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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte
Psychoanalysis applied to Medicine, Pedagogy, Sociology, Literature and Arts

 

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Rivista iscritta al n. 978 Registro della Stampa del Tribunale di Lecce

ISSN: 2037-1853

Edizioni Frenis Zero

  Numero 13, anno VII, gennaio 2010

Rivista di Psicoanalisi Neuro-Evolutiva

 

   

"SONNO, MEMORIA E PLASTICITA'"

 

  di Matthew P. Walker e Robert Stickgold

 

   

Questo articolo è stato pubblicato originariamente in Annual Reviews of Psychology 2006, 57:139-66. Si ringraziano, oltre che gli autori, anche   Laura Folkner ("Permissions Department") di "Annual Reviews" per aver concesso l'autorizzazione alla traduzione italiana ed alla pubblicazione su Frenis Zero. La traduzione in italiano è di Giuseppe Leo.

Translated and reprinted, with permission, from the Annual Review of Psychology, Volume 57, ©2006 by Annual Reviews www.annualreviews.org

 

 

  SUMMARY
 

Over the past 25 years, the field of sleep and memory has grown exponentially, with the number of publications per year doubling between the years 2000 and 2004. These reports, ranging from cellular and molecular studies in animals to behavioral studies in humans, have provided a wealth of converging evidence that sleep-dependent mechanisms of neural plasticity lead to the consolidation of learning and memory across a range of animal species. At the molecular level, inadequate pretraining sleep appears to compromise hippocampally dependent modulation of molecules critically involved in memory formation, resulting in impaired memory encoding. Significant numbers of genes also appear to be up-regulated specifically in brain tissue during posttraining sleep, and at least one immediate early gene related to synaptic plasticity, zif-286, is upregulated during REM sleep expressly in response to environmental or direct electrical stimulation of the hippocampus (for a review, seeWalker&Stickgold 2004).

At the electrophysiological level, studies in rats have shown that retention of learning of a shuttle-box avoidance task increases subsequent P-wave density, and is strongly correlated with this increase, while in humans, spindle density increases following training on a declarative memory task and, again, this increase correlates with subsequent improvement on the task. In rats, patterns of neuronal activation expressed duringwaking exploration reappear during subsequent sleep; in humans, patterns of regional brain activation seen during daytime task training are repeated during subsequent REM sleep.

At the behavioral level, animal studies have found robust increases in REM sleep following task training, and decrements in performance after REM deprivation, even when retesting is delayed until one week after the period of deprivation.

In contrast, several animal studies have failed to find evidence of either increased REM sleep or deterioration following deprivation. Most likely this reflects a combination of methodological problems and conditions under which consolidation is, in fact, not sleep dependent. Similarly, human studies have provided examples where increases in REM sleep are seen following training, where REM or stage 2 NREM deprivation diminishes subsequent performance, and where overnight improvement correlates with REM, SWS, or stage 2 NREM sleep. Furthermore, these overnight learning benefits are associated with a system-level reorganization of memory throughout the brain.

It is now clear that sleep mediates learning and memory processing, but the way in which it does so remains largely unknown. The future of the field is truly exciting, and the challenge to neuroscience will be to uncover the mechanisms of brain plasticity that underlie sleep-dependent memory processing and to expand our understanding of sleep’s role beyond encoding, consolidation, and reconsolidation, into the constellation of additional processes that are critical for efficient memory development. Work across the neurosciences will be necessary to answer these questions, but with the current rate of growth of research in the field, the next decade should provide important advances in our understanding of this critical function of sleep. By way of this multidisciplinary approach, and with a measured appreciation of the fundamental role that sleep plays in consolidating and reforming memories, we can look forward to new advances in understanding memory and treating its disorder.

