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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività

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   Tempo e spazio come 'forme necessarie del pensiero'

di Kelly Noel-Smith

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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini"

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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Questo saggio è apparso in Free Associations, Vol. 9 Part 3 (n. 51), 2003, pagg. 394-442. Si ringrazia l'"editor" della rivista Robert Young per aver accordato l'autorizzazione alla presente traduzione italiana. La traduzione in italiano è di Giuseppe Leo.

           click here to read this article in english version in "Free Associations"  
Introduzione

 

“O God! I could be bounded in a nut-shell, and count myself a king of infinite space, were it not that I have bad dreams.”

Shakespeare, Hamlet, (1968) 263

 

La mia idea iniziale per questo articolo consisteva nel discutere alcune metafore psicoanalitiche relative allo spazio mentale - la vescicola di Freud, il contenitore di Bion, lo spazio transizionale di Winnicott, i rifugi  psichici di Steiner ed il 'claustrum' di Meltzer - in termini di concetti filosofici dell'essere e del nulla. Intendevo focalizzarmi sull'idea di Sartre secondo cui: "Il nulla sta avvolto su se stesso nel cuore dell'essere - come un verme" (Sartre, 1943, pag. 21) per illustrare il nesso tra il nulla, come stato mentale inconscio in cui spazio e tempo non hanno alcun dominio, e l'essere  che richiede uno spazio psichico esistente in esso.

Iniziai la prima bozza di questo articolo con una citazione  tratta da Al di là del principio di piacere (essa ora fa seguito a questa  introduzione), in cui Freud fa esplicito riferimento alla tesi di Kant secondo cui il tempo e lo spazio sono forme necessarie del pensiero. All'inizio,  focalizzai esclusivamente lo spazio e mancai di considerare la necessità di includere il concetto di tempo nella discussione. Fu solo nel rileggere The snow Queen  di Hans Christian Anderson, a cui ho attinto per far luce sulla necessaria relazione tra un senso interno di contenimento e l'apparato percettivo che lega il nostro mondo interno e quello esterno, che mi resi conto dell'importanza della mia omissione. La conclusione di The snow Queen, in cui particelle di ghiaccio si uniscono per formare la parola "Eternità", mi venne alla mente come una rappresentazione simbolica del ripristinarsi di una capacità di contenimento, cioè di una funzione spaziale, in Kay, il ragazzino congelato nel palazzo della Regina della Neve. Ci volle un po' perché mi accorgessi che l'eternità avesse a che fare col tempo, non con lo spazio la cui forma illimitata è l'infinito, non l'eternità. Fu un momento chiave: mi fece rendere conto che lo spazio ed il tempo non esistono indipendentemente l'uno dall'altro: essi co-esistono, nel modo, non nei modi, in cui noi strutturiamo il nostro mondo. Questa consapevolezza cambiò l'enfasi del mio articolo dall'essere nello spazio all'essere nel tempo.

Il cambiamento di enfasi implicò il guardare al modo in cui la metafora viene usata per descrivere gli stati psichici: sembra che lo spazio sia spesso usato come metafora per altre cose, incluso il tempo, mentre il tempo è raramente utilizzato metaforicamente ma spesso rappresentato metaforicamente. Lo spazio, come metafora per uno spazio interno in cui riflettere ed essere, è un tema che attraversa la religione, la filosofia, la letteratura e la psicoanalisi: le religioni impiegano in modo vario le nozioni di preghiera, di anima, di meditazione e di vita dopo la morte del corpo; il problema perenne della filosofia è come spiegare in modo soddisfacente l'interazione tra mente non corporea e realtà esterna; la letteratura , sia nel momento creativo sia in quello del suo godimento, si serve dello spazio interiore in cui fantasia ed immaginazione possono operare liberamente; la psicoanalisi opera sulla base del fatto che l'associazione libera permette l'accesso indiretto ad uno spazio psichico interno in cui hanno luogo i sogni ed in cui si trova l'inconscio. Abbiamo un forte desiderio di distinguere ciò che è mentale da ciò che è fisico e di collocare la mente in un luogo differente dal mondo corporeo. In breve, sembra che abbiamo un bisogno fondamentale di dare alla mente un proprio spazio metaforico. 

All'epoca in cui Freud scriveva Al di là del principio di piacere, egli aveva concettualizzato molte metafore spaziali per rappresentare le sue ipotesi sull'apparato psichico e le sue componenti, per rappresentare spazialmente le ipotesi strutturali dell'Es, dell'Io e del Super-Io e i concetti topografici di conscio, preconscio ed inconscio.

 
In La Neuropsicosi da Difesa (Freud, 1894), Freud utilizza l'analogia della caverna di Platone per illustrare l'inconscio: non possiamo mai osservare l'inconscio direttamente, ma possiamo solo vedere le sue ombre nei sogni, nei lapsus verbali, nelle battute di spirito e nella nostra cultura. Nell' Interpretazione dei Sogni (Freud, 1900), egli parla dell'apparato mentale che assomiglia ad un microscopio e ad un apparecchio fotografico, analogie spaziali che, infatti, come la retina, forniscono solo rappresentazioni bidimensionali della loro materia, piuttosto che tridimensionali, essendo la dimensione aggiuntiva, secondo me, fornita dalla capacità di pensare nel tempo, di assumere una prospettiva basata sulla possibilità temporale del movimento e del cambiamento.

Mentre le metafore spaziali abbondano nella letteratura psicoanalitica, sono divenuta sempre più consapevole del fatto che il tempo non dà risalto a nessuna cosa allo stesso modo. Quando il concetto di tempo appare, esso è generalmente legato in modo inestricabile allo spazio. Ciò può rappresentare una tendenza a rappresentare delle relazioni temporali mediante degli attributi spaziali. Freud afferma che:

"dove possibile, il lavoro onirico cambia le relazioni temporali in spaziali e le rappresenta come tali. In un sogno, ad esempio, si può vedere una scena tra due persone che sembrano molto piccole e molto lontane, come se uno le stesse vedendo attraverso il lato sbagliato delle lenti  di un binocolo. Qui, sia l'essere piccolo sia la lontananza dello spazio hanno lo stesso significato: ciò che viene significato è la lontananza nel tempo e noi dobbiamo comprendere che la scena proviene dal passato remoto" (Freud, 1933, pag. 55).

Il tempo, piuttosto che fornire una metafora, come fa lo spazio, è spesso rappresentato metaforicamente, e in genere spazialmente. Letteralmente e metaforicamente, è difficile afferrare :

Cosa, allora, è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se desidero spiegarlo a colui che me lo ha chiesto, non lo so".

Sant'Agostino, Le Confessioni, cit. in Russell (1993)

 

Le religioni forniscono varie versioni della Creazione ma tutte le loro narrazioni parlano dell'inizio del tempo e dello spazio in un contesto spaziale. Nella mitologia greca, Caos, il luogo incommensurabile da cui tutto proviene, è talora concepito come il vuoto, talora come un luogo caotico senza significato: è un posto in cui tempo e spazio, come necessari principi organizzatori della mente, non possono operare.

Nella mitologia Indù, la possibilità del tempo e dello spazio è contenuta dentro il primo embrione d'oro. Il Cristianesimo Ortodosso sostiene che Dio creò il mondo dal nulla, e la narrazione di San Giovanni della Creazione inizia con le parole "All'inizio...", suggerendo che, prima dell'inizio, non c'era nulla: né tempo né spazio. "All'" fornisce la prima collocazione spaziale; "inizio" il primo punto di riferimento temporale.

Il pensiero scientifico ha acquisito il fondamentale ruolo del tempo e dello spazio nella nostra comprensione del mondo materiale; si è vista un'evoluzione dai concetti di Newton di tempo e spazio come assoluti, alla posizione di Einstein che ha integrato lo spazio ed il tempo nella sua teoria della relatività che necessariamente include lo spazio, il tempo e la posizione dell'osservatore in entrambi.

Mentre il tempo sembra essere implicitamente rappresentato nelle metafore spaziali psicoanalitiche, esso spesso non viene discusso in maniera esplicita. Persino autori come Matte Blanco (1988), Meltzer (1975, 1982) e Grotstein (1978), che usano analogie geometriche per discutere le dimensioni della mente, non sembrano vedere il pensiero in una dimensione temporale come prerequisito per, e come parte integrale di, un pensiero secondo una dimensione spaziale: Matte Blanco e Meltzer parlano del tempo come una dimensione separata, generalmente la quarta ( in accordo col suo posto nella teoria della relatività); Grotstein parla di dimensioni interne della mente, ma fa uno scarso riferimento esplicito  al tempo.

 

  Foto: I. Matte Blanco

 

Britton, come altro esempio, non fa alcun riferimento al tempo nei due testi in cui discute il concetto di spazio triangolare (Britton, 1989, 1999). Io suggerisco che, senza il tempo, lo spazio triangolare di Britton sarebbe solo un piano bidimensionale a tre lati, non uno spazio tridimensionale. La consapevolezza del legame tra i genitori certamente delimita il contenitore, ma l'aumento da due a tre dimensioni dipende dall'operare del pensiero temporale così come, ed in unione con, il pensiero spaziale.

Sono diventata consapevole nello scrivere questo articolo che, in termini di metafore spaziali che noi  usiamo per discutere sui processi psichici, il tempo è una forma necessaria di pensiero che struttura ed è sottostante a tutti loro.

"Il tempo è, dunque, dato a priori. In esso solo c'è l'attualità delle apparenze del tutto possibili. Le apparenze possono, tutte quante, svanire; ma il tempo (in quanto condizione universale della loro possibilità) non può essere eliminato"   (Kant, 1929, pag. 75).

 

Le rivoluzioni di Freud, Kant e Copernico

 

In Al di là del Principio di Piacere, il lavoro in cui Freud introduce il concetto di istinto di morte, questi scriveva:

"A questo punto mi arrischierò ad accennare per un momento al tema che meriterebbe la più esaustiva delle trattazioni. Come conseguenza di certe scoperte della psicoanalisi, siamo oggi in una posizione tale da poter intraprendere la discussione del teorema kantiano secondo cui il tempo e lo spazio sono 'forme necessarie del pensiero'" (Freud, 1920, pag. 299).

Il teorema di Kant, che tempo e spazio sono 'forme necessarie del pensiero', viene proposto nella Critica della Ragione Pura (Kant, 1787). In essa, egli argomenta in maniera convincente che la conoscenza non si conforma agli oggetti ma al contrario: è il collocare da parte di Kant i principi organizzatori di tempo e di spazio nella mente dell'osservatore a cui Freud fa riferimento in Al di là del Principio di Piacere ed ancora nelle Nuove lezioni introduttive.

Kant si mosse oltre la dicotomia filosofica tradizionale tra razionalismo (per cui, cioè, la conoscenza del mondo si ottiene a priori attraverso l'applicazione della ragione) e l'empirismo ( per cui la conoscenza del mondo deriva a posteriori, dall'esperienza) per arrivare ad una sintesi di entrambe le posizioni. Il mondo esterno è essenzialmente inconoscibile. I suoi contenuti, le cose-in-sé o noumeni, che provocano le nostre sensazioni, sono al di là della conoscenza poiché essi sono al di fuori del tempo e dello spazio. Le nostre percezioni delle cose-in-sé sono, comunque, fenomeni conoscibili, costituenti sia la sensazione che proviene dalla cosa-in-sé sia il suo ordinamento da parte del nostro apparato mentale in relazioni spaziali, temporali e causali.

Il pensiero del tempo, per Kant, è il primario processo di pensiero da cui tutti gli altri dipendono:

"Il tempo è la condizione formale a priori di tutte le apparenze, qualsiasi esse siano. Lo spazio, come pura forma di ogni intuizione esteriore, è a questo punto limitato: esso serve come condizione a priori solo per le apparenze esteriori. Ma poiché tutte le rappresentazioni,  che abbiano per i loro oggetti delle (corrispondenti ) cose esteriori oppure no, appartengono di per sé, in quanto determinazioni della mente, al nostro stato interno; e poiché questo stato interno si trova sotto la condizione formale dell'intuizione interiore, e quindi appartiene al tempo, il tempo è una condizione a priori di tutte le apparenze, qualunque esse siano... Proprio come posso dire a priori che tutte le apparenze esteriori sono nello spazio, e sono determinate a priori in conformità con le relazioni spaziali, posso anche dire, partendo dal principio del senso interiore, che tutte le apparenze, cioè tutti gli oggetti dei sensi, sono nel tempo e necessariamente stanno in relazioni temporali"  (Kant, 1929, pag. 77).

