DI SEGUITO SI RIPORTANO I TESTI DI ALCUNE RECENSIONI REDATTE DA AUTOREVOLI CRITICI D' ARTE CONTEMPORANEA:

 

TESTO DI: TOMMASO PALOSCIA  Firenze, Dicembre 1998

La pittura di Gabriella Pieretti propone una fascia linguistica che si auto esclude dal glossario dei movimenti artistici ai quali abitualmente vien fatto di riferirsi onde si indichi o si inquadri una certa espressione.

E questa scelta non è dovuta al vezzo dell’artista di differenziarsi da quanti sogliono attingere ai modelli conosciuti e quindi di ostentare una sorta di personalizzazione ad ogni costo; in realtà si tratta di un modo di dipingere istintivo avvertito dalla Pieretti sin da adolescente nell’incantata ammirazione della natura quando la sua residenza, situata a picco sul mare lungo la costa di Sorrento, le offriva il modo di riempire l’occhio e l’anima di colori affascinanti, quei colori dunque, che danno vita a uno degli stili più suggestivi di tutta l’area mediterranea, sono stati osservati, goduti, assorbiti a poco a poco dalla coscienza per rimanervi come parametro nel giudizio sull’intensità delle tensioni di cui vivono i sentimenti profondi.

Sì che appare oggi assai probabile che da quelle impressioni dell’adolescenza provengano anche le ripartizioni orizzontali in cui si identificano ancora, pur nelle frantumazioni accavallate delle forme, la terra il cielo e il mare in un paesaggio improbabile che l’immaginario ricompone fantasticando fra i ricordi.

Potrebbe essere questa la scheda esteriore della pittura che Gabriella Pieretti offre a se stessa sulla scia di un entusiasmo che non si è sbiadito e che anzi, di fronte alla visione di un episodio inedito della natura, sa accendersi di nuove tensioni.

Ne assumono forme diverse, in un linguaggio figurale ripensato e tuttavia carico di vita, i quadri che qui si espongono al pubblico, alla sua attenzione, al suo giudizio. La pittrice li anima di colori che sono, essenzialmente, sempre quelli del Tirreno meridionale anche se nell’epoca attuale essa vive sull’Adriatico pesarese del quale ha colto solo parzialmente, nel suo intimo sentire, il fascino verde-Veronese che l’Adriatico appunto assume in certi giorni inquieti e per colore si rende unico e inimitabile.

Il fatto è che, essendo la tavolozza ancora la guida la più efficacemente affinata nella lettura di un messaggio che è dentro alle nuove immagini di questa pittura, il sistema di decodificazione utilizza giustamente le esperienze iniziali; per una accentuata esperienza linguistica in cui si racchiudono i valori tramandati nel tempo da una appassionata cultura dell’armonia.

Talvolta l’immagine, che l’artista destina volontariamente nell’area dell’ambiguità, stimola a fantasticare di incontri ravvicinati con le energie irrequiete di una natura misteriosamente lontana dal sensibile e tuttavia appena nascosta nel fondo dei nostri pensieri.

Con ciò non voglio dire che la pittura di Gabrielle Pieretti si concreti in un indirizzo naturalistico ma che certamente prende l’avvio dalla realtà sempre per i voli che l’immaginario suggerisce e che la fertile creatività della pittrice realizza con invenzioni ogni volta diverse, al limite dell’informale.

Scatenamenti di rossi infuocati o di cobalti molto profondi si avvicendano in combinazioni con altre cromie privilegiate per una poesia che suggestiona l’osservatore attraverso una piacevole "armonia del disordine" in cui il verso scandisce il suo ritmo.

Il pennello o la spatola si fa strumento di una tecnica apparentemente elementare accompagna il pensiero, vale a dire l’idea ispiratrice, con la sapienza di una mano ottimamente educata al segno e al colore; ed è qui la prima armonia visivamente rilevabile nel concerto dei tempi che la pittura esige per elevare i suoi esiti al rango di opere d’arte.

Il porgere con aristocratica disinvoltura rende valido l’aspetto di questo modo di fare pittura e fa sì che la validità si rifletta all’interno dell’immagine macerata: per vie segrete forse, ma indubbiamente per merito della tensione di cui si discorreva dianzi, condotta fino al limite della disintegrazione. E sono convinto che il rischio, del quale la Pieretti si compiace, faccia parte del gioco.

Un ammirevole quanto divertente gioco che non trascura nemmeno per un istante il fatto estetico e che l’abilità tecnica preserva dalle eventuali sorprese spesso nascoste nell’infido sentiero della pittura. Una delle insidie ricorrenti, tanto per intendersi, è la voglia matta di classificare un linguaggio siffatto nella griglia delle avanguardie.

