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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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"Id-entità mediterranee.
Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo
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"Vite soffiate. I vinti della
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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-0-4
Anno/Year: 2008
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
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Pages: 224
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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
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All’esordio
del secondo e più disastroso scompenso psicotico, Schreber sogna più
volte di essere nuovamente ammalato; si risveglia sollevato dal
confronto con una realtà che nulla ha a che vedere con quella
onirica, ignaro dell’inesorabile devastazione psichica che di lì a
poco sta per sperimentare. Ma al confine tra due realtà, che urge
mantenere separate, quella della veglia e quella del sogno, in quella
terra di nessuno popolata di rappresentazioni e baluginii di immagini,
si affaccia l’idea che “dovesse essere davvero bello essere una
donna che soggiace alla copula” (Schreber, 1902, p. 56); una
fantasia di desiderio femminile in cui si sostanzia la manovra
difensiva del soggetto in rapporto ad impulsi omosessuali. Essa assume
carattere fondativo di un sistema delirante che – come Freud
più volte ci indica (1910a) – rappresenta un estremo
tentativo di auto-guarigione. La donna che soggiace alla copula, l'alter
ego che Schreber designa per adempiere alla sua missione di
redentore del mondo, non è che l'ultimo termine di una sequenza che
pone al centro il sintagma fondamentale della paranoia – Io (un
uomo) amo lui –; in uno scenario dove la castrazione diviene la
premessa teorica e soggettiva alla femminilità. Così vale anche per
il giovane russo
che, nell'osservare il coitus a tergo dei genitori conclude che
la “ferita” diviene la “condizione necessaria per avere rapporti
col padre” (Freud, 1914, p. 522).
La
più cupa delle minacce dinanzi a cui il soggetto di entrambi i sessi
arretra, è la chiave di uno dei molteplici enigmi che si addensano
intorno al femminile, il rifiuto della femminilità, ciò che Freud,
in ultima analisi (1937) indica come l'hic sunt leones
dell'avventura analitica.
Conosciamo
il valore fondante del mitico tempo dell'Edipo quale punto di arresto,
di svolta e ricapitolazione lungo il cammino verso la differenza tra i
sessi (Freud, 1924, 1925), e anche quali sono gli scenari che si
pongono rispetto al nucleo della castrazione, in quanto presa d'atto
di una mancanza fallica nella donna - e nella madre in quanto donna -
in un apparato teorico in cui la differenza sessuale si articola sulla
dicotomia fallico-castrato. Pensiamo all'Edipo quale asse
organizzatore della psicosessualità, vertice dal quale dipartono
percorsi psichici peculiari per il maschio e la femmina, nonostante
qualche tentativo di disegnarne traiettorie simmetriche (Freud,
1915-1917).
In
ogni caso, è la castrazione, in quanto possibilità virtuale o in
quanto realtà inscritta sul corpo, a definire posizioni psichiche, in
un movimento teorico, che, è il caso di notarlo, ha di mira la
questione fallica. Il fallo in quanto significante di un oggetto
mobile, allusivo di un possesso incerto, è la questione teorica in
gioco: il possesso, la protezione, il diniego della sua assenza,
l'invidia, la rinuncia auto-erotica, sono gli ingredienti che
compongono lo scenario su cui si articolano differenze psichiche,
esiti della cesura che separa “un'evirazione compiuta e
un'evirazione puramente minacciata” (Freud, 1924, p. 215).
Ma
non sarà forse che all'ombra di una
teoria“androfila” della sessualità (Ferenczi, 1932)[2],
si profilano altre e più complesse opposizioni che ci consentano di
penetrare parzialmente questa “roccia basilare” e di misurarne la
composizione?
È
quanto propone Jean Cournut (2001), quando, discutendo il timore
universale che accomuna gli esseri umani di entrambi i sessi,
sottolinea come tale questione celi la problematica articolazione
delle polarità penetrato-penetrante, sadico-masochista,
attivo-passivo. Cosa si rifiuta dunque del femminile? Ma soprattutto,
seguendo Cournut, perché gran parte della teoria psicoanalitica
insiste sulla castrazione piuttosto che, ad esempio, sul portato di
angoscia che esso svela? Di quale angoscia parliamo quando parliamo
del rifiuto del femminile?