Kant discute la base temporale della possibilità del cambiamento in termini di presenza e di assenza che sarà utilizzata da Bion quasi due secoli dopo:

La concezione di alterazione, e con essa la concezione del moto, in quanto alterazione di luogo, è possibile solo mediante e dentro la rappresentazione del tempo; e se questa rappresentazione non fosse un'intuizione (interiore) a priori , nessun concetto, non importa ciò che potrebbe essere, potrebbe rendere comprensibile la possibilità di un'alterazione, cioé, di una combinazione di predicati opposti in maniera contraddittoria in uno stesso oggetto, per esempio, l'essere ed il non essere di una stessa cosa in uno stesso luogo"  (Kant, 1929, pag. 76) (mia sottolineatura).

Kant propose che, mentre noi non possiamo conoscere le cose-in-sé, i noumeni del mondo esterno, possiamo fare esperienza dei dati sensoriali che provengono dalle cose-in-sé posti in una struttura spazio-temporale di nostra propria formazione: in altre parole, è il modo in cui noi percepiamo le cose che struttura la nostra esperienza di esse. Il tempo e lo spazio sono non 'ciò che è là fuori', ma i processi di pensiero interni per mezzo dei quali noi percepiamo il mondo esterno: senza di essi, qualsiasi sia ciò che la fantasia dello spazio mentale delimitato dal tempo ci dà - un luogo in cui pensare riflessivamente, creativamente, in maniera ludica e da cui trarre una prospettiva - esso scompare.

Io sviluppo il proposito di Kant, per cui tempo e spazio sono forme necessarie del pensiero, lungo tutto questo articolo, ed impiego la sua nozione di pensiero temporale come condizione da cui tutti gli altri processi di pensiero dipendono. Mi chiedo, comunque, se l'assunto di Kant che tempo e spazio, come forme necessarie del pensiero, esista a priori, cioè, prima dell'esperienza del mondo esterno. Suggerisco che le forme temporali e spaziali del pensiero originino come risultato dell'esperienza, non indipendentemente da essa o logicamente prima di essa. Da una prospettiva psicoanalitica, le modalità temporali e spaziali di pensiero sono la prerogativa di un io sano che opera secondo il principio di realtà: l'io si sviluppa come risultato dell'esperienza del mondo esterno. Il pensiero senza spazio né tempo, d'altra parte, costituisce in maniera prevalente gli stati dell'Es sotto il dominio del principio di piacere.

Freud comparava l'Es con il Caos, e contrasta con questo dominio atemporale, che non contiene alcuno spazio per riflettere sul passare del tempo,   la nozione kantiana per cui tempo e spazio sono forme necessarie del pensiero:

"Non c'è nulla nell'Es che possa essere confrontato con la negazione; e noi percepiamo con sorpresa un'eccezione al teorema filosofico che lo spazio ed il tempo sono forme necessarie dei nostri atti mentali. Non c'è nulla nell'Es che corrisponda all'idea del tempo; non c'è riconoscimento del passaggio del tempo, e - cosa che è la più rimarchevole e attende considerazione nel pensiero filosofico - nessuna alterazione nei suoi processi mentali è prodotta dal passaggio del tempo. Gli impulsi di desiderio che non sono mai passati al di là dell'Es, ma anche le impressioni che sono state confinate nell'Es mediante la rimozione, sono virtualmente immortali; dopo il passaggio di decenni essi si comportano come se si fossero appena verificati" (Freud, 1933, pag. 106).

Freud riconosceva che la tipologia di attività mentale che ha luogo nell'inconscio si verifica senza riferimento al tempo: l'inconscio è un luogo atemporale.

"I processi del sistema Ucs (Inconscio) sono atemporali; cioè non sono ordinati temporalmente, né alterati dal passaggio del tempo; non hanno del tutto alcun riferimento al tempo. Il riferimento al tempo è legato, ancora una volta, al lavoro del sistema Cs (Conscio)" (Freud, 1915b, pag. 191).

Le nostre fantasie o "impulsi di desiderio" diventano temporalmente organizzati solo quando sono portati alla coscienza:

"Essi (gli impulsi di desiderio) possono solo essere riconosciuti come appartenenti al passato, possono solo perdere la loro importanza ed essere privati del loro investimento di energia, quando essi sono stati resi consci dal lavoro dell'analisi, ed è su questo che gli effetti terapeutici del trattamento analitico rimangono di non piccola importanza" (Freud, 1933, pag. 106).

Nella loro forma grezza, non filtrata,  sia gli stati inconsci sia le cose-in-sé esteriori sono al di là dello spazio e del tempo; sono inconoscibili:

"Proprio come Kant ci avvertiva di non lasciarci sfuggire il fatto che le nostre percezioni sono soggettivamente condizionate e non devono essere considerate come identiche a ciò che è tuttavia percepito come inconoscibile, così la psicoanalisi ci avverte di non identificare le percezioni (ricevute) per mezzo della coscienza con i processi mentali inconsci che sono l'oggetto. Come il fisico, esso non è necessariamente nella realtà ciò che ci appare essere" (Freud, 1915a).

Gli oggetti della percezione, sia le cose-in-sé del mondo esterno sia i processi fisici dell'inconscio, sono al di là del tempo e dello spazio: la percezione organizza gli stimoli in una struttura temporo-spaziale al di là della quale non possiamo andare. Il pensiero conscio temporale e spaziale è il più prossimo possibile a noi ed è la fantasia onnisciente ed onnipotente a sperare altrimenti. Il tempo e lo spazio sono forme necessarie del pensiero da cui dipende l'Io: per questa ragione Freud riconosceva l'importanza della filosofia di Kant e, come Kant, collegava l'impatto rivoluzionario delle proprie scoperte a quella di Copernico.

 

 

Le rivoluzioni copernicane.

 

Kant dichiarava che le sue idee sullo spazio e sul tempo avevano provocato una rivoluzione copernicana in filosofia; Freud, che fece esplicito riferimento alle idee di Kant sul tempo e lo spazio in Al di là del principio di piacere ed altrove, pensò che la sua introduzione al concetto di inconscio fosse analogamente rivoluzionaria.

Freud suggeriva che le scoperte scientifiche avessero assestato tre colpi al nostro narcisismo. Egli attribuiva il primo colpo, (di ordine) cosmologico, a Copernico, che dimostrò che la terra non è il centro dell'universo; il secondo, (nel campo) biologico, a Darwin, che mostrò che discendiamo dalle scimmie piuttosto che da Dio; ed il terzo, (nel campo) psicologico, a se stesso, con la sua scoperta dell'inconscio.

"L'umana megalomania dovrà soffrire il terzo e più offensivo colpo proveniente dalla ricerca psicologica attuale che cerca di provare all'Io che non è addirittura padrone a casa propria" (Freud, 1930, pag. 326).

Tutti e tre i colpi hanno a che fare con le nostre percezioni del tempo e dello spazio e con la nostra posizione : tutti e tre ci spingono fuori da un'erronea posizione di centralità o superiorità; tutti e tre mi fanno ricordare l'impatto per il bambino edipico della conoscenza della relazione genitoriale che, se riconosciuta, con forza estromette il bambino dalla relazione centrale ed esclusiva che prima aveva pensato di godere con uno, con l'altro o con entrambi i genitori:

"Alla ragazzina piace considerarsi come ciò che il padre ama sopra ogni altra cosa; ma viene il tempo in cui deve subire una dura punizione da lui e viene cacciata fuori dal paradiso delle sue vane illusioni. Il ragazzino considera la madre come sua proprietà; ma trova che un giorno lei ha trasferito il suo amore e la sua sollecitudine su un nuovo arrivo" (Freud, 1924b, pag. 315).

Il linguaggio di Freud fa un implicito riferimento ai cambiamenti causati dal tempo: "viene il tempo" e "trova un giorno": le rappresentazioni spaziali di dove il bambino si trova in relazione con i suoi genitori devono essere riorganizzate a causa dei cambiamenti inevitabili prodotti nel mondo esterno dal passare del tempo, cambiamenti che possono essere o riconosciuti oppure negati.

 

 

Tempo, spazio e Io.

 

Mi sembra che ci sono tre modi per affrontare la questione di dove e come tempo e spazio, come forme necessarie del pensiero, originino: il primo, guardando la differenza tra pensieri temporali e spaziali dell'Io, e pensieri atemporali e non spaziali dell'Es; il secondo, guardando al modo in cui tempo e spazio sono rappresentati dentro e per mezzo dell'Io corporeo; ed il  terzo, usando la dimensionalità come mezzo per analizzare la differente qualità del pensiero temporale e spaziale che dipende dai differenti stadi dello sviluppo psicosessuale, e cioè guardando alle dimensioni attraverso le quali l'Io che si sviluppa si rapporta al mondo.

Non sono un matematico o un fisico: la mia comprensione della geometria e della teoria della relatività è scarsa. Sono consapevole che la geometria euclidea, utilizzata da Matte Blanco e da Grotstein in particolare nelle loro discussioni sulla dimensionalità della mente, concepisca il punto di simmetria come mancanza di  dimensione, la linea come ciò che ha una sola dimensione, il piano come ciò che ha due dimensioni e lo spazio-forma come ciò che ne ha tre. La quarta dimensione, introdotta dalla teoria della relatività, è quella del tempo: la quarta dimensione è il continuum spazio-temporale.

Sono arrivata a chiedermi quanto utile sia il concetto di tempo come dimensione separata, nella teoria psicoanalitica, piuttosto che come forma necessaria di pensiero che sottostà a tutte le dimensioni. In altre parole, se dobbiamo rappresentare il tempo in metafore spaziali, come ci sembra, talora in modo involontario, non sarebbe più utile rimanere con le tre dimensioni spaziali, riconoscendo che il tempo sottende tutte loro? Le fantasie ed i sogni di paesaggi ghiacciati o aridi, luoghi di paralisi in cui ogni movimento è temuto, potrebbero allora essere compresi come rappresentazioni della rottura del pensiero temporale, come danno della funzione temporale dell'Io, rappresentate in una modalità spaziale.

Utilizzando solo le tre dimensioni spaziali, ed essendo consapevoli che, in termini psichici, il tempo struttura tutte loro, il punto di simmetria nella dimensione zero potrebbe essere concettualizzato come lo stato atemporale e non spaziale dell'unione indifferenziata, intrauterina con la madre; la linea come uno stato unidimensionale iniziato quando una qualche differenza di stato viene riconosciuta (forse,  penserei con molta probabilità, alla nascita o subito dopo); il piano come lo stato bidimensionale di relazionarsi con un mondo di oggetti parziali nella posizione schizo-paranoide, attraverso le mucose bidimensionali; e la terza dimensione come quella dello spazio triangolare di Britton: un luogo in cui riflettere, integrare l'osservazione e l'esperienza, e cominciare a rapportarsi con l'oggetto intero nella posizione depressiva. Il tempo scorre attraverso ognuna di queste dimensioni psichiche: il movimento ha luogo dentro di esse e tra di esse e questo movimento, o cambiamento, è una proprietà del tempo, non dello spazio.

Ho suggerito in precedenza qualche approccio che si potrebbe adottare per affrontare la questione di come e dove inizino il pensiero temporale e spaziale. L'Io è comune ad ogni approccio ed il tempo e lo spazio, come forme necessarie del pensiero, sono proprietà dell'Io. I capitoli seguenti quindi guardano allo sviluppo dell'Io dalla nascita, che ritengo sia il momento in cui una consapevolezza temporale dell'assenza e presenza inizi per la prima volta. I capitoli sono strutturati con riferimento alle dimensioni spaziali, una forma utilizzata, tra gli altri, da Meltzer, Matte Blanco e Grotstein per descrivere la vita psichica.

  Foto: D. Meltzer

Allo stesso modo delle posizioni schizo-paranoide e depressiva della Klein, comunque non credo che le dimensioni dovrebbero essere viste come stadi separati nello sviluppo, ma come modalità di essere tra cui possiamo muoverci indietro ed avanti.

 

La dimensione zero: la vita prima della nascita dell'Io.

 

La dimensione zero è un luogo di non differenziazione, un punto di totale simmetria con un feto che deve essere soddisfatto nei suoi bisogni ed esistente in uno stato di equilibrio (Grotstein, 1978). Lo stato psicologico associato con questo punto di simmetria, che manca sia dello spazio, a cui si riferisce Grotstein, sia del tempo, a cui egli fa poco riferimento, è quello narcisistico:

"Non c'è differenziazione. Il contenitore dello spazio psichico ed il contenuto sono identici. Esso descrive il dominio del processo primario e dell'esperienza dell'autismo. Non c'è alcuno spazio per manovrare il pensiero" (ibid., pag. 57).

