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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività
Mind Sciences, Philosophy, Psychotherapy and Creativeness 

  Numero 4, anno 2, giugno 2005 

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VIRGINIA WOOLF: SCRIVERE IL SUICIDIO

 

 di Malcolm Ingram
 

 

Questo articolo fa parte di "Sotto un mare tempestoso: La storia psichiatrica di Virginia Woolf" che è in corso di pubblicazione, per gentile concessione dell'autore, nel sito dell'A.S.S.E.Psi. e nella rivista "Frenis Zero". Per i capitoli già pubblicati si vada all'indirizzo http://web.tiscali.it/bibliopsi/maretempestoso.htm  . La traduzione italiana è di Lucia Giannone.

 

 

 

Malcolm Ingram , MD, is Retired Consultant Psychiatrist, at the Southern General Hospital , Glasgow, Scotland. He is Former Lecturer in Psychological Medicine at University of Glasgow. His research interests and publications include work on obsessional neurosis and personality, psychiatric aspects of abortion, and the efficacy of teaching. He has always had an interest in psychiatry and literature, lecturing on Johnson and Boswell and James Joyce, and also on psychiatric disorder in composers such as Schumann and Donizetti. He also studies the diary or journal as a  literary form.

 

 

Il 28 marzo 1941, all'età di 59 anni, Virginia Woolf si gettò nel fiume Ouse, nei pressi della sua casa nel Sussex. Furono trovati a casa due messaggi scritti concernenti il (tentato) suicidio,  simili  nel contenuto, uno dei quali poteva esser stato scritto dieci giorni prima, ed è possibile che allora ella avesse già fatto un tentativo di suicidio non riuscito, poichè quel giorno tornò da una passeggiata completamente inzuppata, dicendo di essere caduta. I messaggi erano indirizzati alla sorella Vanessa ed al marito Leonard. A questi scrisse:

VW aged 53

"Carissimo, sento con certezza che sto di nuovo impazzendo. Sento che non possiamo attraversare un altro di quei terribili periodi. E questa volta non guarirò. Comincio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Così sto facendo ciò che mi sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto quello che uno poteva essere. Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici fino a che non è arrivata questa terribile malattia. Non posso più lottare. So che sto rovinando la tua vita, che senza di me potresti lavorare. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scriverlo correttamente. Non riesco a leggere. Quello che voglio dire è che devo a te tutta la felicità della mia vita. Sei stato interamente paziente con me ed incredibilmente buono. Voglio dirlo - tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi quello saresti stato tu. Tutto  è andato via da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare ancora a distruggere la tua vita.

Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi due.

V."

Dopo aver scritto questo messaggio lasciò Monk's House - la sua casa - alle 11.30, prendendo il suo bastone da passeggio, ed attraversò la marcita verso il fiume, dove si mise una grande pietra nella tasca del cappotto. 

Il suo corpo non fu recuperato prima del 18 aprile quando fu scoperto da dei bambini a breve distanza a valle. Il marito identificò il corpo, ed un'inchiesta venne avviata il giorno dopo a Newhaven. Il verdetto, nell'espressione standard dell'epoca, fu 'suicidio mentre l'equilibrio della sua mente era disturbato'. Fu cremata privatamente a Brighton il 21 aprile, e le sue ceneri furono sparse sotto uno dei due olmi della sua casa a Monk's House.

Quali sintomi ed eventi precedettero la sua morte? Per quanto tempo era stata depressa? Circa quarant'anni dopo, il marito, Leonard Woolf, descrisse il suo ultimo anno di vita ed il suicidio in uno dei volumi della sua autobiografia. Le critiche da parte femminista sono state diffidenti circa le motivazioni da lui portate, ma egli era un uomo accurato in maniera pedante che prendeva quotidianamente brevi ma dettagliate note delle sue attività durante il matrimonio. Il suo resoconto è, quantomeno cronologicamente accurato, dato che egli aveva accesso a questi diari ed a quelli più lunghi della moglie, entrambi redatti al tempo degli eventi. Egli descrive - sono tipici gli accurati riferimenti temporali  - '319 giorni di catastrofe a capofitto e tuttavia lenta' compresi tra l'invio delle bozze della sua biografia di Roger Fry agli stampatori il 13 maggio 1940, ed il suo suicidio il 28 marzo 1941. Eppure egli scrive che ella era solo da poco ammalata - 'la perdita di controllo della sua mente cominciò solo un mese o due prima del suicidio'. Mentre si deve ammettere che il periodo tra l'aprile del 1940 ed il gennaio 1941 fu stressante per chiunque, specie nell'Inghilterra del Sud, con le incursioni aeree e la crescente minaccia di invasione, Leonard pensò che 'ella fosse più felice per la maggior parte (del tempo), e la sua mente più tranquilla del solito'.

