Nell'intervento iniziale affidato a Giovannoni è presente lo stile internazionale rispettoso dell'orografia dei territorio, della sua struttura naturale, la grande attenzione per il verde che diventa parte integrante della progettività. Si pensa ad un inserimento vero e proprio dell'abitazione nel contesto naturale. Nonostante ciò l'istituto Case Popolari differenzia notevolmente il proprio intervento da quello delle famose città-giardino estere; anziché le case a schiera si preferiscono i villini di due o tre appartamenti o unifamiliari. Questa scelta fu fatta non solo per un motivo di ordine culturale quanto per rispondere alla necessità di costruire delle case in maniera rapida, funzionali alla politica di decentramento delle amministrazioni statali e comunali. Abbiamo già visto però che il decentramento produttivo auspicato non si verificò e conseguentemente nemmeno il consistente sobborgo operaio. Si verificò soltanto un decentramento abitativo su aree al di fuori dei piano regolatore del 1908, quindi di basso valore commerciale perché acquistate a prezzo agricolo. Fu per questo motivo che non furono utilizzate le tipologie dell'urbanista inglese Raymond Unwin Il quartiere venne però in un certo qual modo nobilitato intervenendo sulla sua struttura generale. Si cercò di armonizzarlo prevedendo oltre alle aree verdi, una piazza centrale, case a più alta densità, costruzioni di scuole, mercati, chiese, il tutto riconnesso attraverso una serie di assi stradali.Il modello inglese prevedeva l'integrazione tra città e campagna attraverso il decentramento produttivo e abitativo. Unwin espone così la sua teoria: "suggerisco che la forma ideale della città alla quale essa dovrebbe tendere,consista in un nucleo centrale, circondato da sobborghi, ognuno dei quali raggruppatointorno ad un centro sussidiario che rappresenti la vita comune suburbana dei distretto; il sobborgo, a sua volta, sarà costituito da gruppi di abitazioni, officine, o altro, con qualche attività cooperativa collegata con gli edifici e i proprietari delle abitazioni o con gli svaghi collettivi negli spazi pubblici, nei campi di gioco e così via. Per potenziare questo sviluppo ideale della città, ogni singolo sobborgo dovrebbe essere fornito, prima di tutto, di un opportuno centro intorno al quale dovrebbero essere situati gli edifici municipali o amministrativi locali, i luoghi di culto e le istituzioni educative, ricreative e sociali. Sarebbe logico raggruppare le industrie e le attrezzature ferroviarie in collegamento con canali e fiumi dove esistono. Una simile zona industriale dovrebbe essere strettamente collegata, con strade di traffico dirette a comodi mezzi di trasporto, con i diversi quartieri residenziali". A Roma mancano i presupposti per attuare questo schema, per cui l'espansione è legata al valore delle aree; nelle zone centrali dove le aree sono più costose si faranno costruzioni ad alta densità, mentre in quelle periferiche a bassa densità. Ma dopo il 1927 nemmeno questo schema si rivelò adeguato; lo sviluppo di Roma a bassa densità sembrava velleitario anche per il fatto che i villini risultavano comunque costosi per quelli che dovevano abitarli. Finisce così l'esperienza del villino che aveva rappresentato l'alternativa moderna alla tipologia ottocentesca del "blocco".

via della Garbatella

Via della Garbatella

Con essa finisce anche l'esperienza di quegli architetti ed artisti che rifacendosi al movimento "Arts and Crafts" teorizzavano l'applicazione delle produzioni artigianali alla decorazione dell'abitazione. I villini per questo motivo furono criticati a livello internazionale e definiti "creature dei ridicolo. Appena fu quindi evidente la forte incidenza economica delle opere di urbanizzazione e dei costi di produzione, la tipologia dei villino si trasformò in palazzina. La palazzina fu la soluzione intermedia tra il villino e l'edificio a "blocco. La palazzina volle essere un' unità architettonica svelta ed elegante, comprendente in sé un modico numero di appartamenti e rispondente meglio del villino, non solo alle esigenze organiche, tecniche, economiche della città, ma altresì all'ambiente, alle caratteristiche climatiche e alle abitudini di vita della borghesia italiana. Il provvedimento nella larga applicazione, ha certo giovato alla economia e all'estetica urbana; sovente ha fatto rinunciare al fosco e denso casermone che tutto uguaglia e distrugge".Vediamo ora più in dettaglio come avviene la trasformazione tipologica e architettonica delle case 1CP. Il primo nucleo di "case popolari" fu realizzato a piazza Brin dagli architetti Costantini Nori, Palmerini, Sabbatini, Marconi nel 1920 e vengono presentate alla stampa come un'esperienza alternativa ai "casermoni" e ai "cubi".

P.zza Brin

Le case generalmente sono a due piani, con piccolo orto individuale. Gli alloggi sono costituiti da tre o sei vani e senza bagno. Sono delle residenze molto semplici, costruite con materiali economici, ma che hanno una certa solidità. Il sistema costruttivo adottato è quello usuale all'epoca a Roma, con muratura mista di pietra, tufo e ricorso di mattoni, solai in ferro o cemento armato, pavimenti in piastrelle di cemento, manto di copertura con tegole alla marsiigliese o alla romana, scalini e soglie in graniglia di cemento. L'edificio più importante sulla piazza è quello progettato da Sabbatini sia per la sua maggiore dimensione rispetto ai villini, sia perché fa da fondale alla scenografica scalinata di accesso al quartiere progettata da Plinio Marconi. Il momento centrale di tutto l'insediamento è rappresentato dalla piazza che fa da nuovo collegamento coi quartiere Ostiense, mettendo in stretta relazione residenza e lavoro. In questo periodo l'architetto Sabbatini aderisce ad uno stile medievaleggiante facendo largo uso dei mattoni a faccia vista e dei bugnato ed in cui l'asimmetria è una costante.

lotto 14

LOTTO 14

Nei villini costruiti in questo periodo, in genere le decorazioni esterne sono molto semplificate; si cerca di raggiungere l'effetto generale agendo sul grande movimento delle masse, sui toni dei colore, sul verde della vegetazione. Un ruolo importante in questo lo ha avuto l'architetto Marconi che "...ha con amore e competanza studiata ed eseguita la toilette d'insieme..." del quartiere. L'ingegnier Costantini in via Luigi Orlando, sperimentò anche la costruzione di una "casa popolare di pomice", spiegando così la sua scelta: la necessità di sfruttamento dell'area imponeva fabbricati di una certa altezza, che avrebbero pesato sulle fondazioni e sulia parte sotterrata, rendendola assai costosa. La difficoltà è stata generalmente superata, conciliando la robustezza con la leggerezza della costruzione. Questo si è ottenuto adottando una fondazione in pali simplex, e poggiandovi sopra una gabbia leggera in cemento armato con pannelli e sola! in conglomerato di pomice".

f00433.gif (2069 byte)f00432.gif (2080 byte)