In Introduzione al Narcisismo (Freud, 1914), Freud parla di questo stadio, in cui il soggetto e l'oggetto non sono stati separati: descrive uno stato primordiale di non differenziazione, in cui il bebé è ancora fuso con la madre ed i confini tra Io e non-Io non sono ancora ben stabiliti. Freud suggerisce che, in questo stato di narcisismo primario, il bambino fantastica di essere onnipotente; la fonte di totale soddisfazione dei propri bisogni. E' uno stato che diviene asimmetrico molto rapidamente, dal momento che l'equilibrio del neonato viene disturbato dalla realtà.

La descrizione di William James afferra in modo preciso il probabile impatto della realtà sul neonato:

"Il bebé, assalito da occhi, orecchie, pelle e visceri tutti contemporaneamente, sente tutto ciò come una sola grande affiorante e assordante confusione " (James, 1890).

L'affiorante ed assordante confusione è, secondo il mio suggerimento, il catalizzatore degli esordi del pensiero temporale e spaziale. Lo stato di confusione è uno stato di perdita: assente è lo spazio dentro il corpo della madre, il cordone ombelicale che forniva un costante nutrimento, ed il luogo in cui la respirazione non ha luogo; presente è qualcosa di diverso. In qualsiasi modo venga ciò concettualizzato, la realtà ha fatto intrusione; il fatto che l'esperienza intra-uterina, qualsiasi essa possa essere stata, sia diventata un luogo immaginato di beatitudine, dopo l'intrusione della realtà seguita alla nascita (Segal, 1991), suggerisce l'importanza della perdita fantasmatizzata di quel luogo senza tempo e senza spazio che abitiamo prima che inizi la realtà. Forse la forma dell'inconscio, che è senza tempo e senza spazio, si basa sulla vita uterina in qualche modo. Forse anche l'Io corporeo contiene una rappresentazione dello spazio interno, basata su una fantasia della vita uterina, ed una rappresentazione del tempo, basata sulla fantasia della realtà esterna che all'inizio ha separato il bebé dalla madre. Non costituisce un nesso troppo tenue, io penso, estendere questa idea del tempo attribuito alla realtà esterna per includere una fantasia del padre come qualcuno che impone il tempo al bambino: il padre è, come la realtà esterna, probabile che venga percepito come un oggetto che distanzia il bambino dal luogo fantasmatizzato senza tempo e senza spazio che egli godeva con la madre. Discuterò in seguito questa idea quando tratterò del complesso di Edipo.

La dimensione zero è, suggerisco, uno stato di non esperienza, in cui il pensiero temporale e spaziale non esiste per dare ad essa una struttura. Credo che il concetto filosofico di nulla sia collegato alla dimensione zero: è il verme nella teoria di Sartre: "Il nulla giace raggomitolato nel cuore dell'essere - come un verme" (Sartre, 1943, p. 21) ed il fulmine nero nel romanzo di Golding:

"Sleep is where we touch what is better left unexamined. There the whole of life is bundled up, dwindled. There the carefully hoarded and enjoyed personality, our only treasure and at the same time our only defence must die into the ultimate truth of things, the black lightning that splits and destroys all, the positive unquestionable nothingness.”

William Golding, Pincher Martin, (1956, p. 91).

La vita nella dimensione zero non è, penso, il materiale della memoria conscia: non c'è nulla, perché non c'era alcuna struttura temporale o spaziale al suo posto per pensare su quel tempo e quello spazio, per ricordare; piuttosto, l'idea della dimensione zero è la fantasia di ciò che è stato perso quando la realtà ci ha disturbato (facendo irruzione) nella vita, nella prima dimensione che conduce l'Io nell'esistenza.

 

La prima dimensione: la nascita dell'Io

 

In Al di là del Principio di Piacere (Freud, 1920), Freud pone la questione di come noi gestiamo gli stimoli da cui siamo bombardati dalla nascita, stimoli che distruggono lo stato di simmetria della dimensione zero. Egli introduce l'idea di una vescicola delimitata da un guscio protettivo, una metafora spaziale, per illustrare la primitiva struttura che mettiamo in atto  per dare significato a ciò che altrimenti sarebbero degli stimoli intollerabili a partenza dal mondo esterno. Trovo che la vescicola ed il suo guscio protettivo siano una delle più interessanti metafore spaziali di Freud. E' degno di nota che si tratta di una metafora in cui Freud esplicitamente cerca di rappresentare il tempo in maniera spaziale.

Freud ci chiede di immaginare un organismo nel suo stato più semplice: una "vescicola indifferenziata di una sostanza che sia suscettibile alla stimolazione". Lo stato di non differenziazione dura solo finché non c'è stimolazione: è lo stato della dimensione zero in cui le necessarie modalità temporali e spaziali di pensiero, che ci permettono di dare significato al mondo, non operano. La vescicola  sviluppa un guscio per filtrare gli stimoli del mondo esterno che altrimenti potrebbero sopraffarla, per permettere di sviluppare quelle necessarie modalità temporali e spaziali di pensiero:

"Il piccolo frammento di sostanza vivente è sospeso nel mezzo di un mondo esterno dotato delle più potenti energie; e verrebbe ucciso dalla stimolazione che proviene da queste se non fosse provvisto di un guscio protettivo contro gli stimoli" (Freud, 1920, p. 298).

Freud suggerisce che lo strato più esterno della vescicola, che è senza sosta bombardato da stimoli provenienti dal mondo esterno, diviene "cotto" ed inorganico; mediante la sua morte, comunque, esso fornisce un guscio protettivo che filtra gli stimoli esterni e consente solo ad una parte maneggevole di essi di passare agli strati sottostanti. Freud scrive che la protezione contro gli stimoli esterni è quasi più importante della loro ricezione. Mi sembra che sia l'Io ad essere rappresentato da questa parte "cotta" della vescicola: Freud dice, in uno scritto successivo, che: "E' facile vedere che l'Io è quella parte dell'Es che è stata modificata dalla diretta influenza del mondo esterno" (Freud, 1923, p. 363).

Freud afferma tre importanti caratteristiche sulla natura del guscio:

1. non può operare come una difesa contro gli stimoli interni;

2. esso difende l'organismo dalla realtà attraverso l'organizzazione degli stimoli; e

3. può essere rotto.

Il primo punto, per cui il guscio non può operare come difesa contro gli stimoli interni, implica il guardare all'istinto di morte, uno stimolo interno innato ed intollerabile. Secondo la Klein, esso viene proiettato all'esterno nella prima proiezione, quella che conduce l'Io all'esistenza.

Foto:  M. Klein

Il secondo punto, per cui il guscio difende l'organismo organizzando gli stimoli in porzioni maneggevoli di tempo e di spazio, significa guardare alla crescente capacità dell'Io di affrontare la realtà entro delle modalità temporali e spaziali di pensiero , cosa che aumenta di grado man mano che l'Io cresce sempre più forte. Il terzo punto, secondo cui il guscio può essere rotto, significa guardare a come le modalità temporali e spaziali vengono distrutte quando la struttura dell'Io viene lacerata.

La prima proiezione è il movimento verso la prima dimensione e il contenimento della proiezione influenza in maniera vitale la successiva crescita dimensionale.

 

La proiezione che porta l'Io ad essere

 

Freud afferma che il guscio non può offrire protezione dalla stimolazione che origina dall'interno: dove c'è un grado troppo grande di dispiacere proveniente dall'interno, la proiezione ha luogo, in modo tale che ciò che è spiacevole da essere tenuto dentro viene espulso nel mondo esterno e contro di esso il guscio può allora agire come una difesa:

".... c'è una tendenza a trattare loro [gli 'eccitamenti interni'] come se essi stessero agendo, non dall'interno, ma dall'esterno, in modo tale che sia possibile portare il guscio contro gli stimoli ad operare come mezzo di difesa contro di essi. Questa è l'origine della proiezione, che è destinata a giocare una larga parte nella causazione dei processi patologici"  (Freud, 1920, p. 301).

Ci sono certi stimoli provenienti dall'interno, allora, che sono talmente intollerabili da essere trattati come se provenissero dal mondo esterno. Lo stimolo più intollerabile è quello che Freud scoprì essere l'istinto di morte. Voglio discutere questo in modo più dettagliato, data la riconcettualizzazione dell'istinto di morte da  pulsione a morire (Freud) a minaccia di annichilamento (Klein), a terrore della morte (Bion, 1970).

 

 

L' istinto di morte

 

Il fenomeno clinico della coazione a ripetere; la melanconia - depressione -, che Freud descrisse come 'una pura coltura dell'istinto di morte'; il masochismo; la reazione terapeutica negativa; e lo sfondo del massacro della Prima Guerra Mondiale: insieme, tutte queste cose spinsero Freud a sviluppare questa nozione di istinto di morte. Sebbene Al di là del Principio di Piacere sia il lavoro in cui il concetto di istinto di morte sia presentato in modo specifico, è Introduzione al Narcisismo (Freud, 1914) quello in cui Freud riconfigura la sua metapsicologia in termini di istinti di vita e di morte. E' in questo scritto in cui gli istinti dell'Io, che portano all'auto-conservazione, e gli istinti sessuali, portati a trovare un oggetto mediante cui la loro energia psichica possa essere scaricata,  si fondono in un istinto di vita che Freud invita, in cerca di un equilibrio di dualità, a scoprire la sua controparte, l'istinto di morte. Da questo punto in poi, Freud spiega i fenomeni mentali in termini di fusione e de-fusione di istinti binari: l'Eros, l'istinto di vita, che comprende gli istinti sessuali e di autoconservazione; e l'istinto di morte, che conduce ad un ritorno della vita organica allo stato inanimato:

"Se dobbiamo assumere che ogni cosa muoia per ragioni interne - diviene nuovamente inorganica - allora saremo costretti a dire che 'lo scopo di tutta la vita è la morte' e, guardando indietro, che 'gli oggetti inanimati esistevano prima di quelli viventi'" (Freud, 1911b, p. 311).

Freud prestò attenzione alla natura costruttiva dell'istinto di vita ed alla natura distruttiva di quello di morte:

"Lo scopo del primo di questi istinti di base è di stabilire unità più grandi e di preservarle - in breve, legarle insieme; lo scopo del secondo è, al contrario, di disfare le connessioni e così distruggere le cose" (Freud, 1940b, p. 379).

Nella sua forma più nociva, quando è rivolta all'interno, la presenza crescente dell'istinto di morte distrugge la capacità di pensare nel tempo e nello spazio. Discuterò questo nel capitolo finale.

L'idea dell'innato istinto di morte come stimolo intollerabile, e proiettato al di fuori nella forma dell'aggressione, fu  un'idea successivamente ripresa dalla Klein e dagli analisti kleiniani. La Klein collegò l'istinto di morte all'invidia come parte dell'innata distruttività umana ed elaborò il ruolo di essa sotto forma di attacchi invidiosi. La Klein suggerisce che, dalla nascita, siamo dominati da timori di annichilamento da parte dell'istinto di morte e che la prima e valida operazione dell'istinto di vita consiste nel proiettare fuori questa paura innata. La Klein estende le idee di Freud in un modo importante nel suo proposito (di dimostrare) che l'Io è chiamato ad essere sulla base, o come risultato, di quella prima proiezione:

"La minaccia di annichilamento da parte dell'istinto di morte è, secondo me - e  differisce dalla posizione di Freud su questo punto - l'angoscia primordiale, ed è l'Io che, al servizio dell'istinto di vita - probabilmente chiamato ad operare dall'istinto di vita - devia in qualche misura quella minaccia al di fuori" (Klein, 1957, p. 190).

 La paura dell'annichilamento mi sembra essere una parte essenziale del processo di movimento da uno stato di nulla ad uno di essere, che dal mancare di uno spazio mentale ne ottiene e ne mantiene uno. Il terrore di annichilamento, e la sua evacuazione, fa luce sul primo spazio metaforico che esiste per l'Io e dal quale lo sviluppo psichico (emotivo ed intellettivo) può cominciare. Il primo stato 'presente' contiene in esso una qualche primitiva coscienza dell'esistenza che non c'era prima e che desidera sopravvivere: penso che ciò sia l'istinto di vita. Il terrore di annichilamento, concettualizzato da Freud come istinto di morte, credo sia un timore di esperire un ritorno a quello stadio di non esistenza che c'era prima della consapevolezza temporale, cioè, un timore di essere temporalmente consapevole dell'assenza del tempo, un terrore di essere nel nulla.

