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VIRGINIA
WOOLF: SCRIVERE IL SUICIDIO
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di
Malcolm Ingram
Questo articolo fa parte di "Sotto un mare tempestoso:
La storia psichiatrica di Virginia Woolf" che è in corso
di pubblicazione, per gentile concessione dell'autore, nel
sito dell'A.S.S.E.Psi. e nella rivista "Frenis
Zero". Per i capitoli già pubblicati si vada
all'indirizzo http://web.tiscali.it/bibliopsi/maretempestoso.htm
. La traduzione italiana è di Lucia Giannone.
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Malcolm
Ingram , MD, is Retired Consultant Psychiatrist, at the Southern
General Hospital , Glasgow, Scotland. He is Former Lecturer in
Psychological Medicine at University of Glasgow. His research
interests and publications include work on obsessional neurosis and
personality, psychiatric aspects of abortion, and the efficacy of
teaching. He has always had an interest in psychiatry and literature,
lecturing on Johnson and Boswell and James Joyce, and also on
psychiatric disorder in composers such as Schumann and Donizetti. He
also studies the diary or journal as a literary form.
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Il 28
marzo 1941, all'età di 59 anni, Virginia Woolf si gettò nel fiume
Ouse, nei pressi della sua casa nel Sussex. Furono trovati a casa
due messaggi scritti concernenti il (tentato) suicidio,
simili nel contenuto, uno dei quali poteva esser stato scritto
dieci giorni prima, ed è possibile che allora ella avesse già
fatto un tentativo di suicidio non riuscito, poichè quel giorno
tornò da una passeggiata completamente inzuppata, dicendo di essere
caduta. I messaggi erano indirizzati alla sorella Vanessa ed al
marito Leonard. A questi scrisse:
"Carissimo,
sento con certezza che sto di nuovo impazzendo. Sento che non
possiamo attraversare un altro di quei terribili periodi. E questa
volta non guarirò. Comincio a sentire voci, e non riesco a
concentrarmi. Così sto facendo ciò che mi sembra la cosa migliore
da fare. Tu mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei
stato in ogni modo tutto quello che uno poteva essere. Non credo che
due persone avrebbero potuto essere più felici fino a che non è
arrivata questa terribile malattia. Non posso più lottare. So che
sto rovinando la tua vita, che senza di me potresti lavorare. E lo
farai lo so. Vedi non riesco neanche a scriverlo correttamente. Non
riesco a leggere. Quello che voglio dire è che devo a te tutta la
felicità della mia vita. Sei stato interamente paziente con me ed
incredibilmente buono. Voglio dirlo - tutti lo sanno. Se qualcuno
avesse potuto salvarmi quello saresti stato tu. Tutto è
andato via da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso
continuare ancora a distruggere la tua vita.
Non
credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo
siamo stati noi due.
V."
Dopo
aver scritto questo messaggio lasciò Monk's House - la sua casa -
alle 11.30, prendendo il suo bastone da passeggio, ed attraversò la
marcita verso il fiume, dove si mise una grande pietra nella tasca del
cappotto.
Il suo
corpo non fu recuperato prima del 18 aprile quando fu scoperto da
dei bambini a breve distanza a valle. Il marito identificò il
corpo, ed un'inchiesta venne avviata il giorno dopo a Newhaven. Il
verdetto, nell'espressione standard dell'epoca, fu 'suicidio mentre
l'equilibrio della sua mente era disturbato'. Fu cremata
privatamente a Brighton il 21 aprile, e le sue ceneri furono sparse
sotto uno dei due olmi della sua casa a Monk's House.