 

INTRODUZIONE

 

Un'entusiasmante rinascita è attualmente in corso all'interno delle scienze biologiche, centrata sulla questione del perché dormiamo, e focalizzandosi in modo specifico sulla dipendenza della memoria e della plasticità dal sonno. Sebbene questa rinascita sia relativamente recente negli annali della ricerca sul sonno, questo stesso tema ha una storia sorprendentemente lunga. Agli inizi del XIX secolo, lo psicologo britannico David Hartley  avanzò la proposta che il sogno potesse alterare la forza dei legami associativi della memoria all'interno del cervello (Hartley, 1801). Eppure è stato non prima del 1924 che  Jenkins e Dallenbach hanno eseguito i primi studi sistematici sul sonno e sulla memoria per testare la teoria di Ebbinghaus sul decadimento della memoria (Jenkins & Dallenbach, 1924). Le loro scoperte hanno mostrato che la ritenzione della memoria è migliore a seguito di una notte di sonno anziché dopo una quantità equivalente di tempo di veglia. Comunque, essi conclusero che il beneficio che la memoria trae a seguito del sonno fosse passivo e derivasse da una mancanza di interferenza sensoriale durante il sonno. Essi non considerarono la possibilità che lo stato fisiologico del sonno di per se stesso potesse attivamente orchestrare queste modificazioni della memoria.

E' solo negli ultimi cinquant'anni, a seguito della scoperta del sonno con movimenti oculari rapidi (REM) e del sonno non-REM (NREM) (Aserinsky & Kleitman, 1953) che la ricerca ha iniziato a mettere alla prova l'ipotesi che il sonno, o addirittura specifici stadi del sonno, partecipasse attivamente al processo dello sviluppo della memoria. La presente rassegna esplora questa relazione tra ciò che è divenuto noto come elaborazione della memoria dipendente dal sonno e la sua base cerebrale associata, la plasticità dipendente dal sonno.

 

DESCRIZIONE GENERALE E DEFINIZIONI

 

 Iniziamo la nostra discussione delle interazioni tra sonno e memoria attraverso una chiarificazione delle complessità che questi termini comprendono.

 

Stati di sonno

 

Per iniziare è importante notare che il cervello non si trova in un singolo stato fisiologico per tutte le 24 ore, ma attraversa cicli di periodi di differente attività neuronale e metabolica, associati a distinti stati biologici, divisi nel modo più ovvio in stati di veglia e di sonno. Il sonno è stato in generale diviso in un sonno REM e non REM, che si alternano nel corso della notte in cicli di 90 minuti negli esseri umani.

  Fig. 1 A

Nei primati e nei felini il sonno non REM è stato ulteriormente diviso in sottofasi da 1 a 4, corrispondenti a stati di sonno progressivamente più profondo (Rechtschaffen & Kales, 1968) (figura 1 A). Le fasi più profonde del sonno non Rem, quelli 3 e 4, sono indicati come "sonno ad onde lente" ("Slow Wave Sleep", SWS), sulla base della prevalenza di oscillazioni corticali a bassa frequenza nell'elettroencefalogramma (EEG). Queste fasi del sonno sono accompagnate da cambiamenti drammatici nell'elettrofisiologia cerebrale, nella neurochimica e nell'anatomia funzionale, rendendole biologicamente distinte dal cervello in veglia, e tali da poter essere ben distinguibili le une dalle altre (Hobson & Pace-Schott, 2002). Quindi, il sonno non può essere trattato come uno stato omogeneo, che influenzi o meno la memoria. Al contrario, ogni fase del sonno possiede un insieme di meccanismi fisiologici e neurochimici che possono contribuire in modo unico al consolidamento dei ricordi.

 

Categorie della memoria

 

Come il sonno non può essere considerato omogeneo, così anche lo spettro delle categorie della memoria che si ritiene esista nel cervello umano, ed i processi che creano e sostengono la memoria, appaiono ugualmente differenti. Sebbene spesso sia utilizzata come un unico termine unitario, la "memoria" non è un'unica entità. La memoria umana è stata soggetta a svariati schemi classificativi differenti, tra cui il più conosciuto è quello basato sulla distinzione tra memoria dichiarativa e non dichiarativa (Schacter & Tulving, 1994; Squire & Zola, 1996) (Figura 1 B).