E’ una tentazione da evitare e mi sembra che la pittrice sia ben attenta a starne lontano, convinta com’è di dover seguire solo e semplicemente quel suo istinto, felicissimo, che ne guida la mente e la mano.

 

TESTO DI: SILVIA CUPPINI  Urbino, Maggio 1998

Istintiva e calcolata, la pittura della Pieretti appare libera di muoversi nel piccolo formato come nelle tele di più grandi dimensioni. Sia che si tratti del figurativo che dell’astratto, del paesaggio della figura, la pittrice affida ai colori memorie di vita intensamente vissuta e connotata da una ricerca di uno stile originale e molto personalizzato.

Carattere dominante della sua pittura sembra essere l’abilità di racchiudere un racconto completo in tutte le sue parti nella tela.

Il tratto è sicuro, non si notano ripensamenti, incertezze, tutto e subito si affidano alla velocità di una esecuzione che corrisponde ad una visione certa e al pieno possesso dei mezzi espressivi.

La sua pittura è del genere realistico, intendendo con ciò la realtà dell’arte, perché la Pieretti ha saputo cogliere negli artisti contemporanei quanto di ingenuo poteva lasciar trasparire la loro opera e quanto di cinico travestimento.

La pittura, latente da sempre, da forma negli ultimi anni alla più grande libertà della memoria, dei sogni, dei desideri, che tendono a rivestirsi dei colori talora più accesi, altre volte così sfumati da sfiorare il monocromo.

La Pieretti è certa di poter comunicare per mezzo della pittura, più di quanto le sue stesse parole possano testimoniare, una percezione positiva del mondo, la riserva di energie non sopite depositate nel cuore dell’uomo, il dialogo aperto con se stessi, eternamente rinnovantesi nella ricerca delle ragioni dell’agire.

Lo spazio virtuale della tela sfida alla composizione l’infinito mondo di emozioni della pittrice, che si rivela e si nasconde nel gioco dei "quadri", per giocare lo spettatore ed essere giocata nell’avventura più affascinante dell’universo dei simboli. Non serve evocare la notte e l’associazione dei sogni, la totalità del mondo è parte integrante dell’esperienza quotidiana della Pieretti: lo spirito porta intatte le tracce della voglia di svelare a sé e agli altri i confini illimitati dell’esperienza.

TESTO DEL Prof. PAOLO LEVI

 

Ha  scoperto che le vibrazioni del pigmento – già vive e suadenti nella tavolozza – possono essere trasmesse con arte e pathos sulla tela. Gabriella Pieretti “vede” dipingendo. Esegue i suoi dipinti con gravità di pensiero. E’ immaginabile che nell’esecuzione sia rapida, ma il suo quadro-pensiero si  rivela mano a mano che procede con sapienza, ben conoscendo il canto ed il controcanto dei colori. Forse in passato è stata combattuta tra musica e pittura.Da qui il gioco costante di contrappunti cromatici, la necessità di mettere in risalto sovrapposizioni tonali e controtonali. Il suo gesto espressivo ha una propria origine culturale, quella degli anni ’50 dell’informale lirico americano.

Certo che questa signora che usa grandi pennelli e spatola, ama la visibilità parziale o, meglio, la sospesa riconoscibilità  della natura. La sua abilità sta, appunto, nel presentarla nella sua incertezza, in una sorta di visione misteriosa.

La nostra percezione visiva gode di più chiavi di lettura. Certamente, si tratta di una pittrice che (volutamente) guida solo in parte l’osservatore. Gioca a nascondino con i titoli dei quadri che narrano di atmosfere, di energia, di mutamenti e di indagini. Sono opere dalla forte suggestione che, a mio avviso, potrebbero sopravvive senza titolo.

Sono ricerche di forme che si aprono e che si dissolvono, che respirano grazie ad una cromia suadente e sensuale, che portano il nostro occhio indagatore ad utopiche soluzioni.

E’ una messaggera non di certezze, ma di presenze informi, ricche di colori squillanti, misteriose nelle loro variabili cromatiche.

Si avverte una religiosità ripresa in chiave di essenza lirica ed astratta.

 

 

 

TESTO DI: GABRIELE TUROLA

Gabriella Pieretti ha sperimentato in passato diversi materiali per poi approdare agli ultimi dipinti, eseguiti con tecniche miste, che sostituiscono effetti materici e che consistono in accordi di colori pastosi, intrisi  di uno slancio emotivo “neoromantico”, dove le passioni, i moti del cuore prevalgono.

Il paesaggio, l’elemento naturalistico, vagamente accennati, a volte, da una linea che evoca l’orizzonte o da macchie cromatiche simili a fiori (si veda “Forza naturale”, “Elementi naturali”, “Fusione d’orizzonti”) sono ridotti a pure forme che si accavallano, si amalgamano secondo un lessico informale.

