il bersaglio, oggi, è di galvanizzare l'appartenenza a un gruppo specifico: politico, culturale, religioso, economico... .

 

La violenza collettiva è una violenza da gruppo a gruppo. Concerne la tortura, le guerre, i conflitti, i genocidi, lo stupro deliberatamente usato come un' arma di guerra, lo spostamento di popolazioni per motivi politici, la sparizione, ... Queste forme tragiche della storia collettiva costituiscono il campo delle criminalità politica. Producono una sofferenza psichica particolare, una psicopatologia particolare e specifica.

 

Oggi, la maggioranza delle persone colpite dalla violenza collettiva sono persone civili, non militari. Questo fatto è una novità. Uno studio dell' UNICEF del 1986 mostra che durante la Prima guerra mondiale (1915-18) la proporzione dei feriti e dei morti tra la popolazione civile era del 5 %. Cioè, il 95% dei feriti e dei morti erano soldati o militari. Durante la seconda guerra mondiale, la proporzione dei feriti e dei morti tra la popolazione civile era del 50%. Negli anni ottanta la proporzione dei feriti e dei morti tra la popolazione civile era del 90%. Cioè, "solo"  il 10% dei feriti e dei morti era dato da soldati o militari.

 

Questa cifra del 90%, di civili feriti o morti, è del 1986. Oggi le cose sono sicuramente ancora peggiori, visto che la natura dei conflitti è cambiata. La maggioranza dei conflitti nel mondo non è più data da conflitti armati tra un esercito di un Paese e quello di un altro, ma  da conflitti tra gruppi, conflitti con strategie mondiali, dove la dimensione geopolitica  è centrale.

 

2. GEOPOLITICA E PSICOLOGIA GEOPOLITICA CLINICA

 

L'oggetto della geopolitica riguarda l'apparizione di nuovi Stati, le rivendicazioni di indipendenza, il tracciato e l'analisi di nuovi confini. La geopolitica tratta anche della scomparsa di popoli e di nazioni, dei conflitti territoriali, e della espansione di nuove ideologie politiche, economiche o religiose. La geopolitica concerne anche i problemi politici all'interno di uno Stato, e le rivendicazioni territoriali, culturali e religiosi che nascono  all' interno di esso, a livello pan-nazionale o pan-regionale. Insomma, la caratteristica principale dell'oggetto geopolitico è di essere mutevole.

 

Storicamente, la geopolitica era vietata nel 1945. Importava allora alle nazioni dei due blocchi (Est e Ovest)  non indebolire la difficile e nascente unità all' interno dei due blocchi. È dopo il 1985 che la geopolitica ha avuto lo slancio più importante della sua storia. Dopo la "perestroïka", la geopolitica è diventata sinonimo di una nuova maniera di pensare il mondo.

 

Nella pratica clinica l'approccio geopolitico significa prendere in conto, lavorare clinicamente e concretamente coll' impatto normale o patogeno della storia collettiva sulla storia individuale(6). La psicologia geopolitica clinica concerne l'apparizione di nuove e interessanti problematiche identitarie, come quelle dei meticci culturali per esempio, all'interfaccia tra diversi mondi, epoche, e culture. La psicologia geopolitica clinica analizza le conseguenze cliniche dei ripiegamenti culturali difensivi, e dei malintesi culturali dati  dalla mondializzazione.

 

La geopolitica clinica concerne anche l'impatto del liberalismo totalitario sulla psicologia delle persone messe a confronto con sofferenze da lavoro. Le epidemie di depressione di tipo esistenziale sono scongiurate con massiccie prescrizioni anti-depressive, per nascondere l'origine politica e sociale di questa sofferenza da lavoro. In Giappone, il "karoshi", la morte improvvisa  data da un eccesso di lavoro e di stress, è endemico. In Francia, i suicidi sul posto di lavoro diventano preoccupanti.