 

Gli esordi del pensiero temporale.
Freud a titolo di prova suggerisce che parte della protezione  offerta dal guscio debba consentire di svilupparsi ad una nozione astratta del tempo, una facoltà delle funzioni dell'Io:

"La nostra idea astratta del tempo sembra essere interamente derivata dal metodo di lavoro del sistema Pcpt-Cs e sembra corrispondere ad una percezione da parte sua di quel metodo di lavoro. Questa modalità di funzionamento può forse costituire un'altra via per ottenere un guscio contro gli stimoli. So che queste affermazioni devono apparire molto oscure, ma devo limitarmi a questi accenni"  (Freud, 1920, p. 300).

Freud non fa alcun riferimento ad una nozione astratta di spazio in evoluzione. Mentre sarebbe in accordo col pensiero di Freud suggerire che l'organizzazione spaziale e l'elaborazione degli stimoli costituiscono un'altra parte della funzione del guscio protettivo, l'attenzione esclusiva di Freud al tempo concorda con la tesi di Kant per cui la strutturazione temporale sottostà a tutti gli altri processi di pensiero.

Freud guarda agli inizi del pensiero temporale in due altri lavori: in  Nota sul Notes Magico (1925a), Freud suggerisce che l'inconscio invia dei "sensori" al mondo esterno, che esso ritira non appena riceve una stimolazione; è da questi sensori che inizia a svilupparsi la nostra nozione astratta di tempo. Questa idea è riaffermata nel lavoro di Freud La negazione (Freud, 1925b), in cui Freud suggerisce che è l'Io che invia i sensori nel mondo esterno. Presumibilmente, il 'pattern' di contatto/ritiro inaugura una comprensione da parte dell'Io del fatto che la sequenza è temporalmente ordinata: i sensori, in termini più umani, possono essere visti operare nell'osservazione di Freud del bambino che gioca al "fort-da" con un rocchetto di cotone (Freud, 1920): il lanciarlo fuori dalla vista impone un'assenza nel mondo esterno, il rocchetto è "andato". Il riavvolgerlo (riportandolo ) sotto lo sguardo sostituisce l'assenza con la presenza: "là". Il gioco è coi concetti di tempo e spazio: il rocchetto è alternativamente qui, e andato via; presente ora ed allora, assente allora ed ora. E' un gioco con il pensiero temporale e spaziale.

E' possibile che il cambiamento della vescicola da uno stato di indifferenziazione ad uno di consapevolezza di una differenza temporale tra ora - la realtà - ed allora - lo stato di non essere della dimensione zero - permetta pensieri primitivi, lineari, pensieri ad una dimensione focalizzati molto su un oggetto con cui il bebé era così da poco tempo unito, pensieri della madre a cui si riferisce Grotstein nel (suo movimento) di avvicinamento sopra e sotto la linea: 

"Non appena il bimbo inizia ad accettare la consapevolezza della separazione, l'esperienza del suo universo diviene quella di una linea (una serie di punti).... L'universo della linea non lascia alcun adito all'ambiguità. C'è una polarizzazione dell'esperienza spaziale. La madre o si sta avvicinando al di sopra della linea o sta andando via sotto la linea....E' un sistema chiuso che dà enfasi alle considerazioni quantitative piuttosto che a quelle qualitative. I pazienti che vivono in questa condizione hanno paura di esprimere i sentimenti per timore di perdere il contenuto del proprio corpo"  (Grotstein, 1978, p. 57).

Il timore della perdita del contenuto corporeo può essere collegato alla paura di perdita dell'Io. Bick, nel suo articolo L'esperienza della pelle nelle relazioni oggettuali precoci, sembra ricollocare la metafora spaziale freudiana della vescicola e del guscio nel corpo del bambino: la vescicola diventa il bambino ed il guscio la sua pelle.

La pelle agisce come il primo e provvisorio confine tra dentro e fuori per il bambino che, nei primi giorni, non sperimenta le parti della sua personalità come legate tutte insieme. Ciò è in accordo con il punto di vista di Freud per cui l'Io è 'la proiezione mentale della superficie del corpo': l'Io è il legame tra dentro e fuori: esso impone una struttura temporale e spaziale agli stimoli ed agisce come un confine. La Bick suggerisce che la pelle funzioni come un contenitore per le parti non integrate del bambino prima che una funzione di contenente venga internalizzata:

"Questa funzione interna di parti contenenti del sé è dipendente inizialmente dall'introiezione di un oggetto esterno esperito come capace di soddisfare questa funzione. In seguito, l'identificazione con questa funzione sostituisce lo stato non integrato e dà origine alla fantasia di spazi interni ed esterni" . (Bick, 1968, p. 484).

Bick conclude che la fantasia di uno spazio interno ed esterno si sviluppa come conseguenza dell'introiezione. In questo stato uni-dimensionale, allora, con la pelle che agisce come contenitore rudimentale, non è sorprendente che Grotstein abbia trovato evidenza del timore della perdita del contenuto corporeo; la dissoluzione dell'Io uni-dimensionale verrebbe rappresentata psichicamente dalla perdita della pelle e da un conseguente svuotamento di ciò che è interno nel vuoto esterno, senza spazio né tempo, della dimensione zero.

 

Introduzione al principio di realtà ed alla prima differenziazione tra interno ed esterno.

 

Secondo Freud, la nostra prima reazione è di  odiare ciò che dalla realtà esterna intrude nella nostra vita:

"L'odio, in quanto a relazione con oggetti, è più antico dell'amore. Esso deriva dal rifiuto primordiale da parte dell'Io narcisistico del mondo esterno con i suoi stimoli pervasivi" (Freud, 1915a, p. 117).

Il diffondersi di stimoli dal mondo esterno e reale interrompe l'operare del principio di piacere, il cui concetto fu introdotto da Freud nell'articolo Precisazioni sui due principi dell'accadere psichico (Freud, 1911b), come processo primario che va verso il piacere e rifugge dal dispiacere. Il sonno, secondo Freud, fornisce un esempio della vita mentale come era prima che la realtà facesse irruzione; un deliberato rifiuto della realtà e la possibilità del soddisfacimento del desiderio attraverso il sogno permette una soddisfazione allucinata.

Il sogno è un processo governato dal principio di piacere e ha luogo senza riferimento al tempo: in esso diamo libero corso alle nostre fantasie inconsce onnipotenti concernenti il tempo:

 "La antica credenza che i sogni rivelino il futuro non è del tutto priva di verità. Rappresentando un desiderio come soddisfatto il sogno certamente ci conduce nel futuro; ma questo futuro, che il sognatore accetta come il suo presente, è stato modellato sulla base della somiglianza del passato da parte dell'indistruttibile desiderio" (Freud, 1900, p. 783).

E' solo quando c'è un fallimento di un soddisfacimento atteso, un'esperienza di assenza del soddisfacimento del desiderio, che l'allucinazione deve essere abbandonata e l'apparato psichico deve protendersi nella realtà esterna: man mano che la realtà progressivamente lede le fantasie di onnipotenza del bebé, questi deve confrontare la conseguente frustrazione all'operare del principio di piacere e decidere se evadere dalla realtà o agire sul mondo esterno per modificarlo. Il principio di realtà, il cui operare tiene conto del mondo reale e della possibilità che le azioni abbiano un impatto su di esso, governa questa funzione dell'Io:

"L'apparato psichico deve decidere di creare una concezione delle circostanze reali nel mondo esterno e di cercare di ottenere una reale modifica di esse. Un nuovo principio di funzionamento mentale viene quindi introdotto; ciò che è stato presentato alla mente non è più ciò che è stato gradevole ma ciò che è stato reale, anche se è accaduto essersi (dimostrato) spiacevole. L'istituirsi del principio di realtà si dimostrò un passo momentaneo"  (Freud, 1911b, p. 36).

In Pulsioni e loro destini (Freud, 1915a) Freud considera la prima distinzione che il bambino è in grado di fare tra il suo mondo interno e quello esterno. Impariamo a distinguere tra gli stimoli che possono essere evitati  grazie all'azione muscolare e quelli che non possono esserlo. I primi, suggerisce Freud, sono compresi come provenienti dal mondo esterno; i secondi, dall'interno. Gli stimoli dall'interno spingono la mente ad agire sugli istinti: un istinto è descritto da Freud come "un rappresentante psichico degli stimoli che originano dall'interno dell'organismo e che raggiungono la mente, come misura  della richiesta fatta alla mente di lavorare in connessione con il corpo". Freud descrive gli istinti come entità che attraversano in entrambi i sensi la "frontiera" tra mente e corpo. Egli afferma:

"La sostanza percettiva dell'organismo vivente avrà perciò trovato nell'efficacia dell'attività muscolare una base per distinguere tra un "fuori" ed un "dentro" (Freud, 1915a, p.115).

La 'sostanza percettiva' che lega il mondo esterno con colui che la percepisce potrebbe essere una delle due cose: Freud non è chiaro, io penso, se la 'sostanza percettiva' sia un organo di senso, ad esempio, l'occhio, che percepisce il mondo - cosa che sarebbe coerente con il suo lavoro del 1911, in cui l'adattamento dell'apparato psichico alla realtà esterna "incrementa l'importanza degli organi di senso diretti verso il mondo esterno e della coscienza legata ad essi" (Freud, 1911b, p.37), - oppure costituisca quella parte dell'Io corporeo attraverso  cui il mettersi in relazione ha luogo in uno degli stadi che Freud discute nei Tre saggi sulla teoria sessuale (Freud, 1905), ad esempio, nello stadio orale, la bocca. Naturalmente, potrebbero essere entrambi: l'occhio, che è il mezzo mediante il quale percepiamo in modalità tri-dimensionale ciò che ci viene presentato in modo bi-dimensionale, è utilizzato dall'Io per cercare l'oggetto al fine di soddisfare lo scopo dell'istinto. All'inizio, l'oggetto cercato è il seno.

 

La seconda dimensione: oggetti parziali, tempo e spazio nella posizione schizo-paranoide

 

"Man mano che lo sviluppo successivo ha luogo, la differenziazione di alcuni oggetti comincia a verificarsi. Questa incipiente differenziazione fa sì che la linea si espanda in un piano. In questa dimensione gli oggetti e le esperienze vengono ritenuti bi-dimensionali, piatti senza profondità.... I pazienti che vivono in questa condizione sembrano mancare di profondità nella loro personalità e non percepiscono la profondità in termini del mondo circostante, e  delle relazioni che incontrano. Convenzionale, improntato a 'cliché' e sterile sono gli attributi delle personalità  che vivono su una superficie piana. La catastrofe si incontra quando si scivola via dal piano e si va verso i margini" (Grotstein, 1978, p.57).

Gli stadi orali e anali, scoperti da Freud, e caratterizzati dalla Klein come costituenti la posizione schizo-paranoide, si riferiscono in modo bi-dimensionale ad oggetti parziali. Durante lo stadio orale, l'oggetto parziale che soddisfa la pulsione della fame è il capezzolo presente o assente che stimola la mucosa delle labbra e della lingua. Nello stadio anale, l'oggetto parziale che soddisfa la pulsione di espellere o ritenere le feci è la massa fecale presente o assente che stimola la mucosa dell'ano. La sequenza di presenza-assenza consente la prosecuzione degli strumenti temporali e spaziali di pensiero, credo, nel 'pattern' o ritmo del qui ed ora (spaziale) e dell'ora ed allora (tempo). La  struttura delle parti del corpo, delle mucose, che sperimentano il "pattern" di presenza-assenza in questa posizione schizo-paranoide, comporta una dimensionalità: una mucosa mi sembra essere una pelle bi-dimensionale mediante la quale entrare in relazione con oggetti parziali bi-dimensionali, mentre il mettersi in relazione con l'oggetto totale contiene in sé l'idea di una terza dimensione.

La relazione del bambino col seno materno, l'oggetto parziale a cui si relaziona il bebé in questa precoce posizione schizo-paranoide, è vitale   per la crescita tanto emotiva quanto intellettuale (L[ove], H[ate] e K[nowledge] di Bion). La Klein si rese conto che l'introiezione di un oggetto buono, tipicamente il seno materno, è una "precondizione per lo sviluppo normale" (Klein, 1928) e Bion, che ampliò le idee della Klein di proiezione ed identificazione proiettiva nel suo concetto di "contenitore/contenuto" (Bion, 1962b) dimostrò che la crescita emotiva dei processi di pensiero non psicotici dipende dall'iniziale e continuativo contenimento delle proiezioni del bambino.