Quali
sintomi ed eventi precedettero la sua morte? Per quanto tempo era
stata depressa? Circa quarant'anni dopo, il marito, Leonard Woolf,
descrisse il suo ultimo anno di vita ed il suicidio in uno dei
volumi della sua autobiografia. Le critiche da parte femminista sono
state diffidenti circa le motivazioni da lui portate, ma egli era un
uomo accurato in maniera pedante che prendeva quotidianamente brevi
ma dettagliate note delle sue attività durante il matrimonio. Il
suo resoconto è, quantomeno cronologicamente accurato, dato che
egli aveva accesso a questi diari ed a quelli più lunghi della
moglie, entrambi redatti al tempo degli eventi. Egli descrive - sono
tipici gli accurati riferimenti temporali - '319 giorni di
catastrofe a capofitto e tuttavia lenta' compresi tra l'invio delle
bozze della sua biografia di Roger Fry agli stampatori il 13 maggio
1940, ed il suo suicidio il 28 marzo 1941. Eppure egli scrive che
ella era solo da poco ammalata - 'la perdita di controllo della sua
mente cominciò solo un mese o due prima del suicidio'. Mentre si
deve ammettere che il periodo tra l'aprile del 1940 ed il gennaio
1941 fu stressante per chiunque, specie nell'Inghilterra del Sud,
con le incursioni aeree e la crescente minaccia di invasione,
Leonard pensò che 'ella fosse più felice per la maggior parte (del
tempo), e la sua mente più tranquilla del solito'.
Nel
maggio e giugno del 1940 avevano discusso tra loro due e con gli
amici quali azioni avrebbero dovuto intraprendere nel caso di una
invasione tedesca. Non nutrivano alcuna illusione circa il modo con
cui un intellettuale ebreo, attivo politicamente, e sua moglie
sarebbero stati trattati dai nazisti. 'Eravamo d'accordo che se
fosse avvenuto quell'eventualità avremmo chiuso la porta del
garage e ci saremmo suicidati', scrisse Leonard. Nel giugno 1940
Adrian Stephen, il fratello psicoanalista di Virginia, fornì ai
coniugi Woolf delle dosi letali di morfina da usare nel caso di un'invaione
tedesca. Questa era una decisione condivisa dalla coppia, e non un
segnale di depressione o di pensieri suicidari patologici da parte
di lei. E nemmeno lei usò la morfina quando decise di porre fine
alla propria vita.
Nel
febbraio 1940 Virginia si ammalò di 'influenza', e trascorse le
prime tre settimane di marzo a letto. Tali attacchi non erano
inusuali negli ultimi venti anni della sua vita. E' difficile sapere
se si trattava di raffreddori comuni, aggravati dalla bronchite, e
se essi scatenassero delle oscillazioni modeste dell'umore, che
erano allora gestite con cautela dal marito e dai medici. Come in
questo caso, il tempo trascorso a letto era spesso
sproporzionato rispetto alla diagnosi di 'influenza'. Altre volte
questi sintomi coesistevano con lunghi episodi di cefalea che la
debilitavano, e che, se non trattati col riposo a letto, potevano
condurre a delle oscillazioni d'umore più marcate.
Per il
resto dell'anno ella fu piena di energia e produttiva; nel novembre
del 1940 stava scrivendo quattro opere simultaneamente. A dicembre
aveva finito le bozze della sua ultima novella 'Between the Acts'.
le sue lettere di quel mese spesso menzionano tremori alle mani, e
con la fine dell'anno si registra un accenno di depressione e di
atteggiamenti auto-colpevolizzanti quando scrive alla sua amica e
medico generico Octavia Wilberforce: "Ho perso tutto il potere
sulle parole, non posso fare una cosa con esse". Gli effetti
della guerra stavano aprendo loro gli occhi, la loro casa e
laboratorio di Londra a Mecklenburg Square era stata bombardata, e
tutti i suoi mobili, le loro carte, e le copie in fase di
stampa arrivarono al cottage, e dovettero essere sistemate e
selezionate. Ma all'inizio del 1941 ella stava progettando di
rileggere l'intera letteratura inglese e si imbarcò nel progetto. A
febbraio Elizabeth Bowen visitò la sua collega scrittrice, non
trovò alcun segno di malattia ed anni dopo soprattutto ricordò la
sua forte risata.
