FUTUROSCUOLA

COORDINAMENTO SPONTANEO GENITORI E INSEGNANTI DI COLLEGNO

 

SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL SOFFOCANTE CONTROLLO DELLA SCUOLA DA PARTE DELLA POLITICA.



Nella scuola del nostro tempo, pieno di tensioni e di scontri, si riflettono i contrasti della società e gli insegnanti vivono in prima persona questi problemi.

L'idea che l'istruzione pubblica era un diritto del popolo si estese e fu realizzata negli Stati Europei, in forme più o meno avanzate a seconda delle situazioni storiche. In ogni caso però le classi dirigenti hanno visto nella scuola un potente mezzo per diffondere nel popolo la loro visione del mondo e formare quindi dei cittadini incapaci di criticare, servili e consenzienti. Ovviamente le radici delle idee sull'educazione, sui progetti e sui programmi sono, nelle condizioni storiche dei singoli paesi, caratterizzate dalle forze sociali e politiche antagonistiche: la scuola riflette, in ogni epoca, quelle tensioni.

Il ruolo del maestro, diverso da quello del professore, deriva da scelte politiche rivestite poi da argomenti morali o ideali (per es. la missione di educare l'infanzia che richiederebbe più amore che cultura). Infine tali scelte sono sostenute da principi pedagogici, validi strumenti in rapporto all'orientamento politico e ideologico prevalente. In nessun altro campo infatti per chi si occupa dell'infanzia si accetta che abbia preparazione, attributi professionali, prestigio sociale e perfino retribuzione economica inferiori a quelli dei colleghi che si occupano del mondo adulto (...). Se questo principio non vale invece per l'insegnante elementare è perché la sua scuola è nata nel secolo scorso ed è rimasta a lungo tipica delle classi popolari. Così si giustificava che il maestro fosse meno preparato e pagato del professore.