Fig. 1 B

La memoria dichiarativa può essere considerata come l'insieme dei ricordi, accessibili in modo cosciente, dell'informazione basata sui fatti (ossia, la conoscenza del "cosa"). Esistono svariate sottocategorie del sistema dichiarativa, comprese la memoria episodica (memoria autobiografica per gli eventi personali del passato) e quella semantica (memoria per le conoscenze generali, non legata a specifici eventi) (Tulving, 1985). Gli attuali modelli neuronali della formazione della memoria dichiarativa enfatizzano l'importanza critica delle strutture del lobo mediale temporale, in particolare dell'ippocampo (Eichenbaum, 2000), una struttura che si pensa formi un codice di recupero ordinato in senso temporale per l'informazione immagazzinata nella neocorteccia, e che leghi insieme disparati elementi percettivi di un singolo evento. Al contrario, la memoria non dichiarativa è considerata come non cosciente, e comprende la memoria procedurale (ossia, la conoscenza del "come"), come l'apprendimento delle azioni, delle abitudini e dei compiti, come anche l'apprendimento implicito, e appare meno dipendente dalle strutture del lobo mediale temporale.

Sebbene queste categorie offrano idonee e distinzioni, esse di rado operano in maniera isolata nella vita reale. Ad esempio, l'apprendimento del linguaggio richiede una combinazione di diverse fonti di memoria, che vanno dalla non dichiarativa per i programmi motori procedurali richiesti dall'articolazione della parola alla memoria delle regole e delle strutture grammaticali, passando per gli aspetti della memoria dichiarativa che si rendono necessari per la selezione delle parole. Ciò va anche tenuto a mente quando consideriamo il ruolo del sonno nell'apprendimento e nella memoria.

 

Stadi della memoria

 

Proprio come la memoria non si può considerare monolitica, analogamente non sembra esserci un solo evento che la crei o ne determini lo sviluppo. Al contrario, la memoria sembra svilupparsi in svariati stadi ben specifici (Figura 1 C).

Fig. 1 C

Ad esempio, i ricordi possono essere inizialmente formati o "codificati" nel corso di un coinvolgimento con un oggetto o nel corso dell'espletamento di un'azione, portando alla formazione di una rappresentazione dell'oggetto o dell'azione all'interno del cervello. Dopo la codifica, la rappresentazione mnemonica può andare incontro a  svariati stadi successivi di sviluppo, tra cui il più comunemente riconosciuto consiste nel consolidamento. Il termine "consolidamento del ricordo" si riferisce classicamente ad un processo in cui un ricordo, nel corso del semplice passaggio del tempo, diventa sempre più resistente all'interferenza da parte di fattori in competizione o disturbanti in assenza di ulteriore attivazione del ricordo stesso (McGaugh, 2000). In altri termini, la memoria diviene più stabile. Si dovrebbe notare, comunque, che sebbene la maggior parte delle forme di ricordi appaiano richiedere un successivo consolidamento dopo la codifica, non tutti i compiti appresi sembrano essere resistenti all'interferenza competitiva quasi immediatamente, e quindi non dimostrano questa caratteristica di consolidamento dipendente dal tempo (Goedert & Willingham, 2002).

Recenti scoperte hanno cominciato ad estendere la definizione di consolidamento. Ad esempio, il consolidamento può essere considerato non solo come lo stabilizzarsi di ricordi, ma anche come un loro intensificarsi - due processi che possono essere distinti in modo meccanico(Walker, 2005). La fase di stabilizzazione sembra verificarsi diffusamente durante i cicli di veglia (Brashers-Krug et al., 1996; Muellbacher et al., 2002; Walker et al., 2003a). La fase di intensificazione sembra verificarsi innanzitutto, se non esclusivamente, durante il sonno, o nel recupero di ricordi precedentemente persi (Fenn et al., 2003) oppure nella produzione di apprendimenti aggiuntivi (Fischer et al., 2002; Gais et al., 2000; Karni et al., 1994; Korman et al., 2003; Stickgold et al., 2000a, 2000b; Walker et al., 2002a, 2002b), in entrambi i casi senza il bisogno di ulteriore attivazione. Da questa prospettiva, la fase di intensificazione del consolidamento del ricordo causa o il recupero attivo di un ricordo che aveva mostrato un deterioramento a livello del comportamento, oppure l'intensificarsi di un ricordo al di là del suo semplice mantenimento. Quindi, il consolidamento può essere esteso includendo più di una sola fase di elaborazione post-codifica del ricordo, con ogni fase che si verifica in specifici stati cerebrali come il sonno o la veglia, o addirittura in specifiche fasi del sonno (Brashers-Krug et al., 1996; Karni et al., 1994; Muellbacher et al., 2002; Smith & MacNeill, 1994; Stickgold et al., 2000b; Walker, 2005; Walker et al., 2002a, 2003a, 2003b).

