Foto di Gabriele Talevi

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Storia della famiglia

Filo genealogico
Giovanna Maria Caporaloni
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Scrivi a: gabriele.talevi@tiscali.it

 


 

LA STORIA DELLA FAMIGLIA


Curiosare nel passato della propria famiglia è un'idea che, prima o poi, sfiora un po' tutti. Certi anelano a nuove scoperte nel tentativo di sfuggire ad una vita mediocre; altri, più semplicemente, desiderano ricomporre i fili di una storia che li riconduca a se stessi e che possa restare, anche per chi verrà dopo, come testimonianza di un lungo e fertile cammino. Spesso, infatti, i personaggi che emergono dalla nostra storia di famiglia sono figure sconosciute alle ricche edizioni dei libri ufficiali; piccole api silenziose, pazienti formiche abilissime, ma anonime tra gli anonimi; altre volte, invece, si rivelano, inaspettatamente, veri e propri "personaggi"; avvocati, inventori, patrioti, dei quali noi soli non conoscevamo gli stretti legami con i nostri antenati. Non occorre, comunque, che esistano particolari segni di nobiltà o distinzione sociale per far si che quella di famiglia sia una "vera" storia, altresì è necessario che si conoscano alcuni punti fondamentali oltre ai nomi e cognomi, come, ad esempio, la zona geografica in cui gli avi sono vissuti (o, possibilmente, nati) e, nota questa assai dolente, qualche data certa. Generalmente il primo passo consiste nel tentativo, spesso deluso, di districarsi tra notizie lacunose o travisate, fornite in fretta da nonni e zii distratti e un po' testardi, documenti dimenticati in polverosi archivi semi-abbandonati, foto e dagherrotipi in possesso di parenti più o meno stretti, che preferiscono glissare elegantemente sull'argomento "prestito a scopo di ricerca". Inoltre, accanto alla ricerca vera e propria, è importante comporre gli elementi cronologici dei principali eventi storici, politici, religiosi e sociali che si sono affiancati (a volte anche sovrapposti) al corso fluido, e un po' indifferente, lungo il quale si sono snodati gli avvenimenti familiari. Fondamentale è armarsi di tempo e robusta pazienza, affinchè la ricerca sia il più possibile ricca di fonti attendibili, oggettiva e veritiera; inoltre occorre fare attenzione alle tradizioni orali familiari, che spesso si rivelano di dubbia veridicità, e che possono essere fonte di imbarazzo e delusione. Se, ad esempio, nel corso della ricerca dovesse "venire a galla" che il quadrisavolo "feroce pirata" era in realtà un semplice marinaio dilettante, divenuto in seguito onestissimo impiegato regio (per intendersi oggi diremmo uno "statale"), non sarà necessario demolire ciò che è stato un mito per almeno tre generazioni, ma sarà sufficiente limitarsi a citare le due principali occupazioni del nonno di nostro nonno: marinaio e impiegato. Chissà, forse qualcuno vorrà leggere, nascosta tra le lettere di "marinaio" anche la parola "pirata", pensando ad una pudica omissione, ma comunque nessuno potrà negare che sia stata scritta la verità.

Quando, per la prima volta, nella famiglia Talevi si parlò di origini e curiosità genealogiche, venne fuori proprio una sgangherata storia di pirati, alla quale pare accennasse di tanto in tanto l'eclettico nonno Silvio (definito un "martire della resistenza" da quando, dopo aver eroicamente riparato un ferro da stiro, si era attirato la simpatia di molte vicine, che gli rifilavano puntualmente i loro piccoli elettrodomestici in panne!), ma a parte questa vaga notizia, non esistevano prove reali di tale ascendenza. La stragrande maggioranza delle persone interpellate riteneva che il cognome in questione derivasse da un soprannome attribuito a un trovatello o figlio naturale (sulla falsa riga di cognomi come Esposto, Proietti, dell'Angelo, ...) e che la narrazione fosse poi stata resa più accattivante dalla comparsa di un fantomatico pirata, senza una vera e propria collocazione storica. Tutto ciò non sembrava convincente; ogni notizia in più, aggiunta da zie, ottuagenarie ma baldanzose, rendeva sempre più pressante l'esigenza di un approfondimento. Armati di un taccuino e di tanta, santa, pazienza, cominciarono, sistematicamente, le interviste agli ultimi superstiti della famiglia che appartenevano alla celeberrima "classe di ferro". I pochi cenni storici e alcune date, soprattutto di morte, erano quasi tutti del XX secolo, o, al massimo, dell'ultimo ventennio del XIX, e partivano proprio da quel vago sentore di pirateria, poi rivelatosi inesistente. Grazie ad alcuni documenti, disponibili presso lo stato civile del comune di Ancona, cominciammo a "scavare" nella vita dei nostri antenati.