  Foto: W.R. Bion

Nella sua funzione di contenimento, il seno può permettere al bambino di internalizzare il proprio senso di sé come contenitore, vitale per la crescita emotiva; nel ricevere le proiezioni del bambino, il seno limita l'estensione dell'identificazione proiettiva del bambino, prevenendo quel fluire patologico di proiezioni non contenute che Bion collega alla psicosi, e cioè ai processi di pensiero che non sono strutturati spazialmente o temporalmente. In sua assenza, il seno avvia i processi di pensiero del bambino in modo che essi affrontino il concetto di qualcosa che era presente ed ora è assente - il primo pensiero, allora, avrà a che fare sia col tempo sia con lo spazio nell'elaborare la presenza dell'assenza.

 

Contenimento

 

Il contenuto della prima proiezione, che porta l'Io all'esistenza, deve essere sottoposto a contenimento se ciò che è reintroiettato non deve essere esperito, essendo persino più devastante del contenuto della proiezione, e se la proiezione non diviene un processo patologico. La proposta della Klein, per cui la prima proiezione è quella dell'istinto di morte, deve essere considerata nel contesto dell'estensione operata da Bion su questa idea per includere la capacità (fantasmatizzata) di contenimento del recipiente della proiezione.

Bion trasforma il concetto freudiano di istinto di morte in terrore del bambino di morire, e mostra quanto sia vitale per il futuro sviluppo che questa proiezione venga contenuta:

"Lo sviluppo normale ha seguito se la relazione tra il bambino ed il seno permette al bambino di proiettare un sentimento, che è quello di morire dentro la madre, e di reintroiettarlo dopo che il soggiorno nel seno lo ha reso tollerabile per la psiche del bambino. Se la proiezione non è accettata dalla madre, il bambino sente che il suo sentimento che è di morire viene spogliato del significato che ha. Egli quindi reintroietta non un terrore di morire divenuto tollerabile, ma un terrore senza nome" (Bion, 1962a, p. 116).

Bion suggerisce che una madre contenente, capace di reverie materna, può ricevere le proiezioni del suo bambino ed elaborarle per il bambino, che allora sarà capace di reintroiettare le proiezzioni ora detossificate in una modalità più maneggevole.

La reverie materna è descritta da Bion con queste parole:

"quello stato della mente che è aperto alla ricezione di qualsiasi 'oggetto' a partire dall'oggetto amato ed è quindi capace di ricezione delle identificazioni proiettive del bambino che siano sentite dal bambino o buone o cattive. In breve, la reverie è un fattore della funzione alfa della madre" (Bion, 1962, p. 36).

L'emozione è il legame tra la madre e il bambino.

"Contenitore e contenuto sono suscettibili di congiunzione e di pervasione  mediante l'emozione. Quindi congiunti o pervasi o entrambi essi si modificano in un modo solitamente descritto come crescita. Quando disgiunti o privati (denudati) di emozione essi perdono in vitalità, vale a dire, si approssimano agli oggetti inanimati"  (Bion, 1962b, p. 90).

Il processo di denudamento a cui si riferisce Bion consiste in un'eccessiva identificazione proiettiva. L'identificazione proiettiva non è, in se stessa, patologica; è solo quando diviene inflessibile ed irreversibile, attraverso il non contenimento, che essa impoverisce la psiche da cui è stata mandata via e distorce l'oggetto in ciò che è stato proiettato, dipendendo un tale oggetto dalla natura della proiezione, potendo essere o idealizzato o percepito come persecutorio. E' a questo che Bion indirizza la nostra attenzione nel guardare a ciò che differenzia le personalità psicotiche dalle non psicotiche (Bion, 1957). Il non contenimento può condurre alla psicosi, nella misura in cui il fallimento nell'arrestare il sempre crescente fluire delle proiezioni fa sì che la parte dell'apparato psichico che è interessata alla consapevolezza della realtà interna ed esterna, chiamata in causa dalle richieste del principio di realtà ed, in particolare, quella parte coinvolta con la coscienza e legata agli organi di senso, si scinda in minute particelle. Queste vengono allora espulse per penetrare o sommergere i loro oggetti che sono allora esperiti come 'bizzarri'. Questa frammentazione rappresenta la perdita di quella strutturazione che è permessa dall'organizzazione temporale e spaziale.

Il contenimento fornisce al bambino la propria rudimentale funzione contenente. Utilizzando la metafora spaziale di Bion, l'esperienza del contenimento fornisce al bambino un primitivo e fragile contenitore di sé che contiene lo spazio in cui l'incipiente Io, portato ad essere dalla prima proiezione, può svilupparsi. Il non contenimento vede la proiezione ritornare nella forma di 'terrore senza nome', qualcosa che impedisce ai processi creativi di pensiero di svilupparsi in ciò che di strutturante è permesso dagli sforzi delle forme temporali e spaziali di pensiero, e che talora fallisce.

Il contenimento è l'essenza della fase transizionale dalla prima alla seconda dimensione, quella della posizione schizo-paranoide, e quindi a quella della terza dimensione, la posizione depressiva.

Nel suo lavoro, Attacchi al legame, Bion afferma che il fallimento del contenimento porta al disturbo del pensiero:

"Se gli viene negato tale ricorso - o perché la madre è incapace di fungere da magazzino delle sue sensazioni o perché l'odio e l'invidia non permettono al soggetto che la madre eserciti tale funzione - allora ciò che segue è la distruzione del legame tra neonato e seno e una grave compromissione della tendenza alla curiosità, la sola tendenza mediante la quale può forgiarsi ogni ulteriore nozione" (Bion, 1959, p.98).

Questa idea di fallimento del contenimento viene sviluppata da Meltzer e collaboratori in Esplorazioni sull'autismo, in cui essi suggeriscono che un fallimento nella creazione di un'organizzazione tri-dimensionale dello spazio vitale origina laddove:

"L'oggetto materno viene sperimentato come aperto, con orifizi non protetti, privo di sfinteri, aperto alle intemperie così come ai predatori" (Meltzer et al., 1975, p.19).

Essi suggeriscono che la personalità post-autistica sia simile a quella di un bebè nel primo mese di vita: entrambi dipendono da un oggetto per mettere in atto le proprie funzioni dell'Io. I bambini autistici sperimentano "un possesso assoluto di un oggetto che non si può possedere, ricco di qualità in superficie ma privo di sostanza, un oggetto sottilissimo senza un dentro delineato. Ciò produce un fallimento primario della funzione di contenimento dell'oggetto esterno, e quindi di formazione del concetto di Sé come contenitore (ibidem)"

Il fallimento del contenimento, allora, preclude la possibilità di uno spostamento dalla seconda dimensione, quella del piano ("paper-thin"), alla terza, con un conseguente fallimento del pensiero temporale e spaziale. I pensieri nella prima dimensione erano primitivi e lineari (il riferimento di Grotstein al muoversi della madre su e giù dalla linea era illustrativo): nella seconda dimensione, inizia il vero e proprio pensiero, secondo Bion, coll'avere a che fare con pensieri di assenza e presenza, cioè, con la collocazione degli oggetti, incluso il Sé, nel tempo e nello spazio. Per Bion, il pensiero giunge all'esistenza per elaborare pensieri già accumulati nella mente.

 

Pensiero temporale e spaziale nella seconda dimensione.

 

Bion parla del pensiero che giunge all'esistenza per gestire i pensieri, e cioè che i pensieri preesistono al pensiero su di essi. L'assenza del seno è il prototipo del primo pensiero: "niente seno - quindi un pensiero" (Bion, 1970). Il pensiero, che sia o meno psicotico, dipende dal modo con cui il bebé si comporta col seno assente, un concetto che ha a che fare sia con il tempo (il seno non è qui ora) sia con lo spazio (l'assenza dell'oggetto buono è sperimentata in modo concreto). Laddove una preconcezione non si incontra con una realizzazione, ad esempio, quando la preconcezione del seno presente si incontra col seno della madre assente, l'assenza viene esperita come presenza concreta ed un 'non-seno' viene sentito come un oggetto potenzialmente cattivo.

Il passo successivo è cruciale: se il bebé decide di evadere dalla frustrazione causata dall'assenza, il 'pensiero' del non-seno interno diviene qualcosa da evacuare, qualcosa che Bion dice essere ' un cattivo oggetto, indistinguibile da una cosa-in-sé, adatta solo all'evacuazione'. Questa evasione dalla realtà suggerisce il predominio del principio di piacere su quello di realtà e inaugura un processo di identificazione proiettiva eccessiva e patologica.

"Il modello che propongo per tale sviluppo è una psiche che opera secondo il principio per cui l'evacuazione di un seno cattivo è sinonimo di ricevere sostegno da un seno buono. Il risultato finale consiste nel fatto che tutti i pensieri sono trattati come se fossero indistinguibili dai cattivi oggetti interni; l'appropriato meccanismo viene sentito non come un apparato per pensare i pensieri, ma come un apparato per  sbarazzare la psiche dall'accumulo di cattivi oggetti interni. Il punto cruciale sta nella decisione tra cambiamento oppure evasione dalla frustrazione" (Bion, 1962a, p.112).

L'eccessiva identificazione proiettiva evacua quelle parti della psiche che strutturano la realtà in senso temporale e spaziale:  viene cercato un riparo dal collassare delle dimensioni così prodotte.

Meltzer, nella sua descrizione della vita mentale in termini spaziali di compartimenti psichici interni, guarda al rifugio fantasticato all'interno del corpo della madre:

I "mondi" in cui l'esperienza della mente umana ha luogo sono vari, almeno quattro, e fondamentalmente sono: esterno, interno e interno degli oggetti interni ed esterni. A ciò si deve aggiungere, nel caso dei fenomeni schizofrenici, un quinto mondo che è essenzialmente un "non luogo" e, cioè, qualcosa che non ha legami dinamici o strutturali con gli altri quattro (Meltzer, 1992, p. 117).

I rifugi psichici dei pazienti di Meltzer sono ripari all'interno del corpo della madre; seno; vagina; e retto, un posto di "assoluta bellezza in un mondo di oggetti bizzarri"  (Meltzer, 1992, p.191). La collocazione geografica del quinto mondo della schizofrenia è tale che non si può renderne il significato confinandola all'interno di un tempo e di uno spazio: essere in nessun luogo preclude la possibilità del tempo e dello spazio: queste forme necessarie del pensiero non hanno alcun posto nel quinto mondo.

Gli oggetti bizzarri sono i recipienti fantasticati, animati o inanimati, penetrati dalle evacuazioni a cui Bion si riferisce come a missili:

"Se l'intolleranza alla frustrazione è predominante, si fanno  passi in avanti  per evadere dalla percezione della realizzazione degli attacchi distruttivi. Per quanto la preconcezione e la realizzazione siano appaiate, si formano concezioni matematiche, ma esse sono trattate come se fossero indistinguibili dalle cose-in-sé e sono evacuate ad alta velocità come missili per annullare lo spazio. Per quanto spazio e tempo siano percepiti come identici ad un oggetto cattivo che è distrutto, vale a dire, ad un 'non seno', la realizzazione che dovrebbe essere appaiata con la pre-concezione non è disponibile per completare le condizioni necessarie per la formazione di un concetto. La predominanza dell'identificazione proiettiva confonde la distinzione tra sé ed oggetto esterno. Ciò contribuisce all'assenza di una qualsiasi percezione di dualità poiché una tale consapevolezza dipende dal riconoscimento di una distinzione tra soggetto ed oggetto.

La relazione con il tempo mi venne fatta capire in maniera suggestiva da un paziente che disse più e più volte che egli stava sprecando tempo - e continuava a sprecarlo. Lo scopo del paziente era di distruggere il tempo sprecandolo. Le conseguenze sono illustrate nella descrizione in "Alice nel Paese delle Meraviglie" del "Tea Party" del Cappellaio Pazzo - sono sempre le quattro" (Bion, 1962a, p. 113).

Il Tea Party del Cappellaio Pazzo è un tipo di attività caotica. Mi sembra che le conseguenze dell'attacco psichico sul tempo sono meglio illustrate nei sogni dei pazienti discussi da Segal (1997) e da altri, in cui i paesaggi sono ghiacciati o aridi ed in cui il movimento è temuto: in queste metafore spaziali dello spazio psichico, la distruzione del pensiero temporale è rappresentata dalla mancanza di movimento e di cambiamento, entrambi i quali richiedono che abbia  luogo un'idea di tempo. Discuto ciò in maniera più particolareggiata nel contesto dell'attacco dell'istinto di morte sul pensiero temporale e spaziale.

