Cenni Storici sulla Bufala
Con
il nome "bufalo", vengono indicate alcune specie di bovini originarie delle
regioni tropicali dell’Africa e dell’Asia, diffuse sia allo stato selvatico
che domestico.
I bufali sono animali abituati a vivere soprattutto in zone umide e paludose,
anche se oggi, con l’allevamento moderno sono stati modificati alcuni comportamenti
ancestrali.
La penuria di fonti bibliografiche, rende difficoltosa la trattazione dell’origine
e della diffusione del bufalo in Europa e quindi nella nostra penisola,
tuttavia, la presenza di questi animali in Italia può collocarsi, in modo
certo e documentabile, tra il XII e XIII secolo.
All’inizio del secondo millennio, l’allevamento bufalino si sviluppò
principalmente all’interno dei grandi ordini monastici, i quali durante
il medioevo, operarono attivamente nel campo agricolo e dell’allevamento;
ne sono testimonianza alcuni documenti tra cui quello ritrovato nell’Archivio
Episcopale del XII secolo, riportato nello scritto dello storico Monsignore
Alicandri della Chiesa Metropolitana di Capua, intitolato "Il mazzone nell’antichità
e nei tempi moderni"; da cui si evince che, il consumo dei formaggi bufalini,
in quell’epoca era entrato nel costume sia ecclesiastico che laico.
Un’altra testimonianza, si trova ne "Gli Acta Imperia Seculi XIII e XIV",
da cui apprendiamo che la valutazione commerciale del capo bufalino era
superiore di quella del capo bovino.
Nel 1300, quindi l’allevamento bufalino era una realtà economica ben radicata
nel sud Italia, nello Stato Pontificio ed anche al di fuori del Lazio; tanto
che intorno al 1360, a Roma, si hanno notizie di un regolamentato che disciplinava
il commercio dei bufali e del cuoio bufalino.
A partire da questo periodo, la bufala divenne la regina incontrastata delle
zone paludose, quando, all’impossibilità di coltivazione si unì la
malaria che provocava lo spopolamento progressivo di questi territori da
parte dell’uomo.
Il disordine idrogeologico e l’impaludamento di molte zone costiere della
penisola crearono le condizioni favorevoli alla diffusione dell’allevamento
bufalino, che cominciò la sua espansione in Campania, in Puglia, in
Calabria, nel Lazio e nelle Marche.
Nel Basso Volturno e nella Piana del Sele, i bufali si diffusero con rapidità,
sfruttando pascoli non altrimenti utilizzabili a causa delle periodiche
inondazioni dei due fiumi.
I bufali, erano animali forti, resistenti alle malattie, capaci di fornire
anche in condizioni assai difficili il proprio contributo al lavoro dell’uomo
a costi quasi nulli.
Altra ricchezza di questi animali, era la produzione di latte in abbondanza
nei periodi invernali, dal quale si producevano apprezzati formaggi: casicaballus
(caciocavallo), butyrus (burro), recocta (ricotta), e provaturo (provola).
Alcuni documenti conservati nell’Archivio Sforzesco di Milano, testimoniano
la presenza del bufalo anche in alcune regioni settentrionali. Dove però
non trovarono lo stesso ambiente che ne permise il diffondersi nel meridione.
Nella metà del secondo millennio, l’allevamento bufalino divenne una
realtà economica e sociale diffusa soprattutto nelle zone paludose dell’Italia
centrale e meridionale. L’allevamento era basato sulla transumanza e sull’aspetto
del tutto selvatico del comportamento degli animali.
Tra il XVII ed il XIX secolo, l’allevamento delle bufale era ormai diffuso
saldamente in gran parte delle zone meridionali della penisola.
Il latte, che in principio era lavorato e trasformato in formaggi nello
stesso posto in cui si effettuava la mungitura, a partire dal 1600 venne
lavorato nelle "bufalare" costruzioni in muratura di forma circolare con
un camino centrale, che permetteva sia di riscaldare il latte per la cagliatura,
sia di fornire acqua calda per il modellamento delle forme.
In questo periodo, si trovano notizie sui registri di macellazione di animali
bufalini e del loro prezzo, confermando l’uso che si faceva in quel periodo
della carne di bufala, in genere non molto apprezzata, perché gli animali
venivano macellati a fine carriera e quindi in età avanzata, per cui la
loro carne risultava molto dura e dal marcato sapore di muschio
La pelle del bufalo, invece, si vendeva bene a Costantinopoli e sulle coste
del nord dell’Africa, dove erano sorte importanti industrie conciarie.
Agli inizi del XIX secolo l’allevamento bufalino era legato ancora a sistemi
d’allevamento primitivi; utilizzava difatti un sistema semi selvatico che
richiedeva investimenti, spese e rischi ridotti al minimo, generando una
vera e propria fortuna per le regioni paludose che non avrebbero potuto
trovare nessun’altra forma di sfruttamento e quindi di reddito.
Le diverse produzioni di latte, pelle e carne erano utilizzate differentemente
nella penisola dove si praticava l’allevamento; nel sud nelle zone del casertano
e del salernitano, i bufali erano allevati esclusivamente per la produzione
del latte, trasformato poi successivamente in formaggi; nelle zone della
Toscana, le produzioni più richieste erano la carne e la pelle.
Nel XX secolo, con l’avanzare dell’opera di bonifica, l’allevamento bufalino
vide restringere il suo territorio, ma non modificò le sue caratteristiche
semi selvatiche e primitive.
Le prime innovazioni si ebbero solo con l’operatività della legge
sulla bonifica integrale, la completa trasformazione avvenne grazie alle
norme della Riforma agraria e delle terre incolte. La bonifica dell’Agro
Pontino, della Bassa Valle del Sele, del Volturno e d’altre zone d’Italia
nel periodo prebellico e la riforma agraria del secondo dopoguerra, restrinsero
l’area d’allevamento delle bufale a limitate zone della Campania, del Lazio
e della Puglia.
In quest’epoca, l’allevamento ebbe una svolta decisiva di rinnovamento passando
dalla tradizionale forma semi selvatica ed itinerante, ad una compatibile
con il nuovo assetto territoriale.
La sperimentazione compiuta fin dal primo dopoguerra e successivamente negli
anni 40, grazie all’intuizione di Maymone, prima a Salerno e poi presso
l’Istituto sperimentale per la zootecnica di Roma, dimostrò che la trasformazione
dell’allevamento della bufala era possibile senza eccessiva difficoltà e
senza il bisogno degli animali di immergersi nella stagione estiva, purché
fossero riparati dalle radiazioni solari e dalle punture degli insetti.
Andava così affermandosi e migliorando l’allevamento moderno della bufala,
dove oggi tecniche e macchinari sempre più moderni ne fanno un settore all’avanguardia
e pronto a nuove sfide ed orizzonti.
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