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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria". N.10, anno V, giugno 2008.

    "LA VERGOGNA NEL TRANSFERT"

 

di Cosimo Trono

 

 Questo testo è stato presentato dall'autore al convegno internazionale "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" (Lecce, 5 aprile 2008). Cosimo Trono è psicoanalista, dottore in psicologia, laureato in crminologia, insegnante all'Università Paris XIII, nonché editore (è direttore di 'Penta Editions'). L'ultimo saggio da lui pubblicato è <<Décenseurs ? Freud, Baudelaire, Flaubert >>, Paris, Penta Editions, dicembre 2007.

Foto: Cosimo Trono nel corso della sua relazione nell'ambito della tavola rotonda "La Honte/La Vergogna e il transfert" ( convegno "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" - Lecce, 5 aprile 2008).

 

 

 

 


 

 

 

 

         

Inerente al transfert, definito come la rimembranza agita e spostata su un’altra situazione o persona, la questione della vergogna è anche al cuore della sofferenza nevrotica. I sentimenti più oscuri e degradanti vi risorgono da un lontano passato : bassezze, abiezioni, umiliazioni, indegnità, turpitudini, obbrobrio. Così come i rimpianti, i rimorsi, i pentimenti, che sono il lotto di ogni analizzando. Come, infatti, attraversare il crocevia originario del complesso di Edipo, desiderare la madre, e ammazzare il padre, percorrere le tappe imbricate della « perversione polimorfa » infantile, senza che fioriscano questi affetti auto-regolatori dell’equilibrio psichico in via di strutturazione (rimorsi, colpevolezza, sentimenti di indegnità, di bassezza ecc.) ? Il senso morale, la relazione d’amore all’Altro, l’accesso al simbolico,  in definitiva, sono i principali effetti del sentimento di vergogna, quando essi non sono intralciati dalla persistenza di antichi conflitti.  Anzi, e’ tutto ad onore del soggetto in analisi  metterlo al lavoro attraverso la libera associazione. La sua assenza è il marchio della perversità, anzi pure della derealizzazione psicotica.

        

         Si tratterà, inoltre, in un secondo tempo, di interrogare la perdita della capacità transferenziale dell’analista e, cosa che va accoppiata, la perdita di credibilità della psicoanalisi (si parla anche da tempo, da sempre, della sua sparizione, o dei suoi misfatti !) come un sintomo della nostra civiltà del « tutto all’immagine », se non  all’immaginario da cui la questione della vergogna è esclusa. Immagine e immaginario non sono affatto assenti dalle classificazioni del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Desorders) apparso per la prima volta nel 1952 sotto la guida dell’American Psychiatric Association e la cui ambizione (immaginaria) è di stabilire una frontiera netta, chiara tra normalità e anormalità (sic !) nel solo scopo adattativo. Si parlerà allora di crisi della disponibilità al transfert, come si parla di crisi dei Padri, più che di crisi della psicoanalisi. Bisognerà quindi interrogarne le cause e le conseguenze.

 

         La vergogna è una frattura nell’etica, è un crimine di « leso-Ideale », come si dice « lesa maestà » ! In questi termini di « etica » ed « Ideale dell'Io » noi incontriamo le due facce della vergogna. Un lato direi pubblico, sociale o societario e sociologico, ed un altro privato, intimo, dell’interiorità dell’Io.