Si
tratta forse di una angoscia che deriva dalla scoperta della donna in
quanto mancante, essere terrifico per eccellenza, testa di Medusa che
assidera (Freud, 1922; Filloux, 2002) o di un'angoscia che obbliga il
soggetto ad arretrare di fronte ad un femminile soverchiante che non
manca di rivelare il proprio tratto incestuoso?
Tra
inquietudini e terrori, la testa di Medusa è l'oggetto chiamato a
sostituire il genitale femminile, un genitale che suscita spavento,
che motiva la “fuga del diavolo” , a causa, Freud in questo è
lapidario, “della sua evirazione” (Freud, op. cit.). Come concorda
anche Filloux:
«La
figura di Medusa condensa il confronto con un femminile in quanto
assenza e le difese possibili rispetto a ciò che c'è di
insostenibile in questo confronto, tanto per gli uomini quanto per le
donne; la sua vista rende rigidi di terrore, muta lo spettatore in
pietra, lo assidera, provoca un annientamento improvviso di tutte le
funzioni vitali per lo "choc" traumatico che essa produce.»
(Filloux, 2002, p. 107, trad. di chi scrive).
Possiamo
anche complicare lo scenario delle qualità perturbanti di Medusa se
pensiamo ad essa come ad un'icona che allude doppiamente al taglio: la
sua testa, decapitata da Perseo, promuove la messa a confronto con
quanto vi è di irrappresentabile nella perdita subita per effetto di
una brutale cesura.
Ma,
aggiungiamo ancora qualche elemento, traendo materiale da quella
teoria che assegna all'incontro tra un adulto ed un infans il
carattere di situazione originaria, che interessa tutti gli esseri
umani. La teoria della seduzione generalizzata, in tutte le
formulazioni che Laplanche elabora (1987, 1992a, 1992bm 1993, 2001,
2007), rappresenta la dimensione fondamentale in cui il piccolo umano
viene a confronto con il sessuale. Si tratta di una situazione di
seduzione in cui vengono veicolati, in un senso che va dall'adulto
all'infans, dei messaggi enigmatici,
che tirano il soggetto nell'ordine della sessualità ed istituiscono
il primo nucleo della rimozione.
L'infante,
passivo ricettore di un messaggio opaco, dal senso ignoto persino a
colui che lo emette, fa esperienza di un eccitamento che gli si impone
ed in rapporto al quale insorge un'esigenza di lavoro, di traduzione.
Ma ciò che ci preme sottolineare è la tonalità traumatica di tale
incontro-scontro, in quanto messa a confronto con qualcosa che eccede,
che anticipa, e che, tuttavia, è necessario. È forse proprio la
valenza anticipatoria dell'incontro adulto-infans, unitamente
alla dissimmetria che ne caratterizza le posizioni, ad essere al
centro di ogni scambio, di ogni trasmissione.
Vi
è un obbligo a trasmettere (Granjon, 2005), ma anche un obbligo a
ricevere, in una dimensione che oltrepassa il singolo, e al contempo
fonda il soggetto nella posizione di ricevente, di latore di un'eredità
che gli viene imposta. Ciò che segna l'ingresso dell'individuo al
mondo delle relazioni interumane è un'azione attentatoria, seduttiva,
traumatica per la condizione di inermità fisica, ma soprattutto
psichica, in cui si trova l'infante; un'azione necessariamente precoce
e inaspettatamente incestuosa: “Chi mi eccita, per eccitarsi?” (Laplanche,
1984, p.128).
Sono
gli aspetti effrattivi, intrusivi della trasmissione a fissare il
bambino in una posizione di assoggettamento passivo ad una
comunicazione dissimmetrica, una chiave teorica a partire dalla quale
André (1995) propone la tesi del rifiuto della femminilità come
rifiuto degli scopi passivi della libido, ponendo un’interessante,
ma al contempo problematica contiguità tra la posizione femminile e
la posizione passiva. Non già dunque la castrazione, come movente per
l’uomo di una fuga da una realtà che il tramonto dell’Edipo aveva
tentato di scongiurare - preparandone, invece, nella donna
l’ingresso -, ma il femminile come allusione perenne ad uno stato di
impotenza originaria, di inermità fondamentale, che, tuttavia, si
pone a fondamento dello psichismo, della psicosessualità umana. È
allora la presenza di punti di apertura, di zone cave, luoghi del
corpo, aree di transito di eccitamenti, a sancire il femminile e
l'infantile in quanto orifizi passivamente disposti a ricevere.
