Prima
guerra mondiale
Guerra
combattuta tra il 1914 e il 1918 da ventotto nazioni, raggruppate negli
schieramenti opposti delle potenze alleate (comprendenti tra le altre Gran
Bretagna, Francia, Russia, Italia e Stati Uniti) e degli Imperi centrali
(Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria). Causa immediata della
guerra fu l’assassinio il 28 giugno 1914 a Sarajevo dell’arciduca
Francesco Ferdinando, erede al trono austroungarico, da parte del
nazionalista serbo Gavrilo Princip; le cause fondamentali del conflitto
vanno tuttavia ricercate nelle contrastanti mire imperialistiche delle
potenze europee, cresciute in un clima di esasperato nazionalismo.
Soprattutto a partire dal 1898, i contrapposti interessi di Francia, Gran
Bretagna e Germania (e in misura minore di Austria, Russia e Giappone)
alimentarono uno stato continuo di tensione internazionale che spinse i
governi a mantenere permanentemente in stato di all’erta eserciti sempre
più armati, e ad accrescere la potenza delle proprie marine militari. I
tentativi di fermare questa corsa al riarmo (conferenze dell’Aia del
1899 e 1907) ebbero scarso effetto, e non riuscirono a impedire lo
strutturarsi dell’Europa attorno a due coalizioni ostili: la Triplice
Alleanza tra Germania, Austria-Ungheria e Italia, e la Triplice Intesa tra
Gran Bretagna, Francia e Russia.
Crisi
che precedettero la guerra (1905-1913)
Tra
il 1905 e il 1913 diverse crisi e guerre locali portarono la situazione al
limite del conflitto generale. Due di queste (crisi marocchine) furono il
risultato del tentativo tedesco di sostenere l’indipendenza del Marocco
nei confronti dell’occupazione francese, questione poi risolta
pacificamente dalla conferenza di Algeciras. Un’altra crisi ebbe luogo
nei Balcani nel 1908 a seguito dell’annessione della Bosnia-Erzegovina
da parte dell’Austria-Ungheria; in questo caso la guerra fu evitata solo
perché la Serbia, che coltivava mire espansionistiche sulla regione, non
poteva agire senza il sostegno della Russia, che a quell’epoca non si
riteneva ancora pronta per il conflitto. Approfittando del fatto che l’attenzione
delle potenze maggiori era rivolta alla questione marocchina, l’Italia
dichiarò guerra alla Turchia nel 1911 per annettersi la regione di
Tripoli (guerra di Libia), mentre le guerre balcaniche del 1912-13 ebbero
il risultato di rafforzare le tendenze aggressive del regno di Serbia
nella regione, peggiorando ulteriormente i suoi rapporti con Vienna, e di
suscitare desideri di vendetta e di riscatto nella Bulgaria e nella
Turchia.
Operazioni
militari
L’assassinio
dell’arciduca austriaco agì da detonatore in un’Europa così
pesantemente lacerata da rivalità nazionalistiche, con effetti
catastrofici.
Dichiarazioni
di guerra
Il
governo di Vienna, ritenendo l’assassinio opera del movimento
nazionalista serbo, assicuratosi l’appoggio della Germania, inviò un
ultimatum alla Serbia ritenuta responsabile di un piano antiaustriaco. A
quel punto le cose precipitarono e in rapida successione si ebbero la
dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia (28 luglio), la
mobilitazione della Russia, le dichiarazioni di guerra della Germania alla
Russia (1° agosto) e alla Francia con la conseguente invasione del Belgio
(3 agosto) e l’entrata in guerra della Gran Bretagna a sostegno dei
belgi (5 agosto) che provocò la reazione tedesca. Mentre l’Italia si
dichiarava neutrale, anche il Giappone (alleatosi con gli inglesi nel
1902) dichiarò guerra al Reich il 23 agosto, attaccandone subito dopo i
possedimenti asiatici. Nel settembre 1914 la firma del patto di Londra
sanciva l’unità tra Francia, Gran Bretagna e Russia.
1914-1915:
dalla guerra-lampo alla guerra di trincea
Le
operazioni militari si svolsero su tre diversi fronti: quello occidentale,
o franco-belga; quello orientale, o russo; quello meridionale, o serbo.