         L’aspetto pubblico è nel linguaggio corrente. I politici qualificano i loro avversari o le loro proposte « vergognose » (piuttosto i primi che le seconde), i ritardi e  disfunzioni amministrativi lo sono per i cittadini, i fatti di cronaca, i rapporti di esperti sullo stato di una comunità, i giornali e i media che coprono gli avvenimenti drammatici, le catastrofi umanitarie provocate dall’uomo, e quelle – anche naturali - a cui l’uomo non ha posto ripari allorquando avrebbe dovuto e potuto…la vergogna è sempre un indizio di un inammissibile trauma etico. Il 9 settembre scorso, durante la partita di calcio  Italia-Francia, una gran parte del pubblico ha fischiato l’inno nazionale francese. I commentatori italiani della RAI hanno parlato della vergogna provata da loro stessi. Così come gli stessi giocatori nel dopo partita. Al momento della caduta del governo Prodi sono state trasmesse nelle televisioni del mondo le immagini di un parlamentare che faceva saltare il tappo della bottiglia di spumante che brandiva come una daga (o un fallo, non calcistico  questo) in piena assemblea. Un altro – o lo stesso, non ricordo  – inghiottiva voluttuosamente una fetta di mortadella come se bevesse un uovo (o un uomo ?). Anche in questo caso il termine « vergogna » fu pronunciato dai commentatori (e certo pensato dagli stessi spettatori del mondo intero). I francesi forse ci aggiunsero l’incongruità « vergognosa » di associare lo champagne alla mortadella !

         Etimologicamente la « vergogna »  indica la bassezza e la degradazione morale, l’abiezione, il disonore, l’indegnità, l’obbrobrio, la turpitudine, dicevo, tutti attributi che si riferiscono agli autori di atti vergognosi, e di cui soffrono le vittime. Vittime dell’abiezione, della bassezza, eccetera di cui qualcuno, o un gruppo di individui, un’istituzione o un’organizzazione (prendiamo come esempio storico di regime vergognoso il nazi-fascismo) si rendono colpevoli agli occhi dell’umanità, delle leggi umanitarie (ai nostri giorni si parla di diritto di « ingerenza umanitario »  per tentar di risolvere i drammi o i conflitti su scala di tutto un popolo, come l’attualità è purtroppo riempita). In questo senso si tratta di una rottura del legame etico che cementa i rapporti  umani. Una somma di regole scritte o trasmesse dagli usi e dai costumi che assurgono a valore universale. Il problema è che il suddetto universalismo non è poi così universale come si dice. Vi sono tra le culture, tra le civiltà, delle varianti nel sentimento di vergogna che provano gli individui nella loro singolarità. Vi ritornerò. Prendiamo ad esempio le regole religiose, o quelle familiari: le une scritte nei grandi libri fondatori (Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, Corano) ; le altre a volte  - se si mette da parte il diritto di famiglia – solamente trasmesse oralmente da una generazione alla seguente. Il rapporto tra genitori e figli, i posti simbolici nel gruppo di fratelli e sorelle, la posizione delle femmine e dei maschi nel detto gruppo, altrettante varianti che fluttuano secondo i meridiani e i paralleli !

         Ciò sembra indicare che il denominatore comune ad ogni apparizione della vergogna (« « è una vergogna », « è vergognoso ») sia una frattura, uno scisma, un trauma, qualcosa come uno Tsunami morale che spazza via la nostra coscienza di esseri umani, con millenni di storia , e ci conduce all’età barbarica. Del resto, si tende a qualificare gli autori di uno sviluppo che si rivelerà vergognoso come « nuovi barbari ». Si evoca anche la regressione all’era paleolitica in circostanze in cui i bisogni umani sono limitati alle fondamentali necessità di nutrirsi, proteggersi e difendersi da fenomeni climatici ostili, od anche da popoli considerati come rivali. Purtroppo la logica delle caverne ritorna ai nostri giorni qua e là nel mondo. Ne sono la  prova, una tra le tante, le grida lanciate da una folla di manifestanti in delirio verso un paese e un popolo vicini: « vergogna, togliti di mezzo » (articolo apparso nel quotidiano Libération del 21 gennaio 2008 dal titolo « Il capo del Hezbollah fa il suo ritorno provocando Israele »). Cosa che ci riporta alla sommità – anzi direi alla voragine - della vergogna che  sul piano storico rappresenta la Shoah !