Scrive,
infatti, André:
«Il
rapporto che proponiamo fra il bambino sedotto e la posizione
femminile trova a questo punto il suo ancoraggio più arcaico: il
bambino sedotto è un bambino cavità, un bambino orifiziale.
L’effrazione della «passione» adulta (intendete, dietro questa
parola di Ferenczi: una sessualità diversificata, pienamente
costituita, altrettanto più selvaggia per quanto si disconosce;
sessualità di cui la barbaria sardanapalesca della scena originaria
è la rappresentazione fantasmatica), questa effrazione nel mondo
della «tenerezza» del bambino si raddoppia in un’attività,
mescolante l’amore/odio e le cure, che transita per quei luoghi di
scambio del corpo che sono per eccellenza gli orifizi (orale, anale,
urogenitale)» (André, 1995, p. 125).
Che
ne è a questo punto della lezione freudiana nella quale si pone il
problema della coincidenza tra femminile e passivo? Se infatti nello
scritto del 1913, "L’interesse per la psicoanalisi",
Freud sottolinea la distinzione tra mete attive e mete passive in
rapporto alla pulsione, più problematica risulta l’asserzione del
1932, in cui dichiara l'impossibilità di una sovrapposizione tra
femminile-passivo ed attivo-maschile.
«Persino
nel campo della vita sessuale umana vi accorgerete ben presto quanto
sia inadeguato far coincidere il comportamento maschile con
l’attività e quello femminile con la passività. La madre è attiva
in ogni senso nei riguardi del suo bambino; l’atto stesso
dell’allattamento si può indifferentemente concepire tanto in modo
attivo come allattare quanto in modo passivo come lasciarsi succhiare
il latte. Quanto più vi allontanate poi dallo stretto campo sessuale,
tanto più chiaro diventa questo “errore di sovrapposizione”. Le
donne possono esplicare una grande attività in diverse direzioni, gli
uomini non possono convivere con i loro simili se non sviluppano un
alto grado di passiva arrendevolezza. Se adesso mi dite che questi
fatti contengono precisamente la prova che tanto gli uomini quanto le
donne sono bisessuali in senso psicologico, ne deduco che dentro di
voi vi siete decisi a far coincidere “attivo” con “maschile” e
“passivo” con “femminile”. Ma ve lo sconsiglio. A mio parere
questa distinzione è inadeguata e certo non ci insegna niente di
nuovo.» (Freud, 1932, p. 222)
Passività
ed attività, maschile e femminile, si rivelano dunque binomi
insufficienti se non si lascia intervenire una ulteriore coppia di
opposti, quella tra femminile materno e femminile erotico.
Ritorniamo
perciò al Freud commentatore del ricordo di infanzia di Leonardo da
Vinci (1910b), che scrive, a proposito della madre di Leonardo:
«(…)
la povera madre abbandonata effondeva nell’amore materno, il ricordo
delle tenerezze perdute e la nostalgia di nuove tenerezze; ed era
portata a far ciò non solo per compensare il fatto di non avere un
marito, ma anche per compensare il bambino di non avere un padre che
lo accarezzasse. Così, come tutte le madri insoddisfatte, collocò il
figlioletto al posto del marito e, provocando una troppo precoce
maturazione del suo erotismo, lo spogliò in parte della sua virilità.»
(Freud, 1910b, p. 257).[4]
Freud,
non senza esitazione, pone in luce un aspetto fuori legge del
femminile che si mobilita nella relazione madre-infante; un rapporto
di tenerezza che non manca di rivelare il proprio potenziale erotico,
“ tanto più che tale persona – di regola dunque la madre –
riserva al bambino sentimenti che derivano dalla vita sessuale di lei,
lo accarezza, lo bacia, lo culla: lo prende con evidente chiarezza
come sostituto di un oggetto sessuale in piena regola.” (Freud,
1905, p. 528).