In un certo senso si può dire che il bisnonno Silvano (foto), Foto di Silvano Talevi (1851-1925).nato nel 1851 e morto nel 1925, grande esperto di pesci e lenze, un po' di spirito piratesco l'avesse davvero. Dopo gli anni della gioventù, in cui s'era dato alla vita marinaresca più con lo spirito di chi vuole esplorare il mondo fuori di casa che con vere intenzioni di fare il marinaio, nel 1875 era stato assunto, in prova, nella allora "Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali", impiego presso il quale rimase poi definitivamente fino al 1910, anno del suo pensionamento. Dal suo foglio matricolare (rinvenuto solo grazie ad una ricerca particolarmente complicata, nonchè alla perplessa cortesia di due funzionari delle ex Ferrovie dello Stato) e dalle note, apposte negli anni al suo margine, scopriamo che si trattava di un lavoratore assai attivo ed ingegnoso, tutt'altro che pignolo, ma intelligente e creativo, cosa piuttosto scabrosa in un'epoca in cui la burocrazia e l'assoluto rispetto delle regole erano, letteralmente, il pane quotidiano. Ogni seppur minima variazione alla norma veniva quantificata in una penale da sottrarsi alla paga giornaliera, ma spesso, per fortuna, qualche creazione ingegnosa era ripagata con piccoli premi che pareggiavano i conti. Certo non dovette trattarsi di una persona dal carattere docile se, come documenta ancora il foglio matricolare, rifiutò comunque di partecipare ad una conferenza in materia di servizio, che riteneva affatto inutile, e si rese responsabile dei "viaggi abusivi" di un operaio, nonostante ciò gli costasse l'intera paga di un giorno di lavoro. Insomma, Silvano era, a suo modo, un pirata della burocrazia. Ma da dove veniva? Abbiamo già detto che era nato nel 1851, ad Ancona, e della sua famiglia si sa che aveva sicuramente tre sorelle, Leonilde, Arsilia, Annunziata, ed un fratello più piccolo, Alessandro, di cui si conosce solo la data del matrimonio. Il padre, Vincenzo, era stato anche lui marinaio per breve tempo e viveva, con la moglie Marianna Borgognoni (detta Elena) ed i figli, sotto la giurisdizione ecclesiastica della parrocchia di S. Giovanni Battista; era nato nel 1815, primo di una serie di sei tra fratelli e sorelle, da Giovanni Talevi e Marianna Signorini che, dalla zona extraurbana delle Grazie, si erano trasferiti a quella di Montagnolo, dove era nato Vincenzo, poi più giù, verso la città, dove il lavoro era più agevole e disponibile. In realtà la famiglia Talevi, o Tallevi, come appare da alcuni documenti, era già originariamente collocata nella zona detta del Montagnolo (dal latino "Montis Angeli", dove si trovava e si trova, appunto, la chiesa di S. Michele Arcangelo) dove aveva vissuto sin dalla metà del XVI secolo, per circa sette generazioni, prima di trasferirsi alle Grazie e poi, come già detto, verso la zona Piano S. Lazzaro - Borgo Pio.