Nel novembre 1914 la Turchia entrò in guerra a fianco degli imperi
centrali, estendendo così il quadro delle operazioni che giunse a
comprendere la regione dello stretto dei Dardanelli e la Mesopotamia. Nel
tardo 1915 si aprirono due ulteriori fronti: quello austro-italiano, dopo
che l’Italia si unì agli Alleati in maggio; e quello sulla frontiera
greca a nord di Salonicco, a seguito dell’intervento della Bulgaria al
fianco degli imperi centrali nell’ottobre successivo.
Il
fronte occidentale
Il
piano strategico tedesco (noto come piano Schlieffen dal nome del
generale, vincitore a Sedan, che lo aveva elaborato), che prevedeva una
rapida guerra di movimento contro la Francia per poi volgersi contro la
Russia, fu bloccato dall’esercito francese comandato dal generale Joffre
nella prima battaglia della Marna (6-9 settembre). I tedeschi, costretti
alla ritirata sino al fiume Aisne, estesero il fronte fino alla Mosa, a
nord di Verdun. Ne seguì una sorta di gara in velocità verso il mare del
Nord, con l’obiettivo di acquisire il controllo dei porti sulla Manica,
che vide i tedeschi frenati nella loro avanzata dall’inondazione della
regione del fiume Yser operata dai belgi e da una serie di scontri con
forze inglesi noti collettivamente come battaglia delle Fiandre. Questa
segnò la fine della guerra di movimento sul fronte occidentale e portò
alla guerra di logoramento, di cui furono protagonisti la trincea, l’assalto
con la baionetta, l’artiglieria, la conquista e la perdita di pochi
lembi di terreno con perdite umane elevatissime.
Il
fronte orientale
Sul
fronte orientale nell’agosto 1945 due armate russe attraversarono il
confine orientale della Germania, ma furono fermate dalle divisioni del
generale Paul von Hindenburg che inflissero agli invasori una sconfitta
decisiva nella battaglia di Tannenberg (26-30 agosto). Nel frattempo altre
quattro armate russe, invaso il territorio austriaco, avanzarono in
Galizia senza incontrare resistenza sino ai confini con l’Ungheria (fine
marzo 1915); l’azione venne però bloccata dalla controffensiva
austro-tedesca che dai monti Carpazi proseguì in Polonia centrale
(maggio), Lituania e Curlandia (settembre), obbligando i comandi russi a
richiamare le truppe dalla Galizia.
La
guerra in Serbia
Da
parte loro i serbi riuscirono a respingere tre tentativi di invasione
senza operarne alcuno ai danni dell’Austria-Ungheria, così che il
fronte rimase inattivo fino all’ottobre 1915. All’inizio di quel mese,
per poter aiutare la Serbia in caso di un attacco bulgaro, giudicato
sempre più probabile, truppe anglo-francesi sbarcarono a Salonicco. A
quel punto gli austro-tedeschi attaccarono nuovamente le postazioni serbe
(6 ottobre), sconfiggendole insieme al corpo di spedizione alleato
sopraggiunto in soccorso dalla Grecia occidentale.
Il
fronte turco
La
Turchia entrò in guerra il 29 ottobre 1914, cooperando da subito con la
Germania con il bombardamento navale delle coste russe del mar Nero e l’invasione
del Caucaso in dicembre; in risposta, forze navali inglesi bombardarono le
fortificazioni turche sullo stretto dei Dardanelli nel febbraio 1915,
mentre tra aprile e agosto furono costituite due teste di ponte nella
penisola di Gallipoli. L’obiettivo alleato di acquisire il controllo
degli stretti fallì miseramente, e fu seguito dal ritiro di tutte le
truppe presenti nella regione entro il gennaio 1916.
Il
fronte italiano
L’Italia
dichiarò guerra all’Austria-Ungheria il 23 maggio 1915. Nel corso del
suo primo anno di guerra, i più importanti eventi militari che la videro
impegnata furono quattro battaglie dell'Isonzo dall’esito incerto (29
giugno-7 luglio; 18 luglio-10 agosto; 18 ottobre-3 novembre; 10
novembre-10 dicembre), che fecero fallire l’obiettivo di spezzare le
linee austriache e conquistare Trieste.