 

Come integrare questi fatti nel lavoro terapeutico? Non si possono eludere le tracce della storia collettiva nel lavoro terapeutico. Altrimenti, prendiamo il rischio di indurre una psicopatologia iatrogena, data dal cattivo trattamento ("mal-trattamento") indotto da teorie e pratiche cliniche inadeguate(7).

 

3. INTEGRARE LE TRACCE DELLA STORIA COLLETTIVA NELLA STORIA INDIVIDUALE

 

La storia collettiva lascia due tipi di traccia, in ciascuno di noi :

- O il contenuto della storia collettiva si articola, in  maniera diversa, con i contenuti propriamente soggettivi della storia individuale.

- O gli avvenimenti della storia collettiva rimangono sospesi, come un precipitato chimico, che non è metabolizzabile con le rappresentazioni, con gli affetti, con le memorie della storia individuale intra-psichica. Siamo nella dimensione traumatica della traccia lasciata dalla storia collettiva. In questo caso, il politico, la storia collettiva produce  psicopatologia individuale, anche visibile a livello collettivo.

 

L'esempio del Cambogia, oggi, è molto eloquente. La presenza di una paura collettiva generalizzata è molto palpabile. Questa paura si origina nell' impunità e nella presenza di ex-Khmer rossi al governo e nelle istituzioni statali in provincia. Non esiste, in Cambogia, un equivalente di un processo di  "denazificazione" come esisteva in Germania dopo la caduta di Hitler. Oggi, l'esistenza del Tribunale speciale per i Khmer rossi a Phnom Penh cambia le cose. Il processo dei dirigenti e quello di Duch, capo del centro di tortura e di sterminio "S21" è cominciato nell' autunno 2008.

 

Oggi, in Cambogia, la maggioranza della popolazione ha meno di trent'anni. Sono i figli dei sopravissuti al genocidio (2 milioni di morti su 7 milioni, per un periodo di tre anni e mezzo, tra 1975 e 1979). Esiste in questo Paese un alto livello di incidenti  stradali. I giovani sono le principali vittime. Uno dei fattori esplicativi è il peso della storia collettiva. Questi giovani sono i figli dei sopravvissuti e dei partecipanti al regime politico dei Khmer rossi. Al tempo della generazione dei loro genitori si cercava di costruire un "uomo nuovo", con una psicologia "rivoluzionaria". Ogni aspetto della vita individuale e collettiva era regolamentato. Oggi, l'alto livello di trasgressione dalle regole collettive di vita si può capire come una formazione reattiva inconscia rispetto alla ossessività della vita durante il regime  dei Khmer rossi. La dimensione trasgressiva dagli interdetti è anche visibile attraverso la corruzione, e il desiderio frenetico di arricchirsi senza limiti è la legge.  Le persone di alto livello di integrità sono morte all'epoca dei Khmer rossi. Chi sopravviveva? "Cavarsela" era la regola. La descrizione, fatta da Primo Levi, della psicologia particolare della "zona  grigia" è di molto aiuto per capire la psicologia delle violenze politiche in Cambogia oggi (2). Essa concerne ciò che è aldilà del bene e del male, quando i persecutori fanno anche il bene, e quando le vittime fanno anche il male, in un contesto politico violento, estremo.

  Foto: Primo Levi

 

4. PSICOPATOLOGIE SPECIFICHE INDOTTE DALLA VIOLENZA COLLETTIVA

 

La psicopatologia che consegue alla violenza collettiva non è riducibile alla psicopatologia ordinaria. Non si origina necessariamente nei conflitti della piccola infanzia. Si origina nelle ferite della storia collettiva.  Non faccio il processo al concetto freudiano della pulsione di morte, e nemmeno alcuna critica sul postulato della sua presenza in ciascuno di noi. Cerco di capire il meccanismo della strumentalizzazione della violenza collettiva, perchè si tratta di violenze deliberatamente pensate, organizzate da sistemi politici persecutori, o da sistemi economici basati su metodi di "management fascisteggiante".

