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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Rivista di Psicoanalisi Neuro-Evolutiva

(Revue of Evolutionary Neuro-psychoanalysis)

 

     "IMPLICAZIONI cliniche della ricerca neuroscientifica nel Disturbo Post-traumatico da stress"

 

 

 

 di Bessel A. Van Der Kolk

 

 

 L'autore è Professore di Psichiatria presso la Boston University, ed è da 25 anni Direttore Medico del Trauma Center di Boston. E' stato Presidente della International Society for Traumatic Stress Studies ed è considerato uno dei più importanti studiosi e clinici a livello mondiale nel campo dei disturbi post-traumatici. Si ringrazia l'autore per aver concesso l'autorizzazione alla pubblicazione su Frenis Zero di questo articolo. La traduzione in italiano è di Giuseppe Leo.

 


Nella foto: Bessel A. Van Der Kolk

            

 

 

  

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

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EDIZIONI FRENIS ZERO

 "Psicologia dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

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Anno/Year: 2008

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"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

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Publisher: Schena Editore

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La scoperta che l’“input“ sensoriale possa automaticamente  stimolare le secrezioni ormonali ed  influenzare l’attivazione delle regioni cerebrali coinvolte nell’attenzione  e nella memoria ancora una volta mette la psicologia a confronto coi limiti  del controllo cosciente  sulle azioni e sulle emozioni. Questo è particolarmente rilevante  per la comprensione ed il trattamento delle persone traumatizzate. Il fatto  che ricordi automatici del passato attivino certe risposte neurobiologiche spiega il motivo per cui i sopravvissuti al trauma siano vulnerabili reagendo con risposte irrazionali, di origine subcorticale, che sono incongrue, e persino dannose, nel presente. Le vittime di un trauma possono arrabbiarsi in modo esasperato in risposta a piccole provocazioni; possono congelare le proprie risposte emotive se vengono frustrate, oppure sentirsi impotenti  di fronte a sfide banali. Senza un contesto storico per comprendere i residui somatici e comportamentali provenienti dal passato, le loro emozioni appaiono fuori luogo e le loro azioni bizzarre.

Il nostro primo studio di “neuroimaging” sul Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD)[1], che utilizzava il paradigma di provocare il sintomo grazie ad immagini guidate da “script”, dimostrò che gli studi di “imaging” possono aiutare a far luce sui cambiamenti neurobiologici sottostanti, responsabili dei problemi di ritorno alla vita, di attenzione e di “arousal” caratteristici del PTSD.  Esposti a ricordi traumatici, i soggetti avevano incrementi nel flusso  ematico cerebrale nella corteccia orbito-frontale mediale destra, nell’insula, nell’amigdala e nel lobo temporale anteriore, ed una disattivazione relativa nella corteccia prefrontale anteriore sinistra, in particolare nell’area di Broca, il centro espressivo del linguaggio nel cervello, l’area necessaria per comunicare cosa una persona stia pensando e sentendo. Questo lavoro, e la successiva ricerca di supporto a queste scoperte[2]-[3]-[4],  ha dimostrato che quando le persone vengono sollecitate a ricordare un trauma personale, esse attivano le regioni cerebrali che sono alla base di intense emozioni, mentre diminuisce l’attività delle strutture cerebrali coinvolte nell’inibizione delle emozioni e nella traduzione dell’esperienza nel linguaggio comunicabile. Queste ed altre scoperte correlate all’attivazione neuronale in risposta ai ricordi traumatici offrono un’enorme potenzialità per articolare gli obiettivi per interventi e trattamenti efficaci.

 

IL CERVELLO COME ORGANO DEPUTATO AD AGIRE IN MODO EFFICACE

 

La ricerca neuroscientifica ha fornito nuove importanti intuizioni sull’elaborazione delle emozioni intense. I laboratori di Antonio Damasio5, di Joseph LeDoux6, Jaak Panksepp7, Steve Porges8, Rodolfo Llinas9 e Richie Davidson10 hanno mostrato che gli esseri viventi rispondono in modo più o meno automatico all’informazione sensoriale in entrata con un’attivazione neuronale e ormonale relativamente stabile, determinando modelli di azione coerenti: comportamenti predicabili che possono essere elicitati più e più volte ripetutamente in risposta ad “input” simili. In condizioni normali le capacità di esecuzione e di simbolizzazione della corteccia prefrontale possono modificare questi comportamenti fornendo la capacità di osservare, di conoscere e di predire mediante l’inibizione, l’organizzazione e la modulazione di queste risposte automatiche. Ciò permette alle persone di gestire e di preservare le proprie relazioni  col prossimo da cui dipendono profondamente per cercare significato, compagnia, affermazione, protezione e legami.

