Giambattista
Pertile nacque ad Asiago il 1 gennaio 1811 da Cristiano e da Antonia
Sartori. La madre era di Gallio ed anche il padre discendeva da una
famiglia proveniente da Gallio, dove i Pertile erano e sono tuttora
numerosi.
Il cognome ha una origine cimbra: può derivare da Peterle (piccolo Pietro)
o da Pertle (piccolo part, cioè barba). Di questa famiglia si trova
traccia nei registri della Chiesa di Gallio fino nel 1541.
Dopo aver frequentato le Scuole Elementari ad Asiago, Giambattista Pertile
entrò nel 1822 nel Seminario di Padova dove conseguì i risultati più
brillanti negli studi classici e teologìci. Nel 1833 fu ordinato sacerdote
e nel 1834 coronò i suoi studi con la laurea in Teologia.
Dopo aver superato una breve, ma grave malattia, e dopo aver insegnato
prima Letteratura e poi Filosofia in Seminario, nel 1837 fu mandato
a perfezionare gli studi a Vienna, nell'Istituto fondato da Giuseppe
Il per dar modo ai migliori sacerdoti dell'Impero di approfondire le
scienze teologiche, particolarmente in riferimento ai rapporti tra Stato
e Chiesa.
L'anno successivo al suo arrivo a Vienna, fu chiamato alla cattedra
di Lingua Italiana nell'Accademia di Lingue Orientali, scuola destinata
a preparare la diplomazia dell'Impero e diretta dal Cancelliere Imperiale
che allora era il Principe di Metternich.
Istituita la Guardia Nobile Lombardo-Veneta, nel 1841 Giambattista Pertile
fu incaricato alla guida spirituale e all'insegnamento di Italiano e
Storia. Per le sue qualità umane e per la sua levatura culturale, Giambattista
Pertile era diventato un punto di riferimento per molti italiani dimoranti
a Vienna. Nel 1842 vinse il concorso per la cattedra di Diritto Canonico
nell'Università di Pavia, dove i suoi corsi furono seguiti con grande
interesse da numerosi studenti e dove nel 1846 fu eletto Rettore Magnifico
dell'Università.
A Pavia conseguì anche la laurea in Diritto Civile. Nel 1847 venne nominato
consigliere presso il Governo di Venezia per gli affari del Culto e
nel 1858 ottenne di essere trasferito alla cattedra di Diritto Canonico
a Padova. Prevedendo le difficoltà per le discipline ecclesiastiche
nelle vicende dell'Università, cambiò la sua cattedra con quella di
Diritto Internazionale.
Mentre insegnava a Pavia ed a Padova, ebbe molti altri incarichi, come
quello di far parte della Commissione costituita a Verona per la riforma
della Scuola Media Superiore nel Lombardo-Veneto. Fu Direttore del Seminario
Filologico-Storico di Pavia, mentre a Padova fu Preside della Facoltà
di Legge e nel 1866 Rettore Magnifico dell'Università.
Fu socio di diverse accademie. Morì il 18 marzo 1884 all'età di 73 anni.
Nell'età matura, così si presentavano il suo aspetto ed il suo carattere:
aveva la fronte alta e spaziosa che rivelava l'uomo di molto ingegno",
era "aitante nella persona, dignitoso nel portamento, ma senza affezione,
di carattere franco ed aperto, di sicuro consiglio, lento nel risolvere,
fermo nell'eseguire, gentile nei modi, affabile nel conversare... ".
Uomo di grande intelligenza, prete di profonda spiritualità, insegnante
di vasta cultura. Autore di diverse opere, di cui molte rimaste inedite
ed andate perdute. Restano ancor oggi importanti il suo Corso elementare
di giurisprudenza ecclesiastica, pubblicato in tre volumi a Padova nel
1862, ed il suo Elementi di diritto internazionale moderno per servire
alla scuola, in due volumi, pubbli-cato a Padova nel 1878. Giambattista
Pertile è ritenuto dagli storici come "il miglior cervello tra gli abati
universitari" del 1800. Di fronte all'impoverimento del diritto canonico
dovuto all'imposizione della corrente giuseppinista ed alle arroganze
della cultura anticlericale, il Pertile fu tra i promotori del rinnovamento
del diritto ecclesiastico.