 

Gli attrezzi della criminalità politica che organizzano, preparano, nutrono il fuoco della violenza collettiva sono le emozioni politiche. Una emozione politica è una emozione che produce, induce un atteggiamento, pensiero, impegno politico, o un' azione politica. Ma una emozione politica è anche una emozione prodotta, indotta dal politico. Le emozioni politiche sono individuali o collettive. Risultano dalla strumentalizzazione della umiliazione (narcisistica, sociale, culturale,...), del rancore, del desiderio di vendetta, della la paura e dello spavento, della colera, della tristezza, della vergogna, del rigetto e dell'abbandono (6)(7).

 

In un discorso memorabile fatto a Sarajevo nel 1987, di fronte alla minoranza serba del Kossovo, Slobodan Milosevic è riuscito a galvanizzare la potenzialità guerriera, creando, strumentalizzando emozioni politiche, per costruire il desiderio di vendetta. Non posso qui analizzare tutto il processo di fabbricazione della vendetta, a partire da questo discorso. L'analisi completa  si può leggere altrove (7).

 

La caratteristica principale delle emozioni politiche è che sono facilmente strumentalizzabili. Sono emozioni che nascono nel punto di articolazione tra storia individuale e storia collettiva, in ciascuno di noi. Le vittime di ieri possono diventare i persecutori di oggi o di domani, attraverso la strumentalizzazione di queste emozioni politiche. Rimangono in tanti casi quasi inconscie. Tuttavia, i sistemi politici le usano per le loro strategie di potenza.

 

La violenza collettiva non esisterebbe senza gli autori di violenza. Tante persone che erano tranquille ieri, sono diventate degli assassini, stupratori, persecutori, torturatori oggi. Torturatore non si nasce, torturatore si diventa. Dal 1945 fino ad oggi, tutte le ricerche fatte sulla personalità degli autori di violenze collettive mostrano un' assenza di psicopatologia, una grande capacità di adattamento, ed una grande capacità di ubbidire (1), (3), (4). Questa capacità, questa necessità anche di ubbidire, è basata sulla paura, e su un grande desiderio di essere considerato, amato, valorizzato dai superiori. La figura del capo è messa in una posizione di padre ideale e che ispira timore.

 

In un libro scritto precedentemente ho fatto l'analisi della formazione degli autori di violenze collettive (5). Essa è basata sul modello delle iniziazioni tradizionali, con l'uso di tecniche traumatiche, cioè marcature fisiche e psichiche, e metamorfosi dell' identità attraverso l'organizzazione deliberata di tappe successive. Più recentemente, ho mostrato l'importanza, nel percorso di vita di autori di violenze collettive e dei torturatori, delle esperienze di de-culturizzazione violenta e di a-culturizzazione massiccia (7). La de-culturizzazzione è l'attacco deliberato nei confronti degli oggetti culturali: modo di pensare, oggetti simbolici, rituali,.... L'a-culturizzazione caratterizza le vicissitudini dell'  incontro tra due sistemi culturali diversi. Caratterizza anche i malintesi culturali e la trasformazione dell' identità che accadono all'interfaccia tra culture diverse.

 

Non è facile  uccidere, non è facile  diventare un torturatore, un persecutore, uno stupratore. Per poter torturare, stuprare, uccidere per motivi politici, bisogna prima disumanizzare la vittima. La disumanizzazione della vittima presuppone la disumanizzazione anteriore del persecutore, dell' autore di violenza collettiva. La sua capacità di empatia deve essere distrutta. L'empatia è la capacità di pensare i pensieri degli altri. E' la capacità di proiettarsi, di mettersi al posto di un altro, di poter sentire gli affetti degli altri. La condizione necessaria per essere empatico è di avere un'identità propria.  Accedere alla percezione dell'alterità  presuppone di avere la coscienza della  propria singolarità. Il torturatore è uno strumento politico che serve a produrre della disumanizzazione. Perciò,  la sua capacità di empatia deve essere  sospesa o distrutta.

