NEL CORPUS AREOPAGITICUM
INTRODUZIONE
L'intento di questo studio è una ricerca a livello teologico sul concetto
di conoscenza Dio nel Corpus dionisiano. Il motivo che ha sollecitato questo
lavoro è l'importanza fondamentale che
questo tema ha negli scritti dello ps.Dionigi. Lo scopo che ci proponiamo
quello di chiarire cosa l'autore intende per conoscenza di Dio, qual è il
valore dei diversi gradi di conoscenza. Essendo il problema molto vasto, non
pretenderanno di esaurire e risolvere tutti i quesiti che sono posti sia a
livello storico sia filologico.
Cercheremo di svelare l'alone di mistero che
circonda la persona dell'autore; questo ci servirà per spiegare l'importanza
che i suoi scritti hanno avuto nella storia della teologia. Per capire il
pensiero gnoseologico di Dionigi non si può fare a meno di confrontare i
contenuti presenti nel Corpus con la tradizione patristica, per cogliere le
sintonie, le divergenze e gli sviluppi. Considereremo quindi il rapporto che
intercorre tra la sua concezione e quella d’alcuni padri anteriori a lui. Poi
prenderemo in considerazione quali sono le fonti della conoscenza di Dio, il
limite e la capacità di questa gnosi nel pensiero dell'Aeropagita; quindi,
secondo il principio gerarchico, analizzeremo come Dio conosce se stesso e il
mondo e quali sono le peculiarità della conoscenza angelica infine cercheremo
di chiarire la conoscenza umana di Dio che si attua in un contesto liturgico e
religioso.
I tre stadi di conoscenza: simbolica, intellettuale e mistica,
approfonditi singolarmente, ci faranno cogliere la ricchezza teologica
dell'autore e cosa egli può insegnarci ancora a livello speculativo e teorico,
ma come tensione interiore verso Dio, la quale c’innalza attraverso i diversi
gradi fino ad arrivare alla comunione con il" totalmente Altro". La
somma conoscenza di Dio è I'unione con Lui. Comunione e conoscenza sono due
parole che si richiamano continuamente: la conoscenza porta alla comunione e'
la Comunione fa crescere la conoscenza. La conoscenza di Dio, perciò, è[*1] un incontro di amore che si esplicita totalmente
solo nella conoscenza mistica, contemplazione del mistero tearchico, possesso,
gioia infinita. La concezione che Dionigi ha della gnosi deriva per noi da una
mentalità biblica e non dalla filosofia neoplatonica come molti studiosi
affermano. Queste sono le tesi che cercheremo di sostenere e che crediamo dl
aver riscontrato nella teologia dell'Aeropagita.
IL MISTERO DELL'AUTORE DEL CORPUS AREOPAGITICUM E L'INFLUSSO NELLA STORIA
DELLA TEOLOGIA OCCIDENTALE
Il Corpus Areopagiticum è stato scritto da una personalità, che conosceva molto bene il
pensiero filosofico e teologico a lui anteriore e contemporaneo.
Chi legge per la prima volta gli scritti dionisiano, rimane colpito dalla
profondità con cui egli spiega ogni problema riguardo Dio, il mondo, l'uomo.
S’intuisce in quest’autore qualcosa di particolare, nelle sue affermazioni
metafisiche e dogmatiche egli ha un’autorità, una chiarezza, una sinteticità
uniche. Ci si accorge che si ha davanti un gran maestro, un pensatore
coinvolgente.
Resta però difficile dire chi è quest’autore, in
che secolo è vissuto, qual è il suo vero nome, qual è la vera identità. In
effetti, anche oggi, per la critica storica, questo personaggio è rimasto un
mistero, un enigma insolubile. Molti hanno cercato di dare una storia a
quest’uomo, ma bisogna dire che si è concluso veramente poco. Alcuni critici
hanno attribuito il Corpus a Severo di Antiochia il monofisita (Stiglmairs),
altri hanno posto l'autore all'età di Atanasio in Egitto (Schepens), altri lo
hanno fatto diventare discepolo di Basilio (Pera), Eloveduy ha avuto il
coraggio di identificarlo con Ammonio Sacca, e così altri hanno formulato
tantissime ipotesi che non stiamo ad elencare. Per mille anni l'autore del
Corpus è stato considerato come un discepolo di Paolo, convertito dall'apostolo
all'areopago; questo perché in alcuni punti del corpus l'autore afferma di aver
assistito all'eclissi di sole avvenuta al tempo della morte di Gesù
(Ep.2-3,1081b-c), di aver visto la morte della Vergine Maria (DN III 2,681
c-d), e aver conosciuto personalmente alcuni apostoli (Ep X 1117 A - 1120 A),
di essere stato con lerotero segue seguace Paolo (DN III 2,681 A; Il 3,684 D)
). Questi furono i motivi per cui molti studiosi hanno accusato Dionigi di
essere un falsario, aggiungendo al suo nome la particella pseudo. [1]
Il carattere apocrifo del Corpus è stato
sottolineato per la prima volta da Lorenzo Valla e da Erasmo, che da uno studio
critico letterario avevano posto il Corpus cronologicamente non prima del V
secolo. Questa voce però non fece opinione. Nel 1900 due studiosi cattolici
H.Koch e J.Stiglmairs diedero una seria documentazione e sfatarono la leggenda
dell'Areopagita. [2]
Oggi si è concordi nell’affermare che l’autore è
un monaco siriaco del 500 circa. Le considerazioni che abbiamo fatto non
tolgono niente all’importanza che questi scritti hanno avuto nella storia della
teologia sia occidentale sia orientale. L'influenza enorme che egli ha avuto
nel medio evo, manifesta che il Corpus in sé‚ ha un valore molto grande, al di
là dalle problematiche storiche. L'opinione di alcuni studiosi vede nel Corpus
un platonismo verniciato cristianesimo, un canale attraverso il quale si
sarebbe introdotto nella tradizione cristiana il pensiero neoplatonico.[3]
Per altri, come per Lossky, è vero tutto il contrario; si tratta di un
pensatore cristiano mascherato da neoplatonico. Egli vuole impadronirsi della
tecnica filosofica neoplatonica sia per migliorare la qualità di un
ragionamento cristiano, sia per diffondere la fede in una grecità imbevuta di
concetto derivati da questa filosofia. Egli come molti padri ha il desiderio di
cristianizzare l’ellenismo. [4]
L'influsso che ha avuto il pensiero dionisiano nella teologia posteriore
ci stupisce. In effetti è un mistero come il Corpus sia stato accolto senza
riserve da grandi pensatori con spiccato senso critico come per esempio è
Massimo il confessore, che per primo fece un commento ai Nomi divini.
Nell'occidente il Corpus è entrato per mezzo di
Giovanni Scoto Eriugena (805 - 877), l'iniziatore della scolastica, che
tradusse in latino i testi di Dionigi. Questo lavoro fu molto importante
perché‚ a quel tempo erano pochissimi coloro che conoscevano la lingua greca e
ciò ha favorito il diffondersi del pensiero dionisiano in occidente. Nel secolo
XIII e nel XV il Corpus esercitò una azione decisiva in tutte le correnti
spirituali di quel tempo: Gersone, Ruysbroec e Maestro Eckart si ispiravano a
lui. In questo periodo il pensiero di Dionigi invaderà tutti i campi: dalla
metafisica all'ecclesiologia, dalla cosmologia alla politica. [5]
Tommaso al culmine della Scolastica imposta la
Summa sullo schema del duplice movimento di emanazione e di ritorno e sull'idea
della gerarchia cosmica dell'Areopagita. Commenta il "De Divinis
Nominibus" e usufruisce della sua gnoseologia che, con tutta la carica
simbolica e mistica, completava l'epistemologia aristotelica.
Anche la profonda pace e beatitudine che si riscontra nella dottrina
dell'Aquinate vengono da Dionigi, che rimane la più considerevole presenza
dell'Oriente nel cuore della teologia occidentale. [6]
Marsilio Ficino ritraduce il Corpus; così
l'influsso ideologico dionisiano su di lui è più forte di quello di
Origene, che per Ficino è il "più
grande dei platonici: Nicolo' di Cusa studio approfonditamente la teologia
dionisiana e scrisse nel 1439 un libro: “La dotta ignoranza”, con continui
riferimenti al tema della divina ignoranza, tema squisitamente dionisiano.
Anche Pico della Mirandola si ispira a Dionigi. Nell'umanesimo, Erasmo e Valla confutano l'origine apostolica del
Corpus; anche Lutero è scettico nei confronti di questo scritto per motivazioni
religiose. Il Corpus Areopagiticum si propone a noi con la su forza e
originalità per insegnare ancora cose alla teologia contemporanea. Speriamo di
mettere bene in luce le problematiche e le concezioni gnoseologiche di questo
personaggio che viene ancora oggi definito "il padre della mistica
occidentale". [7]
LE FONTI
La formazione culturale dell'autore del Corpus può aiutarci a capire
meglio il suo pensiero teologico. In Dionigi si combinano insieme due filoni:
quello della filosofia neoplatonica, dovuto all'ambiente culturale del tempo, e
quello della tradizione patristica, nella quale emergono soprattutto i padri
alessandrini e quelli cappadoci.
Brevemente analizzeremo le idee di alcuni padri, sia quelle che ci sembra
abbiano influenzato di più il Corpus, sia quelle a cui il Corpus generalmente
si oppone. In Dionigi si trovano un insieme di dottrine e di termini che
appaiono strettamente associati a Clemente,Origene, Basilio, Gregorio di Nissa
ed Evagrio il Pontico.
Non si può capire la sua concezione
gnoseologica, se non si tiene in considerazione questo retroterra ideologico.
Considereremo questi pensatori cristiani singolarmente, per cogliere qual'e' il
loro rapporto con Dionigi.[8]
Clemente
di Alessandria (l50-2l5) vive in un ambiente molto formato
intellettualmente, Alessandria era divenuta il principale centro di cultura
ellenistica; per le sue favorevoli condizioni economiche, geografiche,
culturali e una accentuata libertà religiosa, diventò ala fine del Il e
all'inizio del III secolo il centro della cultura cristiana. Qui si ebbe la felice sintesi fra la
filosofia antica e il cristianesimo. [9]
Per Clemente, il sapere enciclopedico dell'epoca costituisce una
propedeutica molto utile alla gnosi cristiana. Secondo lui bisogna apprendere
le scienze profane ( cioè‚ la filosofia), e trarne profitto sia per insegnare
la Verità cristiana con esattezza e con sicurezza, sia per confutare le erronee
teorie che tendevano ad opporsi alla Chiesa.