Alla fine  del 19° secolo il neurologo britannico John Hughlings Jackson per primo propose che il cervello fosse gerarchicamente organizzato  dal “basso in alto”. L’organismo risponde all’informazione in entrata attivando automaticamente i sistemi emozionali e di “arousal” che stimolano la tendenza ad agire, la quale può essere modificata dal pensiero. Il più alto livello di integrazione e di coordinazione dipende dall’attività prefrontale che permette all’organismo di adattarsi in modo flessibile all’ambiente. Jackson propose che “gli adattamenti nervosi superiori inibiscono (o controllano) quelli inferiori, e quindi, quando quelli superiori vengono improvvisamente resi non funzionanti, quelli inferiori entrano in attività”11. Un simile modello a tre livelli si vede anche nel cervello tripartito di MacLean12.

Ciò che rende uniche le persone nel regno animale è la loro flessibilità: la loro capacità di fare scelte su come rispondere. Questa flessibilità è il risultato della proprietà della neocorteccia umana  di integrare un’ampia varietà di differenti pezzi di informazione, di attribuire significati sia  agli”input” in entrata sia ai bisogni fisici (tendenze) che essi evocano, e di applicare il pensiero logico per calcolare l’effetto a lungo termine delle loro azioni. Ciò permette  agli individui di scoprire continuamente nuove modalità di trattare l’informazione e di modificare le loro risposte sulla base di ciò che imparano. Tutto questo dà conto del fatto che il comportamento umano è molto più complesso di quello puramente istintivo e condizionato, come si vede nelle altre specie.

Comunque, questa capacità di rispondere in un modo flessibile emerge solo lentamente nel corso dello sviluppo umano e si interrompe facilmente.  I bambini piccoli hanno uno scarso controllo sul loro pianto e sul loro bisogno di aggrapparsi quando si sentono abbandonati, né hanno molto controllo nel mostrare il loro eccitamento quando sono divertiti. Dipendono dagli adulti che si prendono cura di loro nell’agire dopo aver segnalato il loro disagio. L’adulto deve capire ciò che sta succedendo e deve modificare le condizioni allo scopo di ristabilire l’omeostasi del bambino. Per tutto il ciclo vitale, la presenza di esseri umani familiari e fidati continua ad avere una profonda influenza sulla modulazione dell’”arousal” autonomico (ad es. si veda il riferimento bibliografico n. 8). I bambini sviluppano l’autonomia solo quando iniziano a sviluppare una corteccia prefrontale. Questo permette loro di valutare i loro stati interni e di eseguire le azioni necessarie a riportare l’omeostasi rispetto a ciò che l’ha disturbata. Secondo Jean Piaget,  il fine dello sviluppo è la “decentrazione”: avere le  tue emozioni, non significa essere queste.

Gli adulti restano soggetti all’impiego automatico di modalità di azione routinarie  relativamente fisse di affrontare la vita, che vengono interrotte quando le azioni solite non ottengono i risultati richiesti. L’ostacolo attiva le emozioni – segnala che qualcosa non va: sentimenti di frustrazione, di scoraggiamento, di disgusto, o rabbia, che, a loro volta, o spingono le persone a cambiare il loro corso di azioni oppure ottengono l’aiuto degli altri. Le persone (e gli animali) eseguono qualsiasi “tendenza all’azione” sia associata ad ogni particolare emozione: il confronto con e l’inibizione della rabbia, la paralisi fisica da paura, il collasso fisico in risposta al sentirsi impotenti, un inesorabile impulso di andare verso ciò che procura gioia, come  il correre verso le persone che si amano, seguito dal bisogno urgente di abbracciarle, ecc..