1916:
la guerra di posizione
Nel
1916, dopo aver trasferito 500.000 uomini dal fronte orientale a quello
occidentale, i tedeschi sferrarono un massiccio attacco alla Francia
dirigendosi verso la fortezza di Verdun (21 febbraio). Furono ancora
bloccati e dovettero subire la controffensiva alleata sulla Somme. Ma né
l’una né l’altra operazione furono decisive: la spaventosa
carneficina (1.600.000 morti) risultò inutile ai fini della guerra.
Perdite
russe e sconfitta rumena
Sul
fronte orientale, i russi lanciarono un’offensiva nella regione del lago
Narocz per forzare i tedeschi a spostare le truppe da Verdun, ma l’operazione
si risolse in un fallimento che costò loro oltre 100.000 uomini. Maggior
successo ebbe invece in giugno la risposta alla richiesta italiana di un’azione
diversiva che alleviasse la pressione dell’offensiva austriaca in
Trentino (vedi oltre): l’avanzata russa da Pinsk verso sud costò
tuttavia perdite tali (quasi un milione di morti) da gettare l’esercito
in uno stato di demoralizzazione e scoramento che influì non poco sugli
sviluppi politici interni russi. La dimostrazione di forza indusse la
Romania a entrare in guerra al fianco degli Alleati (27 agosto 1916), ma
le operazioni militari si risolsero in una netta sconfitta a opera delle
forze austro-tedesche e bulgaro-turche, che assicurò agli imperi centrali
il controllo della Romania e delle sue risorse (grano e petrolio).
L’Italia
e i Balcani
Sul
fronte italiano il 1916 fu segnato dalla quinta inconcludente battaglia
sull’Isonzo e dall’offensiva austriaca nel Trentino, i cui risultati
furono comunque annullati dalla reazione italiana nella campagna estiva.
Tra agosto e novembre altre quattro battaglie ebbero luogo sull’Isonzo,
ancora senza risultati a parte la conquista italiana di Gorizia (9
agosto). Nei Balcani le potenze alleate posero sotto il controllo politico
la Grecia e scatenarono un’offensiva su vasta scala in Macedonia che li
portò al confine con l’Albania.
Tentativi
di negoziato
Nel
corso del 1916 il presidente degli Stati Uniti d’America (a quel tempo
ancora neutrali) Woodrow Wilson cercò di spingere al negoziato le potenze
belligeranti sulla base di una "pace senza vittoria". A fine
anno il governo tedesco rese nota la disponibilità in tal senso delle
potenze centrali, alle quali tuttavia la Gran Bretagna non diede credito.
1917:
l’entrata in guerra degli Stati Uniti e il ritiro russo
La
posizione di Wilson riguardo alla guerra mutò decisamente nel gennaio
1917, quando la Germania annunciò che, a partire dal successivo 1°
febbraio, sarebbe ricorsa alla guerra sottomarina indiscriminata contro le
imbarcazioni in arrivo in Gran Bretagna o in partenza da essa, contando in
questo modo di poterne piegare la resistenza entro sei mesi. Gli Stati
Uniti avevano già ammonito in precedenza che questo genere d’azione
violava palesemente i diritti delle nazioni neutrali, così che il 3
febbraio il presidente americano decise di sospendere le relazioni
diplomatiche con la Germania, seguito da diverse nazioni dell’America
latina. Il 6 aprile gli Stati Uniti entrarono in guerra.
Arras
e Ypres
Nel
1917 i tentativi degli Alleati di rompere le linee tedesche portarono
modesti vantaggi con un costo in vite umane talmente grande da provocare
un ammutinamento fra le truppe francesi e la sostituzione del loro
responsabile, il generale Nivelle, con il generale Henri Philippe Pétain,
che decise di rimanere sulla difensiva fino all’arrivo delle forze
americane.
Lo
sbarco degli americani
Dopo
la dichiarazione di guerra alla Germania nell’aprile 1917, il governo
degli Stati Uniti organizzò rapidamente una Forza di spedizione inviata
in Europa al comando del generale John Pershing. Entro la fine di maggio,
175.000 soldati americani erano già presenti in Francia; sarebbero
diventati quasi due milioni verso la fine della guerra.
La
guerra sottomarina
Sempre
nel 1917 i tedeschi dovettero riconoscere fallito il tentativo di spingere
la Gran Bretagna alla resa mediante il blocco sottomarino delle sue isole.