Perciò il cristiano dovrà conoscere queste discipline che formano la base delle cognizioni
generali e guidano all'apprendimento della filosofia greca. Questa scienza, che
i sostenitori di eresie (pagani) adoperano a fin di male, lo gnostico deve
usarle per un buon fine. [10]
Da Clemente, Dionigi prende l'esigenza di difendere la verità cristiana e di
approfondire la filosofia neoplatonica per adeguarla alla rivelazione. Perciò
le scienze profane possono condurre, mediante la contemplazione della
creazione, alla conoscenza di Dio come creatore. Per Clemente il mondo fisico è
simbolico nella sua essenza; la contemplazione del mondo fisico deve portarci a
scoprire il suo carattere spirituale. Questo è un tema Paolino molto caro anche
a Dionigi (Ep. IX 2,1108 B) fonte del primo stadio della conoscenza, quello
simbolico. Su questa base per Clemente si inserisce anche il simbolismo delle
scritture, elemento centrale della gnosi, in quanto essa interpreta
allegoricamente le Scritture. Tutto
questo ci porta verso un apice, quello della conoscenza che possiamo
chiamare mistica, in senso di visione divina che trasforma l'uomo in quello che
vede. Clemente è il primo autore a parlare di deificazione, di theopoiein
in senso spirituale. Il concetto di deificazione ricorre continuamente nel
Corpus ed è uno dei fini della conoscenza. Clemente è anche colui che inizia la
via della teologia apofatica: Dio sorpassa ogni figura, ogni nome, ogni
nozione; queste sono sempre inadeguate al suo mistero. Egli forgia il termine
"ghnòphos” - tenebra - in cui Mosè entra per incontrare Dio. Il
tema della tenebra divina è ampiamente sviluppato in Dionigi ad esso dedica il
trattato della Teologia mistica; anche l'idea di Mosè tipo di ogni gnostico è
ripresa dall'Areopagita.
Perciò per Clemente la vera conoscenza
una contemplazione infinita superiore alla fede. La sua conoscenza
mistica è fortemente intellettualistica; la beatitudine in verità la
comprensione dell'incomprensibile, in questo punto Dionigi completa e supera
Clemente. [11]
Secondo Origene
(185-255), si progredisce nella conoscenza di Dio soltanto approfondendo il testo
sacro alla ricerca del significato spirituale celato sotto il velo della
lettera, anche Dionigi parla di una interpretazione spirituale delle Scritture
che sta alla base di ogni conoscenza di Dio. (DN IV 11,708 B - C). Per Origene il senso letterale deve essere
superato;perché esso è immagine e simbolo del senso spirituale; solo partendo
dalla lettera si può arrivare allo spirito della Scrittura. Egli parla della
conoscibilità di Dio in questi termini:
” affermiamo che nella sua realtà Dio è
incomprensibile e imperscrutabile. Qualunque cosa noi potremo pensare o
comprendere di Dio, dobbiamo credere che gli è di gran lunga superiore a ciò
che di lui pensiamo. “ (Principi I 1,5)
Questo è
il postulato fondamentale contro tutti quei filosofi pagani che concepivano in
Dio una corporeità. L'affermazione di Origene, attraverso Gregorio di Nissa,
diventerà un postulato fondamentale della teologia dell’Areopagita. Origene
nello stesso momento afferma:
“L'intelligenza ha una certa affinità con Dio, di
cui è immagine intellettuale, e per questo essa può conoscere qualcosa della
natura divina soprattutto se è il più possibile unificata e separata dalla
materia corporea.” (I principi I l,7)
Il brano e' importantissimo, esso si fonda sul
dato scritturistico dell'uomo immagine di Dio, ma anche nell'assioma “il simile
è comune al simile” (Empedocle), universalmente accettato dai greci, secondo
cui potevano conoscere solo realtà omogenee. Qui Dionigi si distacca
completamente dal pensiero origeniano affermando l'inconoscibilità della natura
divina.(DN Il 7,645 A) Per Origene solo se l'anima si e' purificata nelle
azioni e nei costumi (apàtheia) giunge all'esatta conoscenza delle
realtà naturali, per passare poi alle conoscenze dogmatiche e mistiche e con
amore sincero e spirituale alla contemplazione della divinità. Egli dice:
“Premesse le nozioni per mezzo
delle quali l'anima i purifica nelle azioni e nei costumi giunge all'esatto
giudizio delle realtà naturali, in maniera conveniente essa passa alle
conoscenze dogmatiche e mistiche e con amore sincero e spirituale sale alle
contemplazioni della divinità."[12]
Qui c'è un abbozzo dei diversi stadi di
conoscenza di Dio; il loro sviluppo successivo in Dionigi avrà molta
importanza. In Origene le conoscenze dogmatiche e mistiche si identificano, il
dogma è concepito come mistero, mentre solo nell'amore si arriva alla
contemplazione.Questi aspetti della gnosi esprimono la Filosofia divina che va
dalla conoscenza della realtà inferiore alla conoscenza della realtà perfetta.
La contemplazione è una realtà che supera l'aspetto corporale e visibile e
coglie qualcosa della realtà divina, la quale è conosciuta solo
dall'intelletto.
S.Basilio
(330-379) farà una affermazione importantissima che rimarrà nella teologia
posteriore: Dio si manifesta con le sue operazioni divine:
"Pur affermando che
conosciamo il nostro Dio nelle sue energie, non promettiamo di avvicinarlo
nella sua essenza. Di fatti le sue energie discendono fino a noi, ma la sua
essenza rimane inaccessibile." [13]
Distinzione fondamentale tra l'ousia
radicalmente trascendente e la energheiai o operazioni manifestatrici.
Questa intuizione sarà completata e approfondita dall'autore del Corpus.
Basilio con questa distinzione voleva sottolineare il carattere oggettivo dei
nomi divini contro l'eretico Eunomio, con i quali esprimiamo un' certa nozione
di Dio, senza mai afferrare col pensiero la sua essenza. Coi cappadoci e
specialmente con Basilio, la teologia per eccellenza è quella trinitaria.
Accanto ai nomi che esprimono le manifestazioni esterne di Dio, ve ne sono
altri che esprimono le relazioni trinitarie, perciò l'essere di Dio in se
stesso perciò al di fuori della creazione. Grazie all'incarnazione del Verbo
possiamo dare valore assoluto a queste relazioni che trascendono le capacità
culturali del nostro pensiero. Solo con la rivelazione queste relazioni
assolute possono essere colte dalla nostra intelligenza.
Invece della contemplazione dell'ousia,
l'oggetto della teologia è qui la conoscenza della realtà trinitaria. Ora la gnosi di Clemente e di Origene cede
il posto alla comunione con il Dio Trinità. Basilio per questo rapporto non
parla di conoscenza ma di "intimità con Dio”,dell' "unione per mezzo
dell'amore”[14]. Essendo
Dio per natura, lo Spirito Santo deifica per mezzo della sua grazia gli uomini.
Solo nello Spirito possiamo contemplare Dio, in Lui vediamo l'immagine del
Figlio e per mezzo suo l'Archetipo, il Padre. Ogni conoscenza di Dio è
trinitaria: nello Spirito Santo per mezzo del Figlio, verso il Padre. Anche per
l'Areopagita la preghiera alla Trinità svolge un ruolo fondamentale nella
conoscenza; egli la invoca all'inizio della Teologia Mistica, definendola
soprasostanziale, superdivina, custode della divina sapienza dei cristiani. Con
questo Dionigi si inserisce perfettamente nella tradizione patristica.
Per S.Gregorio di Nissa (325-399) al di là
della conoscenza, della visione di Dio, vi è una nuova via,quella delle
tenebre. Non vi è la visione dell'essenza divina, la contemplazione è al di là
dell'intelligenza, dove la conoscenza è abolita e diventa amore. Desiderio di
Dio, l'anima esce da sé e più si unisce
a Dio più il suo amore si infiamma. Con Gregorio nasce l'ineffabile conoscenza
di Dio che si chiama theognosia. La nozione di tenebra ha un senso
mistico, è l'inizio della teologia apofatica. Dionigi come fedele discepolo del
Nisseno amplierà il tema delle tenebre divine, facendolo diventare il punto di
passaggio obbligato per arrivare all'unione con Dio. Per Gregorio nella vita
spirituale Dio prima appare come luce, e poi come tenebra. Non vi è per
Gregorio la visione dell'essenza divina (riprende la distinzione fatta da
Basilio). L'unione diventa la via che supera la conoscenza. Dove non arriva
l'intelligenza, arriva l'amore, anzi la gnosi si trasforma in agape. L'amore ha
la caratteristica di essere estatico, l’estasi fa uscire l’anima da se stessa.
Si inserisce ora un concetto nuovo di amore, l'eros di derivazione
platonico, esso è intensità dell'agape.
Anche Dionigi parla di eros ma in lui questo termine diventerà un
nome divino, un attributo di Dio. Considereremo qui in particolare il pensiero
del Nisseno perché secondo molti studiosi è ritenuto uno dei maestri più
importanti dell'Areopagita tutte le idee gnoseologiche di Gregorio di Nissa le
troveremo o citate o ampliate nel Corpus. [15]
Per Gregorio la beatitudine non è nella
conoscenza ma nell'avere Dio in sé‚ e contemplare nella sua immagine purificata
le energie deificanti. Gregorio è un origeniano tanto da condividere una delle
più discusse dottrine del maestro, quella dell'apocatastasi. In Gregorio come
per Origene, Filone e altri antichi, mistikos, definisce soltanto il
senso del mistero che circonda Dio ed il contatto che in vario modo si può
avere con Lui. Lo scritto più importante di Gregorio riguarda questo argomento
è la "Vita di Mosè". Il libro è l'itinerario dell'uomo verso Dio. La
via dell'uomo per arrivare a Dio ha tre stadi: essi sono figurati seguendo
esperienza di Mosè che ci viene raccontata nella scrittura:
1°. stadio - purificazione, separazione dagli errori dalle illusioni del
mondo e illuminazione circa la giusta direzione della nostra vita.
Simboleggiata dal roveto ardente[16]
2°. Stadio - coincide con la rinuncia ai valori mondani e nell'esercizio della vita di fede, è
simboleggiato la marcia nel deserto.