Accostandosi alle idee di Freud in Lutto e Melanconia (Freud, 1917) e nelle Precisazioni sui due principi dell'accadere psichico (Freud, 1911b), sembra che ci siano due modi in cui i successivi pensieri sul seno assente possano essere trattati: il primo dipende da un sempre crescente senso di contenimento interno che consente di riconoscere e di elaborare l'assenza e, cioè, la perdita: la realtà del seno che non è qui, ora, può essere pensata spazialmente e temporalmente, la sua perdita elaborata e può essere intrapresa un'azione per recuperarla. In alternativa, dove c'è un deficit di contenimento, l'assenza del seno continuerà ad essere sentita in maniera concreta come qualcosa di presente, la sua presenza precludendo lo spazio necessario per pensare, accettare ed elaborare la sua perdita. Freud, in Lutto e melanconia, parla di 'economia del dolore mentale' (Freud, 1917): mi sembra che, in assenza di contenimento, il costo dell'elaborazione del lutto del seno assente sia troppo alto da sostenere per il fragile Io, che manca della necessaria capacità di pensiero temporale e spaziale.

Un fallimento nell'incorporare una funzione di contenimento, attraverso un deficit di reverie materna oppure un eccesso di invidia nel bebé, o una combinazione di entrambi, porta ad un fallimento nel negoziare il complesso edipico e quindi nello sviluppo di uno spazio psichico tri-dimensionale, limitato dal tempo. E' un principio cardine del pensiero kleiniano il fatto che la qualità della relazione del bebé col seno, e con la madre, influenzi l'esito del complesso edipico. Laddove la relazione è buona, lo spazio di contenimento già stabilito all'interno del bambino permetterà lo sviluppo della comprensione che la relazione del padre sia con la madre sia con il bebé è di beneficio, e non di detrimento (Bion, 1970). Una delle funzioni di K è di attaccare i legami e, come discuterò nel prossimo capitolo, il raggiungimento dello spazio psichico tri-dimensionale dipende dal riconoscimento del legame più difficile di tutti: quello che esiste tra i genitori e che esclude il bambino. Britton suggerisce che, se un individuo non ha introiettato un sicuro oggetto materno al tempo in cui inizia la consapevolezza della natura della relazione tra i genitori, la situazione edipica viene negata  poichè la sua conoscenza verrà "sentita come capace di iniziare una catastrofe mentale" (Britton, 1989).

 

La terza dimensione: tempo, spazio e complesso edipico

 

"Mentre la simbiosi evolve verso la separazione-individuazione e l'ansia persecutoria si trasforma nell' interesse depressivo della posizione depressiva: il contenitore spaziale della mente ha raggiunto una visione dei suoi oggetti in profondità e con profondità (contenuti). Questo è il dominio della terza dimensione" (Grotstein, 1978, p. 57)

Il capitolo precedente ha sottolineato l'importanza del contenimento per la crescita emotiva ed intellettiva attraverso la crescente dimensionalità del pensiero temporale e spaziale. La evacuazione del terrore della morte in una madre capace di reverie permette al bebé con sentimenti tollerabili di invidia di reintroiettare non solo i contenuti ora gestibili dell'iniziale proiezione, ma anche un'idea di funzione materna di contenimento. Ciò porta ad uno sviluppo dell'internalizzazione di un sicuro senso di sè come contenitore, un precursore necessario per una riuscita negoziazione del complesso edipico. Un riuscito contenimento fornisce una fantasia di spazio psichico; una riuscita negoziazione del complesso edipico integra ciò in prospettiva, un'integrazione che, suggerisco, lega lo spazio col tempo.

Britton suggerisce che il riconoscimento della relazione tra i genitori permetta lo sviluppo di uno 'spazio triangolare', un concetto che egli ha introdotto nel suo lavoro seminariale , Il legame mancante: la sessualità dei genitori nel complesso edipico:

"Il riconoscimento da parte del bambino della relazione dei genitori tra di loro unisce il suo mondo psichico, limitandolo ad un mondo condiviso coi suoi due genitori in cui differenti relazioni oggettuali possono esistere. La chiusura del triangolo edipico grazie al riconoscimento del legame che unisce i genitori fornisce un confine delimitante per il mondo interno. Crea ciò che chiamo uno 'spazio triangolare' - cioè, uno spazio delimitato dalle tre persone della situazione edipica e da tutte le loro relazioni potenziali. Esso comprende, quindi, la possibilità di essere un partecipante in una relazione e di essere osservato da una terza persona come anche l'essere un osservatore di una relazione tra due persone" (Britton, 1989, p. 86).

Un contenimento riuscito, seguito dal riconoscimento della relazione esclusiva tra i genitori, crea questo spazio triangolare, una metafora spaziale di proporzioni, suggerisco, tri-dimensionali. Il riconoscimento della funzione creativa del padre, attraverso la consapevolezza del pene-come-legame (Birksted-Breen, 1996), eleva, suggerisco, il mondo bi-dimensionale della posizione schizo-paranoide, coi suoi primitivi meccanismi di difesa di scissione, idealizzazione ed identificazione proiettiva, al mondo tri-dimensionale della posizione depressiva.

In assenza di contenimento, il triangolo edipico non può essere internalizzato. La natura creativa e produttiva della coppia genitoriale verrà negata e la realtà delle differenze spaziali e temporali tra i sessi e le generazioni evitata mediante le "Illusioni edipiche" (Britton, 1989), 'volgendo un occhio cieco' (Steiner, 1985) ed altre manovre difensive poste all'interno della seconda o prima dimensione. Adoperando la metafora spaziale dei rifugi psichici, Steiner discute lo sviluppo delle organizzazioni patologiche che perpetuano questo rifugiarsi, talora si tratta di luoghi idealizzati, talaltra crudeli in cui la vita è solo sostenuta. La struttura del rifugio psichico rappresenta spazialmente una mancanza di tempo e spazio tri-dimensionale: si tratta di un "mondo narcisistico in cui le differenze tra i sessi e le generazioni non esistono", cosa che mi suggerisce una fantasia di una illimitata dimensione zero.

La fantasia, discussa da Freud nel suo lavoro, Un bambino viene picchiato (Freud, 1919), fornisce un altro esempio di difesa narcisistica contro la conoscenza della relazione tra i genitori che preclude la possibilità dello spazio triangolare tri-dimensionale che Britton suggerisce nasca come risultato della negoziazione del complesso edipico. Non c'è alcun riconoscimento della relazione triangolare tri-dimensionale madre/padre/bambino all'interno della diade bi-dimensionale battuto/battente; nessun riconoscimento in questa fantasia di tempo o spazio. La differenza di tempo e di spazio generazionale tra il padre che percuote  ed il bambino battuto viene negata, come lo è lo possibilità che l'attività tra il genitore ed il bambino giunga ad una conclusione: Un bambino viene picchiato è un continuo tempo presente. In questa fantasia onnipotente, il padre che percuote è sempre presente, la possibilità della sua assenza negata e quindi mai elaborata.

Il raggiungimento delle tre dimensioni della posizione depressiva fornisce la struttura temporale e spaziale entro cui integrare gli oggetti parziali buoni e cattivi e permettere di unire la coppia genitoriale. Fornisce la possibilità di elaborare il lutto per le perdite di due idee onnipotenti ed onniscienti: di una relazione esclusiva con un genitore, e di una relazione esclusiva con il mondo.

Britton ha mostrato che la negoziazione del complesso edipico dipende dall'elaborazione della perdita dell'idea di una relazione esclusiva con un genitore:

"Ho suggerito che è attraverso l'elaborazione del lutto per questa relazione esclusiva perduta che si può realizzare il fatto che il triangolo edipico non significhi la morte di una relazione , ma solo la morte di un'idea di relazione" (Britton, 1989, p. 100).

Suggerisco che le forme tri-dimensionali spaziali e temporali di pensiero nascano quando la perdita dell'idea di una comprensione onnisciente del mondo reale, di conoscere le cose-in-sé attraverso l'equazione simbolica narcisistica con esse, viene riconosciuta ed elaborata.

La presunzione arrogante di onniscienza viene ritenuta da Bion come quella che è manifestata da Edipo. Bion riteneva che il crimine sessuale nel mito di Sofocle fosse "un elemento periferico di una storia in cui il crimine centrale è l'arroganza di Edipo che giura di svelare la verità a qualsiasi costo" (Bion, 1967, p. 86). Lo spostamento alla terza dimensione, alla posizione depressiva, è a spese della fantasia onnipotente ed onnisciente. La presunzione arrogante di poter conoscere realmente il mondo esterno attraverso l'essere esso, mediante la sua incorporazione, deve essere abbandonata e la perdita della possibilità di una comprensione onnisciente del mondo reale, illimitata dai nostri principi organizzatori di tempo e spazio, deve essere elaborata.

L'aspetto temporale aggiuntivo, introdotto dall'internalizzazione del triangolo edipico, è la prospettiva raggiunta attraverso il riconoscimento della relazione tra i genitori da cui si è esclusi, una relazione che si può osservare e da cui si può essere osservati. Questa prospettiva innalza lo spazio psichico (pre-edipico) del bambino da due a tre dimensioni.

Vorrei ora rendere esplicito il legame che io vedo tra il tempo e l'internalizzazione di questa prospettiva. Sant'Agostino suggeriva che la nostra comprensione astratta del tempo ha sempre a che fare col presente. Essa implica una comprensione che gli eventi passati sono accaduti e che quelli futuri non lo sono. Egli dice che c'è:

"un presente di cose passate, un presente di cose presenti, ed un presente di cose future. Il presente delle cose passate è la memoria, il presente delle cose presenti è la vista, ed il presente delle cose future è l'attesa" (Sant'Agostino, Confessioni, op.cit.).

Sant'Agostino usa la vista per descrivere la consapevolezza cosciente del presente. La vista, o introspezione, è quindi legata al pensiero  temporale ed alla prospettiva temporale. Il pensiero temporale è legato, perciò, all'integrazione dell'introspezione con il contenimento, del tempo con lo spazio, nella posizione depressiva delle tre dimensioni.

  Foto: W.R. Bion

Le posizioni di Bion fanno eco a quelle di Sant'Agostino. In Note sulla Memoria e sul Desiderio (Bion, 1967), Bion dice che 'la memoria è il tempo passato del desiderio,  l'anticipazione essendo il tempo futuro'. Per Bion, la memoria ha a che fare con le impressioni sensoriali di ciò che si suppone sia accaduto nel passato; per Sant'Agostino, il 'presente passato' è la memoria: per Bion, il desiderio ha a che fare con le impressioni sensoriali di ciò che ancora non è avvenuto; per Sant'Agostino, l'attesa è il 'presente futuro'. Bion ritiene che la memoria (il presente passato) inganni poiché è influenzata dall'inconscio, ed il desiderio (il presente futuro) distorca il giudizio: entrambi dovrebbero essere 'schivati' nella pratica psicoanalitica. Perciò: "Ogni seduta effettuata dallo psicoanalista non deve avere storia né futuro" (Bion, 1967). Nei termini di Sant'Agostino, la sospensione da parte dell'analista della memoria e del desiderio gli consente  di ottenere la 'vista' - percezione - del presente, e cioè, la prospettiva di operare non ostacolato, per quanto ciò sia possibile, dall'inconscio, di fornire il limite temporale di contenimento dato anche dall'analista.

L'incontro psicoanalitico fornisce al paziente  l'esperienza disturbante di essere un individuo che incarna le capacità  materne e paterne di contenimento e di rifornimento di una prospettiva, di qualcuno che può 'tenere' e 'vedere' il paziente nel tempo e nello spazio. Le capacità interne dell'analista ed il setting esterno della seduta analitica dimostrano la possibilità dell'integrazione delle qualità genitoriali di contenimento e di prospettiva ad un paziente che può non essere a proprio agio con l'idea di essere tenuto o veduto e forse incapace di tollerare la possibilità che quegli attributi  siano incarnati in una sola persona. Ciò è efficacemente espresso da uno dei pazienti di Britton, Miss A., che sperimentò la capacità dell'analista di essere in comunione con se stesso riguardo alla paziente come rappresentazione del rapporto sessuale tra i genitori da cui era stata esclusa (Britton, 1989). Ella gridava: "Ferma questo pensare fottere", dimostrando il suo bisogno di tenere i genitori a distanza, per evitare la catastrofe mentale in cui si sarebbe risolto il riconoscimento del loro arrivare all'orgasmo. La catastrofe era già avvenuta, naturalmente, e questo è un esempio del pensiero senza spazio né tempo per cui viene fantasticato il rifiuto di riconoscere l'unione tra i genitori come mezzo per evitare che essa abbia luogo.