 

La violenza collettiva ha delle conseguenze individuali e collettive, fisiche e psicologiche, tanto sulle vittime come su gli autori. L'impatto della violenza collettiva concerne anche i testimoni di violenze collettive. Essi possono a volte essere più traumatizzati delle persone direttamente colpite dalla violenza collettiva.  

 

La struttura soggiacente ai disturbi indotti dalla violenza collettiva è principalmente di natura traumatica: paure collettive, spaventi culturali, esperienze di de-culturizzazione violente o esperienze di a-culturizzazione massiccie.

 

Le forme di psicopatologia che conseguono alle violenze collettive sono diverse. Le nostre ricerche cliniche ci mostrano che la violenza collettiva produce otto forme di disturbi psicopatologici:

 

1. Traumi intenzionali e psicosi traumatiche.

3. Paranoia indotta.

4. Stati schizoidi e schizofrenie indotte dal sistema politico.

5. Depressioni gravi e cicliche.

6. Sofferenza da  lavoro e disturbi psico-somatici.

7. Condotte ossessive.

8. Psicopatologia della normatività.

 

Traumi intenzionali e psicosi traumatiche.

I traumi intenzionali sono traumi deliberatamente indotti da essere umani o da sistemi su altri sistemi o essere umani. L' intenzionalità malevola è centrale nella sofferenza psichica. In casi di disumanizzazione estrema, emerge una forma di trauma con allucinazioni, reviviscenze traumatiche quasi permanenti che diventano deliri di persecuzione o deliri di influenzamento.

 

Paranoie indotte da sistemi politici.

Si verificano quando un Paese intero è sottomesso alla teoria del sospetto generalizzato, della denuncia e  della auto-critica. Emerge allora una fantasia di essere trasparente. Il confine tra "dentro" e "fuori" sparisce. L'adattamento consiste nel diventare paranoico, nel vedere complotti dappertutto. Queste paranoie sono diverse delle paranoie "classiche", perchè spariscono quando la persona cambia il proprio ambiente politico e il proprio Paese.

 

Questo tipo di psicopatologia politica è presente oggi in Iraq, in Birmania, in Cambogia. Rimane ancora presente in Russia, visto che nell' ex-Unione Sovietica la teoria del sospetto generalizzato era una forma di teoria politica e di psicologia collettiva.

 

 

 

Stati schizoidi e schizofrenie indotte dal sistema politico.

Certe schizofrenie si verificano dopo una deprivazione sensoriale totale. Fu il caso del terrorista tedesco Andreas Baader, nel carcere speciale di Stamheim. Oggi, è il caso dei monaci birmani, dopo l'arresto e le torture subite. In questi casi, la autorità politica generalmente nega il legame tra metodi di repressione politica violente e sue conseguenze psicopatologiche. Le mette sul conto di una fragilità psichica anteriore al arresto.

 

Per poter adattarsi a un sistema politico psicotico (cioè che nega la realtà per privilegiare una società ideale), la personalità si "atomizza". Le diverse parti di sé vivono per conto proprio: dare il cambio da una parte, e cercare di non essere distrutto psichicamente dall'altra. Lo "splitting" (scissione mentale) diventa una regola d'oro per sopravvivere psichicamente. Stati di depersonalizzazione, di dissociazione e di confusione dell' identità si verificano in queste situazioni. E' preferibile rinunciare ad avere un' identità  propria per difendersi meglio contro l'annientamento.

 

Depressioni gravi di forma ciclica.

Le depressioni che si verificano a causa dell' ambiente politico sono depressioni esistenziali.  Sono una forma, inconscia, di strategia di resistenza contro un regime politico, una società  o contro una forma di "management" disumanizzante. E' una strategia di rifiuto.

 

Le depressioni dei rifugiati politici sono anch'esse particolari: si verificano o si aggravano nei periodi di "date di compleanno": dell' arresto, della tortura, dell' uscita dal paese di origine, della morte di un parente,...