3°. stadio - simboleggiato dall'esperienza di Mosè i monte Sinai
(tenebre, visione, incontro con Dio) che porta all'esperienza mistica
dell'unione con Dio. Il tema più importante nella vita di Mosè che Gregorio
espone fin dall'inizio e che il tendere (epectasis), il progredire
dell'anima a Dio è senza fine e perciò non conosce soste. Questo è il momento
fondamentale e più originale della
speculazione gregoriana e si fonda sulla
parallela e altrettanto originale intuizione dell'unità di Dio. Dio è l'infinito, per questo l'uomo può
progredire nella conoscenza e nell'esperienza di Lui, non può esaurirla, e
perciò è destinato a progredire in essa
senza fine. Afferma Gregorio:
“Forse infatti proprio l'essere disposto a voler sempre aumentare la
nostra partecipazione al bene,rappresenta la perfezione della natura
umana" [17]
Qui il Nisseno supera il concetto origeniano di sazietà (kòros) infatti se l'animo non raggiunge mai la sazietà (ivi Il, 232)non potrà smettere di tendere a Dio. In questo progresso senza fine il punto più importante è l'incontro dell'uomo con Dio. Questo contatto costituisce il momento più alto della vita spirituale. Il pensiero dei padri del IV secolo segna una tappa decisiva di trasformazione in senso cristiano dell'ellenismo alessandrino i Clemente e Origene.
In campo dogmatico nella 'Trinità’ non vi
è più posto per un Dio monade
semplice, sostanza intelleggibile, sorgente dell'essere spirituale. L'influenza
di Gregorio di Nissa nella spiritualità fu fortissimo.
E’ importante dire qualcosa anche su Evagrio
Pontico (345-399) accennando quali sono le novità in campo gnoseologico che
ha apportato, e di cui Dionigi si è servito. Evagrio conobbe i tre cappadoci ma
si formò leggendo Origene. Egli lasciò molti scritti, creò la forma letteraria
delle "centurie"; esse sono concetti espressi in forma concisa e
chiara, consigli di ordine mistico e ascetico. Ma è con lui che
l'intellettualismo di Origene superato a livello dogmatico entra in quello
della spiritualità, arricchendo la vita cristiana, ma portando anche molte
problematiche. Il Pontico sottolinea le tre tappe della vita cristiana fissate
da Origene: la lotta per l' apatheia, la gnosi della natura sensibile e
intelleggibile; la teologia, gnosi della natura divina in Origene, è
contemplazione della trinità in Evagrio. [18]L'amore
vero, per il Pontico, è quello rivolto alla vera conoscenza. [19]Questa
definizione dell'amore è segnata da un forte accento intellettualistico:
l'amore perfetto che non passa, è l'amore alla gnosi divina. Nel Corpus si
afferma il contrario; è la conoscenza che porta al vero Amore che santifica con Dio. Per Evagrio la vera gnosi
è quella trinitaria, essa è superiore. Egli afferma:
"Vi sono cinque gnosi fondamentali
che comprendono tutte le altre: la prima è, si dice, la gnosi dell'adorabile
Trinità; la seconda e la terza sono la gnosi degli esseri incorporei; la quarta
e la quinta la gnosi del giudizio e la gnosi della provvidenza." [20]
Questa gnosi superiore ha una peculiarità
che viene espressa con queste parole: "Beato colui che è arrivato
a]l'ignoranza infinita." [21]Tale
è l'originalità di Evagrio, l'ignoranza infinita, tema molto caro
all'Areopagita (DN VII 3,872 A) è un termine tecnico creato proprio dal
Pontico:
"Dio non può essere capito dalla mente umana.
Che se viene compreso quel che ha visto non è Dio."[22]
Dionigi nella prima epistola afferma la medesima cosa, riportando quasi le
stesse parole dice:
“Se uno, avendo visto Dio, ha capito ciò che ha
visto, non ha visto Dio, ma qualcosa. delle sue opere che esistono e che si
conoscono” (Ep I,1065 A) Evagrio nello stesso momento aggiunge che il nous
con la preghiera diventa dimora di Dio"[23].
Quando l'anima ha raggiunto la pace cioè l’apatheia, allora
diventa dimora di Dio. Qui si fa presente l'influsso di Origene, per Evagrio la
visione di Dio si confonde con la visione che il nous ha di se stesso:
“Il nous - privo di ciò che non è la sua santità originale - è quello che
nella visione di se stesso è unito alla gnosi della Trinità.”[24]
Secondo l'idea di Evagrio il nous diviene quello che conosce:
carne quando si lascia assorbire dalla pathe', Dio quando lo riceve.
"Quando il nous riceve la gnosi essenziale, allora chiamato Dio,
come essendo giunto alla piena immagine del suo creatore." [25]
Qui in Dionigi si nota un netto divario, una opposizione a questa concezione
che si allontana troppo dalla rivelazione cristiana. Evagrio insistendo sulla
semplicità di Dio che nulla saprebbe dividere o moltiplicare, distingue due
contemplazioni, una del regno Cristo
che dirige tutti gli esseri materiali, la seconda quella del regno del Padre
che si potrebbe chiamare l
contemplazione della divinità stessa. Qui si ha un superamento
dell'umanità di Cristo nella gnosi superiore, queste affermazioni hanno fatto
mettere indubbio il carattere cristiano della mistica di Evagrio:essa è più
filosofica che teologica perché per conoscere Dio l'uomo non passa più per
Cristo unico rivelatore del Padre, ma per contatto diretto con Ia divinità.
L'opera evagriana ha esercitato un'influenza determinante
sull’ spiritualità cristiana, non solo per le sue originali intuizioni e
sintesi, ma anche per tutti i suoi equivoci e le sue insufficienze sul piano
teologico. Fu irresistibile e fortissimo il suo influsso sul monachesimo: i
suoi discepoli sono Palladio, Giovanni Climacco e anche forti personalità come
S.Massimo. Anche in Cassiano, e per mezzo di lui, eserciterà una simile
influenza sul monachesimo latino. Lo pseudo Dionigi sembra che abbia attinto
non poco dal pensiero evagriano, ma nel
Corpus si nota un trasfigurazione di queste idee.
IL PENSIERO DI DIONIGI
1.
LA
CONOSCENZA DIVINA E ANGELICA
A.
Come Dio
conosce il mondo
Come Dio conosce il mondo? Non si può negare che Dio abbia una certa
conoscenza di tutto, nulla a Lui sfugge.In che modo Dio conosce il mondo?
L'Areopagita dice che la nostra conoscenza e differente da quella di Dio perché
Egli conosce le cose indipendentemente dalla loro esistenza. Dio conosce le
cose prima della loro creazione, perciò nell'atto stesso in cui conosce se
stesso. Le cose sono in Lui idee esemplari.
"L'intelligenza divina non conosce le cose
che sono, apprendendole dalle cose che sono; ma da sé‚ e in sé‚ secondo la
causa, essa ha e comprende antecedentemente la scienza, la nozione e la
sostanza ... sapendo e contenendo tutto secondo il solo contenuto della
causa" (DN VII 2,869 B)
E più avanti:
"Egli conoscerà ogni cosa secondo questa
causa unica, in quanto le cose esistono da lui e in lui sussistevano in
precedenza e non dagli esseri egli riceverà la loro cognizione, ma sarà
elargitore a ciascuno della propria conoscenza dunque Dio conosce le cose che
sono non con la scienza delle cose, ma con la conoscenza di sé".(DN
VII 2,869 C)
La
differenza essenziale tra gli uomini e gli angeli in ordine alla conoscenza d
Dio sta in questo: gli angeli vedono Dio direttamente, mentre gli uomini lo
vedono nella varietà dei simboli, perché sono composti da materia e spirito.
"I santi angeli hanno la proprietà di
infiammare e di trasmettere, effondendola, la sapienza teandrica, e la
possibilità di capire la scienza altissima delle illuminazioni divine e quella
proprietà che è dei Troni, e che significa attitudine aperta alle ricezioni del
Divino."(CH XIII 3,304 A)
Solo ora
possiamo capire l'importanza degli angeli per una conoscenza di Dio. Dato che
gli angeli sono quelli che per primi hanno l'illuminazione e tramite loro noi
riceviamo le comunicazioni e le manifestazioni superiori, essi hanno una
funzione rivelatrice a tutti i livelli (CH IV 2,108 B - X 2,273 A - XIII 4,305
A - IX 4,261 C;EH V 2,501 B).
Gli angeli, come afferma Dionigi, ci hanno dato
la scrittura, la legge, hanno guidato i sacri autori nella scrittura e nella
profezia, manifestando, in visioni occulte, i misteri sopramondani (CH IV 2,180
D). Questo tema è molto diffuso sia nell'AT che nel NT (vedi Gal 3,19; At 7,53;
Eb 2,2; ecc.). L'Areopagita non si discosta dalla visuale biblica.
"Quei nostri grandiosi Padri venivano
iniziati a queste divine visioni per la mediazione di queste potenze celesti."
(CH
IV 3,180 C)
Gli angeli sono i nostri mediatori sia nell'ordine della conoscenza di
Dio sia nell'ordine della partecipazione alla natura di Dio, perciò all'unione
con Lui che è per l'autore la vera divinizzazione. (CH 1V 3,181 A; DN I
5,593iB) Essi furono i primi a conoscere il mistero del Verbo incarnato e
questa loro conoscenza successivamente passò a noi.(CH IV 4,181 B; vedi
l'annunciazione a Zaccaria ed a Maria Lc 1,11-17; 1,26-38; a Giuseppe Mt
1,20-21 e infine ai pastori Lc 2,8-14)
Anche gli angeli conoscono Dio, per quanto loro è concesso, perciò sempre
parzialmente. (EH I 2,373 B) Infatti il nome dei cherubini ( che sono al
secondo posto della gerarchia angelica) per
Dionigi significa attitudine a conoscere e a contemplare Dio (CH VI
1,205 a). Queste intelligenze divine si muovono in maniera circolare attorno al
Bello e al Buono, incessantemente; questo li fa pronti alle illuminazioni che
vengono dal Buono e dal Bello, a qualsiasi rivelazione che viene dall'alto.(DN
IV 8,704 D) La conoscenza di questi esseri e' perfetta, non perché illuminata
da un sapere capace di spiegare punto per punto la varietà delle cose sacre, ma
perché sono riempiti da Dio di una deificazione originale ed eccellente.(CH VII
2,208 C)
Secondo la gerarchia i diversi tipi di sostanze celesti si comunicano le
conoscenze teologiche (CH x 2,273 B).