Non
possiamo non notare la singolarità di tale asserzione formulata in un
contesto in cui Freud si impegna a chiarire il cammino della pulsione
sessuale infantile e dove il portato seduttivo della relazione
adulto-bambino viene frettolosamente liquidato, onde evitare il
rischio di una riesumazione della teoria dei neurotica.
A
tal proposito, è noto come il passaggio che segna l'abbandono della
teoria dei neurotica, sancito in quella che Laplanche
suggestivamente definisce “lettera
dell'equinozio” (Laplanche, 1992a),
inauguri, per tutti gli studiosi impegnati nella riflessione circa
questo importante intreccio teorico, una svolta complessiva nella
disciplina, sia da un punto di vista speculativo che clinico; un
passaggio (punto di non-ritorno?) da taluni salutato come il momento
di fondazione dell'edificio psicoanalitico, d'ora in avanti alle prese
con ben altri ordini di realtà.
Su
questo punto, Parat (2004) giustamente sottolinea che sebbene il
conflitto psichico e la fantasmatica inconscia divengano i nodi da cui
avviare la comprensione della patologia, ciò non implica una messa al
bando della realtà fattuale da parte del clinico Freud.
Ciò
detto, forse Freud non ha tutti i torti quando parla, proprio nei Tre
saggi, della qualità disturbante del confronto tra il bambino ed
il sessuale adulto. Forse, non fa solo riferimento agli effetti di
disturbo e danno allo sviluppo psichico di pratiche perverse di un
adulto concretamente seduttore; ciò che disturba è, soprattutto in
riferimento alla madre, la scoperta di un sessuale che deborda, che
eccede e che mette in scacco la rappresentazione dell'innocenza
materna.
Sicché,
ciò che si pone è una necessaria scissione del femminile, con la
conseguente (difensiva?) amplificazione del materno (di cui parlava il
preveggente Ferenczi); Giano bifronte, la donna nutrice e la donna
amante è l'immagine dalla quale avanza il pericolo di una perenne
tentazione incestuosa per entrambi i partner della relazione (Parat,
1999).
Ma
è forse proprio questa tentazione ciò in rapporto a cui si articola
il rifiuto del femminile: l'incestuale, materno per essenza (Parat,
2004), contrappunto ad una seduzione necessaria, perché garante del
legame madre-figlio, si colloca, tuttavia, al di là del registro
edipico. L'erotico materno allude ad uno stato di non distinzione, ad
un rapporto di furioso corpo a corpo con la madre prima di ogni
interdetto paterno; è quanto, a nostro avviso, dà materia ad una
strenua opposizione da parte degli esseri umani di entrambi i sessi ad
un potere erotico che minaccia e rende indefinitamente arduo il
cammino verso la distinzione di sé, come ci dice Parat:
«L’incestuale
definisce un’atmosfera straniera, in quanto fonte di confusione e
d’indeterminazione. Non è tanto l’atto concreto di una madre o un
padre, quanto il segno di un’impossibile separazione tra gli
individui, un gioco che aliena tutti i suoi partecipanti, che si
infiltra nel tessuto familiare, senza che possa mai trovare posto
l’altro o il diverso.» (Parat, 2004, p. 113).
La
relazione primaria, primo ancoraggio del soggetto al mondo delle
relazioni interumane, si nutre di sfumature incestuose che
garantiscono la tenuta e la messa in opera di un reciproco
investimento da parte di entrambi i suoi partner; è tuttavia una
dimensione nella quale lentamente vanno introdotte e sostenute istanze
di separazione, accenni alle molteplici differenze che il soggetto
lungo il cammino sarà impegnato a riconoscere. Ciò che ci sembra in
gioco nel rifiuto del femminile, in definitiva, è che esso contiene
la possibilità di un ritorno ad un luogo dalle frontiere mobili, dai
confini confusi, dove le singolarità si perdono, dove ogni desiderio
è annullato nel suo valore di mancanza, in quanto via a cui non è
sbarrato l'accesso.
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