         Insomma, la questione della vergogna intesa sul piano etico – vale a dire le regole morali che reggono i rapporti in una società e ne dirigono le condotte dei cittadini che vi appartengono – mette in evidenza il segnale di allarme che essa costituisce sul piano della massa attraverso un oltraggio sia al costume ambientale, sia alle fondamenta della civiltà. Il malessere della civiltà (per dirlo con un titolo di Freud, Das Unbehagen in der Kultur) si misura, direi, col grado di vergogna che essa produce !  Infatti la « vergogna » al livello macrosociale, costituirebbe, a mio avviso, questo segnale di allerta che ci avverte di una minaccia, di una sofferenza etica, che si avvicina o è già presente, dovuta alle forze del mondo esterno che possono accanirsi contro di noi e annientarci , secondo le parole di Freud (op.c. PUF,  p. 21). Ciò allo stesso titolo del dolore o dell’angoscia che ci allertano della minaccia che incombe sul nostro corpo e sulla nostra realtà psichica (identità o integrità psicologica), così come lo rileva Freud in questo articolo del 1929 quando parla della sofferenza che ci minaccia da tre lati (lato corpo, lato mondo esterno, e il lato del nostro rapporto con gli altri). La cosiddetta relazione con l’altro.

         Prima di abbordare la questione della vergogna su un piano più individuale, o inconscio, direi che la vergogna attraversa questi tre lati. Si prova anche della vergogna quando la malattia ci tocca, e non parlo solo delle malattie dette « vergognose » per la loro origine o il loro effetto sessuale. In questo caso, insieme al dolore, la vergogna è un segnale di allerta di un pericolo che può annientarci e farci sparire dal mondo dei vivi, e non soltanto dall’etica del vivente. Nella mia pratica nei servizi di medicina degli ospedali dell’Università Cattolica di Lovanio, all’inizio della mia vita professionale, ho avuto l’occasione di avere in consulenza tanti malati « vergognosi » di ciò che  succedeva loro. V’erano tra questi anche dei tubercolotici, o malati di enfisema polmonare provocato dal lavoro nelle miniere del Belgio. Impossibile per loro il parlarne liberamente, a volte anche nel loro ambiente familiare, tanto il sentimento di degradazione, di umiliazione andava di pari passo con una sorta di disonore. Disonore non per motivi di fuga davanti al nemico (costituito dalla malattia). Anzi reagivano con molto coraggio. Ma una specie di vergogna quale un delitto di fuga davanti alla vita, i suoi carichi, i suoi fardelli può provocare. Tratto psicologico d’altronde comune con il soggetto nevrotico o fobico che prova una sorta di vergogna davanti alla sua capacità di imputridirsi l’esistenza dove gli altri se la godono senza scrupoli né vergogna.

 

                   Dopo questa digressione attraverso una lettura esistenziale, sociologica e fenomenologica della vergogna, necessaria per sottolineare quanto essa invada  ogni settore dell’esistenza interumana,  vengo alla sua prospettiva psicoanalitica. Infatti non v’è in Freud una concezione della vergogna come tale. Diciamo che la vergogna non è (ancora ?) un concetto psicoanalitico. Eppure essa è raramente assente dalle associazioni degli analizzandi, e da certi scritti di Freud, in particolare in un testo del 1908 sul quale mi soffermerò .