"Difatti i cherubini partecipano ad una
sapienza e conoscenza più elevata, mentre le sostanze inferiori partecipano si
a una sapienza e di una conoscenza, ma parziale, adatta a loro e di ordine
inferiore...anche se la conoscenza e la sapienza è partecipata universalmente
ed è comune a tutti gli esseri intelligenti deificati, ma non è cosa comune
parteciparvi continuamente e come i primi." (CH XXII 2,292 D)
Perciò gli angeli conoscono per primi Dio e cosi
viene rispettato il principio gerarchico che regola l'universo dionisiano. Gli
spiriti celesti della prima triade dopo Dio sono il principio di ogni sacra
conoscenza, e di imitazione in quanto illuminazione teandrica si
distribuisce attraverso di essi a tutti gli ordini.(CH XIII 3,301 a)
Solo ora riusciamo a capire che la conoscenza di
Dio segue sempre il principio gerarchico dell'ordine. La prima gerarchia,
serafini, cherubini e troni, gode di una conoscenza di Dio grande quanto è grande
la sua comunione con il Mistero trinitario. Dato che essi partecipano alla
conoscenza primordiale, il metro della conoscenza di Dio non è altro che
l'unione di comunione, più essa è intensa più grande è la gnosi. (CH VII 3,209
D - 4,212 A)
Ora, per ultimo, bisogna vedere come gli angeli
conoscono le cose. Essi colgono la realtà in un atto intellettuale ‚ uniforme,
che non ha nulla a che fare con la frammentaria conoscenza legata alla materia
e al divenire. Gli angeli conoscono gli uomini, e gli avvenimenti con lo stesso
atto intellettuale in cui conoscono Dio.(DN VII 2,305 - 8)
Nella conoscenza dell'angelo c'è perfetta unione tra soggetto
intelligente, atto intellettivo ed oggetto conosciuto
2. LA SACRA SCRITTURA
FONTE DELLA CONOSCENZA DI DIO
"A dunque, in nessun modo si deve osare,
dire o pensare alcunché intorno alla Divinità soprasostaniziale e occulta
tranne ciò che è stato rivelata noi divinamente dai detti sacri" (DN I
1,988A cf. DN I 2,588c quasi le stesse parole).
Questa è
l'affermazione fondamentale: non si può conoscere Dio, né si può pensare
qualcosa di Lui, se non quello che ci dicono le S.Scritture. L'uomo
naturalmente è nell'impossibilità di conoscere questa Divinità
soprasostanziale, perché essa e occulta ed è situata al di là della ragione.
All'inizio del commento ai nomi divini Dionigi specifica il modo per una
corretta conoscenza di Dio. La rivelazione come manifestazione di Dio e come
unica vera conoscenza di lui è un dono, non un diritto dell'uomo: essa è una
grazia misteriosa che viene dall'alto, che va al di là di ogni parola umana,
essa è "Parola inesprimibile" (DN I l,588B).
Al di là della scrittura la conoscenza di Dio è inaccessibile all'uomo,
in quanto solo nelle Scritture occulte i misteri semplici e occulti sono
svelati (MT l,997B): questa è la vera gnosi a cui sono iniziati i cristiani nel
battesimo e che avrà il suo compimento quando diventeremo incorruttibili e
immortali (DN I 4,592B). Queste scritture occulte sono l'Antico testamento e il
Nuovo testamento considerati il primo come annuncio e figura e il secondo come
attuazione e presenza reale.
In effetti il Nuovo patto compie il Vecchio, e con
l'evento Cristo si ha la vera e perfetta conoscenza di Dio (I Gv. 5,20). La
vita eterna diventa un rapporto di conoscenza: "Questa è la vita eterna,
che conoscano te, l'unico vero Dio, è colui che ha mandato Gesù Cristo. (Gv.
17,3)
Anche Dionigi afferma che solo con l'incarnazione
del Figlio è consentito a noi di risalire alla conoscenza del Padre, proprio in
forza della visibilità e umanità di Cristo, l'uomo riesce a conoscere, secondo
le proprie capacità, e ad amare il vero Dio:
"Allora, dopo aver invocato Gesù luce
paterna che, illumina ciascun uomo che viene in questo mondo, ad opera del
quale noi abbiamo ottenuto l'accesso al Padre , principio della luce". (CH
I 2,l2lA)
Solo il
Cristo è la perfetta immagine del Padre dei cieli solo invocando Gesù l'uomo
può conoscere Dio come Padre e può entrare in comunione con Lui, non c'è altra
via o altro modo. Il Figlio eterno, prendendo la carne, è diventato l' ultimo
il perfetto segno della teofania divina. I due testamenti sono stati creati da
una concorde ispirazione dello Spirito Santo (EH III 3,5; 432 A-B); proprio
dall'origine divina, deriva il carattere misterioso della Scrittura.
La Sacra Scrittura è chiamata da Dionigi
sapientissima e veracissima, in essa le cose divine si rivelano e si mostrano
secondo la misura dell'intelligenza di ciascuno (DN I l,58A). La S. Scrittura
da all'uomo la possibilità di arrivare alla conoscenza di Dio. La Rivelazione è
la manifestazione amorosa del piano salvifico di Dio. In questo contesto la
bibbia è il libro per eccellenza della gnosi cristiana, essa narra la storia
dell’incontro dell'uomo con Dio. Nella storia della salvezza Dio si è manifestato
all'uomo attraverso segni sensibili perché egli possa comprendere qualcosa del
suo mistero insondabile.
Gli Autori sacri (i veri teologi secondo Dionigi) possono parlare di Dio
non perché hanno una sapienza umana ma perché sono mossi dallo Spirito Divino
(DN I l,585B). essi sotto ispirazione divina trasmettono ai fedeli nei libri
sacri o detti divini cose ineffabili ed ignote all'intelligenza (DN I l,58B).
Questi detti sacri sono visti da Dionigi come dei Raggi che vengono a noi, ci
inondano di luce e ci introducono alle lodi sante (DN I 3,589B).
La retta conoscenza di Dio avviene solo con una indagine scientifica
sulle scritture, con un esercizio ed
una pratica su di esse che si protrae nel tempo, oppure per divina ispirazione,
dopo aver imparato non solo intellettualmente, ma anche sperimentato le cose
divine (DN Il 9,648B). La meditazione e la penetrazione della storia sacra
nella Scrittura per l'uomo immensa
fonte di gnosi. Come nella bibbia così nel Corpus la conoscenza non si svolge
solo in un contesto di scienza, ma in un contesto essenzialmente religioso che
coinvolge non solo l'intelligenza dell'individuo, ma tutta la sua persona,
specialmente volontà ed affetti.
3) LA CONOSCENZA UMANA DI DIO
"Dio è la Causa di tutti gli esseri, senza
che egli sia nessuno di questi per il fatto che è separato da tutti in modo
soprasostaniziale"(DN I 5,93e).
In campo gnoseologico e teologico bisogna sempre salvare la trascendenza
di Dio che è a fondamento della sua realtà. Il Mistero come verità di Dio, dà
all'uomo la possibilità di evitare un
errore molto frequente nella grecità pagana: il panteismo. Dio, pur essendo
dappertutto, non è in nessun luogo egli è al di sopra di tutte le cose, pur
essendo il Creatore. Solo così riusciamo rettamente a parlare ai Dio e a
salvaguardare la sua peculiarità. Questa è una regola metodologica della
teologia dionisiana: è la grandezza e la miseria della conoscenza dell'uomo (DN
I 6-7,596 C).Il limite è categoria
fondamentale per una esatta conoscenza di Dio; infatti Dionigi afferma:
'Noi abbiamo coscienza di sapere che non
riusciamo a coglierne sufficientemente le cose relative a Dio, né ad esprimere
e a dire quello che si può dire della conoscenza divina...."(DN III 3,684
B; DN XIII 3,981 A).
La
spiegazione dei nomi divini è fatta con un procedimento affermativo e negativo
nello stesso tempo. Questa dialettica sarà superata nella teologia mistica,
perché Dio è al di sopra di ogni affermazione e negazione (DN lI4,641 A; V 1048 A-B).
Anche a livello di creazione non vi e perfetta somiglianza tra causa
suprema e cose create, le cose causate recano in sé le immagini ricevute dalla
Causa, rimangono staccate dagli effetti (DN Il 8-9, 64 D). Di Dio tutto si può
dire, però egli non si identifica con nessuna di tutte le cose che sono.
Infatti:
"Ha ogni figura e ogni forma, Egli che è
oltre le forme e la bellezza, ha precedentemente in sé i principi, i mezzi, i
fini delle cose che sono " (DN
V 8,824 B). Ne c' è alcuna delle cose che si conoscono, che spieghi il mistero
che trascende ogni ragionamento ed ogni intelligenza". Dio, dice Dionigi,
abita nella divina caligine e in una luce inaccessibile. Questa luce o tanto
luminosa che per noi diventa oscurità. In effetti la nostra intelligenza, pur
essendo un grande dono di Dio, è limitata rispetto a questa immensità (EP v
1073 A; MT I 1,997 B-3,1000 C-1001 A ). Come quando noi fissiamo il sole, la
luce ci abbaglia e non vediamo più niente, così è nei confronti di Dio.
Questo e anche il pensiero del profeta Isaia
quando dice che il nostro Dio è un Dio
nascosto e che si nasconde (Is 45,l.7; 42,26; anche altri testi scritturatici
Es 20,21; Dt 4,11; 5,22; 2 Sam 22,10; Sal 97,2 imp; Gb 22,13; Sir 45,5 )
Dionigi si inserisce perfettamente nel filone biblico . L'unica via adatta per
accostarsi al mistero è l'analogia; che salvaguarda nello stesso tempo
la presenza creatrice e sostentatrice nel mondo e la trascendenza divina (DN v
10,825 B). Solo mediante questa cognizione analogica è possibile che ci
eleviamo verso la causa di tutte le cose (DN V 9,825 A) . La frase seguente ci
illuminerà sul problema:
"Tutte le cose tendono a Lui" (DN IV 4,657 I)). Dio come fonte
di Bontà (agathos) e bellezza (kallos) cercato da tutte le creature.
Egli e causa esemplare, efficiente e finale di tutte le cose belle e tutte le
cose tendono a Lui, ciascuna secondo il modo che le è proprio. Dio è il Bene
sostanziale; da esso deriva tutto cio' che esiste e tutto tende verso questa
Bontà; solo così le cose raggiungeranno lo stato di perfezione "(DN IV
l,694A-2,696 D).
Tutti tendono a Lui gli angeli, con la loro
conoscenza intuitiva rappresentata dal moto circolare, gli uomini con i sensi e
la ragione attraverso un processo di unificazione e anche gli esseri infraumani
nel loro modo (DN IV 2,696 D).
Anche ciò che è privo di essere tende verso la Bontà (DN IV 3,697 A).
Alla base
della conoscenza di Dio c'è questa tensione o desiderio naturale mai appagato
di possederlo. L'uomo, come natura razionale, ha questa predisposizione
gratuita creaturale che Dio ha messo in lui; qui si delinea una scienza
naturale di Dio che sarà poi appagata dalla totale novità della rivelazione
soprannaturale (DN IV 4,700 B imp. ). Questa è la capacità, la grandezza della
nostra conoscenza.