Inoltre, già dagli inizi del 1918 gli Alleati (grazie soprattutto al
contributo degli Stati Uniti) producevano nuove navi più di quante i
tedeschi riuscissero a distruggerne.
La
Russia si ritira
Lo
scoppio nel marzo 1917 dell’insurrezione popolare contro il governo
imperiale portò all’abdicazione dello zar Nicola II; appena insediato,
il governo provvisorio si impegnò a proseguire la guerra, ma la
successiva rivoluzione bolscevica del novembre (vedi Rivoluzione russa)
ebbe come effetto il ritiro della Russia dalla guerra.
Sconfitte
italiane
Durante
i primi otto mesi dell’anno, nonostante le carenze in effettivi,
artiglieria e munizioni, le forze italiane al comando del generale Luigi
Cadorna proseguirono gli inutili sforzi di sfondare le linee austriache
sul fiume Isonzo e di conquistare Trieste (decima e undicesima battaglia
dell’Isonzo). L’ultimo trimestre dell’anno fu invece segnato da una
decisa offensiva mossa da nove divisioni austriache e sei tedesche
sopraggiunte dall’ormai inattivo fronte orientale. Attaccando sulla
parte alta dell’Isonzo, queste riuscirono a rompere le linee italiane,
costrette a ripiegare disordinatamente sul fiume Piave. Nella disastrosa
battaglia di Caporetto, oltre alle vittime gli italiani contarono 300.000
prigionieri e quasi altrettanti disertori. In novembre truppe inglesi e
francesi giunsero di rinforzo, mentre Cadorna venne sostituito dal
generale Armando Diaz.
Il
Medio Oriente
In
Palestina, sotto il comando del generale Edmund Allenby, gli inglesi
spezzarono le linee turche a Beersheba, obbligandole prima a evacuare Gaza
(novembre), per poi prendere Gerusalemme (9 dicembre). Nella regione l’anno
era stato caratterizzato dalla brillante azione del colonnello T.E.
Lawrence (noto come Lawrence d’Arabia), animatore della rivolta araba
contro la Turchia. Le truppe arabe da lui guidate presero in luglio il
porto di Al’Aqabah, effettuando in seguito diverse sortite contro le
linee della ferrovia di Hejaz. Altri successi inglesi furono ottenuti nel
corso del 1917 in Mesopotamia, con la presa di Baghdad in marzo e un’avanzata
che in settembre li portò ai fiumi Eufrate e Tigri.
1918:
la fine del conflitto
Il
3 marzo 1918 la Russia firmò il trattato di Brest-Litovsk, che poneva
ufficialmente fine alla guerra con le potenze centrali in termini
decisamente favorevoli a queste ultime; il 7 maggio fu la Romania a
sottoscrivere la pace, firmando il trattato di Bucarest che cedeva la
Dobrugia alla Bulgaria, i passi sui Monti Carpazi all’Austria-Ungheria,
e garantendo alla Germania concessioni a lungo termine sui pozzi di
petrolio rumeni.
Ritiro
della Bulgaria e dell’Austria-Ungheria
Proprio
sul fronte dei Balcani, tuttavia, l’esito finale dei combattimenti
risultò disastroso per le potenze centrali: in settembre 700.000 soldati
alleati avviarono un’offensiva congiunta contro le truppe nemiche di
stanza in Serbia che alla fine del mese costrinse la Bulgaria a chiedere l’armistizio;
ciò indusse la Romania a rientrare in guerra. Intanto la Serbia continuò
l’avanzata nei Balcani sino a occupare Belgrado (1° novembre), mentre l’esercito
italiano invadeva e occupava l’Albania. Sul fronte italo-austriaco gli
italiani ottennero quindi la vittoria decisiva, mettendo in fuga gli
austro-ungarici nella battaglia di Vittorio Veneto (24 ottobre-4
novembre). Il 3 novembre Trieste cadde in mano italiana, così come Fiume
il giorno 5. La sconfitta fece precipitare la situazione interna dell’impero
asburgico: cechi, slovacchi e slavi del sud proclamarono la loro
indipendenza; a nove giorni dalla firma dell’armistizio con gli Alleati
(3 novembre), l’imperatore Carlo I abdicò, e il giorno seguente un moto
rivoluzionario popolare proclamò la repubblica austriaca, mentre gli
ungheresi istituivano un governo indipendente.
