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B.E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini Scalmati, G. Schneider, M. Šebek,
F. Sironi, L. Tarantini.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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Anno/Year: 2011
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"Lebensruckblick"
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Anno/Year: 2010
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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Anno/Year: 2008
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
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Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
Anno/Year: 2009
Pages: 224
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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
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Innanzitutto
vorrei ringraziare le Professoresse Nunziante Cesaro e Parrello, così
come il dottor Stanziano, per i
loro ricchi e stimolanti interventi; entrambi hanno messo in evidenza
punti salienti e punti ciechi di un lavoro di ricerca teorico e
clinico che voglia rendere conto del legame tra due termini
chiave: trasmissione e femminile come due termini che
interrogano la psicoanalisi contemporanea, a partire dalla sua radice
freudiana (Kaës, 1993; Freud, 1932)
Prima
però di proporre le mie brevi note di discussione vorrei raccontare
un episodio di qualche giorno prima del seminario su "La
trasmissione del femminile".
Nelle
ultime settimane prima del seminario, stavo rileggendo dei lavori che,
nel ricordo, avevano avuto la forza di stimolare la mia riflessione su
due questioni così ampie come, appunto, quella della trasmissione
e quella del femminile.
Ebbene,
ho ritrovato un pregevole lavoro di Patrizia Cupelloni (2008), scritto
come introduzione ai lavori per il Convegno del Centro Psicoanalitico
di Roma Generi e generazioni. Ordine e disordine nelle
identificazioni. Con mia sorpresa, ho ritrovato così la traccia
che, credo, mi abbia guidato nella scelta del quadro della locandina
del nostro Seminario. La Cupelloni, infatti, commenta proprio lo
stesso quadro di Frida Kahlo, I miei nonni, i miei genitori ed io
– Albero genealogico, del 1936; e lo fa con queste
parole:
<<La
pittrice, che nella sua opera coniuga, con disperata cifra femminile,
lo storico e il fantasmatico, il reale e l’immaginario, sempre
eccentrica e drammatica, raffigura in questo quadro se stessa bambina
e mostra la sua nudità che evidenzia un’esposizione tenera e
patetica. Ci consente di osservarla come colei che, piccola, tiene il
filo che lega le generazioni che l’hanno preceduta; grazie a loro è
lì, centrale, sola in uno spazio definito. C’è un senso di passato
e di desueto nella postura dei suoi nonni e dei suoi genitori, ma come
tutti i nonni e i genitori, naturalmente sia quelli di Frida Kahlo che
i nostri sono collocati sopra, antecedenti, vengono prima. Nel quadro
l’importanza dell’antenato è data come struttura che coniuga il
passato genealogico con l’attualità del presente. Questa immagine
pittorica prende forma dal vissuto autorappresentativo dell’artista
che con un’icona piatta, tutta in superficie, svela sia l’aspetto
inattuale di se stessa bambina in posizione eretta e osservante, sia
la percezione attuale di se stessa pittrice adulta>> (p.
15).
E
continua:
<<Una
donna artista dipinge la vicissitudine del femminile coniugando la sua
esperienza singolare con la valenza generale. La pittrice evidenzia
l’inquietudine di ogni donna alle prese con l’identificazione con
la madre, che biologicamente e destinalmente colloca tutte nell’area
del materno, sia che nel tempo ognuna senta il desiderio, o scopra il
non desiderio, di maternità>> (ibidem, p. 16).
Dalla
lettura dei testi delle due autrici, due punti hanno colpito la
mia attenzione e mi sembrano importanti da riprendere: da un lato,
quel che ne è della funzione paterna in casi di relazione
madre-figlia come quello descritto nel romanzo La Pianista, o
in situazioni di nascita di figli con handicap – entrambe situazioni
in cui c’è come una sorta di indissolubilità mortifera del legame
madre-infans; dall’altro, la specifica qualità dei legami fraterni
che si instaurano in un fratria con un membro portatore di handicap.
Per
quel che riguarda il primo punto, manca, a mio avviso, qualcuno,
qualcosa. Manca, è assente il padre, la funzione paterna. Vorrei
brevemente soffermarmi su questa mancanza, riprendendo una domanda che
ci aveva accompagnati nel Seminario del 2009 (De Rosa, Sommantico,
2010), sempre alla presenza di Anne Loncan, su I 400 colpi di
François Truffaut: Where is the father? Dov’è il padre?