         Una mia paziente mi diceva : « …ne parlavo a un amico – parlava dei suoi problemi somatici conseguenti ad una operazione per l’ablazione di una fistola anale – e mi ha detto : strano come tu ne parli senza alcuna vergogna>>. « E’ vero - aggiunse – non provo alcuna vergogna a parlarne ». E si rese conto che la questione della vergogna non l’aveva finora mai sfiorata. Poi aveva aggiunto - non senza una dose di humour -  « Eppure non ho mai mostrato il mio culo a tanta gente in così poco tempo ! », dalla sua operazione. Devo dire che anche l’humour era, da parte sua, di apparizione recente. Come il versante positivo del transfert, del resto, poiché la sua analisi andava avanti da tempo nella sua versione negativa, tanto più ardua per il lavoro analitico che lo rende realmente (nel senso dell’impatto del reale come ne parla Lacan) impossibile (a dirsi). L’universo della medicina era diventato, per sostituzione metonimica, una scena erotica. Immaginaria dove  i medici e i loro ausiliari, il cosiddetto « corpo medico » rimpiazzavano i suoi numerosi partners sessuali, interscambiabili, indifferenziati, ai quali essa si era data senza ritegno  nel passato. La presa di coscienza di questo slittamento fantasmatico sulla sindrome somatica, aveva aperto la via al sentimento di vergogna.(…)

         Questa sostituzione metonimica della quale vi parlo in una sequenza clinica somiglia a un travestimento del nome da parte di un autore di testi o di libri erotici che non vuol apparire nella sua vera identità. Per evitare la vergogna e la repulsione che ricadrebbero sul suo nome, egli sceglie di pubblicare con uno pseudonimo. Nel caso della mia analizzanda, essa travestiva i suoi fantasmi erotici non cambiando il suo nome, ma sostituendo il corpo erotizzato con un corpo in sofferenza attraversato da, scritto, direi, con fantasmi sado-masochisti.

 

         L’aspetto della scrittura con e attraverso il corpo narrato nel transfert, ci introduce  al cardine della questione della vergogna. Quello della sublimazione, a mio parere, sottostante. Sublimazione che resta una delle lacune del pensiero psicoanalitico, di cui Freud non ha mai elaborato una teoria coerente, come lo rilevano Laplanche e Pontalis nel loro Vocabolario…Mi pare necessario considerare il quadro analitico come due rive di un’opera in via di scrittura, attraversate dal transfert, che vanno e vengono tra vergogna e sublime.

 

 

          Penso che questa tematica sia essenziale non solo per la teoria psicoanalitica ma anche per comprendere meglio la complessità dell’identità mediterranea. Il bacino mediterraneo infatti è il luogo emblematico, la matrice direi di un profondo, intricato e dialettico alternarsi o altalenarsi di movimenti strutturali sublimatori, o anche sublimi, e di bloccaggi e scempi da vergogna. Direi che esso oscilla tra la « culla della civiltà », e il « bacino vergognoso ». 

Gli esempi sono innumerevoli dei due volti del Mediterraneo, e penso che non sia né il caso, né il luogo di enumerarli. Il mio augurio è che il bilanciere ritorni progressivamente,  e decisamente verso l’asse sublimatorio nel Mediterraneo. Cosa che mi pare di constatare. Permettetemi una digressione personale. Sono partito dal Sud, dalla Puglia verso il Nord dell’Europa, in Svizzera prima, poi ancora più su in Belgio, fino alle lontane Fiandre, per fermarmi finalmente a Parigi,  già quarant’anni fa. Ebbene, se per la prima volta in quarant’anni faccio ritorno, come un ritorno di bilanciere, col mio bagaglio professionale qui in Puglia, ciò vuol dire che esistono ora, e solo ora, le condizioni, certo soggettive, per me di parlare e, spero, di essere inteso, in quanto psicoanalista. Cioè in quanto uomo la cui pratica professionale è al servizio di un più vasto spazio psicologico e, quindi, creativo. Non tirerei conclusioni generali dalla mia singolarità, ma ho il sentimento, già da alcuni anni, già da un intervento  che feci a un congresso tenutosi a Casablanca, e poi dalle mie frequenti discese qui in Puglia, dalla pubblicazione a venire, presso la mia società editrice, di uno dei tanti convegni che si tengono in Israele, che la situazione sublimatoria dei bordi del Mediterraneo è in netto avanzamento. Assisto quindi ad una ritirata della Vergogna. Certo anche della mia, in quanto finora non riuscivo ad annunciare ad amici e colleghi stranieri il luogo della mia origine senza provare un più o meno vago sentimento di Vergogna, senz’altro legato anche alla memoria dei luoghi!