 

Sofferenze da lavoro e disturbi psico-somatici.

Le sofferenze da lavoro sono forme di psicopatologia che si verificano nei paesi retti da un sistema economico totalitario di tipo neo-liberale. Il "karoshi", descritto prima, è la morte improvvisa nel posto di lavoro. Le cause sono un esaurimento mentale estremo e uno stress che ha superato ogni limite. Disturbi muscolo-scheletrici sono frequenti. Non hanno un'origine fisica, ma psichica, indotta dalla tensione, dall' ansietà, dalla resistenza ad un ambite negativo. L'adattamento al di là delle proprie possibilità diventa patologico e si esprime attraverso il corpo.

 

La dimensione psicosomatica dei disturbi indotti dal fattore politico, economico, collettivo, si esprime anche attraverso la comparsa di cardiopatie, di neoplasie,... Si sviluppano in un periodo in cui la storia collettiva e la storia individuale non possono più essere d'intralcio.

 

Condotte ossessive.

Sono presenti nelle persone che hanno vissuto un lungo periodo in carcere. Il grave processo ossessionante della vita di ogni giorno può essere una traccia, oggi visibile, di adattamento alla vita ossessiva in carcere. E' una resistenza inconscia all' adattamento fuori dal carcere e una manifestazione del senso di colpevolezza. Adattarsi alla vita di fuori significa allora per loro dimenticare questo lungo periodo di vita in carcere. Significa dimenticare i detenuti che non sono ancora usciti o che sono morti in carcere. In questi casi, il lavoro terapeutico consiste nell' agire sulla presenza di un importante senso di colpevolezza, cosciente o inconscio, nell' ex-detenuto.

 

Psicopatologie della normatività

La "normosi" fu descritta dallo psichiatra francese Jacques Vigne, durante gli anni ottanta (8). E' un adattamento costoso o passionale alla norma. E' una ossessione della normatività, della normalità e del bisogno di sicurezza.

 

5. RIPARAZIONE. TRA PSICOTERAPIA E SOCIOTERAPIA.

 

La psicopatologia delle violenze collettive si divide in tre categorie  eziologiche:

 

1. Le psicopatologie che sono una manifestazione della effrazione psichica o della effrazione del sistema culturale protettivo. I traumi e la depressione illustrano questa categoria.

 

2. Le psicopatologie che sono o che conseguono ad un adattamento psichico alla violenza collettiva, alla criminalità politica o a una patologia sociale. Le paranoie come risposta individuale alla teoria del sospetto generalizzato, illustrano questa categoria.

 

3. Le psicopatologie che sono o che conseguono ad una resistenza psichica alla violenza collettiva, alla criminalità politica o a una patologia sociale. Sono principalmente le depressioni che illustrano questa categoria eziologica.

 

Caso per caso, si valuta la riuscita o lo scacco del processo di adattamento o di resistenza. Si analizza anche se la manifestazione psicopatologica di oggi è la traccia attuale di un atteggiamento considerato come "normale" ieri, cioè sotto la repressione politica, o durante le violenze collettive. 

 

Per fare questa archeologia, questa esegesi della psicopatologia delle violenze collettive, si stabilisce e si analizza qual è stato il percorso di vita del paziente. Per questo si può usare uno strumento molto semplice, efficace e ricco da un punto di vista clinico: la costruzione, col paziente, della sua "linea di vita".

 

Due linee si sovrappongano su un foglio:

- Su una scriviamo i dati degli avvenimenti o dei fatti psichici della storia individuale (perdite, decessi, separazioni, nascite, dubbi, crisi esistenziali, vita amorosa, conflitti, malattie, episodi psico-somatici,…)

- Sull'altra scriviamo i dati degli avvenimenti o dei fatti della storia collettiva che hanno colpito o influenzato i pazienti/clienti, e questo non solo in modo cosciente ma anche inconscio. Perciò queste linee di vita sono completate nel corso della psicoterapia, quando emerge un materiale psichico e psico-politico inconscio, e fino ad allora non accessibile nel percorso terapeutico.