In
situazioni come quella descritta, assistiamo ad un’assenza di
riferimento al terzo, inteso quale necessario punto d’interrogazione
e motore dell’attività psichica (Green, 2008), ad una faglia nella
sua funzione che, come ci ricorda Winnicott (1957-1964), consiste nel
vegliare sulla voracità della madre: usurpazione della
funzione paterna da parte della madre onnipotente, assenza della
funzione mediatrice del padre nella relazione madre-infans che
diventa, così, una relazione diretta, immediata.
Come
ricorda Kaës (2009), se funzione paterna – “organizzatrice delle
alleanze sulle quali poggiano la filiazione e le identità sessuate”
(p. 189) – e funzione materna sono entrambe necessarie, esse non
sono, però, simmetriche. In tal senso, Roussillon (2003) sostiene che
“non c’è funzione simbolizzante della madre senza riferimento al
padre e al suo posto nella sessualità di questa [così come non c’è]
funzione paterna simbolica senza riferimento alla madre e al posto che
la donna occupa nel suo desiderio” (p. 187). Le due funzioni,
inoltre, rappresentano e si esprimono in tempi logici differenti; se,
infatti, l’alleanza originaria è, tanto per i figlio che per la
figlia, un’alleanza con la madre, l’alleanza paterna vi interviene
per inquadrarla e per introdurvi il tempo logico della separazione e
della strutturazione edipica; cioè, il tempo della differenza dei
sessi e delle generazioni. Il riferimento è qui a quelle situazioni,
in cui, come nel caso del patto oscuro madre-figlia descritto da
Jacqueline Godfrind (2001), ciò che non si realizza è quel che Kaës
(2009) definisce come un
fondamentale “doppio riconoscimento da parte del padre della
funzione originante della madre e della femminilità della figlia”
(p. 189).
Detto
altrimenti, la funzione paterna ha uno statuto paradossale: se da un
lato il padre non viene che per secondo, interponendosi tra madre e
figlio, intervenendo così in questo legame altrimenti
irresolubilmente narcisistico e confusionale, dall’altro la paternità
fonda la maternità e la filiazione, proprio in quanto personaggio
essenziale della scena primaria e che occupa in diverse forme un posto
importante nel pensiero e nei fantasmi consci ed inconsci della madre
(Gaddini, 1974; Guillaumin, 2000). Come vedremo, in particolare con
l'articolo di Anne Loncan "La trasmissione del femminile nella
famiglia", va in tal senso tutta una mole di studi sul femminile
dove sempre più viene riconosciuta l’importanza del padre
nell’attività fantasmatica della madre (Shaeffer, 1997; Shaeffer et
al., 1999; André et al., 2003), riconoscendo che tale
attività introduce la figlia, ma anche il figlio, all’integrazione
delle identificazioni bisessuali, ossia all’“integrazione della
differenza dei sessi nelle identificazioni introiettive maschili e
femminili post-edipiche” (Kaës, 2008, p. 98).
Quello
che viene dunque messo in questione, in situazioni come quelle di cui
stiamo trattando, è il versante protettivo della funzione paterna,
ossia la possibilità, necessaria, di offrire un’alternativa
economica all’investimento totalizzante del primo oggetto d’amore,
preludio alla possibilità per il soggetto di trovare un’inscrizione
nella successione delle generazioni e di accettare la differenza dei
sessi. O ancora, per dirlo con Recalcati (2011), e seguendo in ciò il
suo percorso di ricerca sul pensiero lacaniano, quello che viene meno
è la Legge della castrazione simbolica come “condizione
strutturale del desiderio”, quella legge che “sorge sulla
definizione di un impossibile” che altro non è se non il
“godimento della Cosa materna…
emblema di un godimento assoluto e senza mancanza che comporta
il rifiuto dell’esperienza del limite” (p. 55).
