La Critica

 

I segni riciclati, rallentati, accelerati, smontati e rimontati in sequenze dal sapore ora primitivo e lontano, ora incombente ed inquieto, sembrano infatti penetrare nelle fibre stesse della tela e condividerne la complessa tramatura quasi a voler scandire il ritmo di una lenta stratificazione che tuttavia la forza del colore e la secca nervosità della geometria ogni tanto s’incaricano di far sussultare, Paolo Balmas.

I colori vivi costruiscono la forte presenza della forma che sembra essere composta da superfici bordate, intessute, cucite, giustapposte. E invece accostandoci, possiamo osservare quell’immagine che quasi si sgrana e mostra la sua fattura, la sua distanza di forma calibrata, pensata, ben equilibrata. Un repertorio di semplificati e decontestualizzati motivi decorativi è diventato dunque nella pittura di Fulgor C. Silvi il mezzo e il fine di un viaggio immaginario alla ricerca di una forza che rigeneri, nella riscoperta di un Nuovo Mondo, il quadro e l’arte, Angelo Bertani.

Sono segni-segnali incomprensibili, sconosciuti e allo stesso tempo noti e familiari; appartenenti a una civiltà lontana nel tempo e nello spazio e tuttavia sedimentati da sempre nella nostra memoria collettiva e tribale. Questi segni-graffiti ritornano attualissimi nel villaggio globale del 2000, in cui la suddetta memoria collettiva è spesso rinfrescata dai numerosi esempi di primitivismo e cannibalismo metropolitano, Paola Bristot.

Fulgor C. Silvi schiera una discreta quantità di opere su tela, dove una sorta di linguaggio segnico violento ed aggressivo, ma contemporaneamente raddolcito dalla particolare tecnica pittorica, si sviluppa giocoso scardinando il rigore del geometrismo compositivo in un "fervido ed ironico dissenso posto in atto fabulando il caos", Paolo Centioni.

L’operatività di Silvi non conosce confini; la sua ricerca continua a mantenere il segno di un "dettato" mai esaurito, sviluppato sul "filo" di una scrittura pittorica altamente sensibile. Embrioni di lettere, fonemi, segni in cerca di senso, sinuosamente morbidi, si snodano all’interno del campo a suggestionare la nostra fantasia, a raccogliere i resti di antica memoria andata in frantumi, a fornire di senso un linguaggio caduto nell’oblio: come dei geroglifici risvegliati dal "sonno", la scrittura di Silvi torna a rimuovere il velo del tempo, Eugenio Giannì.

Immaginate un vocabolario semplice fino a essere primario, una riserva di segni di ogni genere, alimentati dalle personali memorie, dalle letture e dai viaggi, Simboli religiosi, emblemi, enigmatici trofei che attingono a remote regioni antiche, a strati arcaici sepolti. Una ricchezza di motivi, e insieme la libertà di usarli, manipolarli, variarli. Immaginate tutto questo e avrete, riassunto in breve il mondo di Fulgor Silvi: quello almeno, che risulta dai suoi quadri più intimi e "scritti", Vittorio Rubiu.

L’opera di Fulgor Silvi ha un forte impatto visivo per il confluire di una accesa cromia, di una imagerie dagli spiccati connotati simbolici, dall’uso di materiali dei quali l’artista sa sfruttare la peculiarità anche in termini figurati. Ne deriva un linguaggio molto personale che, pur non rifacendosi alla figurazione in termini specifici, ha tuttavia di questa tutta la leggibilità, Stefania Severi.

I suoi ultimi lavori sono caratterizzati dalla forte vivacità di una struttura compositiva estremamente ricca sia in senso cromatico che segnico. L’astrazione decorativa delle opere anima una complessa trama visiva che, tra evocazione e simbolo, allude alla centralità dei linguaggi comunicativi dell’uomo, Maria Vinella.

Il filo conduttore che più chiaramente emerge nell’opera pittorica di Fulgor C. Silvi si snoda tra evocazione di una memoria arcaica e potere seduttivo dei valori cromatici (da intendersi nella loro accezione emotiva oltre che testimoniale), tanto che il segno/traccia (appartenente ad una storia passata e qui espunta/analizzata/assemblata) ritrova una sostanzialità spaziale assieme a una meticolosa mimesi materica: è un universo che si dilata, pur riconducendo ogni punto della composizione a una medesima tensione generatrice, Roberto Vidali.

Questo lavoro di Silvi spetta dunque un’indubbia pertinenza di matrice antropologico-culturale, propria, particolare, con la quale dialoga con i propri mezzi di cultura d’avanguardia, della quale del resto mi sembra si renda sufficientemente conto con il distacco (che è appunto vaglio concettuale) anche di una garbata ironia con la libertà anche del deliberato gioco immaginativo. Quanto ci propone offre diversi piani di lettura, corrispondenti infatti all’intreccio stesso dei suoi diversi interessi delle sue attenzioni e curiosità, delle riserve insomma del suo immaginario. Così la sua scrittura pittorica può proporsi subito in un aspetto iconico, che snoda eventi d’ordine narrativo (almeno embrionalmente), ma anche, naturalmente, appunto in un aspetto schiettamente segnico che è subito luogo di richiami archetipi, ma il cui complicarsi tocca pure l’eventualità del "decoro" significante, al quale Silvi mi sembra molto sensibile e proprio in rapporto con questa trama, la scrittura pittorica di Silvi, può offrirsi anche in un aspetto di pertinenza di percezione ghestaltica. Enrico Crispolti.

 

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