L'analista fornisce uno spazio ininterrotto per il paziente, e delle sedute limitate nel tempo, mediante la stretta osservanza della seduta di cinquanta minuti oppure mediante delle conclusioni 'punteggiate' secondo Lacan.

    Foto: J. Lacan

Il setting, in combinazione con la personalità dell'analista, è quello che fornisce uno spazio temporalmente delimitato in cui si può sviluppare il transfert.

   Foto: D.W. Winnicott

Winnicott paragona il processo analitico al gioco. Il suo concetto di 'spazio potenziale' che può esistere tra madre e bambino, tra analista e paziente, è tri-dimensionale nel senso che il cambiamento (una proprietà del tempo, non dello spazio) può aver luogo al suo interno. Se  un bambino non sa giocare, è a causa di un deficit di questo spazio, ed è compito dell'analista quello di aiutare a creare la terza dimensione nello spazio potenziale che trascenda i confini tra interno ed esterno. Il gioco, come l'analisi, è un'attività creativa , che ha luogo in uno spazio strutturato nel tempo e nello spazio delle tre dimensioni:

"Il carattere essenziale della mia comunicazione consiste nel fatto che il gioco è un'esperienza, sempre un'esperienza creativa, ed è un'esperienza nel continuum spazio-temporale, una forma basilare del vivere" (Winnicott, 1971, p. 50).

Nel setting analitico, prende origine la possibilità dell'internalizzazione dell'esperienza di essere contenuto nello spazio e di essere pensato nel tempo dall'analista, permettendo la possibilità di uno spostamento verso la terza dimensione:

"Lo sconvolgimento emotivo del primo incontro cambia i due partecipanti, che non saranno mai più di nuovo le stesse persone. Credo anche che venga forgiata una nuova entità: emerge una nuova realtà. le due persone non rimangono entità indipendenti. Un'esistenza comune , che non c'era prima, una realtà collettiva appare" (Symington, 1986, p. 30).

Questa realtà collettiva rappresenta, penso, l'emergenza della possibilità della terza dimensione, una consapevolezza della possibilità di integrazione del contenimento e della prospettiva, e quindi la possibilità di raggiungere lo spazio psichico tri-dimensionale. Anna O sentiva l'energia liberata durante la sua 'talking cure' come 'chimney sweeping', una potente espressione simbolica di incremento di spazio psichico permesso dal processo analitico (Freud e Breuer, 1895, p. 83), che suggerisce la sua migliore capacità di tollerare il 'pensare fottere' che Miss A trovò così difficile da accettare.

Se l'internalizzazione del triangolo edipico viene raggiunta, la capacità di pensiero simbolico aumenta man mano che le forme necessarie di pensiero che strutturano il simbolismo, e cioè il tempo e lo spazio, divengono più sicure. Suggerisco che è il pensiero temporale quello che permette lo sviluppo di idee di soggettività ed oggettività, che è stato discusso da Britton in termini di terza posizione da cui si può osservare e quindi essere consapevoli dell'essere osservati, ed in ciò è il tempo, non lo spazio, che contiene entro di sé la possibilità del cambiamento, non solo delle cose che sono diverse oggi rispetto ad allora, cosa che ha connotazioni di passività, ma di cose che sono differenti nel futuro rispetto ad ora, il che implica l'idea di attività, di creatività, e di azioni che hanno un impatto nel mondo esterno. Il pensiero temporale, perciò, include l'idea di avere un impatto sulle altre persone, il che suggerisce che ci sono legami tra la consapevolezza temporale ed una consapevolezza degli altri di avere la stessa consapevolezza, e cioè una consapevolezza delle altre menti.

 

 

Pensiero temporale e spaziale: le sue creazioni nelle differenti dimensioni: da 'O' al terrore senza nome

 

 

And yet, as angels in some bright dreams
Call to the soul when man doth sleep
So some strange thoughts transcend our wonted themes,
And into glory peep.

Henry Vaughan, ‘Silex Scintillans’ 1650

In questo capitolo finale, volgo lo sguardo alle modalità temporali e spaziali di pensiero ed al ruolo dell'istinto di morte nella loro distruzione. Suggerisco che il terrore della morte potrebbe essere un timore della perdita di quella strutturazione che le tipologie temporali e spaziali di pensiero permettono .

   Foto: M. Klein

In precedenza, ho fatto riferimento al suggerimento della Klein secondo cui l'Io è condotto all'esistenza dalla prima proiezione. Bion comprese che il contenuto della proiezione è il terrore da parte del bambino della morte. Il contenimento è essenziale: se esso ha luogo, il bambino può spostarsi dalla prima alla seconda dimensione, quella analoga al piano, grazie al porsi in relazione e, da lì, mediante la negoziazione del complesso edipico, fino allo spazio psichico tri-dimensionale, delimitato dalla funzione temporale della prospettiva. Per coloro che sviluppano un sicuro senso di contenimento, che si muovono verso la terza dimensione delimitata dal tempo, sorge la possibilità di una più sconcertante esperienza della realtà: una versione di essa meno filtrata; una balenante visione del concetto bioniano di 'O'; un luogo più metafisico di quanto lo siano le nostre concezioni lineari e limitate di spazio e tempo può aver luogo. 'O':

"sta per l'assoluta verità dentro e di ogni oggetto; si assume che non possa essere conosciuta da alcun essere umano; si può conoscere qualcosa su di essa, la sua presenza riconosciuta e sentita, ma non può essere conosciuta. Si può essere in accordo con essa. Che essa esista è un essenziale postulato della scienza ma non può essere scoperta da un punto di vista scientifico. Nessuna scoperta psicoanalitica è possibile senza il riconoscimento della sua esistenza" (Bion, 1970, p. 30).

Il non contenimento del terrore della morte proiettato vede il bambino reintroiettare qualcosa di peggiore rispetto alla morte: un 'terrore senza nome'. Il terrore senza nome è un sintomo di mancanza di contenimento in questa fase cruciale e descrive il senso di orrore che genera la possibilità di cadere nel vuoto senza tempo e senza spazio della dimensione zero. E un terrore di fare l'esperienza del nulla.

 

Foto: un quadro di William Blake

 

Blake cattura simbolicamente la devastazione provocata dal ritorno dell'istinto di morte in assenza di contenimento sotto forma di terrore senza nome:

O Rose, thou art sick!
The invisible worm
That flies in the night
In the howling storm
Has found out thy bed
Of crimson joy
And his dark secret love
Does thy life destroy
.”

Blake, (1956) Songs of Innocence and Experience.

'O' ed il 'terrore senza nome' sono facce differenti della stessa medaglia: dipende dalla capacità psichica dell'osservatore il modo con cui essi vengono interpretati: il "genio mistico" secondo Bion, come tutti noi, può essere creativo o nichilistico, dipendendo ciò dalla possibilità di pensare un luogo senza tempo né spazio a partire dalla sicurezza di una struttura temporo-spaziale tri-dimensionale oppure a partire dalla posizione uni-dimensionale di qualcuno le cui fragili fondamenta sono minate dal terrore senza nome.

"The mind is its own place, and in it self
Can make a Heav'n of Hell, a Hell of Heav'n.

Milton (1961): Paradise Lost

La distinzione tra 'O' e terrore senza nome è simile a quella delineata tra il bello ed il sublime da Kant nella Critica del Giudizio Estetico (Kant, 1929). Il senso di armonia che talora percepiamo esistere tra la natura ed i nostri sensi dà origine ad un'intuizione di una 'nostra immaginazione in tutta la sua illimitatezza' e ad un sentimento di bellezza, di 'O' per Bion. In altri momenti, siamo così sopraffatti dall'infinita grandezza del mondo che dobbiamo arrenderci a qualsiasi idea di comprenderlo: l'impossibilità di un 'infinito compreso' dà origine al timore che sia un'intrinseca parte del sublime.

Così come il ritorno dell'istinto di morte in assenza di contenimento, il trauma esterno può aprire una breccia in ciò che abbiamo visto in precedenza essere stato concettualizzato da Freud come  scudo protettivo. La metaforica lacrima nella struttura dell'io così prodotto vede un danno conseguente nell'operare del pensiero temporale e spaziale. Freud vide nei deliri contenenti un comportamento compulsivamente ripetuto una prova dei tentativi di riparazione di un tale danno:

"Un considerevole numero di analisi ci ha insegnato che il delirio si trova come la toppa posta sul luogo dove in origine era apparso uno strappo nella relazione dell'Io rispetto al mondo esterno" (Freud, 1937).

Il tipo di riparazione prodotta dipende, suggerisco io, dal livello di dimensionalità raggiunto al tempo del danno. Quando lo spazio psichico permesso dalla terza dimensione non è stato allora stabilito, in dipendenza della natura degli eventi esterni e della fragilità della struttura del pensiero temporo-spaziale, la realtà e/o l'inconscio possono erompere attraverso la trama dell'Io, inondando l'individuo con stimoli di cui non si dà alcun senso. Un modo per gestire ciò consiste nel cercare di ritornare ad un dominio senza spazio né tempo in cui il mondo reale non può avere alcun impatto. Questo rappresenta la risposta psicotica di Schreber il quale, avendo sperimentato la proiezione della propria catastrofe interna come la 'fine del mondo', continuò a ricostruire il suo mondo senza alcun riferimento al tempo reale e alla sua collocazione spaziale.

  Foto: il Cancelliere Schreber

Freud usa un'altra metafora spaziale per descrivere questo luogo:

"Un chiaro esempio di sistema psichico tagliato fuori dagli stimoli del mondo esterno, e capace di soddisfare persino le sue esigenze nutritive in maniera autistica (per usare il termine di Breuer) , è dato dall'uovo di un uccello con la sua provvista di cibo rinchiusa nel suo guscio" (Freud, 1911b, nota a pié di pagina a p. 37).

Una risposta differente è quella che, piuttosto che cercare di evadere dal mondo reale, cerca di agire su di esso per modificarlo. E' una risposta da parte di un individuo capace di impiegare il pensiero temporale e spaziale della terza dimensione per riflettere sul danno e cercare di evitare che accada di nuovo. Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz e ad altri lager, che alla fine si suicidò, fornisce un commovente esempio di questo tipo di risposta matura.

  Foto: Primo Levi

 Egli ebbe a dire questo del e al popolo tedesco, i cui rappresentanti nazisti inflissero il trauma a Levi ed agli altri:

"Ma non posso dire di capire i Tedeschi: ora, qualcosa che non si può capire costituisce un doloroso vuoto, una puntura, uno stimolo permanente che insiste nell'essere soddisfatto. Spero che questo libro ("Se questo è un uomo") avrà qualche eco in Germania, non solo per ambizione, ma anche perché la natura di questa eco forse renderà possibile per me  capire meglio i Tedeschi, placare questo stimolo" (Levi, 1989, p. 143).

Sia Schreber sia Levi fecero del loro meglio per fronteggiare il trauma. Entrambe le forme di riparazione nei confronti dei loro Io sono state creative e difensive. Il tipo di riparazione di Schreber comunque è consistita nel suo ritiro dal mondo, che egli percepiva, in qualsiasi evento, come destinato a finire; la risposta di Levi fu quella di riconoscere il tempo e lo spazio in cui era accaduto il danno nei suoi confronti, e  degli altri, e di agire in maniera creativa all'interno del tempo e dello spazio - cosa che gli era consentita dalla sua struttura psichica di tre dimensioni - al fine di cercare di evitare che un tale danno si verificasse di nuovo.

 

L'attacco dell'istinto di morte sul pensiero temporale e spaziale 

 

  Foto:  H. Rosenfeld

 

Rosenfeld ha identificato il ruolo dell'istinto di morte nel rimuovere la capacità di pensare in maniera chiara ed il suo legame con le strutture narcisistiche di modalità uni- o bi-dimensionali di pensiero. Egli dice:

"Quando riesaminiamo dei casi clinici caratterizzati da aggressività espulsiva, un derivato dell'istinto di morte, che produce delle reazioni terapeutiche negative, il paziente appare essersi ritirato dal mondo, è incapace di pensare e spesso si sente come narcotizzato... Clinicamente è essenziale aiutare il paziente a trovare ed a salvare la parte sana di sé  da quella posizione intrappolata all'interno della struttura narcisistica psicotica dato che questa parte è il legame essenziale con la relazione oggettuale positiva nei confronti dell'analista e del mondo" (Rosenfeld, 1971, p. 169).