Ritiro
della Turchia
Anche
la campagna in Palestina si concluse vittoriosamente per gli Alleati. In
settembre gli inglesi misero in fuga l’esercito turco e il corpo di
spedizione tedesco che lo assisteva; nel frattempo il corpo di spedizione
francese conquistava il Libano e la Siria. A quel punto il governo del
sultano chiese l’armistizio, concluso il 30 ottobre.
Ultimi
attacchi tedeschi
All’inizio
del 1918, rendendosi conto della necessità di portare a conclusione il
confronto sul fronte occidentale prima che gli americani potessero
stabilirvisi, i tedeschi decisero un attacco finale che avrebbe dovuto
portarli a Parigi. Ma le due offensive lanciate in marzo e in giugno
furono bloccate.
Tra
la fine di agosto e i primi di settembre inglesi e francesi obbligarono i
tedeschi a retrocedere fino alla linea da cui erano partiti in marzo; l’avanzata
continuò tra ottobre e novembre, quando forze anglo-americane raggiunsero
Cambrai, la foresta delle Argonne, Sedan. Su richiesta del generale
Ludendorff il governo tedesco tentò allora di avviare trattative per un
armistizio, subito arenatesi però per il rifiuto del presidente Wilson di
negoziare con governi non democratici. L’evidenza della sconfitta
militare portò all’ammutinamento della flotta tedesca; l’imperatore
Guglielmo II abdicò e cercò rifugio in Olanda, mentre la repubblica
tedesca veniva proclamata il 9 novembre. Due giorni dopo, nella foresta di
Compiegne, la Germania firmava l’armistizio accettando tutte le
condizioni imposte dagli Alleati.
La
guerra nelle colonie
Nel
corso di tutto il conflitto, le scarse forze tedesche presenti nelle
colonie in Africa (con la sola eccezione di quelle di stanza nel corno d’Africa)
furono costrette a cedere sotto gli attacchi alleati, i quali
conquistarono il Camerun, l’Africa del Sud-Ovest e l’Africa Orientale
Tedesca. Nel Pacifico, un contingente anglo-australiano proveniente dalla
Nuova Zelanda si assicurò sin dalle prime fasi del conflitto i territori
tedeschi di Samoa, delle Bismarck e della Nuova Guinea. A loro volta i
giapponesi strapparono ai tedeschi la provincia cinese dello Shantung nel
novembre del 1914 e, successivamente, le isole Marshall, Marianna,
Caroline e di Palau.
La
guerra sul mare
Il
più importante scontro navale della guerra fu la battaglia dello Jutland,
combattuta fra il 31 maggio e il 1° giugno 1916 dalle flotte inglese e
tedesca. Seppure le perdite inglesi, sia in navi sia in vite umane,
superassero quelle della Germania, la flotta del Reich rientrò nei porti
nazionali per non tornare più in azione. Nel 1917 i responsabili militari
tedeschi fecero nuovamente ricorso alla guerra sottomarina indiscriminata,
convinti che questo fosse l’unico modo per contrastare la Gran Bretagna.
Il calcolo non solo non portò il risultato cercato, ma provocò l’entrata
in guerra degli Stati Uniti. Secondo i termini dell’armistizio, i
tedeschi consegnarono agli Alleati l’intera flotta (10 navi da guerra,
17 incrociatori, 50 torpediniere e più di 100 sottomarini), che con l’eccezione
dei sottomarini fu interamente internata nella base di Scapa Flow, con
tanto di ufficiali e di equipaggi a bordo. Quando il trattato di
Versailles del 1919 dispose che essa sarebbe definitivamente divenuta di
proprietà degli Alleati, i marinai tedeschi la autoaffondarono.
La
guerra aerea
La
prima guerra mondiale incoraggiò la produzione e l’uso militare di
aeroplani, aeronavi e dirigibili, utilizzati per azioni di perlustrazione,
osservazione e bombardamento. Una caratteristica della guerra furono le
incursioni condotte a mezzo di dirigibili o di aeroplani su importanti
centri nemici situati lontano dal fronte di battaglia. La prima incursione
aerea tedesca su Parigi ebbe luogo il 30 agosto 1914; la prima ai danni
dell’Inghilterra fu invece a Dover, il 21 dicembre dello stesso anno.