Sono state rinvenute tredici generazioni di questa famiglia e, sempre cercando di padre in figlio, si è risaliti al 1515 circa, nonché, cosa più importante, al capostipite che ha dato origine al cognome; ma attenzione: vera e provata che sia la fedeltà degli atti per ciò che riguarda questa specifica ricerca, ciò non significa che tali documenti, e la ricerca stessa, possano essere considerati validi per tutti coloro che oggi, residenti ad Ancona, nelle Marche o altrove, si chiamino Talevi. Esistono forse dei lontani legami con alcuni di essi, ma certamente molti nuclei possono essersi formati autonomamente. Vediamo come, analizzando una delle parti più interessanti della ricerca, quella che riguarda l'origine del cognome. Secondo la corrente linea di pensiero di eminenti linguisti, il cognome Talevi, con le sue forme originarie o derivate (Tallevi, Tallevo, Talleva, Talei, Taleo, Talea, Diotallevi, Diotalleva, ecc.), é diffuso quasi esclusivamente nelle Marche, soprattutto nella zona di Pesaro e del Montefeltro, di Ancona e Falconara Marittima, con qualche piccolo gruppo sparso nel Lazio, in Umbria e in Liguria, di derivazione quasi sicuramente marchigiana. Talevi, in particolare, è la forma aferetica derivata dal nome proprio teoforico gratulatorio "Dio ti allevi", con cui venivano battezzati i bambini che si desiderava idealmente affidare alle cure divine (generalmente per problemi legati al parto e alla salute della madre, non perché abbandonati o malaticci). Ora provate ad immaginare: per quanto si possa essere trattato di una formula decisamente originale, è probabile che siano stati molti i neonati battezzati così e, inoltre, come per tutti i nomi, anche in mancanza della motivazione primaria che gli ha dato origine, esistono periodi storici e luoghi in cui si venne a creare una sorta di "moda ad imitazione", agevolata anche dalla presenza, all'incirca nel XV secolo, di una nobile famiglia romagnola ,della quale alcuni componenti portavano appunto il nome di Diotalevo. Nonostante la particolarità, dunque, è provato che verso la fine del '500 esistevano, nella contrada di Montagnolo, almeno due bambini, entrambi originari del Montefeltro, di sesso maschile che, pur non intercorrendo tra loro legami di parentela, portavano questo nome e che, successivamente, diedero origine a due distinte discendenze di Talevi tra Montagnolo e Posatora. L'uno si rivelò poi essere proprio quell'antenato dal quale presero il nome gli attuali discendenti di Silvano, mentre l'altro era figlio di tale Giulio da Casteldurante (attuale città di Urbania, provincia di Pesaro-Urbino).

Partendo dagli attuali Talevi e risalendo indietro con Silvano, Vincenzo, Giovanni, Andrea (di cui si conserva, presso l'Archivio di Stato di Ancona, la firma autografa in un registro del censimento napoleonico) Firma di Andrea Talevo (Talevi).e cosė via, dopo lunghe e meticolose ricerche si arriva alla decima generazione, quella di Francesco Diotalevi, nato nel 1607 dal capostipite Dittaleva (forma abbreviata che sta per Diotialleva) e da sua moglie Margherita. Quest'ultima (n. 1573) era figlia di Pierfrancesco da Urbino e la sua unione con Dittaleva (n. 1578), che oltre Francesco vide la nascita di almeno altri otto figli tra maschi e femmine, era forse giā stata progettata, secondo gli usi dell'epoca, dalle famiglie degli sposi, strettamente legate da interessi economici. Il padre di Dittaleva, infatti, Giovanni Maria da Tornā, lavorava come fornaio con tale mastro Romeo, socio di Pierfrancesco. Non solo: donna Polonia (o Apollonia), moglie di Giovanni Maria, era anch'essa originaria del Montefeltro, essendo nata verso la metā del XVI secolo da Cristoforo di Gradara, ed č probabilmente proprio a lei che si deve la scelta del nome di battesimo Dittaleva (riproduzione dell'atto di battesimo di Dittaleva conservato presso l'Archivio Parrocchiale di S. Giovanni Battista ad Ancona). Atto di battesimo di Dittaleva.
Giovanni Maria, suo marito, aveva invece origini differenti: veniva da "Tornā", abbreviazione antica e ormai desueta che indicava la cittā di Tornata (provincia di Cremona), situata proprio in quell'area padana dove, grazie ai disboscamenti precoci, giā a partire dal XIII secolo avevano preso piede le colture cerealicole e dove ancora nel XVI secolo l'arte di fare il pane costituiva una tradizione importante. Assieme ad un folto gruppo di mastri artigiani lombardi, di cui pare ci fosse grande necessitā a metā del '500 nel territorio marchigiano, anche Giovanni Maria di Stefano, fornaio da Tornā, partė con la semplice speranza di una vita onesta, serena ma, soprattutto, prolifica. E in questo, almeno, possiamo dire con certezza che non sia stato deluso.

Giovanna Maria Caporaloni


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Data ultima revisione: Gennaio 2003.