Nel maggio e giugno del 1940 avevano discusso tra loro due e con gli amici quali azioni avrebbero dovuto intraprendere nel caso di una invasione tedesca. Non nutrivano alcuna illusione circa il modo con cui un intellettuale ebreo, attivo politicamente, e sua moglie sarebbero stati trattati dai nazisti. 'Eravamo d'accordo che se fosse avvenuto quell'eventualità  avremmo chiuso la porta del garage e ci saremmo suicidati', scrisse Leonard. Nel giugno 1940 Adrian Stephen, il fratello psicoanalista di Virginia, fornì ai coniugi Woolf delle dosi letali di morfina da usare nel caso di un'invaione tedesca. Questa era una decisione condivisa dalla coppia, e non un segnale di depressione o di pensieri suicidari patologici da parte di lei. E nemmeno lei usò la morfina quando decise di porre fine alla propria vita.

Nel febbraio 1940 Virginia si ammalò di 'influenza', e trascorse le prime tre settimane di marzo a letto. Tali attacchi non erano inusuali negli ultimi venti anni della sua vita. E' difficile sapere se si trattava di raffreddori comuni, aggravati dalla bronchite, e se essi scatenassero delle oscillazioni modeste dell'umore, che erano allora gestite con cautela dal marito e dai medici. Come in questo caso, il tempo trascorso a letto  era spesso sproporzionato rispetto alla diagnosi di 'influenza'. Altre volte questi sintomi coesistevano con lunghi episodi di cefalea che la debilitavano, e che, se non trattati col riposo a letto, potevano condurre a delle oscillazioni d'umore più marcate.

Per il resto dell'anno ella fu piena di energia e produttiva; nel novembre del 1940 stava scrivendo quattro opere simultaneamente. A dicembre aveva finito le bozze della sua ultima novella 'Between the Acts'. le sue lettere di quel mese spesso menzionano tremori alle mani, e con la fine dell'anno si registra un accenno di depressione e di atteggiamenti auto-colpevolizzanti quando scrive alla sua amica e medico generico Octavia Wilberforce: "Ho perso tutto il potere sulle parole, non posso fare una cosa con esse". Gli effetti della guerra stavano aprendo loro gli occhi, la loro casa e laboratorio di Londra a Mecklenburg Square era stata bombardata, e tutti i suoi mobili,  le loro carte, e le copie in fase di stampa arrivarono al cottage, e dovettero essere sistemate e selezionate. Ma all'inizio del 1941 ella stava progettando di rileggere l'intera letteratura inglese e si imbarcò nel progetto. A febbraio Elizabeth Bowen visitò la sua collega scrittrice, non trovò alcun segno di malattia ed anni dopo soprattutto ricordò la sua forte risata.

Leonard Woolf aveva notato i primi sintomi di un 'serio disturbo mentale' il 25 gennaio 1940, al compleanno della moglie, mentre lei stava rivedendo la bozza di "Between the Acts". A lei era piaciuto scrivere quel libro, terminando la prima bozza alla fine del precedente mese di novembre, e scrivendo allora:"Sono un pò trionfante a proposito del libro... Mi è piaciuto scrivere quasi ogni pagina". Quando la sua ultima depressione divenne così profonda che sembrava come trincerata in essa, l'idea che il libro fosse un fallimento diventò una ferma convinzione, ma durante questa revisione l'angoscia fece la sua comparsa, per andar via solo dopo dieci o dodici giorni.

Leonard sempre assunse iniziative immediate. "Per anni sono stato abituato a osservare i segni di pericolo nella mente di Virginia, ed i sintomi di allarme erano sopraggiunti lentamente e in maniera evidente, la cefalea, l'insonnia, l'incapacità a concentrarsi. Avevamo imparato che uno scompenso si poteva sempre evitare, se lei immediatamente si fosse ritirata in un bozzolo di quiescenza quando i sintomi si evidenziavano. Ma questa volta non ci furono sintomi d'allarme". L'unico altro scompenso che ebbe un esordio improvviso si era verificato nel 1915 - il suo episodio di malattia più grave e duraturo.

Lo scrittore John Lehmann, che al tempo lavorava per i Woolf alla Hogarth Press, la vide nelle settimane precedenti la sua morte, e ricevette una delle ultime lettere di Virginia. Gli era stato chiesto di leggere la bozza finale di "Between the Acts", e in questa occasione lei si convinse che il libro non aveva nessun valore. Nelle sue "Recollections" Lehmann descrive il suo stato mentale nel marzo del 1941. "Divenni sempre più consapevole del fatto che Virginia apparisse insolitamente tesa e nervosa, la sua mano che tremava, sebbene ella parlasse in un modo assolutamente chiaro e con padronanza di sé".  Ella aveva portato con sé la bozza di "Between the Acts", e "Virginia immediatamente iniziò, ora piuttosto confusamente, a dire che non era per nulla buono, che non poteva essere pubblicato, che doveva essere distrutto. In maniera molto gentile, ma con grande determinazione, Leonard la rimproverò e la contraddisse...".