Rispetto
al secondo punto, Santa Parrello ci conduce verso un’interrogazione
sulla natura complessa del legame madre-infans, specialmente nel caso
in cui l’infans sia portatore di un handicap, fallendo dunque nella
sua imprescindibile iniziale funzione di complemento fallico della
madre; funzione che, nei casi da lei descritti, può essere
infaustamente devoluta, in maniera permanente, all’altro figlio a
cui spetta il compito di colmare questa mancanza, trovandosi così
intrappolato in un materno fagocitante, in una presa mortifera, specie
quando, anche qui, e ricollegandoci a quando detto prima, la funzione
paterna è compromessa.
Una
prima questione, dunque, ci porta a chiederci, come dicevamo, cosa ne
è delle componenti fisiologiche del complesso fraterno, in una
fratria in cui uno dei fratelli è portatore di handicap. Più in
particolare, se come dice Kaës (2008), il complesso fraterno designa
“una organizzazione fondamentale dei desideri amorosi, narcisistici
e oggettuali, dell’odio e dell’aggressività nei confronti di
questo 'altro' rispetto a cui il soggetto si riconosce come fratello o
come sorella” (pp. 17-18), dobbiamo allora chiederci cosa ne è
della rivalità tra concorrenti della stessa generazione, ossia delle
componenti preedipiche del fraterno, ma anche della conflittualità
radicale e mortifera, ossia delle componenti arcaiche del fraterno, in
situazioni come quelle descritte.
Seguendo
in questo Regine Scelles (2010), possiamo infatti dire che
l’handicap ha un impatto particolare sullo svolgersi dei processi di
identificazione e differenziazione necessari, dal un lato alla
costituzione del soggetto, dall’altro alla creazione e al
mantenimento di un legame fraterno, ma pone dei problemi specifici
anche nella gestione dell’odio e dell’aggressività. Inoltre, è
lo stesso lavoro elaborativo del pensiero che può essere turbato
dall’handicap di un fratello. Se, infatti, l’handicap del fratello
può dar vita ad una situazione in cui “è difficile investire
l’altro come soggetto-fratello… identificarsi al suo funzionamento
psichico” (p. 95), questo stesso fratello può portare il soggetto
verso una “radicale assenza di senso” (idem) che, se da un
lato può produrre un disinvestimento dell’attività di pensiero,
dall’altro può generare un sentimento di “inquietante estraneità”
(Freud, 1909) che turba il vissuto di familiarità.
Come
ben sottolinea la Parrello, inoltre, il fratello di un bambino
handicappato si trova anche, e molto spesso, inconsciamente costretto
a tentare di guarire la ferita narcisistica provocata nei genitori
dalla nascita di questo bambino che André (1986) definisce
“insufficientemente buono”. Non è difficile immaginare come ciò
provochi un’ulteriore difficoltà per il bambino di esprimere i
propri vissuti nei confronti di questo fratello e del suo handicap,
proprio perché “l’espressione troppo chiara della propria
sofferenza può costituire un’effrazione dell’involucro fraterno e
familiare, ed aggravare ulteriormente la ferita narcisistica
genitoriale” (Scelles, 2010, p. 111).
In
sintesi, possiamo dire che se inevitabilmente il legame ed il
complesso fraterno sono in stretta correlazione con le vicende
edipiche, è altrettanto inevitabile che ciò che passa tra fratelli
non renda conto esclusivamente di una relazione duale, ma sia invece
subordinato anche alla dinamica figli-genitori e, dunque, a ciò che
questi ultimi hanno vissuto in relazione all’handicap. Allo stesso
tempo, però, ci sono aspetti molto specifici del fraterno che
rimandano, come detto prima, alle vicende identificatorie e speculari
che presentano inflessioni particolari nel caso in cui uno dei membri
della fratria presenti un handicap (Korff-Sausse, 2006).
Infine,
e rilegando quanto sin qui detto alla questione della trasmissione del
femminile, la Parrello, ci invita, anche, a chiederci quale sia il
modello identificatorio che una madre di un figlio handicappato
trasmette alla propria figlia. Rispetto a ciò, se da un lato,
condividiamo l’idea secondo cui, con molta probabilità, i vissuti
depressivi e sacrificali di una tale madre vengano trasmessi alla
figlia, nuovamente ci preme sottolineare il ruolo che può anche qui
giocare una funzione paterna in grado di temperare questo legame così
complesso.
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