La mente razionale, mentre è capace di organizzare i sentimenti e gli impulsi, non sembra essere particolarmente ben equipaggiata nell’abolire le emozioni, i pensieri e gli impulsi. Gli studi di “neuroimaging” sugli esseri umani, colti in stati di elevata emotività, rivelano che intense emozioni di paura, di tristezza, di rabbia e di felicità causano un’aumentata attivazione nelle regioni cerebrali sottocorticali e significative riduzioni  del flusso ematico in varie aree del lobo frontale13. Ciò fornisce una base neurobiologica di comprensione  dell’osservazione clinica per cui le persone di solito hanno difficoltà ad organizzare una risposta comportamentale modulata quando sperimentano intense emozioni.

Le risposte emotive  si verificano non per scelta conscia, ma per una disposizione: le strutture cerebrali libiche, come l’amigdala, etichettano gli stimoli in entrata e determinano il loro significato emotivo. Quest’ultimo, a sua volta, determina la risposta, e quale azione vada intrapresa. In altre parole, la valenza emozionale decide la reazione fisica dell’organismo5. Charles Darwin14, Ivan Pavlov15 e William James16 notarono che la funzione delle emozioni è quella di intraprendere l’azione a livello fisico. Come disse Roger Sperry, premio Nobel nel 1981: <<il cervello è un organo di e per il movimento: il cervello è l’organo che muove i muscoli. Fa molte altre cose, ma tutte sono secondarie al far sì che il corpo si muova>>17. Sperry affermava che persino la percezione è secondaria al movimento: <<Per quanto un organismo percepisca un dato oggetto, è preparato a rispondere ad esso… La presenza o assenza di potenzialità di reazioni adattative, pronte a scaricarsi in “patterns”  motori,  fa la  differenza  tra il percepire ed  il non percepire>>17.

Nina Bull18, Jaak Panksepp7, Antonio Damasio5 e altri hanno dimostrato che ogni particolare stato emotivo automaticamente attiva distinte tendenze all’azione: una sequenza programmata di azioni che funziona da aiuto affinché l’organismo fronteggi le sfide poste dall’ambiente. Il neuroscienziato della New York University Rodolfo Llinas così riassume il ruolo del sistema nervoso centrale nel generare l’azione: al fine di creare la propria strada nel mondo, ogni creatura che si muove attivamente deve essere capace di predire quello che sta per accadere e di trovare una strada per dove ha bisogno di andare. La previsione si realizza grazie alla formazione di un’immagine sensomotoria, basata sull’udito, sulla vista o sul tatto. Questa contestualizza il mondo esterno e lo mette a confronto con la mappa interna già esistente. <<Il … confronto dei mondi interno ed esterno [ha come conseguenza il prodursi della] azione appropriata: si produce un movimento>>(p.38). Le persone sperimentano le combinazioni della sensazione e del  bisogno urgente di attivazione fisica sotto forma di un sentimento fisico o un’emozione9.

Le persone sofferenti di PTSD sembrano perdere la loro strada nel mondo. A partire  almeno dal 1889 è stato notato che gli individui traumatizzati sono soggetti a rispondere ai ricordi del passato mettendo in atto in modo automatico azioni fisiche che devono essere state appropriate all’epoca del trauma, ma che non lo sono più19. In “The traumatic neuroses of war” Kardiner20 descrisse il modo in cui i veterani della Prima Guerra Mondiale, percorrendo i sottopassaggi della metropolitana di New York, fossero soggetti a cadere nel terrore e si comportassero come se tornassero nelle trincee quando il treno entrava in un tunnel. Come notava Pierre Janet: <<i pazienti traumatizzati stanno continuando l’azione, o piuttosto il tentativo di azione, che è cominciato quando il fatto è accaduto e essi sono esausti per  questi continui ricominciamenti21>>.

La ricerca neuropsicologica  e basata sul “neuroimaging” dimostra che le vittime di traumi hanno problemi con l’attenzione prolungata e con la memoria di lavoro, che causano difficoltà  nelle prestazioni con la concentrazione focalizzata e, quindi, con l’essere pienamente inseriti  nel presente.  È molto  probabile che questo sia l’effetto di una disfunzione dei circuiti fronto-subcorticali, e di deficit di integrazione corticotalamica 22-23.