A seguito della sua iniziale stabilizzazione, un ricordo può essere ritenuto per un periodo che va da giorni ad anni, durante il quale esso può essere richiamato. Ma l'atto del richiamo del ricordo ora si crede che destabilizzi la rappresentazione del ricordo, rendendolo di nuovo labile e soggetto a potenziale deterioramento. Perciò si è proposto che il riconsolidamento trasformi il ricordo recentemente stabilizzato in una forma ri-stabilizzata (Nader, 2003). Quando un ricordo destabilizzato non è riconsolidato, esso può deteriorarsi relativamente rapidamente.

Sebbene  questo capitolo si concentri innanzitutto sugli effetti del sonno sulla codifica, sulla stabilizzazione, sull'intensificazione e sul riconsolidamento dei ricordi, è importante notare che andrebbero valutate le fasi aggiuntive di post-codifica dell'elaborazione dei ricordi. Queste includono l'integrazione dell'informazione recentemente acquisita con l'esperienze e con le conoscenze passate (processo di associazione dei ricordi), la riorganizzazione anatomica delle rappresentazioni dei ricordi (trasferimento dei ricordi), e persino l'attiva cancellazione di rappresentazioni della memoria, tutte cose che sembrano verificarsi fuori dalla consapevolezza e senza l'addestramento o l'esposizione aggiuntiva da parte dello stimolo originario (Stickgold & Walker, 2005), e che possono anche essere considerate fasi del consolidamento del ricordo. E' interessante notare che il sonno è stato già coinvolto in tutti questi passaggi (Crick & Mitchison, 1983; Stickgold, 2002; Stickgold et al., 1999; Walker et al., 2003a).

SONNO E CODIFICA DEI RICORDI

Alcuni dei primi studi tesi a indagare la relazione esistente tra sonno e memoria nell'uomo hanno preso in esame l'influenza del sonno sul consolidamento successivo all'addestramento ("posttraining") ( si veda la sezione qui sotto) piuttosto che la sua influenza sulla codifica iniziale. Comunque, i dati più recenti hanno descritto le conseguenze dannose di un inadeguato sonno prima dell'addestramento ("pretraining") su una codifica riuscita del ricordo. La sezione qui sotto offre una rassegna di tale evidenza che si estende lungo un intervallo della scala filogenetica e che è confermata da prove lungo un' ampia varietà di livelli descrittivi, da quello molecolare a quello comportamentale.

 

Sonno e codifica del ricordo- Studi sull'uomo

 

Uno dei primi studi che riportano gli effetti della deprivazione del sonno sulla codifica della memoria dichiarativa negli uomini è stato quello di Morris et al. (1960), i quali trovarono che la "memoria temporale" (memoria di quando gli eventi si verificano) fosse significativamente disturbata da una notte di deprivazione prima dell'addestramento ("pretraining"). Queste scoperte sono state riesaminate in uno studio più rigoroso da Harrison & Horne (2000), usando ancora una volta il paradigma della memoria temporale. Il compito comprendeva fotografie di volti ignoti, con la componente della memoria temporale che comprendeva la discriminazione della situazione attuale, insieme ad un giudizio sulla confidenza. Significative compromissioni della memoria temporale furono evidenti in un gruppo di persone deprivate dal sonno per 36 ore, che riportarono punteggi significativamente più bassi rispetto ai controlli; una significativa compromissione era evidente persino in un sottogruppo che aveva ricevuto caffeina per superare effetti non specifici del livello di  vigilanza più basso. In più, i soggetti privati del sonno mostravano significativamente un andamento peggiore nelle loro prestazioni di codifica dei ricordi.