Leonard
Woolf aveva notato i primi sintomi di un 'serio disturbo mentale' il
25 gennaio 1940, al compleanno della moglie, mentre lei stava
rivedendo la bozza di "Between the Acts". A lei era
piaciuto scrivere quel libro, terminando la prima bozza alla fine
del precedente mese di novembre, e scrivendo allora:"Sono un
pò trionfante a proposito del libro... Mi è piaciuto scrivere
quasi ogni pagina". Quando la sua ultima depressione divenne
così profonda che sembrava come trincerata in essa, l'idea che il
libro fosse un fallimento diventò una ferma convinzione, ma durante
questa revisione l'angoscia fece la sua comparsa, per andar via solo
dopo dieci o dodici giorni.
Leonard
sempre assunse iniziative immediate. "Per anni sono stato
abituato a osservare i segni di pericolo nella mente di Virginia, ed
i sintomi di allarme erano sopraggiunti lentamente e in maniera
evidente, la cefalea, l'insonnia, l'incapacità a concentrarsi.
Avevamo imparato che uno scompenso si poteva sempre evitare, se lei
immediatamente si fosse ritirata in un bozzolo di quiescenza quando
i sintomi si evidenziavano. Ma questa volta non ci furono sintomi
d'allarme". L'unico altro scompenso che ebbe un esordio
improvviso si era verificato nel 1915 - il suo episodio di malattia
più grave e duraturo.
Lo
scrittore John Lehmann, che al tempo lavorava per i Woolf alla
Hogarth Press, la vide nelle settimane precedenti la sua morte, e
ricevette una delle ultime lettere di Virginia. Gli era stato
chiesto di leggere la bozza finale di "Between the Acts",
e in questa occasione lei si convinse che il libro non aveva nessun
valore. Nelle sue "Recollections" Lehmann descrive il suo
stato mentale nel marzo del 1941. "Divenni sempre più
consapevole del fatto che Virginia apparisse insolitamente tesa e
nervosa, la sua mano che tremava, sebbene ella parlasse in un modo
assolutamente chiaro e con padronanza di sé". Ella aveva
portato con sé la bozza di "Between the Acts", e
"Virginia immediatamente iniziò, ora piuttosto confusamente, a
dire che non era per nulla buono, che non poteva essere pubblicato,
che doveva essere distrutto. In maniera molto gentile, ma con grande
determinazione, Leonard la rimproverò e la contraddisse...".
Nei
pochi giorni seguenti Lehmann lesse la bozza della novella: "la
prima cosa che notai era che il battere a macchina - il suo battere
a macchina - ed il sillabare erano più eccentrici, più irregolari
che in ogni altro suo dattiloscritto che io avevo visto prima. Ogni
pagina era macchiata di correzioni, in un modo che suggeriva che la
mano che le aveva fatte era stata governata da un alto voltaggio di
corrente elettrica".
Lehmann
allora ricevette una lettera da lei che diceva che il libro era
banale e stupido, e non poteva essere pubblicato, con una lettera di
accompagnamento di Leonard che diceva che ella si trovava sull'orlo
dello scompenso. Entrambe erano state probabilmente scritte il
giorno prima della morte. "Quella volta che mi
raggiunsero era tutto finito... ne ero consapevole... di una risacca
di tristezza, di melanconia, di grande angoscia, ma l'impressione
più grande fu di una creatura che rideva e si muoveva ".
Un
altro testimone fu il suo medico generico, Octavia Wilberforce, una
discendente di William Wilberforce. All'epoca ella stava anche
gestendo una fattoria che produceva latticini vicina a loro, e per
qualche mese aveva rifornito i Woolf di burro e panna in quel
periodo di penuria. Ella aveva visitato Monks House frequentemente a
partire dal gennaio 1941, ma non ci fu una visita vera e
propria fino al 17 marzo. Tre giorni prima Virginia aveva discusso
una delle sue ultime storielle brevi con la dottoressa Wilberforce e
le aveva detto che ciò l'aveva lasciata "disperata - depressa
al massimo grado".
