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Crisi cubana dei missili

 Una delle crisi più gravi, nel contesto della Guerra Fredda, nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS), scoppiata in seguito alla tentata installazione sovietica di missili nucleari a Cuba. Nel maggio 1960 il premier sovietico Nikita Krusev aveva assicurato il sostegno di Mosca al governo rivoluzionario da poco istituito nell'isola da Fidel Castro, avviando tra l'altro, in segreto, un piano per dotare il nuovo alleato di missili nucleari a media portata che ponevano sotto tiro parte delle coste orientali degli Stati Uniti. Nell'estate del 1962 aerei spia statunitensi scoprirono le prime rampe di lancio già installate e in ottobre individuarono il primo missile.

Dopo una settimana di consultazioni con i più stretti consiglieri, il presidente americano John Fitzgerald Kennedy annunciò di avere ordinato il blocco navale di Cuba per impedire l'arrivo di altri missili (con le unità americane pronte a intercettare e controllare ogni nave in rotta verso l'isola), pretendendo dall'URSS lo smantellamento di quelli già posizionati. Seguirono giorni di fortissima tensione e di continui contatti telefonici tra i leader di Stati Uniti e Unione Sovietica: alla fine le navi sovietiche che dirigevano su Cuba invertirono la rotta, evitando di entrare nella zona di controllo delle forze statunitensi. Poco dopo (28 ottobre) Kruscev acconsentì allo smantellamento, in cambio della rimozione di alcuni missili americani in Turchia. La capitolazione cui si vide costretta in questa occasione l'Unione Sovietica fu tra i fallimenti attribuiti a Kruscev al momento della sua deposizione nel 1964.