 

Anche se le sofferenze conseguenti alla violenza collettiva sono a volte molto gravi (bambini soldati, vittime di tortura, di stupro collettivo,...), non sono una maledizione muta da portare per tutta la vita. Possono essere superate, migliorate, "guarite". Per questo ci vuole un approccio psicoterapeutico adeguato, in cui la dimensione politica, le ferite delle violenze collettive siano veramente prese in considerazione.

 

E' necessario  dare spazio all' analisi di queste violenze politiche, e soprattutto  non interpretare il discorso o il racconto politico dei pazienti/clienti come se fosse una difesa contro l' emergenza di un materiale clinico più intimo. Non si può trattare una vittima o un autore di violenze collettive senza prendere in conto questa dimensione politica. Altrimenti i sintomi traumatici rimangono. Il racconto del paziente/cliente non è una parola di verità. E' la sua verità. Credere al paziente/cliente, accogliere il suo discorso non impedisce il lavoro terapeutico. Al contrario! Significa avere una pratica clinica politicamente impegnata, in cui si tratta di costruire un approccio adeguato alle conseguenze psicopatologiche del fattore politico. E sovente muto, che eppure invade la scena psichica.

 

Durante la psicoterapia si passa ciclicamente dalla dimensione collettiva alla dimensione singolare del sintomo. In questo modo si lavora sul punto di articolazione tra storia collettiva e storia individuale.  Quando i nostri pazienti hanno subito un processo di disumanizzazione, dovuta alla tortura fisica o psichica, è necessario chiudere l'apertura traumatica, l'effrazione psichica, per ri-umanizzare il paziente. Dopo, si lavora col paziente sulla intenzionalità del torturatore, in modo da liberare questo paziente dall' influenza ancora presente e interiorizzata del torturatore. La mobilizzazione di una rabbia feconda contro i persecutori si verifica dopo aver fatto, nella seduta e col paziente, il "processo" al torturatore (5). Questo modo di fare tecnico è necessario soprattutto quando i pazienti vengono da Paesi dove esiste l'impunità per i criminali politici.

 

Il lavoro terapeutico con gli autori di violenze collettive è anch'esso necessario. Si deve "lavarli" dalla violenza collettiva indotta. Altrimenti questa violenza si incista dentro di sè, e si trasforma in violenza coniugale e familiare. Bisogna restaurare la capacità di empatia, di pensare l'alterità e la molteplicità in se stesso, così come negli altri. Per questo si lavora molto sui morti: amici morti duranti i combattimenti, o presenza interiorizzata e influenza attiva dei morti, uccisi dal paziente.

 

Con i militanti politici che fanno dei discorsi molto rigidi bisogna accogliere questi stessi discorsi nelle sedute, per scioglierli cercando.... una donna. Dietro una rigidità ideologica si trova spesso una donna, un amore impossibile, nascosto anche a se stesso.

 

La psicoterapia con gli autori di violenza collettiva,  così come con le vittime, deve inserirsi in una molteplicità terapeutica: approccio psicoterapeutico, medico, sociale, legale, educativo quando necessario. Le condizioni del successo terapeutico dipendono, in questo caso, non tanto dalla qualità di un solo approccio terapeutico, ma dalla qualità di una rete terapeutica che deve essere integrativa. "Integrativa" suppone il rispetto assoluto della specificità di ogni approccio nella rete, il punto comune essendo l'idea che l'oggetto da curare è la violenza politica e i suoi effetti individuali e collettivi.

 

Il lavoro terapeutico non è finito finché il paziente non è capace di affrancarsi dai condizionamenti e dalle catene interiori. Altrimenti la terapia rimane uno strumento di adattamento sociale, e oggi questo modo di fare costituirebbe un pericolo per l'integrità psichica dei nostri pazienti, gia traumatizzati o feriti a causa di motivi politici o collettivi.