Nei pochi giorni seguenti Lehmann lesse la bozza della novella: "la prima cosa che notai era che il battere a macchina - il suo battere a macchina - ed il sillabare erano più eccentrici, più irregolari che in ogni altro suo dattiloscritto che io avevo visto prima. Ogni pagina era macchiata di correzioni, in un modo che suggeriva che la mano che le aveva fatte era stata governata da un alto voltaggio di corrente elettrica".

Lehmann allora ricevette una lettera da lei che diceva che il libro era banale e stupido, e non poteva essere pubblicato, con una lettera di accompagnamento di Leonard che diceva che ella si trovava sull'orlo dello scompenso. Entrambe erano state probabilmente scritte il giorno prima della morte. "Quella volta  che mi raggiunsero era tutto finito... ne ero consapevole... di una risacca di tristezza, di melanconia, di grande angoscia, ma l'impressione più grande fu di una creatura che rideva e si muoveva ".

Un altro testimone fu il suo medico generico, Octavia Wilberforce, una discendente di William Wilberforce. All'epoca ella stava anche gestendo una fattoria che produceva latticini vicina a loro, e per qualche mese aveva rifornito i Woolf di burro e panna in quel periodo di penuria. Ella aveva visitato Monks House frequentemente a partire dal gennaio 1941, ma non ci fu una visita  vera e propria fino al 17 marzo. Tre giorni prima Virginia aveva discusso una delle sue ultime storielle brevi con la dottoressa Wilberforce e le aveva detto che ciò l'aveva lasciata "disperata - depressa al massimo grado".

La dottoressa Wilberforce quando si era da poco laureata lavorò come medico supplente per uno o due mesi presso l'ospedale psichiatrico di Graylingwell, ma le sue conoscenze psichiatriche, analogamente alla maggior parte dei medici del tempo, erano rudimentali, sebbene ella avesse letto qualcosa di Freud. Dietro richiesta di Leonard ella visitò Virginia il 26 marzo, il giorno prima della morte. La dottoressa aveva l'influenza e si alzò dal letto per fare questa visita. Virginia le disse che  era stato "assolutamente non necessario esser venuta" e non rispose alle sue domande in maniera sincera. Era in genere 'resistente', e chiedeva la promessa che non le fosse prescritto una 'terapia del riposo' - cioé, un ricovero in un reparto psichiatrico - prima che lei si fosse sottoposta ad una visita medica.

Octavia Wilberforce, nelle lettere scritte nei pochi giorni seguenti, è ovviamente turbata dal suicidio. Ella telefonò ad un amico medico per essere rassicurata. Il 28 scrisse:" Sono tormentata da Virginia e dal mio fallimento nell'aiutarla". Fece visita a Leonard ch le disse che quando si sposò egli non sapeva nulla della sua (di Virginia) 'afflizione'. Le parlò della  natura periodica di questa, delle molte opinioni (differenti) che essi avevano ricevuto sulla sua natura, e del suo carattere allegro. Il 29 fece di nuovo visita a lui, e lui le disse che dopo la visita del 26 Virginia sembrava di buon umore e del tutto diversa.

Ma lei era diventata depressa prima e non solo per i dieci o dodici giorni che aveva notato il marito. Il suo (di V.) diario dello 8 marzo riportava: "Annoto questo pensiero di Henry James:' Osserva sempre. Osserva l'età che si appressa. Osserva l'avidità. Osserva il mio sconforto. Grazie a ciò diventa utile". 

Qualsiasi sia stata la sua durata, Leonard era molto preoccupato per lei il 17 marzo. Lei era abile nel dissimulare. Persino dopo quella data in cui lei scriveva lettere in modo coerente e piene di buon umore ad un certo numero di amici. Probabilmente cercava di nascondere la sua depressione e le sue idee suicidarie al suo medico ed a suo marito. La dottoressa Wilberforce la vide in precedenza il 22 marzo. Virginia aveva voluto intervistarla a proposito di una sua parente - una cugina di Octavia - progettando di scrivere un profilo di questa persona. Quella volta Virginia era preoccupata dei propri antenati, specie di suo padre. La dottoressa Octavia cercò di scuoterla dicendole che lei (V.) era il  peggior nemico di se stessa. In seguito scrisse: "Pensai che questo occuparsi della famiglia fosse senza senso, sciocchezze come quando uno dice che il sangue è più denso dell'acqua. Ad ogni modo  sorpresa". E' chiaro che la dottoressa non ebbe alcun sentore dell'imminente suicidio. A questo punto Leonard non aveva potuto informarla nei dettagli circa la storia precedente di sua moglie, specie dei suoi precedenti tentativi di suicidio, o della loro grave natura.