        

         Ma ritorniamo all’articolo di Freud che più evidenzia - benché con molti sottintesi - il tema della Vergogna, laddove questo costituisce l’elemento germinale  e non ancora riconosciuto come tale, della sublimazione : "Der Dichter und das Phantasieren" del 1908 (Il poeta e la fantasia, in italiano ) Notiamo di passaggio che quest’anno ricorre il centesimo anniversario della sua pubblicazione. E si sa come gli anniversari siano il momento più opportuno per riprendere certe ambizioni di rinnovamento !

         Questa questione è presente a due livelli dell’articolo. Un livello manifesto, denotativo, leggibile ad una prima e normale lettura del testo. Un secondo livello a mio avviso latente, connotativo, leggibile solo tra le righe (entre les lignes), ma che, per l’appunto,  pone a un livello più inconscio, di quanto Freud non lo dica, il valore significante della parola « vergogna ». Questo valore sorge nella coscienza al momento in cui scopriamo che Freud ha provato vergogna in un punto del suo articolo, e ha utilizzato l’ auto-censura per non scioccare il pubblico di ascoltatori della sua conferenza. Direi pure, e vi invito a ripercorrere l’articolo, che la conferenza che Freud pronunciò l’anno prima della stesura, nel 1907, nei locali dell’editore, lo psicoanalista e libraio viennese Hugo Heller, davanti a un centinaio di persone, si apre sul senso  di vergogna provato e non rilevato da Freud, e si conclude sul tema della vergogna dalla quale il poeta ci libera (ohne Schämen), ed aperto su una concettualizzazione a venire. Non vorrei fare un seminario sulla questione racchiusa in questo articolo. Vorrei solo far notare che anche allo scopritore della psicoanalisi, celebre psicoanalista al momento in cui scrive,  ripugna  parlare di questa questione, eppure essenziale nel processo creativo.

         Freud comincia con lo  scrivere che noi profani (Uns Laien) ci domandiamo da dove il poeta tragga la propria materia (seine Stoffe), che tanto ci commuove, e qui Freud apre un inciso per dare un esempio. « All’incirca nel senso della domanda rivolta da quel tal Cardinale all’Ariosto », traduce in italiano Cesare Musatti (Boringhieri, 1989,  e Il Cerchio, 1949). Traduzione conforme all’originale ed anche alla prima traduzione francese di  Bonaparte e Marty. Mentre un altro  traduttore francese Bertrand Féron traduce nel 1986, nell’edizione apparsa presso Gallimard « nello spirito (dans l’esprit), per esempio,  della famosa questione (de la fameuse question) che indirizzò il cardinale all’Ariosto (qu’adressa le cardinal à l’Arioste) ». In questa traduzione si parla della « famosa questione », mentre il termine di « famosa » non è in Freud. Insomma sia l’autore che i diversi traduttori passano oltre dando per scontato che chiunque legga o ascolti sappia già qual è questa « famosa » questione, e il nome del cardinale? Non so quanti tra di voi conoscano l’una e l’altro. Personalmente lo ignoravo fino alla lettura dell’articolo di Octave Mannoni "Poesia e psicoanalisi "(Poésie et psychanalyse). Eppure conoscere questa questione è « cardinale » - detto con un gioco di parole -  per ben capire quanto il transfert sia un analogon di una creazione poetica che permette all’analizzando - e forse è lì il termine di un’analisi -   di dire le sue fantasie, i suoi fantasmi erotici e violenti « senza scrupoli e senza vergogna » (onhe Vorwurf und ohne Schäme). L’amico Giuseppe Leo mi ha comunicato che non esiste nessuna nota a pié di pagina del curatore e traduttore italiano Musatti riguardo  questo passaggio. V’è un non-detto enigmatico e problematico per la nostra disciplina che procede per   delucidazioni semantiche, e non per omissioni.       