B. Contesto liturgico
L'autore concepisce la sua opera come una
celebrazione liturgica e non esclusivamente come un ragionamento; questo
aspetto è molto affascinante, è qualcosa che i teologi occidentali devono
urgentemente recuperare.
Il senso sacro e liturgico della teologia (perciò della conoscenza di
Dio) è importantissimo. Questa concezione si riallaccia in particolare al
contesto dei padri cappadoci; in Dionigi si sviluppa in un modo meraviglioso e
diventa un primato. (DN Il 2,636 C) Se si legge attentamente il suo discorso
sui nomi divini, ci si accorge che esso e una celebrazione. L'autore non solo
si preoccupa di far capire, ma egli ci immette alla presenza sacra di questo
Dio trascendente e misterioso. (DN V 2)
E' tutta la vita del teologo che deve essere trasformata da Dio, non solo
la mente, tutta l'esistenza va vissuta alla presenza di questo mistero
insondabile d'Amore. Lo studio intellettuale non sarà altro che un approfondire
qualcosa che si ama, qualcosa a cui si è già uniti: il Dio Vivente. La
preghiera è un mezzo efficacissimo per una maggior conoscenza di Dio, essa ci
eleva avvicinandoci sempre più alla Trinità.
"Invocando la Trinità fonte di ogni bene e
al di sopra dello stesso Bene...occorre che con la preghiera ci eleviamo a Lei,
siamo istruiti proprio in questo atto...quando noi la invochiamo con santissime
preghiere, con intelligenza limpida e con attitudine all'unione divina, allora
anche noi siamo presenti a Lei." (DN III 1,680 B) Solo con la preghiera e
con l'invocazione l'intelligenza viene innalzata e istruita sempre più dal Bene
a cui si è profondamente uniti. "prima di tutto, ed in particolare prima
di parlare di Dio è necessario cominciare con la preghiera...affinché con il
ricordo e le invocazioni possiamo metterci nelle sue mani e unirci a Lui.11 (DN
III 1,680 D)
Quando preghiamo siamo nelle mani di Dio, qui sta il fondamento di ogni
vera gnosi; in effetti l'unione con Dio vale molto di più del freddo
raziocinio. Una cosa è parlare del sole e altra cosa è stare al sole e sentire
i raggi che ci accarezzano e il calore che ci avvolge.
"Ora dunque per quanto a noi è possibile,
usiamo simboli appropriati alle cose divine e da questi tendiamo, secondo le
nostre capacità, verso la semplice ed unitaria verità della contemplazione
intelligibile, e dopo, facendo cessare le attività intellettuali ci slanciamo,
per quanto è possibile, verso il soprasostanziale nel quale tutti i limiti di
tutte le cognizioni preesistono in modo più che ineffabile."(DN I 4,592 C)
In Dionigi le diverse forme di conoscenza di Dio
hanno l'intento di far giungere l'uomo alla perfetta comunione con Dio,
L'oggetto di questa conoscenza è Dio.
Questi diversi gradi di gnosi hanno la loro origine nella condizione
storica dell'uomo, sottoposto in ogni situazione a categorie spazio temporali.
La realtà mondana a cui l'uomo e soggetto lo costringe a salire piano piano
questi stadi per arrivare alla piena conoscenza divina.
Nel Corpus dionisiano si possono ritrovare tre stadi di conoscenza di Dio
per l'Homo viator:
I - Conoscenza simbolica, attraverso le realtà sensi
Il - Conoscenza intellettuale,
astraendo dalle cose sensibili.
III - Conoscenza mistica dell'attività intellettiva, unione con
Dio.
Cercheremo di approfondire queste diverse
conoscenze. Prima di considerare quali sono le peculiarità di ogni stadio,
affermeremo con Dionigi che ogni conoscenza è possibile grazie al concetto di
partecipazione "Tutte le cose divine e quante si sono rese manifeste si
conoscono solo per partecipazione, ma quali siano nel proprio principio e nella
propria sede è cosa che per la nostra intelligenza e ogni sostanza e
scienza." (DN Il 7,645 A) Dio si comunica e si fa conoscere nelle sue
manifestazioni ad extra, ma resta inconoscibile nella sua natura. egli si fa
conoscere mediante la partecipazione alle sue energie. Le dynamis sono
Dio ma fuori dalla sua essenza. E' la distinzione fondamentale di S.Basilio tra
ousia radicalmente trascendente e le energie manifestatrici immanenti.
(DN Il 11,65) Dionigi tale distinzione costituisce il perno di tutto il suo
pensiero teologico.
I Stadio- La conoscenza simbolica
La teologia simbolica è un'opera di Dionigi che a
noi non è pervenuta. Il trattato spiega quei simboli attribuiti a Dio dalla
S.Scrittura che creano più difficoltà a chi li ascolta senza fede. (Ep.IX 1,1104
B)
Infatti queste anime imperfette, come le chiama Dionigi, considerano
un'assurdità che Dio manifesti i suoi misteri divini anche attraverso segni
sensibili. Con questo discorso stiamo entrando nella problematica della
conoscenza simbolica di Dio. Negli scritti areopagitici vi sono sufficienti
riferimenti espliciti o impliciti a questo tema. renderemo in considerazione in
articolare la lettera IX, poiché essa contiene in sintesi tutte le idee del
trattato sulla teologia simbolica. Questa lettera vuole spiegare alcune figure
con cui S. Scrittura rappresenta Dio simbolicamente e come la conoscenza di Dio
si serve dei simboli per arrivare a cogliere qualcosa di Lui. (Ep.IX 1,1104
C). Dionigi vuole chiarire perché la
scrittura attribuisce a Dio figure di uomini (Dn 7,10), di bestie selvagge (Nm
24,9), di pietre (Ez 10,1); a volte lo chiama vasaio (Ger 18,1-6) o fonditore
(Sal 66,10), o gli attribuisce delle passioni umane come nel Cantico dei Cantici.
L'autore spiega che questi simboli sono delle coperture che salvaguardano una
scienza segreta e inaccessibile ai più, affinché le cose santissime non siano
profanate dai non iniziati. Queste figure rappresentative rivelano la Verità
solo ai sinceri amatori della santità.
Solo questi ultimi sanno che bisogna spogliarsi
di ogni immaginazione puerile, per penetrare con semplicità di mente in questi
simboli e arrivare alla vera conoscenza della Verità che è al di sopra di
questi. (Ep. IX 1,1105C ) Tale conoscenza simbolica è possibile perché
corrisponde ad una delle due tradizioni che i sacri autori ci hanno trasmesso.
Vediamo cosa ci dice Dionigi sulle due tradizioni:
"Una è segreta e occulta, l'altra è chiara e
più conoscibile; l'una si serve di simboli e riguarda i misteri, l'altra
è filosofica e dimostrativa. Ciò che non si può dire si incrocia con ciò che si
può dire; l'una persuade e conferma la Verità mediante insegnamenti misteriosi
e che non si possono insegnare." (Ep.IX 1,1105 D)
E' molto
importante questo brano; esso ci fa percepire che anche il primo stadio della
conoscenza umana deve essere inserito nella realtà della rivelazione. Infatti
alla fonte dei sacri autori c'è l'intenzione di Dio; perciò il simbolo come
manifestazione del mistero diventa un dono della Bontà divina per gli uomini.
(DN I 4,592)
La conoscenza simbolica si inserisce in quel
meraviglioso piano salvifico di Dio; essa esprime la sua volontà. Dionigi dice
per fondare la sua tesi che Gesù
parlava di Dio in parabole e ci dona i misteri divini sotto figura di cena.
(Ep.IX 1,1106) Il motivo profondo per cui Dio ha voluto usare questa via. per
farsi conoscere all'uomo, è la povertà della vita umana che è immersa nel
mondo. L'uomo, per intuire qualcosa delle realtà spirituali, deve usare la
sensibilità.
Una
rivelazione che riguardi l'uomo lo deve cogliere nei suoi due piani
esistenziali, quello corporale e quello spirituale uno divisibile e l'altro indivisibile.
Dice l'Areopagita;
"Così
la parte impassibile dell'anima pare destinata agli spettacoli divini semplici
e interiori delle immagini che rappresentano Dio, mentre la parte passibile di questa stessa
anima, in modo conforme alla
sua natura, viene educata. e tende verso le cose più divine attraverso
le finzioni, ben combinate in precedenza, dei simboli figurativi;
difatti questi veli le
convengono propriamente." (Ep.IX!;1;1108 B)
Anche nei riti dei
santi misteri i sacri autori hanno usato del simboli che convengono a Dio.
(Ep.IX 1,1105 A)
Tutto quello che abbiamo detto fino ad ora deve essere completato da una idea di origine biblica che è il concetto di Creazione. Dionigi si serve di questo concetto per dare il vero fondamento a tutto il discorso sul simbolo.Il mondo, proprio perché creatura. di Dio, esprime in un certo modo il suo artefice.
"E la stessa macchina del mondo sensibile è
come un velo gettato sulle proprietà invisibili di Dio, come diceva S.Paolo è la Parola vera." (Ep.IX 2,ll08B).
Qui
l'Areopagita riprende un tema Paolino che è la rivelazione naturale di Dio nel
cosmo. (Rom 1,20) Proprio l'origine divina della creazione fa si che, per mezzo
dei simboli naturali, l'uomo colga dietro queste figure le qualità divine. I
simboli sono come dei germi, delle immagini sensibili di visioni
soprannaturali.(Ep. IX 2,1108 C) Ora bisogna fare un'altra chiarificazione: può
succedere, dice Dionigi, che la stessa immagine figurativa venga applicata a
diverse realtà spirituali: agli angeli, alle intelligenze e a Dio. Un esempio:
la rappresentazione di Dio come fuoco ha un senso quando viene attribuita Dio
ed un altro quando si applica agli angeli. Perciò, nella conoscenza simbolica,
non bisogna confondere i sacri simboli, ma spiegarli in modo conveniente. Per
questa operazione è richiesta una acutezza, una profondità di spirito e un discernimento
non comuni. C'è un immagine molto bella alla fine della lettera IX ; è come il
sigillo di chiusura, la perla più preziosa, l'interpretazione più genuinamente
cristiana che sta alla base del pensiero teologico dell'Areopagita; essa cerca
da far capire la condizione escatologica dell'uomo redento.
Dice così:
"E
noi crediamo che la tavola è la fine di molte fatiche e una vita priva di
dolori e un' esistenza divina nella luce e nella regione dei viventi,
un'esistenza riempita di santa gioia, e che essi ricevono una donazione
abbondante di beni di ogni sorta e beati, trovandovi ogni tipo di piacere; e
essa che fa la loro gioia, li fa sedere e li serve, da eterno riposo e
distribuisce e vera la pienezza di beni" (Ep.IX 5,1113 A).