Durante il 1915 e il 1916 dirigibili tedeschi del tipo Zeppelin
effettuarono 60 incursioni sull’Inghilterra orientale e su Londra, con l’obiettivo
di danneggiare l’industria inglese e minare il morale della popolazione
civile. A partire dalla metà del 1915 i duelli aerei tra singoli
aeroplani o tra squadroni nemici diventarono comuni. I tedeschi godettero
della superiorità aerea dall’ottobre del 1915 al luglio del 1916,
quando la supremazia passò agli inglesi, continuando ad aumentare sino a
divenire schiacciante a seguito dell’entrata in guerra degli Stati
Uniti. Tra gli assi del volo più famosi, si ricordano l’italiano
Francesco Baracca, abbattuto sul Montello dagli austriaci e medaglia
d'oro, l’americano Eddie Rickenbacker, il canadese William Avery Bishop
e il tedesco Manfred von Richthofen, noto come "Barone Rosso".
Bilancio
della guerra
La
guerra era durata 4 anni, 3 mesi e 14 giorni di combattimenti. Le vittime
nelle forze di terra furono più di 37 milioni (vedi la tabella
"Vittime della prima guerra mondiale"); in aggiunta, la guerra
produsse indirettamente quasi 10 milioni di morti tra la popolazione
civile. Nonostante la speranza che gli accordi raggiunti alla fine della
guerra potessero ristabilire una pace duratura, la prima guerra mondiale
pose al contrario le premesse di un conflitto ancor più devastante. Le
potenze centrali dichiararono la loro accettazione dei "quattordici
punti" del presidente Wilson come base per l’armistizio,
aspettandosi che i loro princìpi ispiratori avrebbero costituito il
fondamento dei trattati di pace. Al contrario, gli alleati europei si
presentarono alla conferenza di Versailles e a quelle successive
determinati a esigere dalle potenze centrali riparazioni equivalenti all’intero
costo della guerra, nonché a spartirsi tra loro i territori e i
possedimenti delle nazioni sconfitte, secondo gli impegni presi in accordi
segreti stabiliti tra il 1915 e il 1917, prima dunque dell’entrata in
guerra degli Stati Uniti. Il presidente Wilson in un primo tempo
insistette affinché la conferenza di pace accettasse il programma
delineato in quattordici punti nella sua totalità, ma nel tentativo di
garantirsi l’appoggio dei recalcitranti alleati per l’applicazione
dell’ultimo, riguardante l’istituzione di una Società delle Nazioni,
finì con l’abbandonare questa posizione. I trattati di pace prodotti
dalle conferenze di Versailles, Saint-Germain, Trianon, Neuilly e Sèvres
risultarono così squilibrati da divenire fattori di instabilità nel
futuro dell’Europa.
La
soluzione diplomatica che prevalse al termine della guerra disegnò un
quadro politico dell’Europa completamente differente da quello del 1914.
La scomparsa di tre imperi (russo, tedesco, austro-ungarico) fu colmata
dalla creazione di nuove unità statali, entro le quali l’identità
nazionale era tutt’altro che omogenea. Per di più lo spirito punitivo
con cui vennero decise, da parte della Francia e della Gran Bretagna, le
sanzioni contro la Germania portò ad assumere provvedimenti oltremodo
pesanti. I tedeschi li percepirono come umilianti tanto più che il loro
esercito non aveva mai subìto una reale sconfitta nel corso della guerra.
Ancor più grave fu il dissesto finanziario i cui effetti negativi si
aggiunsero ai problemi derivanti dalla riconversione delle industrie dalla
produzione militare a quella civile. Inoltre la guerra aveva innescato
profondi e ampi sommovimenti in tutte le società coinvolte: la
rivoluzione russa aveva indicato una meta possibile per i ceti operai e
contadini, maggiormente colpiti dai costi sociali della guerra. Ma la
crisi del dopoguerra travolse anche i ceti medi, predisponendoli a
favorire soluzioni autoritarie con le quali liquidare i conflitti
ideologici e gli squilibri sociali. La prima guerra mondiale segnò infine
il declino dell’Europa, che dopo tre secoli di espansione vedeva il suo
ruolo emarginato da nuove grandi potenze, quali gli Stati Uniti e il
Giappone.
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