 

CONCLUSIONE

 

Come professionisti della salute, siamo i testimoni in prima linea dell'impatto individuale e collettivo della violenza politica. Le tracce della violenza subita,  così come della violenza inferta ad altre persone, non spariscono naturalmente. Per continuare a vivere è necessario, per le vittime come per i persecutori,  rimuovere le ferite mute e i ricordi insopportabili.

 

A livello mondiale, le nostre esperienze cliniche ci mostrano che quando un Paese, un'area regionale passa dalla guerra alla pace, è necessario e urgente  sistematizzare questo difficile passaggio tra una psicologia da tempo di guerra a una psicologia da tempo di pace. Questa transizione non si fa da sola. I nostri nonni e bisnonni l'hanno fatta. Ma a che prezzo? Quello della strumentalizzazione, generazioni dopo generazioni, della vendetta, della strumentalizzazione delle ferite psicologiche, familiari, collettive, inconscie, in modo da poter continuare la storia mondiale della violenza collettiva.

 

Oggi siamo in grado di invertire le logiche della criminalità politica. In diversi contesti geopolitici e culturali, si sviluppano esperienze cliniche specifiche: riti locali e globali di lutto collettivo all' uscita da un genocidio o da un conflitto, vari dispositivi di fabbricazione della pace, processi di riconciliazione, esperienze recenti e perfettibili dei tribunali penali internazionali (Iugoslavia, Ruanda, Liberia, Cambogia, ... ). Centri di riabilitazione per combattenti e autori di violenza collettiva si sviluppano in tutto il mondo, come anche dispositivi tradizionali di cura  locali. I centri di trattamento per vittime di violenze collettive già esistenti giungono a maturità. I pericoli da evitare sono quelli dell' etnocentrismo e della manipolazione politica dei professionisti della salute.

 

Oggi siamo abbastanza numerosi a condividere un approccio realistico, non maltrattante verso le culture e le problematiche specifiche, per agire rispettando una etica di lavoro aperta sulla diversità (politica, sociale, culturale, sessuale,...). Siamo coscienti dell' impatto politico del nostro impegno clinico.

 

"I have a dream" ha detto Martin Luther King. Yehudi Menuhin, già citato all' inizio, aggiunge al sogno di pace di Martin Luther King : "Integrare la dimensione locale e la dimensione globale del mondo di oggi è una strada difficile" .

 

Ciononostante, sono convinta che è precisamente questo il nuovo umanesimo, l'umanesimo di oggi. Un umanesimo rispettoso della diversità culturale, un umanesimo capace di fare da ostacolo al fanatismo politico, religioso e economico.

 

Vorrei dare la parola  finale a questo proverbio africano che mi piace sempre tanto: <<Finché i leoni non avranno i loro storici, le storie di caccia continueranno a magnificare il cacciatore>>.

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE

 

(1) Bettelheim B., Le cœur conscient, Paris, Laffont, 1972.

 

(2) Levi P., Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 1976.

 

(3) Miller A., C'est pour ton bien. Racines de la violence dans l'éducation de l'enfant, Paris, Aubier, 1984.

 

(4) Sereny G., Au fond des ténèbres, Paris, Denoël, 1993.

 

(5) Sironi F., Vittime e persecutori. Strategie di violenza, Milano, Feltrinelli, 2001.

 

(6) Sironi F.,  "Un percorso dall' etnopsichiatria alla psicologia geopolitica clinica", Prospettive Sociali e Sanitarie, 20, 2005.

 

(7) Sironi F., Psychopathologie des violences collectives, Paris, Odile Jacob, 2007. Psicopatologia delle violenze collettive, in corso di pubblicazione in Italia.

 

( 8) Vigne J., Eléments de Psychologie spirituelle, Paris, Albin Michel, 1993.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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