L'interpretazione simbolica che
Dionigi dà del regno di Dio prende spunto dalla metafora scritturistica della
tavola imbandita dalla sapienza. Il banchetto è figura del paradiso.
Leggendo questo brano ci si accorge che l'influsso filosofico
neoplatonico sulla sua escatologia è nullo. Così si coglie il carattere
cristiano del pensiero dell'Areopagita. In effetti la vita eterna e considerata
come beatitudine, come comunione con ''Gesù Cristo, che da gioia eterna ai
salvati". Tale simbolismo e preso propriamente da una matrice cristiana, e
non dai vari culti misterici pieni di miti per quanto riguardano la salvezza
dell'uomo. L'eternità sarà un rapporto di amore con il figlio di Dio incarnato,
che ci farà partecipi sempre più della sua divinità.
Con questo, l'intento di Dionigi si è realizzato: il simbolo ci fa capire il mistero.
II STADIO - La conoscenza intellettuale.
Il simbolo in certe situazioni è inadeguato; esso espresso nel Corpus dialetticamente come una "dissimile somiglianza" (CH Il 5,1446). In effetti la conoscenza simbolica di Dio ha dei limiti; non possiamo attaccarci alle rappresentazioni sensibili; si può correre il rischio del materialismo e dell'idolatria. Uno dei compiti essenziali della conoscenza di risalire dalle raffigurazioni materiali alle realtà intelleggibili e sante che queste rappresentano. La conoscenza intellettuale si pone in questa dimensione. Il trattato sui Nomi Divini è l'opera che è considerata la più importante tra quelle dionisiane dal punto di vista speculativo: si interessa di spiegare i nomi intelleggibili di Dio. Questo tipo di conoscenza parte sempre dal sensibile e dalla realtà rivelata, ma passa attraverso la mediazione del concetto. Invece la conoscenza simbolica è immaginata da Dionigi come un movimento rettilineo dell'anima, che va direttamente dalle realtà create ai misteri nascosti (DN I 8,597 A-B).
La conoscenza intellettuale è concepita come un movimento elicoidale dell'anima; essa parte sempre dalle cose create ma, contrariamente al simbolismo che ci fa percepire un'immagine dell'intelligibile, essa si sforza grazie ad un processo logico, di comprendere dapprima la realtà attraverso un movimento ascensionale ed arrivare ai nomi intellegibili di Dio.
La conoscenza intellettuale passa dalla
sensazione al concetto poi, attraverso il suo superamento, arriva alla sua
sorgente. Questa conoscenza si acquisisce attraverso atti complessi e
progressivi, cioè con un metodo speculativo, discorsivo e dialettico. Si nota
che nel pensiero dell'Areopagita non vi e' diretta opposizione tra le prime due
conoscenze, ma un perfetto completamento. Una non può fare a meno dell'altra,
esse non si escludono a vicenda. La conoscenza intellettuale comprende, implica
ed esplica la conoscenza simbolica: sono diversi gradi della stessa conoscenza
umana. Dice Dionigi nel prologo dei Nomi Divini:
"Veniamo alla spiegazione dei nomi divini
intellegibili, e come la legge gerarchica prescrive a noi per ogni disputa,
guardiamo con intelligenza spirituale, contemplativa del Divino, per usare un
linguaggio preciso, le visioni quali Dio si manifesta e prestiamo orecchie
sante alle spiegazioni dei sacri nomi divini, per trasmettere le cose sante ai
santi secondo la divina tradizione". (DN. I 8,597 B)
Qui viene spiegato cosa l'autore intende per
conoscenza intellettuale di Dio, essa si stacca dalla realtà materiale, per
fissarsi nella realtà spirituale propria di Dio; così arriva alla vera
contemplazione della Divinità. Il fine del secondo stadio della gnosi è la
contemplazione. In questo brano ritorna come un leitmotiv l'idea che sia i nomi
divini che la loro spiegazione sono stati trasmessi dalla divina tradizione,
cioè dalla S. Scrittura e dalla Tradizione apostolica. Nel trattato dei Nomi
Divini, Dionigi vuol fare una sintesi fra l'intelligenza che la S. Scrittura ha
degli attributi di Dio e un razionalismo che viene dall'ambiente neoplatonico.
Questo intellettualismo era espresso in particolare dal commento che questi
facevano al "Parmenide" di Platone, che a quel tempo era considerato
il libro di "Teologia" per eccellenza.
In questo scritto si cerca la soluzione dei
problemi tra l'Uno e il molteplice, basandosi su speculazioni filosofiche e
L'Areopagita vuole fondere la verità che c'è in quella filosofia con le
concezioni che la Chiesa ha di Dio. Ad esempio l'idea che Dio è Trinità, la
realtà dell'incarnazione del Figlio, la dialettica tra l'immanenza e
trascendenza di Dio. In effetti il cristianesimo introduce, rispetto alla
filosofia greca una nuova visione di Dio e una nuova visione dei rapporti tra
Dio e il mondo. Nella conoscenza intellettuale di Dio, l'Areopagita vuole
usufruire della tecnica speculativa neoplatonica, per riempirla di contenuti
che vengono dalla Rivelazione.
Il trattato dei Nomi Divini parla della causalità
divina, e come essa può essere considerata nelle sue forme più generali. Gli
altri nomi sono ricavati dalle realtà particolari, e sono trattati nella
Teologia simbolica. I nomi intellegibili ricavati dalla S. Scrittura debbono
essere rettamente intesi. Anche per la conoscenza intellettuale vero il principio che, nella spiegazione del
nome intelligibile, non si deve pretendere ai arrivare all'essenza divina, che
è per natura inaccessibile ad ogni intelligenza creata. Nella conoscenza
intellettuale, il nome perfettamente conoscibile che si trova al primo posto è
il Bene (ed altri nomi ad esso collegati: Luce, Bellezza, Amore), in quanto la
bontà è la ragione ultima dell'opera creatrice di Dio (DN IV). Poi vengono
subito dopo quei nomi che indicano le manifestazioni più generali del Bene: l'Essere,
la Vita, la Sapienza o Ragione (DN V - VII). Poi si esaminano i nomi ai Dio che
esprimono l'unificazione dell'universo in Lui: la Pace e l'Uno unificano e
riconducono l'universo all'unità (DN XI - XIII). Accanto ai nomi che indicano
l'opera creatrice di Dio, ci sono nomi che indicano la vita intima (Padre,
Figlio,Spirito), e che non hanno nulla a che fare con la creazione; non bisogna
fare confusioni tra questi due gruppi.
I nomi intellegibili che spiegano i rapporti tra Dio e il mondo sono
anche delle categorie universali; però con i nomi divini non si conosce Dio,
che rimane nascosto nel suo mistero. I nomi riguardano la sfera dell'essere e
dell'intelligenza, mentre Dio è al di là dell'essere e dell'intelligenza, per
cui alla fine nessun nome lo può esprimere in se stesso.
Data l'incapacità della conoscenza intellettuale, bisogna ora passare al
terzo stadio della gnosi dionisiana, che forse ci permetterà di cogliere Dio
nel suo profondo mistero.
III STADIO
La Conoscenza mistica.
Dionigi
spiega che cos'è la conoscenza mistica in un piccolo trattato: De Mystica
Theologia. Il trattatello, che è stato oggetto di tanti commenti nella storia
della teologia occidentale, descrive l'itinerario verso l'unione con Dio.
Proprio per questo scritto S. Bonaventura definì l'Areopagita il maestro della
mistica [26]. Nel primo capitolo si parla del significato
di questa conoscenza. Dopo una preghiera alla Santissima Trinità si afferma:
"Conduci noi direttamente verso il vertice
superinconoscibile e splendidissimo delle Scritture occulte, là dove i misteri
semplici e assoluti e immutabili della teologia sono svelati nella caligine
luminosissima del silenzio che insegna arcanamente (MT I 1,997 A).
Alla luce di questo brano, parleremo inizialmente
della conoscenza mistica in generale, per poi specificare qual'è la sua vera
natura, considerando l'idea di estasi, di Ignoranza assoluta, di Tenebra
divina, per arrivare alla conoscenza mistica di Dio bisogna staccarsi da ogni
rappresentazione sensibile o intelligibile di Dio (MT I 997B).
Partendo dalla rivelazione che Dio dà nella S. Scrittura, unirsi a Dio
significa entrare nel segreto delle Scritture occulte. Per arrivare a questo,
ci vuole l'aiuto della Trinità, perciò la si invoca nella preghiera. La
conoscenza mistica perciò è sempre un dono che viene dall'alto, e che passa per
la scrittura. Dionigi chiede di riconoscere l'inadeguatezza di tutti i nomi
divini contenuti nella Scrittura, per slanciarsi nell'unione (MT III 1032 D - 1033 B-C). Questa unione viene descritta sulla linea
della salita di Mosè al Sinai e del suo incontro con Dio nella caligine (MT
3,1001 A). Tale conoscenza mistica non coglie Dio, non è Dio che Mosè contempla
nella sua unione, perché‚ egli sfugge ad ogni contemplazione intelligibile.
Mosè vede il luogo in cui risiede Dio (MT 1000 D).
Dio sfugge sia all'oggetto della visione mistica,
sia al Veggente stesso (MT I 1001 A), (cfr La mistica di S.Gregorio di Nissa).
La conoscenza mistica si situa al di là della teologia affermativa e negativa
di cui sarà la giustificazione il compimento. L'insegnamento più alto sarà
questa conoscenza sperimentale, vissuta, trascendente da ogni simbolo e da ogni
discorso, che e' posta nel silenzio, e secondo la quale "Dio e'
essenzialmente inconoscibile". La differenza tra la teologia negativa
e la conoscenza mistica è questa: mentre la prima resta un procedimento
discorsivo dell'intelligenza, la seconda si pone al dl là del discorso ed situata nell'amore:
"Così ora, penetrando nella caligine che sta
sopra l'intelligenza, troveremo non la brevità delle parole, bensì la mancanza
assoluta di parole e pensieri" (MT III 1033B).
Le negazioni nella conoscenza mistica hanno lo scopo di esprimere il
contatto, l'incontro, l'unione con Dio. Nei vari stadi di conoscenza c'è sempre
la presenza dell'amore con intensità diversa (DN IV 14-15, 713 A - D). Questa
conoscenza mistica e' situata nell'amore di Dio; quest'amore, per sua natura, è
estatico, perché conduce all'unione dell'uomo con Dio (DN IV 13,712 A). La
conoscenza mistica sradica l'intelligenza dalla condizione umana per
divinizzarla.
A.
L'estasi
dionisiana
Per
capire meglio la gnosi mistica, l'unione con Dio, si deve chiarire cosa
l'Areopagita intende per estasi e quale è il ruolo che essa svolge nell'unione.