Molti bambini e adulti traumatizzati, alle prese con emozioni che li sopraffanno cronicamente, perdono la loro capacità di usare le emozioni come guida per agire in modo efficace. Essi spesso non riconoscono ciò che stanno sentendo e falliscono nel preparare un’appropriata risposta. Tale fenomeno viene  chiamato “alessitimia”24, un’incapacità ad identificare il significato delle sensazioni fisiche e dell’attivazione muscolare. Il fallimento nel riconoscere ciò che sta accadendo causa loro l’essere privi di contatto coi propri bisogni e, conseguentemente, l’incapacità di occuparsene. Tale incapacità di identificare correttamente le sensazioni, le emozioni e gli stati fisici spesso si estende alla difficoltà di valutare gli stati emotivi ed i bisogni di coloro che li circondano. Incapace a calibrare e a modulare i loro stati interni, essi abitualmente crollano di fronte ad una minaccia o esplodono in risposta a minimi fattori di irritazione. La futilità diventa il tratto distintivo della vita quotidiana.

La psicologia e la psichiatria come discipline hanno prestato scarsa attenzione al deficit di “patterns” di orientamento e di azione che vengono sollecitati dall’”input” sensoriale, ed invece tendono a concentrarsi in modo rigido o sulla neurochimica o sugli stati emotivi. Esse quindi possono aver perso di vista la foresta per vedere gli alberi: sia la neurochimica che le emozioni vengono attivate allo scopo di effettuare l’azione: o intraprendere movimenti fisici per proteggere, per attrarre  o per difendere oppure mostrare posture corporee che denotano paura, rabbia o depressione, che invitino gli altri a modificare il loro comportamento. La farmacoterapia aiuta ad affrontare alcuni dei problemi di neurochimica associati al PTSD, quindi aiutando a modulare alcuni dei comportamenti e delle emozioni imbarazzanti e sconvolgenti, ma i farmaci sembrano non essere veramente capaci di correggere qualsiasi anomalia sia sottostante a questi comportamenti ed emozioni.

Quando i clinici riscoprirono le profonde rotture nell’esperienza delle sensazioni fisiche  e dell’attivazione automatica di “patterns” rigidi di azione nei bambini e negli adulti traumatizzati, essi non riuscirono a trovare come affrontare questi deficit. Una cosa era chiara: il cervello razionale ed esecutivo, la mente, la parte che necessita di essere funzionale allo scopo di impegnarsi nel processo della psicoterapia, ha capacità molto limitate di sopprimere le sensazioni, di controllare l’attivazione emozionale o cambiare i “patterns” rigidi di azione. Il problema che Damasio ha articolato doveva essere risolto: “Talvolta usiamo la mente non per scoprire fatti, ma per nasconderli. Usiamo una parte della mente come schermo per impedire a un’altra sua parte di sentire quel che accade altrove. La schermatura non è necessariamente intenzionale – il nostro offuscamento non è sempre deliberato; in ogni caso, lo schermo nasconde davvero. Tra le cose che  nasconde nel modo più efficace, vi è il corpo, il nostro proprio corpo, e con ciò intendo i suoi meandri,  le sue parti interne. Come un velo nasconde il corpo a difesa del pudore, ma non troppo, lo schermo elimina in parte dalla mente gli stati interni del corpo, quelli che costituiscono il flusso della vita nel suo  vagabondare quotidiano. Le presunte caratteristiche di vaghezza, elusività e intangibilità delle emozioni e dei sentimenti sono probabilmente un sintomo di questo fatto, un segno di quanto  copriamo la rappresentazione del nostro corpo, di quante costruzioni mentali basate su oggetti ed eventi estranei mascherino la realtà del corpo” (p. 45 dell’edizione italiana)5.

Dato che la comprensione e l’introspezione sono gli ingredienti principali sia della terapia cognitivo-comportamentale (CBT) sia della psicoterapia psicodinamica, le principali terapie generalmente insegnate nelle scuole di formazione per professionisti, le scoperte delle neuroscienze  sono state difficili da integrare nella pratica terapeutica. Né i protocolli della CBT né le tecniche terapeutiche psicodinamiche prestano sufficiente attenzione all’esperienza ed all’interpretazione delle sensazioni fisiche disturbate ed ai “patterns” fisici preprogrammati di azione.  Da quando  Joseph  LeDoux aveva mostrato che, almeno nei ratti,  “i ricordi emozionali sono per sempre” e  che la corteccia prefrontale dorsolaterale (dlPFC), che è coinvolta nell’introspezione (insight), nella comprensione  e nella pianificazione del futuro,  non ha potenzialmente alcuna via di connessione coi centri cerebrali che generano ed elaborano le emozioni, il meglio che la terapia sia chiamata  ad offrire è di aiutare le persone  ad inibire le azioni fisiche automatiche che le emozioni provocano, azioni la cui estinzione è limitata, e di aiutarle con una “gestione della rabbia” e di calmarsi prima di far volare via l’occasione, come ad esempio contando fino a dieci e facendo dei profondi respiri2.