         Il traduttore francese, da parte sua, introduce nel 1985 una nota che spiega il sottinteso freudiano. Egli scrive : « Il cardinale Ippolito d’Este – tale è infatti il nome del cardinale – fu il primo protettore dell’Ariosto ; costui gli dedicò il suo Orlando Furioso. Il poeta ne sarebbe stato ringraziato con questa sola domanda : << Dove avete trovato, Messer Ariosto, tante corbellerie ? ». C’è da chiedersi perché Freud non ne fa cenno nel suo articolo (e c’è da giurare che non ne fece alcun cenno neanche durante la sua conferenza  da Hugo Heller il 6 dicembre 1907). E neanche ne fanno cenno in nota i suoi primi traduttori in francese e in italiano. Mi domando perché, visto l’aspetto certo aneddotico della frase del cardinale, ma pur essenziale per la comprensione della tesi sviluppata da Freud. Cioè il fatto che per il profano il poeta dica tante corbellerie. Così come, mi permetto una digressione, per il profano le dice anche lo psicanalista ! Se c’è una spiegazione inconscia da cercare essa va trovata in un processo di censura al quale ci rinvia il detto Traduttore- Traditore. Dobbiamo infatti cercare  dove il traduttore ha tradito il testo.

         La risposta ce l’ha fornita Octave Mannoni nell’articolo che ho appena citato. E’ qui infatti che scopriamo  il tradimento del traduttore francese (in italiano non esiste la frase del cardinale, quindi ci è impossibile saperlo a meno di fare una ricerca storico-letteraria). Non che il tradimento semantico sia totale. Esso è piuttosto falsificatore poiché introduce un termine edulcorato rispetto al termine che sembra sia stato utilizzato dal cardinale. Una specie di termine « politicamente corretto », convenzionalmente accettabile dal lettore profano di cose analitiche, che raggira la censura e dice il senso, ma non la parola. Ora, sappiamo che la psicoanalisi è un processo di parole e non di significato. Quindi siamo in dovere di chiederci quale parola è stata censurata, prima di interrogarci sul senso di questa parola (che non è il significato), e della ragione inconscia che l’ha rimossa. Ciò può avvenire solo se ci soffermiamo su ciò che Freud ha taciuto, allorché avrebbe dovuto dirlo. Cosa vuol dirci Freud con il suo passar sotto silenzio la frase del cardinale ? Penso che la questione della vergogna contenga la risposta al nostro interrogativo. Freud ha celato la frase del cardinale perché ha avuto « vergogna » di pronunciarla tale e quale. Come avanzato nella parte manifesta del suo testo a proposito della costruzione poetica, egli ha voluto evitare sul piano personale e forse inconscio, la vergogna e la repulsione dinanzi al suo pubblico di profani, e poi dei lettori della Neue Revue, rivista apparsa per la prima volta nell’anno della pubblicazione, 1908.  Ciò perché la parola del cardinale d’Este non è così castigata come dovrebbe esserlo una proposizione cardinalizia. Anzi è proprio volgare !

         Octave Mannoni, come dicevo, non ci va « par quatre chemins » come si dice in francese (« non va per il sottile »). Nel suo articolo ci rammenta, anzi informa noi profani di questo aneddoto storico-letterario, che la frase del cardinale all’Ariosto era : « Ma dove avete trovato, Messere Ariosto, tante coglionerie ? » Ciò è diverso dalla parola ripulita da scorie oscene messa in nota dal traduttore francese « tante corbellerie » (âneries). Come se volesse anche tradurci – ma senza dirlo – la vergogna provata dall’autore Freud.

