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LA DEGENZA IN OSPEDALE

 

La degenza fu breve, circa 10 gg.

Per fortuna le radiografie in testa e l'elettroencefalogramma avevano escluso conseguenze ben più gravi, per cui fui trasferito in chirurgia plastica per il problema alla mano.

All'inizio fui sistemato in un lettino del corridoio, ero stonato, rintronato come una campana, non riuscivo a percepire nessun suono.

Poi venni sistemato in una stanza con altri degenti.

Subito dopo vennero a trovarmi diverse persone, anche personalità, tra questi mi ricordo il Sindaco, il Procuratore Pajno ed altri ancora.

Parlavano parlavano, ma io non sentivo nulla di nulla.

I dolori cominciavano a diventare più lancinanti, anche perché i sedativi non facevano più effetto.

Finalmente arrivarono i miei genitori, mi sorrisero per farmi coraggio, notai che alla mia vista tirarono un sospiro di sollievo, poterono sincerarsi che il loro figlio era vivo, ferito, ma vivo.

In seguito mi spiegarono il perché della loro angoscia: nei viali dell'ospedale si era sparsa la voce che avevo perso una gamba ed un occhio.

E' bene precisare che nessuno del mio ufficio, né altri, ebbero il buon senso di avvisare i miei.

Arrivò anche la mia compagna, Enza, la quale appena mi vide scoppiò in un pianto liberatorio: a lei, invece, avevano detto che ero morto.

Un paio di colleghi pensarono bene di portarmi una radio, ma nelle condizioni in cui mi trovavo era forse l'ultima cosa che avrei voluto ricevere in quell'istante, d'altronde non potevano immaginare in che stato ero.

Così iniziarono le mie interminabili notti di insonnia.

Poi non so come e perché venne fuori la falsa notizia che avevo visto sfrecciare un vespino un istante prima dell'esplosione, ma non era per niente vero. Infatti dagli atti processuali e dalle dichiarazioni dei pentiti, è stato accertato che i sicari che azionarono il telecomando erano a circa 100 metri distanti dall'autobomba.

Quindi dopo questa notizia, divenni, mio malgrado, un potenziale e scomodo testimone, cosicché il Procuratore Pajno penso bene di affidarmi una tutela, stava sempre accanto al mio lettino e mi seguiva in tutti i miei spostamenti.

Nel pomeriggio venne un maresciallo dei carabinieri ad interrogarmi, ma non potevo essergli utile, perché non avevo visto veramente nulla.

Ma nessuno aveva previsto che questa falsa notizia mi provocò un'indescrivibile terrore, ero terrorizzato, perché pensai che a causa di ciò qualcuno sarebbe venuto a tapparmi la bocca.

In quella prima interminabile notte da sopravvissuto mi fecero compagnia mille pensieri e mille angosce, il Consigliere non c'era più, i miei amici spazzati via come fuscelli, così come il povero portiere.

Volevo piangere, ma non ci riuscivo, la tutela che mi faceva compagnia mi guardava senza dire nulla, poi ad un certo punto chiese al medico di guardia se poteva darmi un tranquillante, ma fu inutile.

Il giorno seguente fui operato alla mano ed ancora oggi porto una placchetta di metallo.

Quando fui in grado di alzarmi dal letto, preferii trascorrere il tempo nella stanza dei bambini che erano lì ricoverati. Perché proprio dai bambini? Perché, a differenza degli adulti, non mi guardavano come una bestia rara, né mi chiedevano nulla, né dovevo spiegare loro cosa mi era successo.

Tre o quattro giorni dopo venne a trovarmi il dottore Falcone ed il dottore Ayala. Falcone mi disse che aspettava il mio ritorno, io gli risposi: "ci può contare", ma in cuor mio sapevo che non avrei potuto più scortarlo, infatti fu così!

Avevo tanto desiderato fare quel lavoro e per colpa dell'onorata società i miei sogni sono svaniti il 29 luglio 1983.

 

 

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