Già, allorché adolescente, abitava in una casa a picco sul mare lungo la costa di Sorrento, il paesaggio da lei ammirato le ha offerto, come scrive Tommaso Paloscia,  “ il modo di riempire l’occhio e l’anima di colori affascinanti” che danno vita ad uno stile tipicamente mediterraneo.

La luce, l’azzurro del cielo, la linfa delle piante si trasformano in oro, smeraldi, zaffiri, in cromatismi preziosi che parlano di un’ ispirazione fresca, spontanea, ricca di entusiasmo e di forza.

Nelle opere affascinanti di Gabriella Pieretti  cogliamo quel processo creativo attraverso il quale gli stati d’animo vengono visualizzati, si concretizzano.

L’artista in tal modo rende visibile ciò che è invisibile, cattura i pensieri, i sogni, le sensazioni più impercettibili, come si può constatare nei dipinti “Mutamenti”, “Spontaneità”, “Passione analogica”, titoli quanto mai emblematici che dimostrano come Gabriella Pieretti  parta da un punto per svilupparlo attraverso associazioni di idee,  pulsioni che emergono dall’inconscio per poi proiettarsi nella dimensione della coscienza pura.

In tal modo l’artista passa dal caos all’armonia, esplora il mondo infinitamente ricco  dei colori  per cercare le mille possibilità che nascono dagli accordi, dagli abbinamenti.

Come in una operazione alchemica ogni colore, per quanto sembri casuale, in realtà risulta frutto di un lungo studio, di una precisa maturazione interna.

Il dipinto, una volta terminato, condensa in sé tutte le fasi di questo percorso all’interno della psiche, come uno specchio  che riflette le passioni, i ricordi ancestrali, gli slanci poetici che l’artista  ci comunica con eleganza e grazia tutta femminile.

Gabriella Pieretti  usa il pennello, la spatola e perfino le mani per poter prolungare lo stimolo creativo che parte dalla mente.

I suoi impasti materici sono permeati di un forte senso di sintesi in quanto l’artista tende a scarnificare, a giungere all’essenziale esprimendo così una sensibilità squisitamente Zen.

Come i pittori giapponesi della scuola Zen, a partire dal XIV secolo, usavano l’inchiostro con pennellate rapide e precise, che richiedevano calma e concentrazione, realizzando opere contrassegnate  da una immediatezza fulminea,

così anche Gabriella Pieretti con tocchi di colore improvvisi  esalta la forza del gesto, dello slancio vitale per cui ogni macchia di colore diviene irrevocabile, lascia impronte indelebili.

L’artista elabora così uno stile personale collocato al di fuori della semplice figurazione o mimesi; i suoi dipinti non riproducono la Natura, non cercano la somiglianza, ma diventano essi stessi Natura.

Come il pittore zen che dipinge un bambù diventa egli stesso un bambù, così Gabriella Pieretti  si identifica con gli elementi, l’acqua, la terra, il fuoco, l’aria. Ad esempio, nel suo dipinto “Atmosfera” avvertiamo forme che germinano spontaneamente e raffiche di fortunale che simboleggiano un’energia interiore proiettata all’esterno.

Nel suo caso si può parlare di “Paesaggi dell’anima” più che di rappresentazioni naturalistiche, intese in senso tradizionale.

L’artista scava solchi, ottiene arzigogoli, intrecci, rende l’idea di grumi e di erbe aromatiche, il suo pennello e la sua spatola affondano nelle radici della terra, assorbono l’acqua, i sali che si trovano nel terreno per trasformarli in linfa, il sangue delle piante. Da qui deriva  la sua pittura intrisa di freschezza, di spontaneità, di succhi ed umori vitali. L’artista insomma  crea a fianco  della Natura, dà vita a un mondo organico che corrisponde a quello interiore, psichico.

Morlotti affermava di “sentirsi come un insetto dentro le cose” : ebbene anche Gabriella Pieretti si lascia assorbire dalla forza centrifuga e centripeta dei colori, la sua anima sprofonda in un vortice di passioni, di sogni, di trasalimenti per poi giungere a quella conquista che l’ordine della ragione, la bellezza intrinseca del colore che vive di vita propria.

 

TESTO DI: SILVIA  CUPPINI  A.B.A. di Urbino

La PIERETTI con la sua ultima produzione ha trovato nel mezzo fotografico le potenzialità espressive di raccontare, raccolto in un unico fotogramma, la nascita del quadro negli istanti successivi del suo farsi, pervenendo ad immagini inattese, che sembrano quasi materializzare il concetto di "durata", con il quale Henri-Luis BERGONS intende rappresentare il tempo dell' io profondo, un tempo vissuto in ciascun istante si compenetra.