         Questa rivelazione può sembrare oziosa e priva di prospettive teoriche. Invece è tutto il contrario. Essa è fondamentale per una migliore comprensione del processo di creazione e non solo letteraria, e poi determinante per uno sviluppo teorico del concetto di sublimazione. Anche Octave Mannoni sembra seguire questo occultamento quando pur rivelandoci, con il suo abituale acume linguistico, la questione del cardinale, aggiunge che Freud la « rammenta espressamente fin dalla prima riga del suo articolo » (cito O.M.). Ora il problema è tutto qui. Freud la rammenta ma non <<espressamente>> né esplicitamente. E non lo dice esplicitamente perché aggiungerebbe il suo sentimento di vergogna al sentimento di vergogna che, dice nel suo articolo, accompagna i nostri fantasmi che solo il poeta permette di evitare. E, aggiungerei, che solo l’analista permette di interpretare. Ciò dava per scontato che l’opzione scientifica della psicoanalisi era solo una copertura ad uso di una rispettabilità universale e universitaria. Ma che in fondo solo i poeti sono « i nostri maestri ».

         In secondo luogo, sul piano strettamente teorico concluderei dicendo che se la questione della vergogna è inerente a tutti i settori della vita quotidiana, sia pubblica che privata, essa è innanzitutto, per noi analisti, un fulcro per rilanciare la tematica del transfert e della fine dell’analisi in un divenire creativo del soggetto attraverso una capacità riaperta alla sublimazione. E’ necessario riprendere insomma la ricerca incompiuta del concetto di sublimazione in rapporto col tema della vergogna che è necessario superare o trasformare  per giungere alla creatività poetica, come il Dichter freudiano. L’articolo termina in effetti sull’augurio di apertura di « nuove investigazioni interessanti e complesse » sulla capacità del poeta di farci godere dei nostri fantasmi « senza scrupoli e senza vergogna », ma non senza legami con gli scrupoli e la vergogna. Questo sarà il tema della seconda Biennale di Penta Editions a dicembre 2008 : VERGOGNA E CREATIVITA’.

         Terminerò con un aneddoto storico-artistico. Insieme agli elogi superlativi, Il Giudizio Universale che Michelangelo dipinse tra il 1536 e il 15411 nella Cappella Sistina provocò il rifiuto del Maestro di Cerimonie del Vaticano, Biagio da Cesena, a causa della nudità dei personaggi. Egli disse dell’affresco, secondo il Vasari ne Le Vite, che era « …disonestissima cosa in un luogo tanto onorato avervi fatto tanti ignudi che si’ disonestamente mostrano le loro vergogne e che non era opera da Cappella del Papa ma da stufe ed osterie ». Le polemiche continuarono per anni e sfociarono in un giudizio (molto terreno costui e poco universale) della Congregazione del Concilio di Trento che, nel 1564 ordinò di far coprire (sic !) alcune figure giudicate oscene (Baudelaire, in Francia e nel XIX secolo, subì la stessa condanna per il suo Les Fleurs du Mal!). L’incarico di copritore delle vergogne fu affidato a Daniele da Volterra (il ben nominato !), conosciuto da allora col soprannome di Il Braghettone. Ma altre braghe furono aggiunte nel corso dei secoli seguenti. Al tal punto  da poter dire che la creazione michelangiolesca nasconde le sue Vergogne agli occhi braghettati del profano. L’analista, grazie al transfert,  rivela (rileva) le vergogne che la rimozione ha occultano nella singolare storia del soggetto.  Vi ringrazio.

 


 

       

 

       


 


 

 

 

 

 

 

 

 

 Note:

(1)  Secondo le date riportate da alcuni siti : MuseiVaticaniOnline, Wikipedia.org, artinvest 2000…Mentre in Michel-Ange, La voûte de la Chapelle Sixtine, in Michel-Ange et son entourage, di  Barbara Agosti, Le Figaro, 2008, stranamente le date di composizione dell’affresco sono 1508-1512 (sic !) .

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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