Con l'unità d'Italia il problema venne fatto proprio dalla classe dirigente, ma con un fine ben chiaro: l'istruzione del popolo serviva a preparare operai meno ignoranti, quindi più produttivi; una migliore produzione significava più profitto e più benessere generale. Ma l'istruzione non doveva fornire, oltre al leggere, scrivere, far di conto, strumenti che favorissero la presa di coscienza dei diritti sociali (...).
Così l'Italia che ne uscì fu un'Italia borghese costruita sul modello dello Stato Piemontese. Anche la scuola progettata da Casati riflette l'ideologia di questa classe, e svela le contraddizioni proprie al tipo di Stato che la borghesia italiana aveva edificato. Con la legge Casati la classe dirigente si proponeva di dare un minimo di istruzione a popolazioni che erano rimaste analfabete e tagliate fuori da ogni attività culturale e politica. Tuttavia con questa scuola non si voleva dare la possibilità ai cittadini di entrare nel mondo della cultura e di partecipare alla vita pubblica da protagonisti, ma solo di possedere i mezzi culturali minimi, cioè il leggere, lo scrivere, il far di conto. Un obiettivo minimo dunque che tuttavia ebbe non pochi oppositori. (...), tanto severo che si arrivò al compromesso politico e la religione fu messa al primo posto tra le materie di insegnamento.
Il metodo di insegnamento era quello trasmissivo-mnemonico. L'insegnante depositario di conoscenze e valori indiscutibili. I bambini dovevano essere plasmati. Ovviamente per i figli dei borghesi, futuri dirigenti, questa scuola non era adatta.
La legge Casati prevedeva un biennio o triennio di preparazione per i maestri.
Con i programmi dei 1867 del ministro Coppino, coerentemente con i dettami del Casati, si suggerisce che le masse vanno non solo alfabetizzate ma anche educate alle virtù dell'obbedienza e della rassegnazione: occorre "piegarle al bene". In questo testo ci si rivolge pure alla formazione dei docenti: "educare la classe modesta ma preziosa dei maestri elementari che sono a loro volta destinati a spargere tra i figli numerosi dell'agricoltore e dell'operaio germi di cultura bastevoli a sollevarli dalla corrompitrice ignoranza di cui altrimenti rimarrebbero preda".
Nel 1876 cade la Destra storica e si forma un governo della Sinistra che segna l'ingresso al potere della media borghesia, accanto ai vecchi aristocratici e ai grandi borghesi del Piemonte.
Nel 1888 Aristide Gabelli politico di idee moderate ma pedagogista originale, mise al centro dell'attenzione nei suoi Programmi per la scuola l'educazione scientifica: solo con l'introduzione e la familiarità con il metodo scientifico si sarebbero superati i pregiudizi, i residui di mentalità magica, la superficialità, dannosi quanto l'analfabetismo. Quindi positivismo e osservazione dell'esperienza e capacità di ragionare: pensare con la propria testa!
Il ministro Baccelli propone i suoi Programmi del 1894-95 contro i precedenti ritenendoli troppo gravosi per l'età dei bambini e riportando centralità su "leggere, scrivere e far di conto, e diventare un galantuomo operoso", che rispetta l'autorità, che lavora e tace.
Dopo gli avvenimenti di grande rilievo nazionale a cavallo tra '800 e '900, i fascisti nel 1922 vanno al potere con la violenza e vengono meno i principi della legalità democratica.
La riforma fascista della scuola viene consegnata nelle mani del filosofo idealista e liberale Giovanni Gentile. Ancora una volta i detentori del potere mettono le mani sulla scuola per usarla ai propri fini. La riforma Gentile usa la religione come strumento politico e per conformare il comportamento e la mentalità dei giovani all'accettazione passiva dell'autorità (religiosa e civile) che si divide il potere. Nei programmi scompare la funzione di una precisa metodologia didattica che parta dall'osservazione della realtà per formare la capacità di osservazione critica. Gentile era laico eppure coglie favorevolmente l'utilizzo della religione per rafforzare un atteggiamento di subordinazione e di rassegnazione al proprio stato. Gentile infine realizzo una scuola fatta a scale: la scuola di serie A (ginnasi, licei, università), di serie B (istituti tecnici, professionali e commerciali) di serie C (elementari fino alla quinta, professionali) destinata ai figli dei contadini e proletario che sarebbero a loro volta andati nei campi e nelle fabbriche. Una scuola di classe.
Il maestro nella nuova riforma studia un anno in più che nel passato: qualche nozione di latino e filosofia. Resta un intellettuale di serie B, un "commesso", dirà Gramsci, della classe dirigente.
Nel 1945 il pedagogista americano Washburne cercò di disegnare con il potere italiano una riforma scolastica deweyana e democratica, ma i maestri di allora (con le richieste dei quali in linea di principio concordava) erano perlopiù comunisti e socialisti. Ancora una volta la politica controlla la scuola: la riforma del 1945 si discosta appena dalla precedente, anche se alcune modifiche sono davvero innovative. Almeno entrò nella formazione degli insegnati elementari un po' di psicologia e di tirocinio. (Intanto la donna è ancora vista come madre e moglie! E fino al 1946 non avrà diritto di voto).
Con la Costituzione italiana del 1948 finalmente la scuola è riconosciuta come scuola per tutti e al servizio dell'uomo in una società democratica, e come ben sappiamo "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge" e "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero". In quel tutti ci sono ovviamente anche i bambini a scuola. Per questi ed altri spunti la Costituzione costituì davvero (e costituisce) il documento sostanziale e irrinunciabile per una riforma della scuola davvero a 360 gradi.
Ancora la politica: nello stesso 1948 le elezioni vengono vinte dalla Democrazia cristiana che esclude dal governo socialisti e comunisti. In materia scolastica si cancella l'apporto dello Washburne: con i programmi del 1955 si ritorna all'idea della religione come "fondamento e coronamento" del processo educativo (violando il neo-nato precetto costituzionale che garantisce la libertà religiosa oltreché culturale. "L'insegnante desti e chiarisca nel fanciullo il senso, in lui già presente, della bellezza e dell'armonia del Creato".(!!!)
Dal 1955 ad oggi sono accadute molte cose che hanno profondamente modificato la nostra società e la nostra cultura. Nella scuola si sono imposte valide iniziative di sperimentazione e di laboratorio negli anni '70 che talvolta hanno obbligato il potere centrale a rivedere molte posizioni. In questi anni sono sorti documenti programmatici per la scuola di notevole rilevanza e portata innovativa, anche se nella formazione degli insegnanti è cambiato poco. I Decreti Delegati hanno tentato di organizzare la partecipazione delle famiglie alla gestione della scuola: un fatto importante, ma i loro poteri reali erano tanto deboli che ben presto si sono risolti in iniziative puramente formali.
I Programmi del 1985 e gli Orientamenti del '90 sono certo nella memoria di tutti.
I maestri non possono e non devono più essere i commessi del potere. Solo acquistando una dignità da protagonisti potranno essere davvero una forza in grado di incidere e far avanzare la società. Perché ciò avvenga occorre che il ruolo docente non sia più visto in funzione di chi comanda, ma in funzione di un popolo che deve crescere.

Spunti da 

Guida al mestiere di maestro di Mario Lodi
a cura di Paolo Macagno