Egli affermò la libertà della Chiesa in base alla sua trascendenza,
cioè in base ai valori morali e religiosi che essa testimoniava. Pertile
era contro la teocrazia, cioè contro il predominio della Chiesa sullo
Stato, e contro il cesarismo, cioè contro l'interferenza dello Stato
nella Chiesa. Alla famosa formula del Cavour "Libera Chiesa in libero
Stato", formula che ha generato equivoci e conflitti, egli preferiva
la formula "Libera Chiesa e libero Stato", per distinguere meglio le
due società di diverso genere che coesistono insieme e collaborano a
vicenda in vista del bene comune, cioè "la maggiore possibile felicità
dell'umano consorzio".
Il pensiero di Giambattista Pertile assume un valore decisamente attuale
e sembra alla base dei recenti concordati tra Chiesa e Stato. E la sua
attualità si evidenzia meglio intorno al concetto di libertà di coscienza
e di tolleranza.
Giambattista Pertile ha sostenuto chiaramente il diritto di ciascun
uomo di professare la propria fede, ponendo alla base del comportamento
morale il valore della libertà e della sincerità di coscienza. E su
questa base ogni coscienza deve essere rispettata come una testimonianza,
anche se parziale, di verità, in uno spirito di "tolleranza caritatevole".
Per il Pertile, come per il pensiero religioso recente, la tolleranza
non è un atteggiamento strumentale per compatire o per catturare l'avversario,
ma capacità di accogliere, di amicizia anche con gli avversari, senza
intransigenza, senza disprezzo, senza competizione, con solidale collaborazione
per costituire "la maggiore possibile felicità dell'umano consorzio".
E' questa apertura a tutti i valori umani che ha animato la sua cultura
nel campo del diritto internazionale, nello sforzo di regolare i rapporti
tra i popoli e le nazioni sul piano dell'intesa e della trattativa,
per un ideale ordine di pace. Senza però facili illusioni tra l'esplosione
dei nazionalismi che stavano portando il mondo verso le guerre Mondiali.
Infatti il Pertile non si perdeva dietro a facili utopie pacifiste "non
sentendosi di tacciare di pessimista dinanzi ai sempre crescenti eserciti
delle grandi nazioni, chi ne deducesse che il mondo non ha ancora trovato,
e chi sa quando potrà provare, il giusto ordinamento in cui riposarsi,
e che prima del ridente sereno che ci viene promesso, rimangono a superare
paurose procelle".
E con realismo storico condannava l'equilibrio internazionale "che aveva
per obbietto di livellar alcune principali potenze col sacrifizio dei
diritti dei popoli e delle minori nazioni", e difendeva l'equilibrio
“che risultasse dall'alleanza simultanea di nazioni diseguali, allo
scopo di garantirsi scambievolmente coll'unione delle forze i comuni
interessi".
Questa sensibilità ed intelligenza nella visione dei rapporti internazionali,
certamente sono derivate al Pertile anche dalla sua provenienza dall'Altopiano
dei Sette Comuni, terra di confine e di contatto di diverse popolazioni.
All'Altopiano il Pertile era profondamente legato e vi ritornava ogni
qualvolta il lavoro e le circostanze glielo permettevano. Aiutava con
ogni mezzo i conterranei che ricorrevano a lui. Nel 1853 si recò a Vienna
per portare il memoriale fatto a nome dei Sette Comuni per correggere
il censimento su cui veniva commisurata una esorbitante imposta fondiaria.
E con il suo testamento chiedeva di venire sepolto nel cimitero di Asiago
vicino alla tomba della propria madre e donava al Comune di Asiago la
ricca sua biblioteca a condizione che questo si obblighi di conservarla
in luogo opportuno ad uso pubblico". Tra tutte le qualità del Pertile
"quella in cui fu veramente sommo, fu l'arte d'insegnare", come notava
Antonio Pertile nella commemorazione fatta nel Municipio di Asiago il
25 agosto 1889. "Brio, ma non eccessivo; linguaggio sempre appropriato
e sicuro; forma concettosa e scultorea, ma chiara e precisa, si cattivavano
l'attenzione dei discepoli senza stancarli, e facevan sì che le idee
dei maestro s'imprimessero nettamente e profondamente nella loro mente".
Un modello di insegnante riconosciuto da studenti, colleghi ed autorità.
Il Ministro dell'Istruzione del Regno d'Italia scriveva nel 1867 "ch'egli
era tenuto in particolare estimazione presso il R. Ministero, così per
la sua dottrina e la sua grande autorità, come per i notevoli servizi
da lui resi in gravi circostanze alla pubblica cosa, i quali non saranno
mai dal Governo del Re dimenticati". Per i suoi meriti nel 1866 ebbe
l'onoreficenza di cavaliere, nel 1876 fu Ufficiale dei SS. Maurizio
e Lazzaro e nel 1883 fu Commendatore della Corona d'Italia.
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