La
dottoressa Wilberforce quando si era da poco laureata lavorò come
medico supplente per uno o due mesi presso l'ospedale psichiatrico
di Graylingwell, ma le sue conoscenze psichiatriche, analogamente
alla maggior parte dei medici del tempo, erano rudimentali, sebbene
ella avesse letto qualcosa di Freud. Dietro richiesta di Leonard
ella visitò Virginia il 26 marzo, il giorno prima della morte. La
dottoressa aveva l'influenza e si alzò dal letto per fare questa
visita. Virginia le disse che era stato "assolutamente
non necessario esser venuta" e non rispose alle sue domande in
maniera sincera. Era in genere 'resistente', e chiedeva la promessa
che non le fosse prescritto una 'terapia del riposo' - cioé, un
ricovero in un reparto psichiatrico - prima che lei si fosse
sottoposta ad una visita medica.
Octavia
Wilberforce, nelle lettere scritte nei pochi giorni seguenti, è
ovviamente turbata dal suicidio. Ella telefonò ad un amico medico
per essere rassicurata. Il 28 scrisse:" Sono tormentata da
Virginia e dal mio fallimento nell'aiutarla". Fece visita a
Leonard ch le disse che quando si sposò egli non sapeva nulla della
sua (di Virginia) 'afflizione'. Le parlò della natura
periodica di questa, delle molte opinioni (differenti) che essi
avevano ricevuto sulla sua natura, e del suo carattere allegro. Il
29 fece di nuovo visita a lui, e lui le disse che dopo la visita del
26 Virginia sembrava di buon umore e del tutto diversa.
Ma lei
era diventata depressa prima e non solo per i dieci o dodici giorni
che aveva notato il marito. Il suo (di V.) diario dello 8 marzo
riportava: "Annoto questo pensiero di Henry James:' Osserva
sempre. Osserva l'età che si appressa. Osserva l'avidità. Osserva
il mio sconforto. Grazie a ciò diventa utile".
Qualsiasi
sia stata la sua durata, Leonard era molto preoccupato per lei il 17
marzo. Lei era abile nel dissimulare. Persino dopo quella data in
cui lei scriveva lettere in modo coerente e piene di buon umore ad
un certo numero di amici. Probabilmente cercava di nascondere la sua
depressione e le sue idee suicidarie al suo medico ed a suo marito.
La dottoressa Wilberforce la vide in precedenza il 22 marzo.
Virginia aveva voluto intervistarla a proposito di una sua parente -
una cugina di Octavia - progettando di scrivere un profilo di questa
persona. Quella volta Virginia era preoccupata dei propri antenati,
specie di suo padre. La dottoressa Octavia cercò di scuoterla
dicendole che lei (V.) era il peggior nemico di se stessa. In
seguito scrisse: "Pensai che questo occuparsi della famiglia
fosse senza senso, sciocchezze come quando uno dice che il sangue è
più denso dell'acqua. Ad ogni modo sorpresa". E' chiaro
che la dottoressa non ebbe alcun sentore dell'imminente suicidio. A
questo punto Leonard non aveva potuto informarla nei dettagli circa
la storia precedente di sua moglie, specie dei suoi precedenti
tentativi di suicidio, o della loro grave natura.
Qualche
critico ha tenuto in gran conto la guerra e la minaccia di invasione
come 'cause' del suicidio. Immediatamente dopo la morte Leonard ed
Octavia Wilberforce pensarono che la guerra avesse ricordato a lei
(a V.) della sua malattia durante la prima guerra mondiale. Eventi
attuali avevano rivolto la sua mente alla morte, ma non al suicidio,
tranne che vicino alla fine. Solo sei mesi prima della morte, il 2
ottobre 1940, scrisse un'annotazione nel suo diario, durante un
periodo di attacchi aerei, immaginando cosa sarebbe stato morire in
uno di essi. "Penserò - oh volevo altri dieci anni - non
questo..."