L''incapacità a pensare', a cui si riferisce Rosenfeld, ritengo che rifletta la perdita o la mancanza della struttura spaziale e temporale consentita dal triangolo edipico internalizzato. C'è poca introspezione e poco contenimento. L'istinto di morte opera nel senso di gonfiare ciò che resta dello spazio psichico e  distorce lo spazio ed il tempo come forme necessarie del pensiero.

La Klein suggeriva che, mentre l'istinto di vita potrebbe chiedere il soddisfacimento di un bisogno, l'istinto di morte proverà ad attaccarlo e ad annullarlo. L'elaborazione delle sue idee da parte di Joseph (1982) e di Feldman (2000) suggeriscono che, piuttosto che cercare di uccidere o annichilire un oggetto, che sembra il proposito dell'istinto di morte non ostacolato secondo la formulazione di Freud e della Klein, l'istinto di morte ottiene il soddisfacimento attraverso il danneggiamento e la distruzione insidiosa dell'oggetto con cui un legame è allora mantenuto. Secondo Feldman, la gratificazione non è il risultato della fusione dell'istinto di vita con quello di morte: è parte integrante dello stesso istinto di morte:

"Una precondizione per il soddisfacimento di questa pulsione è la sopravvivenza sia del paziente sia del suo oggetto, ma quest'ultimo dev'essere gravemente impoverito e indebolito: lo scopo sembra essere quello di eliminare, in larga misura ma non completamente, ogni cosa che provochi ammirazione,  dipendenza,  rivalità, e particolarmente invidia" (Feldman, 2000, p. 54).

Suggerisco che lo scopo è quello di rimuovere il tipo di dimensionalità temporale e spaziale che permette la consapevolezza della relazione tra i genitori per mantenere uno spazio psichico uni-dimensionale che opera nell'evitare la discesa nel vuoto senza tempo né spazio della dimensione zero. Ciò è illustrato dai pazienti della Segal (Segal, 1997), che forniscono dei resoconti di sogni di paesaggi devastati, contenenti persone vicine alla morte. Qualsiasi movimento verso queste persone è fonte di terrore: una bilancia di morte è preservata per prevenire la 'illimitata distruttività' che si teme verrebbe ad essere liberata se la bilancia fosse disturbata. Il mondo paralizzato e per sempre morente è quello che è caduto attraverso le diverse dimensioni fino alla linea uni-dimensionale in cui la possibilità di movimento appare pericolosa, probabilmente poiché il punto di atemporalità e di assenza di spazio è tanto vicino. La descrizione della Riviere di un paesaggio interno in cui hanno luogo  gli sforzi 'flebili'  di salvare gli oggetti prossimi alla morte, in cui la vita 'è appesa ad un capello' (Riviere, 1936, p. 314), illustra anch'essa questo terrore del movimento, che, come ho suggerito prima, è una rappresentazione del tempo, non dello spazio. I sogni dei pazienti della Segal e le metafore spaziali della Riviere rappresentano il tempo in termini spaziali ed è possibile vedere in questi sogni e fantasie un pensiero temporale che è distrutto.

 

 

Terrore della morte

 

Meno sono le dimensioni nella struttura temporo-spaziale della mente, più alto è il livello di fantasia onnipotente ed onnisciente nella personalità. Sembrerebbe, quindi, che il terrore della morte è facile che accompagni il narcisismo, in cui le fantasie di questo tipo predominano.

Suggerisco che le elaborazioni da parte di Feldman e degli altri post-kleiniani della linea di pensiero di Freud e della Klein sull'istinto di morte e sul narcisismo gettino una luce sulla questione se il terrore della morte sia di fatto il timore di qualcos'altro, forse peggiore della morte.

"Quando avevo sette anni, incontrai la vera Morte, la Morte Macabra, dappertutto e mai là. Che cos'era? Una persona ed una minaccia. La persona era folle; in quanto alla minaccia, assomigliava a questo: oscure bocche che si potevano aprire in ogni posto, nella chiara luce del giorno o nella luce solare più brillante, e che mi afferravano. C'era un orribile rovesciamento delle cose, e quando  hai perso la ragione tu lo vedi; morire era portare la follia agli estremi ed essere inghiottiti in essa. Vivevo nel terrore - era un'autentica nevrosi ... Mi sentivo superfluo perciò dovevo scomparire. Ero un fiore malato sotto costante minaccia di estinzione. In altre parole ero condannato, e la sentenza poteva uscir fuori in ogni momento. Eppure respingevo tutto ciò con tutte le mie forze: non che la vita mi fosse cara - piuttosto il contrario, poiché non vi ero attaccato - più assurda è la vita, meno tollerabile è la morte"

Sartre, Words, (1977, p62).

La descrizione di Sartre del terrore della morte e dell'attaccamento alla vita appaiono essere un'indicazione della struttura difensiva discussa da Greenberg che guarda al terrore della morte come ad un meccanismo di difesa prodotto dall'Io per 'bloccare il percorso della regressione narcisistica' che è una regressione in un luogo senza confini. Il senso di assurdità di Sartre nasce dalla perdita della strutturazione spaziale e temporale; il senso di intolleranza della morte è il tentativo dell'Io di prevenire una completa regressione narcisistica verso un mondo senza confini. Greenberg dice:

"Perché il tentativo di ri-stabilire il narcisismo primario produce il conflitto tra gli istinti? Perché nel narcisismo primario il bambino ha imparato ad associare il piacere con una mancanza di limiti, con una mancanza di oggetti (compresa la mancanza di senso di 'sé' come distinto da ciò che lo circonda). Una volta che questi confini si sono stabiliti, in che modo potrebbero essere eliminati? O distruggendo quegli oggetti esterni che scompaginano il senso di unità oppure rendendosi un tutt'uno con essi. In ogni caso il risultato sarebbe lo stesso: uno stato psicologico di esistenza svuotato di qualsiasi oggetto, uno stato in cui l'inconscio si identifica con l'assoluto piacere, col narcisismo primario ... i percorsi verso il puro essere (Eros/sessualità) ed il nulla (Thanatos/aggressività) ... entrambi portano ad un mondo senza confini" (Greenberg, 1990, p. 51).

Suggerisco che un terrore della morte è un terrore di perdere l'"insight" e di sperimentare il non contenimento. E' un terrore di ritorno allo stato narcisistico che in maniera onnisciente nega il bisogno di pensare il mondo in termini spaziali e temporali, necessario se il senso della realtà è fatto di esso. Impiegando la terminologia di Meltzer, un terrore di morte sembra essere un terrore di cadere passando attraverso la cornice spazio-temporale tri-dimensionale, attraverso il piano bi-dimensionale del rifugio fantasticato all'interno del corpo materno, e di essere espulso attraverso il suo retto in un non luogo del quinto mondo: fuori nel vuoto senza tempo né spazio.

 

Conclusioni

Ho discusso in dettaglio la proposizione di Kant, a cui Freud si è riferito in Al di là del Principio di Piacere, e anche altrove, secondo cui il tempo e lo spazio sono le forme necessarie del pensiero. Ho suggerito che le metafore spaziali psicoanalitiche per i processi mentali comprendono sempre una rappresentazione spaziale del tempo in modo tale che solo le tre dimensioni dello spazio sono necessarie per costruire queste metafore. Rappresentare il tempo come una quarta dimensione separata non è utile: il cambiamento ed il movimento sono proprietà del tempo per cui le fantasie ed i sogni di cose che si muovo lentamente in contesti spaziali possono essere interpretati come rappresentanti una rottura tanto delle forme temporali quanto di quelle spaziali di pensiero.

Utilizzando le dimensioni spaziali come una metafora, ho suggerito, in riferimento agli scritti di Freud, della Klein e degli analisti post-kleiniani, che dalla nascita il processo del sano sviluppo dell'Io dipende da un più o meno riuscito contenimento dell'istinto di morte proiettato dal bambino o del terrore della morte, per il bambino da spostare nella prima dimensione. La continua esperienza di contenimento permette la internalizzazione di una funzione contenente che consente lo sviluppo di un sufficiente spazio psichico bi-dimensionale per la negoziazione del complesso edipico che deve seguire. Ciò implica l'internalizzazione di una posizione da cui trarre una prospettiva, la cui comprensione ho esplicitamente collegato alle modalità temporali di pensiero. E' allora raggiunto lo spazio psichico tri-dimensionale in cui il tempo e lo spazio possono iniziare ad operare indipendentemente dagli oggetti (i genitori) che precedentemente avevano tirato fuori queste funzioni per il bambino. Queste funzioni mentali cruciali rafforzano il modo in cui interpretiamo il mondo: con loro, possiamo tollerare il fatto di essere tenuti ("held") e di essere visti, permettendoci di operare, a nostra volta,  lo 'holding' ed il  vedere. Ho suggerito che lo spostamento verso la terza dimensione, verso la posizione depressiva, è a spese della fantasia onnipotente ed onnisciente: la presunzione arrogante che si possa realmente conoscere il mondo esterno attraverso l'essere esso, deve essere abbandonata, e la perdita della possibilità di una comprensione onnisciente del mondo reale, non limitata dai nostri principi organizzatori di tempo e spazio, deve essere elaborata.

Se l'internalizzazione del triangolo edipico viene raggiunta, la capacità di pensiero simbolico aumenta poiché le forme necessarie di pensiero che strutturano il simbolismo, e cioè il tempo e lo spazio, divengono più sicure. Ho suggerito che è il pensiero temporale quello che consente lo sviluppo delle idee di soggettività e di oggettività, discusse da Britton in termini di terza posizione da cui si può osservare e quindi essere consapevoli dell'essere osservati, ed in ciò è il tempo, non lo spazio, quello che contiene entro di sé la possibilità di cambiamento, non solo delle cose che sono diverse ora rispetto ad allora - cosa che ha connotati di passività - ma di cose che sono differenti nel futuro rispetto ad ora, cosa che implica l'idea di essere agente, di creatività, e che le azioni di ognuno hanno un impatto nel mondo esterno.

Il pensiero post-kleiniano riguardante l'istinto di morte suggerisce che esso agisce per scompaginare e distruggere il pensiero temporale e spaziale e quindi la struttura che ci permette di capire che ora non è allora (organizzazione temporale), che qui non è lì (organizzazione spaziale) e che l'assenza di un buon oggetto non è la presenza di un cattivo oggetto (integrazione ed organizzazione temporale e spaziale). Il terrore di annichilamento, concettualizzato da Freud come istinto di morte, è un terrore, io ritengo, di sperimentare un ritorno a quella fase di non esistenza che era precedente alla prima consapevolezza del tempo, e cioè il terrore della morte è quello di essere temporalmente e spazialmente consapevoli dell'assenza di tempo e di spazio: è un terrore di essere nel nulla.

Se siamo abbastanza fortunati da internalizzare con sicurezza e da integrare le funzioni di contenimento e di 'insight', dello spazio interno e del tempo interno, possiamo contemplare l'idea di eternità e di infinito senza terrore. In questa integrazione, e nel riconoscimento della perdita dell'idea di onniscienza, possiamo creare i nostri confini temporali e spaziali, cosa che tiene  conto del nostro tempo e del nostro spazio nel mondo reale. Suggerisco che è il pensiero temporale quello che crea la possibilità di tracciare questi confini ed è con il tempo che noi circoscriviamo il nostro mondo:  

“He took the golden Compass, prepar'd
In God's eternal store, to circumscribe
This Universe and all created things:
One foot he centr'd, and the other turn'd
Round through the vast profunditie obscure,
And said, thus farr extend, thus farr thy bounds
This be thy just circumference, O World.”

Milton (1961), Paradise Lost.

Alla fine, tempo e spazio sono cose che facciamo, e che dobbiamo fare, per dare senso ad un mondo che in realtà non ha del tutto senso.

“For, finally, what is man in nature? He is nothing in comparison with the infinite and absolute in comparison with nothingness, a central point between nothing and all……….all things emerge from nothing and are borne onwards towards infinity.”

Pascal, (1982) Pensées 72.

 


          

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 
 

Abbreviations used:

SE: James Strachey, ed., The Standard Edition of the Complete Works of Sigmund Freud, copyright Ltd., the Institute of Psychoanalysis and the Hogarth Press Ltd

PFL: The Penguin Freud Library, Penguin Books, Harmondsworth

 

 

 

 

 

 
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