Anche se il termine ekstasis è raro negli scritti di Dionigi (tre volte,
al capitolo IV dei DN a proposito dell'amore divino, all' 'inizio della
Teologia Mistica (MT I 1,1000 A) e nella lettera IX per spiegare l'ebbrezza
divina (Ep. IX 5,1112 C-D). Non ci si deve lasciare ingannare dallo scarso
vocabolario. Tutto il corpus dionisiano prepara all'estasi e ne determina le
condizioni. Qui Dionigi si distacca da Gregorio di Nissa, che usa
abbondantemente questo termine. Il motivo per cui Dionigi parla poco
dell'estasi, è perché, una spiegazione razionale non può fare a meno di
offuscare la verità di questa esperienza che in sé è velata di mistero.
L'esperienza mistica, l'incontro con l'ineffabile, non ha bisogno di tante
parole. L'abbondanza delle spiegazioni caratteristica degli stadi anteriori e
preparatori (vedi l'esegesi dei simboli e la Conoscenza dei nomi intellegibili
di Dio) .Analizzeremo quali sono le caratteristiche dell'estasi.
a) L'estasi come rottura. L'estasi
dionisiana si attua al termine di una rottura, per la quale si è lasciato il
mondo dei sensi e il mondo dell'intelligenza (MT 1,997B). Questa volontà di
escludere tutto e di rompere con se stessi sino ad arrivare alla violenza, è
motivata dall'importanza della comunione con Dio; a lui non importa il processo
psicologico, secondo il quale si compie quest'unione ineffabile.
b) L'estasi
come unione con Dio. Per Dionigi l'estasi è prima di tutto unione con Dio (enosis),
divinizzazione (theosis). La divinizzazione nell'Areopagita non consiste
soltanto nel raggiungere o nel liberare nella sua purezza la parte più nobile
del nostro animo (nous), e neanche nel trovare l'unità vera (en).
In Dionigi l'estasi non è una semplice pratica di liberazione morale o
interiorizzazione progressiva, come in Plotino e nella maggior parte dei
platonici. Dionigi si separa anche da Origene e dai suoi discepoli per questi
il nous per natura "capace
di Dio". L'estasi in Dionigi al
contrario un insieme i condizioni umane; essa si situa al di là
all'intelligenza, o al di là della ragione (logos), al di là di ogni spirito.
L'estasi al di là delle pratiche purificatrici e' una uscita dalla condizione
umana.
c) Rapporto "conoscenza estasi - amore". I termini che
esprimono il concetto di amore (agape, eros) sono totalmente assenti
dalle parti del corpus in cui si parla della conoscenza mistica e dell'estasi
(TM e Ep. I). I termini sono assenti in questi due scritti forse per la
preoccupazione che ha l'autore di liberare la conoscenza mistica da ogni
equivoco naturalista; perciò egli considera solo l'aspetto gnoseologico del
problema. Nel capitolo IV dei DN si associa la nozione di estasi e quella di
amore. Questo brano ci permetterà di completare i dati della teologia mistica.
Il ciclo dell'amore si estende progressivamente da Dio alla gerarchia degli
esseri (intellegibili, sensibili, viventi e materiali) e, in un ritorno
simmetrico, egli riconduce gerarchicamente tutti gli esseri nell'unità (D 712 A
- 713 D).
Questo corrisponde ai due processi inversi comuni a tutti i platonici
della proodos e della epistrofe (emanazione e ritorno). Dobbiamo
perciò affermare che c'e un estasi creaturale che è un'imitazione dello stesso
estatico amore divino, che per amore ha creato il mondo e per amore si addentra
nella molteplicità del cosmo (D IV 12 -13/709 - 712).
"L'amore divino è anche estatico, in quanto
non permette che gli amanti appartengano a se stessi, ma a quelli che si
amano" (DN IV 13,712 A).
Come afferma Dionigi, l'amore di Dio è per sua
natura estatico; questo amore viene trasmesso gerarchicamente. Così si opera
una fusione universale nell'unità (DN IV 19,713 D)e L'amore divino non permette
che i soggetti che amano appartengano a se stessi. L'amore come forza spinge
gli ordini superiori a donarsi a quelli inferiori e viceversa; la fusione
dell'unità non comporta la fusione degli ordini. L'Areopagita attribuisce al
nome divino di amore il significato di eros, tale tradizione si rifà a
Origene e a Gregorio di Nissa che identificano l'eros con l'agape.
In Origene come in Gregorio l'eros-agape
e' lo slancio dell'uomo spirituale (anima) verso il Logos. divino. In
loro e' conservato il carattere cristiano, perché in questa tensione entra la
grazia, Cioè il dono di Dio, ma la direzione rimane quella dal basso verso
l'alto, che è caratteristica dell'eros platonico. Con Dionigi l'eros è innanzi
tutto un nome divino, e solo secondariamente una proprietà delle creature
superiori. In tale prospettiva la peculiarità essenziale, comune di ogni eros,
non è lo slancio verso l'alto, ma la capacità di uscire fuori da sé‚ (l'estasi)
per dirigersi verso gli altri. Dionigi riconosce anche un eros che discende. In
Dionigi l'amore (eros e agape) comprende senza contrapporli l'amore dono (che è
I'aspetto dominante ma non esclusivo dell'agape cristiana) e l'amore desiderio
(che è la caratteristica essenziale dell'eros platonico).
L'uomo arriva all'unione con Dio in forza
dell'amore e nell'amore. L'amore è la forza divina che ci spinge all'unione
trascendente. (DN IV 14,712 a) L'amore è l'unica causa della creazione ed è
anche l'unica causa della redenzione. (DN lV 20,708 B)
d. L'ignoranza assoluta di Dio Il mistico
fugge a se stesso, si abbandona interamente, intelligenza compresa.
"La conoscenza divina di Dio (tou theou
gnosis) è quella che si acquisisce attraverso l'inconoscenza (agnosis)
in un'unione che si attua aldilà dell'intelligenza." (DN 872 A - B)
Il frutto essenziale dell'estasi è di spossessare
il mistico stesso, di alienarlo in Dio, attraverso l'abnegazione radicale del
nous (MT 976 - 1000 A). La cessazione di ogni attività fa nascere una conoscenza
transintellettuale. Qui ci sembra di intravedere un elemento basilare della
vita cristiana. Come afferma Cristo, il Padre dei cieli ha rivelato il mistero
del regno ai piccoli, e non ai sapienti ad agli intelligenti. (DN Il 7-8,645 B
- C - D) Questo significa che, come Dionigi dice ripetutamente, la conoscenza
razionale è sì importante, ma molto limitata nei confronti del mistero di Dio;
ciò che conta è questo slancio del cuore, questo uscire da sé‚ (exstasis)
questa tensione che termina con la comunione con il Dio Trinità. L'unione che
allora si sperimenta è l'Amore divino, l'abbandono totale all'Altro. Tale tipo
di conoscenza o esperienza mistica è un dono per i piccoli, per i poveri che si
riconoscono limitati e ignoranti. (Mt.11,25) Dionigi afferma:
"C'è una conoscenza divinissima di Dio quella che si ottiene
mediante l'ignoranza secondo l'unione, superiore all'intelligenza (nous). (DN
VII 872 A) (49)
Il mistico è il povero che si sottrae a se stesso
e nella conoscenza mistica si pone nell'unione. La dotta non conoscenza è una super-conoscenza.
L'ignoranza assoluta, presa nel senso migliore della parola, ci fa conoscere
colui che sorpassa ogni cosa conosciuta. (Ep. I 1065 A) Difatti le negazioni
nella conoscenza mistica hanno lo scopo di esprimere il contatto con Dio come
realmente è. La conoscenza culmina nell'amore; essa è nello stesso tempo mezzo
per arrivare a Dio, ma significa in Dionigi, come nella scrittura, l'esperienza
personale di comunione con il Dio eterno.
Questa comunione ha la peculiarità di non sopprimere La personalità del mistico, che si unisce attivamente a Dio, ma non ci si confonde con lui.
e. Il significato della tenebra divina
"Allora, dunque, Mosè si libera da tutte le
cose che sono viste e da quelle che vedono e penetra nella Caligine veramente
segreta dell'ignoranza, in cui fa tacere ogni percezione conoscitiva e aderisce
a colui che è completamente impalpabile e invisibile, appartenendo
completamente a colui che tutto trascende e a nessun altro, unito in modo superiore a Colui che è completamente sconosciuto, mediante
inattività di ogni conoscenza, e capace di conoscere al di là della
intelligenza con il non conoscere nulla". (MT I 3,1001 A)
La caligine o tenebra divina e' un simbolo che non si riferisce
all'amore, ma e specifico della conoscenza mistica strano il fatto che, dopo
aver escluso da questa conoscenza ogni immagine sensibile e le rappresentazioni
intellegibili, Dionigi ricorre ancora ad un simbolo per farci intuire ciò che
per definizione, sfugge ad ogni simbolismo.
Sebbene di tipo eminentemente negativo e trascendente, questo ricorrere
al simbolismo ci insegna qualcosa: non bisogna mettere in contrapposizione tra
loro le diverse forme di conoscenze
dionisiane.
Sottolineiammo inizialmente che il tema della tenebra mistica non appare
mai nei filosofi neoplatonici. Al contrario l'A.T. e il N.T. e le opere di
ispirazione giudeo cristiane non hanno smesso di utilizzare questa metafora.
Il termine greco skotos designa
propriamente l'oscurità, le tenebre. Questo termine in ambiente platonico ha un
senso dispregiativo: indica il contrario di scienza e santità. Anche Dionigi,
quando parla del battesimo (EH III 6,432 C-433 A), degli angeli (CH VII 1,205
Q), o del Bene come Luce (DN IV 5,700 D) che scaccia l'oscurità, usa il termine
di tenebre con un significato negativo: difatti male e oscurità vanno insieme,
come vanno insieme Bene e Luce (EH Il III 5,401 B; VI III 6,537 B).
Solo nella Teologia Mistica e nella lettera I il
senso privativo e peggiorativo di skotos si trasforma e diventa
sovrabbondanza ed eccelso di luce. Leggiamo un brano che esprime bene quello
che abbiamo detto:
"Le tenebre diventano invisibili di fronte alla luce, e più ancora
di fronte alla luce abbondante" (Ep. I l065 A).
Qui i termini che esprimono la tenebra divina diventano due: skotos e
gnofos. Gnofòs appare quasi esclusivamente nella Teologia mistica: questo
termine va inteso come trascendente ad ogni qualificazione della luce, e non in
senso negativo.