La consapevolezza che l’insight e la comprensione non siano in genere sufficienti a tenere lontane le persone traumatizzate dal sentire e dall’agire regolarmente come se fossero sempre nuovamente traumatizzate ha costretto i clinici ad esplorare tecniche che offrano la possibilità di riprogrammare queste risposte fisiche automatiche. È stato del tutto naturale che questo avrebbe comportato il  focalizzarsi sulla consapevolezza delle sensazioni interne e dei “patterns” fisici d’azione. La tecnica terapeutica più rigorosamente  soggetta a protocolli di verifica sperimentale dalla maggioranza degli studi, che comprende  una tale  “mindfulness”,  è attualmente data dalla terapia comportamentale dialettica (DBT)25. Comunque, molte culture non occidentali hanno tradizioni di cura (come lo yoga, il  “chi qong” ed il “tai chi”)  capaci di attivare e di utilizzare il movimento fisico  ed il respiro, le quali tutte affermano di regolare gli stati emotivi e fisiologici.  Invece, in Occidente il lavoro con le sensazioni ed il movimento è stato frammentato ed è restato al  di fuori  della corrente principale dell’insegnamento medico e psicologico. Eppure, il lavoro con le sensazioni ed il movimento è stato ampiamente esplorato in tecniche quali il “focusing”, la consapevolezza sensoriale, il metodo Feldenkrais, il Rolfing, la tecnica di F.M. Alexander, il “body-mind centering”, il “somatic experiencing”, la psicoterapia di Pesso-Boyden, la sinergia di Rubenfeld, il metodo Hakomi e molti altri. Mentre ciascuna di queste tecniche comprende approcci molto sofisticati, la natura e gli effetti di queste pratiche non si articolano  facilmente e, come nota  Don Hanlon, i loro significati non sono facilmente colti  all’interno delle categorie intellettuali dominanti. La più stretta integrazione tra la scienza ufficiale e le terapie orientate sul corpo si verificò quando Nico Tinbergen dedicò il suo discorso di ricevimento del premio Nobel del 1973 alla tecnica di Alexander.



Note bibliografiche dell'Autore:

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22 VASTERLING, J., K. BRAILEY, N. CONSTANS, et al. 1998. Attention and memory dysfunction in posttraumatic stress disorder. Neuropsychology 12: 121–133.

23 CLARK, R.C., A.C. MCFARLANE, P.L.P. MORRIS, et al. 2003. Cerebral function in posttraumatic stress disorder during verbal working memory upgrading: a positron emission tomography study. Biol. Psychiatry 53: 474–481.

24 KRYSTAL, H. 1988. Integration and Self-Healing. The Analytic Press. Hillsdale, NJ.

5 DAMASIO, A.R. 1999. The Feeling of what Happens: body and Emotion in the Making on Consciousness. Harcourt Brace. New York (trad.it. Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000).

2 HULL, A.M. 2002. Neuroimaging findings in post-traumatic stress disorder. Br. J. Psychiatry 181: 102–110.

25 LINEHAN, M.M., H.E. ARMSTRONG, A. SUAREZ, et al. 1991. Cognitive-behavioural treatment of chronically parasuicidal borderline patients. Arch. Gen. Psychiatry 48: 1060–1064.

 

 


 

 

 

(fine della prima parte - l'articolo nella sua completezza verrà pubblicato successivamente in un libro  delle Edizioni Frenis Zero)

 
 
 
 
   

Bibliografia

 

 

1. RAUCH, S., B.A. VAN DER KOLK, R. FISLER, et al. 1996. A symptom provocation

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Making on Consciousness. Harcourt Brace. New York (traduzione italiana Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000).

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Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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