Ella
registrò le sue opinioni sul suicidio, quando stava bene,
negli anni trenta, quando era in corrispondenza col compositore
Ethel Smyth, uno dei pochi amici coi quali si era confidata circa i
suoi precedenti episodi di malattia. Il 30 ottobre 1930 scrisse:
"A proposito, quali sono gli argomenti contro il suicidio? Sai
che persona volubile sono: bene, improvvisamente come un tuono mi
viene un senso di completa inutilità della mia vita. E' come
improvvisamente lanciarsi contro un muro alla fine di un vicolo
cieco. Ora quali sono gli argomenti contro questo pensiero -'Oh
sarebbe meglio porre fine a ciò'? Non ho bisogno di dire che non ho
alcuna sorta di intenzione a fare nessun passo: semplicemente voglio
sapere... quali sono gli argomenti contro di esso?"
Sei
mesi dopo, il 29 marzo 1931, tornò sull'argomento:"Perché mi
sono sentita violenta dopo il 'party'? Sarebbe divertente vedere
quanto puoi capire, col tuo 'insight', i vari stati della mente che
mi portano, venendo a casa, a dire a L.: -'Se tu non fossi qui,
dovrei uccidermi - tanto io soffro'".
Pochi
giorni dopo sentì Beatrice Webb parlare del suicidio, e lo 8 aprile
le scrisse: "Volevo dirti ma ho troppo esitato, quanto mi è
piaciuto (sentirti parlare) delle tue opinioni sulla possibile
giustificazione del suicidio. Avendone fatto io stessa il tentativo,
partendo dalle migliori motivazioni che io abbia pensato - per
non essere un peso per mio marito - l'accusa convenzionale di
vigliaccheria e di peccato mi ha sempre piuttosto irritata".
Il
suicidio era un argomento sempre interessante, e lei poteva
considerarlo con freddo distacco quando stava bene, sebbene
permettesse a se stessa di credere che il suo passato tentato
suicidio fosse ragionevole ed altruistico. Come per la morte, la sua
adolescenza era stata così piena di morti dei genitori e dei
fratelli che per il resto della vita ella sentiva la presenza dei
morti, e del loro ricordo, tanto intensamente quanto lo erano i
vivi, a tal punto che il suo senso di realtà era talora disturbato
dalla vivacità del passato.
Sulla
base di questi elementi si può fare una diagnosi accurata della sua
malattia finale. A partire dalle sole annotazioni concernenti il
suicidio, la maggior parte degli psichiatri farebbero una diagnosi
sicura di depressione grave. Ella dice di non essere solo depressa,
ma in procinto di diventare di nuovo 'matta'; sta cominciando a
sentire le voci. Non riesce a concentrarsi, a leggere o a
scrivere. Mostra tendenza all'auto-accusa, credendo di star
distruggendo la vita del marito. Si sente disperata, che non può
più andare avanti. Crede che il suicidio sia la strada migliore. Le
note di Lehmann mostrano che la sua tendenza all'autocritica fosse
del tutto non giustificata, essendo ciò esemplificato dalla sua
bassa opinione relativa alla sua novella che lei aveva concepito
pochi mesi prima. Le rassicurazioni concernenti il libro e la sua
guarigione erano state frequenti ed inutili. Quando fu visitata
dalla dottoressa Wilberforce il giorno prima della morte, aveva
all'inizio rifiutato di parlare dei propri sintomi o di ammettere
che c'era qualcosa che non andava. Ognuno di questi sintomi è
tipico della depressione grave. Il solo aspetto atipico (contenuto)
nella lettera è la sua chiara ammissione di essere ammalata - che
sta impazzendo e che ha una 'terribile malattia'.
Con
qusto ben documentato e infine fatale episodio nella mente, sarà
più agevole tracciare la lunga e complicata storia dei suoi passati
episodi, sia di quelli gravi che di quelli di intensità moderata.
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