Il termine gnofos i Dionigi ha due significati: un significato
soggettivo,concernente l'attitudine dell'anima che contempla il mistero, e un
significato oggettivo relativo il carattere inaccessibile, dell'assoluta
trascendenza della luce divina. La tenebra figura il luogo e la modalità della
comprensione mistica; è l'assoluta trascendenza di Dio che impone la dottrina
delle tenebre.
Leggiamo in Teologia mistica I,2,1000 A che Dio "dimora nelle
tenebre come in un luogo di riposo", come nel Salmo 17,12, e così seguendo
anche l'Esodo 20,21, in cui la parafrasi rinforza il significato di:
"Colui che è al di là di tutto è
realmente nella nube" (TM I 3,1000 C).
Più chiaramente, nella EP V 1073
A, che commenta l'Esodo attraverso I Timoteo 6,16:
"La nube divina è luce
inaccessibile, nella quale si dice che abita Dio. Questa luce invisibile, a
causa del suo splendore supereminente, non si lascia penetrare, per eccesso
della sua effusione di luminosità soprasostanziale"
Un Dio assolutamente inaccessibile, invisibile, intangibile, innominabile
(D I 8,597 C), che sfugge ad ogni presa (DN I 2,588 C; IX 3,912 B) e ad ogni
determinazione (DN I 8,597 ; V 3,817 B; VIII 2,889 D): questo è il senso più elevato delle tenebre
dionisiane.
La tenebra divina non può essere riferita a nessun essere; il suo
carattere più essenziale risiede certamente in questa pura
"assolutezza", che nulla può scalfire (EP IX 3,1109 C) Dalla parte
del soggetto, la tenebra corrisponde a questo stato in cui, essendo sormontati
i sensi e l'intelligenza, il mistico racchiude la più elevata conoscenza di
Dio. Questa conoscenza, di nuovo tipo, non prende più niente in prestito dagli
elementi sensibili, né dalla realtà
discorsiva del pensiero.
E' per questo che Dionigi la definisce in senso negativo: essa è inconoscenza (agnosia).
L'inconoscenza differisce dall'ignoranza puramente privativa del profano o del
peccatore (agnoia). Perciò c'è una analogia tra le tenebre come assoluta
trascendenza e "l'incoscienza" che rigarla il mistico.
La tenebra nel mistico implica l'inattività, il
silenzio. In effetti solo questa rinuncia ai modi di conoscenza inferiori umani
può introdurre, il mistico alla vera scienza. In M 1001 A, Mosè penetra nella
tenebra dell'inconoscenza e attraverso questa all'unione con l'Assolutamente
inconoscibile, così arriva ad una conoscenza che supera l'intelligenza.
In questa esperienza divina l'assoluta trascendenza.
di Dio si impone al mistico e gli appare con una profondità sempre
maggiore, ma questo non toglie niente alla conoscenza mistica che, in quel
momento, è diventata comunione di vita, adorazione, rapporto interpersonale,
abbandono totale nell'amore.
CONCLUSIONE
Abbiamo considerato inizialmente il valore oggettivo che il Corpus
dionisiano ha in sé, indipendentemente dal mistero dell'autore e dalla realtà
storica in cui è stato scritto. Esso è un capolavoro di intuizioni metafisiche
e teologiche, e una sintesi unica, che è stata considerata nella storia della
teologia occidentale come un qualcosa di molto prezioso. Al di là della critica
storica moderna, che mette in dubbio la verità oggettiva del Corpus, noi
abbiamo visto il rapporto che lo scritto ha con la tradizione patristica
anteriore. Si è considerato quello che l'Areopagita ha attinto da Clemente e da
Origene, e a quali idee gnoseologiche esso si oppone.
Poi si è sottolineato il rapporto di forte dipendenza del Corpus dalle
poderose sintesi teologiche di Basilio e Gregorio di Nissa. Dai due
cappadoci Dionigi ha attinto il
concetto importantissimo "noi conosciamo Dio nelle sue manifestazioni (dynamis),
non nella sua essenza (ousia)". Questa fondamentale distinzione
salvò l'originalità della rivelazione cristiana. Infatti Dio, che ha creato il
mondo ed è sempre intervenuto nella storia della salvezza, è anche il Dio che
trascende totalmente la realtà creata. Abbiamo trattato poi, secondo lo schema
gerarchico come Dio conosce il mondo, qual'è la caratteristica della conoscenza
angelica, e il ruolo degli angeli nella trasmissione dei misteri divini
all'uomo.
La S. Scrittura come unica fonte della vera gnosi,
è un dono di Dio. L'evento Cristo compie l'antico patto e innalza l'uomo alla
conoscenza del Padre; come nella bibbia, così nel Corpus la conoscenza di Dio
non si svolge in un contesto di scienza, ma in un contesto essenzialmente religioso, che coinvolge non solo
l'intelligenza dell'individuo, ma tutta la sua persona, specialmente volontà ed
affettive Secondo Dionigi la conoscenza umana di Dio nel suo limite e nella sua
capacità è situata sempre in un contesto liturgico e di preghiera. Tale conoscenza
si specifica in tre stadi che costituiscono il cammino verso l'unione con Dio.
La conoscenza simbolica si situa in un
"cosmo" creatura di Dio, che esprime in sé‚ una bellezza trascendente
e perciò rimanda al suo creatore. Il mondo diventa simbolo, segno, velo del
mistero di Dio. Come creatura il cosmo ha partecipato alla realtà del peccato
dell'uomo e perciò non deve essere assolutizzato, altrimenti si rischia di
farlo diventare un idolo. Tutto questo richiede all'uomo di elevarsi
intellettualmente attraverso i nomi intellegibili che la Scrittura attribuisce
a Dio (Bene, Amore, Bello, ecc.) arrivando ad una conoscenza più elevata del
mistero.
Ma Dio è al di là anche dell'idea, per questo non bisogna assolutizzare
in concetto, in quanto ci può ingannare. Bisogna anche riconoscere i limiti
della ragione, in quanto se da una parte essa e' un dono di Dio, dall'altra non
ci porta direttamente a Lui. Rimane per Dionigi la validità di un altro tipo di
conoscenza che si distacca sia dal mondo dei sensi che dal mondo del pensiero.
Questa gnosi è per sua natura estatica (ex-tasis uscire da), per amare l'Altro.
La gnosi mistica si basa sulla povertà dell'uomo,
sulla sua limitatezza, perciò come l'Amore divino, deve amare e non pensare più
a se stesso. L'esperienza chiave è quella di Mosè: egli entra nella nube (o
caligine) per incontrare Jahve. Nella conoscenza mistica c'e' un elemento
fondante; si conosce Dio nelle tenebre. Le tenebre esprimono una verità
sull'uomo, la sua incapacità; è una verità su Dio, la sua assoluta
trascendenza. Quello che ci sembra che sia stato il filo conduttore della tesi
ora si realizza. La conoscenza mistica porta all'estasi, l'estasi porta
all'amore di Dio nelle tenebre: qui si ha l'esperienza del Dio che trascende il
mondo e Dio si unisce veramente e profondamente con il mistico. La conoscenza
diventa rapporto mistico con il Dio trinitario, esperienza concreta, incontro
personale, in cui l'uomo, esclusa la perdita della sua identità, trova la vera
salvezza.
BIBLIOGRAFIA
LE FONTI
Testo
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riprodotta l'edizione di Anversa (1634) di B.Cordier, con una traduzione latina
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Traduzione
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[1] Adottiamo le seguenti sigle per i titoli delle opere del Corpus: i) De caelesti hierarchia = CH; De Ecclesiastica hierarchia = EH; De divinis nominibus = DN. De mystica theologia = MT; Epistolae = Ep; La traduzione italiana di P. Scazzoso a cui si fa continuamente riferimento: Dionigi Areopagita. Tutte le opere, Milano 1983, introduzione, prefazione e note di E.Bellini. Per le abbreviazioni della Bibbia vedi versione CEI.
[2] H. Koch, Peudo-Dionyius Areopagita in seinen Beziehungen zum
Neoplatonisius und Mysterien
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Neuplatonker Proclus als Vorlage des sogenannten Dionysius Aeropagita in der
Lehre von Ubel, in Hist. Jhb. d. Gozzesges 16, Munchen 1895
[3] A. Nygren, Eros e Agape, Bologna 1971, pp. 589-607
[4] cfr Lossky, La teologia mistica della chiesa d'Oriente, Bologna 1967, pp. 354 ss.
[5] H. De Lubac, Esegesi medioevale, Roma 1972, vol. Il p. 1659 ss.
[6] Tommaso D'Aquino, La conoscenza di Dio, Padova 1982, introduzione di M.D. Chenù p. 29 ss.; anche M.D.Chenù, La teologia nel Medioevo, Milano, 1972. pp.136-142
[7] H.U Balthasar in Gloria Una estetica teologica, Il: stili ecclesiastici, I'Milano 1978, pp. 128
[8] S.Lilla, Introduzione allo studio dello ps. Dionigi Areopagita, 'Augustinianum’ 22/1982, 533-537.568-571
[9] J. Danielou, Nuova storia della Chiesa, Torino 1980, V.1, pp 172 s.
[10] L. Bouyer, j, Spiritualità dei padri, Bologna 1968, p. 166
[11] P.N. Evdokimov, La conoscenza di Dio secondo la tradizione orientale, Roma 1983, pp. 43 ss.
[12] Origene, Commento al Cantico dei Cantici, Roma 1982, a cura di M.Simonetti, pp 57 ss.
[13]
Questo passo è tratto dalla
Lettera ad Anfiolochio, Epistola CCXXIV p. 32 coll. 869, cosi anche
altri, testi nel Contra Eunomium
1,6 p. 29, coll. 521-524; Il, 4 coll. 577-588; 11, 32 coll. 648; in Lossky o.c. pp. 310 ss.
[14] Hom quod est Deus
6, PG 31 Col. 344B ivi p. 314
[15]
J. Danielou, Mystigue de la tenebre chez Gregoire de Nysse in Dictionnaire
de Spiritualitè voll. 2 1954 coll. 1872-l85,
[16] in Gregorio di Nissa,La vita di Mosè, traduzione, introduzione e note di M. Simonetti, Vicenza 1984, le citazioni dei capitoli si riferiscono a questa opera. II,15 p. 71.
[17] ivi I,10 p. 13
[18] Losky V.,o.c. p. 337
[19] Centurie IV,50 p 377
[20] I Centuria 27.
[21]
III Centuria, 86 ivi p.
336
[22] PG40,1275C
[23] Practicos 1, 71; P t. x L col. 1244A
[24] III Centuria 3,5 ivi p.337
[25] IV Centuria 84 p. 338
[26] S. Bonaventura, L'ascesa a Dio, itinerarium mentis in Deo, Milano 1984