Sulla base dei dati provenienti da studi che indicavano che la codifica dei ricordi (misurata mediante il successo del successivo richiamo) poggiasse sull'integrità della corteccia prefrontale (PFC) (ad es., Brewer et al., 1998; Canli et al., 2000; Henson et al., 1999; Wagner et al., 1998), e che le riduzioni basali del metabolismo cerebrale nella corteccia prefrontale  fossero evidenti dopo una singola notte di deprivazione, gli autori hanno ipotizzato che la deprivazione del sonno avessero compromesso la funzione prefrontale di per sé critica per un'efficace codifica dei ricordi.

In studi simili, Drummond et al. (2000) hanno preso direttamente in esame questa ipotesi utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per indagare gli effetti della deprivazione completa del sonno per 35 ore sulla codifica di un compito basato sulla memoria verbale. Come in studi precedenti, la completa deprivazione del sonno provocò un'acquisizione significativamente peggiore dell'apprendimento verbale. In modo sorprendente, comunque, i soggetti mostravano una maggiore attivazione della corteccia prefrontale durante la codifica quando erano stati deprivati dal sonno piuttosto che quando non lo erano stati. La cosa forse più interessante era che i lobi parietali, che non erano attivati durante la codifica successiva al sonno normale, lo erano in modo significativo dopo la deprivazione del sonno. Queste scoperte confermano che la deprivazione del sonno induce una significativa compromissione comportamentale nella codifica della memoria verbale, e suggeriscono che tali compromissioni sono mediate da un insieme dinamico di cambiamenti bidirezionali - ipercompensazione delle regioni prefrontali unita al fallimento del lobo temporale mediale nell'impegnarsi normalmente, portando all'attivazione compensatoria dei lobi parietali (Drummond & Brown, 2001).

Recentemente abbiamo indagato l'impatto della deprivazione del sonno sulla codifica della memoria dichiarativa sia riguardo a materiale emozionale che non emozionale (M.P. Walker, risultati non ancora pubblicati). I soggetti erano stati o privati del sonno per 36 ore oppure era stato permesso loro di dormire normalmente prima di una seduta di codifica di un ricordo casuale composta da insiemi di parole emozionalmente neutre, positive e negative. Dopo due notti consecutive di sonno, i soggetti ritornarono ad essere sottoposti ad un inaspettato compito di riconoscimento. Alla fine,  i soggetti in condizione di deprivazione del sonno mostrarono una riduzione del 40% della ritenzione dei ricordi rispetto ai soggetti che avevano dormito normalmente prima della codifica (figura 2 A); questi risultati rappresentano una marcata compromissione della formazione dei ricordi della memoria dichiarativa in condizioni di deprivazione del sonno.

 

Quando questi dati furono separati in tre categorie emozionali (positiva, negativa o neutra), il deficit di codifica rimase, sebbene l'ampiezza dell'effetto fosse differente tra le varie categorie emozionali (figura 2 B). All'interno del gruppo di controllo delle persone che non erano state deprivate del sonno, sia gli stimoli positivi che quelli negativi erano associati con superiori livelli di ritenzione rispetto alla condizione di stimolazione neutrale, in consonanza con la nozione che l'emozione faciliti la codifica dei ricordi (Phelps, 2004). Comunque, c'era un grave disturbo di codifica e quindi un successivo deficit di ritenzione per i ricordi emozionalmente neutrali e specialmente per quelli positivi nel gruppo dei soggetti deprivati del sonno, che manifestavano un significativo deficit del 59% rispetto alla condizione di controllo per le parole emozionalmente positive. Comunque, la cosa più interessante consisteva nella resistenza dei ricordi emozionalmente negativi alla deprivazione del sonno, mostrando una compromissione notevolmente minore (19%) e non significativa.

Questi dati indicano che la deprivazione del sonno compromette gravemente la codifica dei ricordi della memoria dichiarativa, causando una ritenzione significativamente peggiore due giorni dopo. Sebbene gli effetti della deprivazione del sonno siano coerenti nelle varie sottocategorie, l'impatto più profondo si ha sulla codifica degli stimoli emozionali positivi, e, ad un grado inferiore, sulla codifica degli stimoli emozionalmente neutri, mentre la codifica degli stimoli negativi sembra più resistente agli effetti di una precedente deprivazione del sonno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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 (fine della prima parte dell'articolo che verrà pubblicato nella sua interezza in un volume di prossima uscita per le Edizioni Frenis Zero)

 

 

 

 

 

 

 

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