Qualche critico ha tenuto in gran conto la guerra e la minaccia di invasione come 'cause' del suicidio. Immediatamente dopo la morte Leonard ed Octavia Wilberforce pensarono che la guerra avesse ricordato a lei (a V.) della sua malattia durante la prima guerra mondiale. Eventi attuali avevano rivolto la sua mente alla morte, ma non al suicidio, tranne che vicino alla fine. Solo sei mesi prima della morte, il 2 ottobre 1940, scrisse un'annotazione nel suo diario, durante un periodo di attacchi aerei, immaginando cosa sarebbe stato morire in uno di essi. "Penserò - oh volevo altri dieci anni - non questo..."

Ella registrò le sue opinioni sul suicidio, quando stava bene,  negli anni trenta, quando era in corrispondenza col compositore Ethel Smyth, uno dei pochi amici coi quali si era confidata circa i suoi precedenti episodi di malattia. Il 30 ottobre 1930 scrisse: "A proposito, quali sono gli argomenti contro il suicidio? Sai che persona volubile sono: bene, improvvisamente come un tuono mi viene un senso di completa  inutilità della mia vita. E' come improvvisamente lanciarsi contro un muro alla fine di un vicolo cieco. Ora quali sono gli argomenti contro questo pensiero -'Oh sarebbe meglio porre fine a ciò'? Non ho bisogno di dire che non ho alcuna sorta di intenzione a fare nessun passo: semplicemente voglio sapere... quali sono gli argomenti contro di esso?"

Sei mesi dopo, il 29 marzo 1931, tornò sull'argomento:"Perché mi sono sentita violenta dopo il 'party'? Sarebbe divertente vedere quanto puoi capire, col tuo 'insight', i vari stati della mente che mi portano, venendo a casa, a dire a L.: -'Se tu non fossi qui, dovrei uccidermi - tanto io soffro'".

Pochi giorni dopo sentì Beatrice Webb parlare del suicidio, e lo 8 aprile le scrisse: "Volevo dirti ma ho troppo esitato, quanto mi è piaciuto (sentirti parlare) delle tue opinioni sulla possibile giustificazione del suicidio. Avendone fatto io stessa il tentativo, partendo dalle migliori motivazioni che io abbia pensato -  per non  essere un peso per mio marito - l'accusa convenzionale di vigliaccheria e di peccato mi ha sempre piuttosto irritata".

Il suicidio era un argomento sempre interessante, e lei poteva considerarlo con freddo distacco quando stava bene, sebbene permettesse a se stessa di credere che il suo passato tentato suicidio fosse ragionevole ed altruistico. Come per la morte, la sua adolescenza era stata così piena di morti dei  genitori e dei fratelli che per il resto della vita ella sentiva la presenza dei morti, e del loro ricordo, tanto intensamente quanto lo erano i vivi, a tal punto che il suo senso di realtà era talora disturbato dalla vivacità del passato.

Sulla base di questi elementi si può fare una diagnosi accurata della sua malattia finale. A partire dalle sole annotazioni concernenti il suicidio, la maggior parte degli psichiatri farebbero una diagnosi sicura di depressione grave. Ella dice di non essere solo depressa, ma in procinto di diventare di nuovo 'matta'; sta cominciando a sentire le voci.  Non riesce a concentrarsi, a leggere o a scrivere. Mostra tendenza all'auto-accusa, credendo di star distruggendo la vita del marito. Si sente disperata, che non può più andare avanti. Crede che il suicidio sia la strada migliore. Le note di Lehmann mostrano che la sua tendenza all'autocritica fosse del tutto non giustificata, essendo ciò esemplificato dalla sua bassa opinione relativa alla sua novella che lei aveva concepito pochi mesi prima. Le rassicurazioni concernenti il libro e la sua guarigione erano state frequenti ed inutili. Quando fu visitata dalla dottoressa Wilberforce il giorno prima della morte, aveva all'inizio rifiutato di parlare dei propri sintomi o di ammettere che c'era qualcosa che non andava. Ognuno di questi sintomi è tipico della depressione grave. Il solo aspetto atipico (contenuto) nella lettera è la sua chiara ammissione di essere ammalata - che sta impazzendo e che ha una 'terribile malattia'.

Con qusto ben documentato e infine fatale episodio nella mente, sarà più agevole tracciare la lunga e complicata storia dei suoi passati episodi, sia di quelli gravi che di quelli di intensità moderata.

 

 

 

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