Agostìno Aurèlio (Tagaste
354-Ippona 430).
Santo e dottore della Chiesa Figlio di un modesto possidente, Patrizio, di religione pagana,
e di madre cristiana, Monica, studiò a Madaura e a Cartagine; non ancora
ventenne ebbe un figlio, Adeodato, dalla relazione con una donna da lui
abbandonata solo quindici anni dopo. Professore di eloquenza a Tagaste e a
Cartagine, aderì alla setta dei manichei, che seguendo la teoria dei due
principi opposti di Bene e di Male approfondivano la tematica della corruzione
del mondo e del male morale e cosmico. Dal manicheismo A. si staccò
ufficialmente soltanto dieci anni più tardi, allorché era professore a Milano,
sotto l'influsso del vescovo Ambrogio. La notte di Pasqua del 387 fu battezzato
dallo stesso Ambrogio assieme all'amico Alipio e al figlio Adeodato. Decise
quindi di tornare in Africa. A Ostia gli morì la madre, che l'aveva
costantemente seguito e che ebbe non piccola parte nella sua evoluzione verso il
cristianesimo. Nel 391 fu ordinato sacerdote, nel 395 eletto vescovo d'Ippona,
dove svolse un'intensissima attività pastorale e di studio fino alla morte.
Secondo la tradizione le sue ossa riposano a Pavia nella basilica di S. Pietro
in Ciel d'Oro. È festeggiato il 28 agosto. IL PENSIERO DI S. AGOSTINO A. fu
spinto da giovane a coltivare la filosofia dalla lettura di un'opera di Cicerone
per noi perduta, l'Hortensius; e i suoi primi libri, composti nel 386 nel ritiro
di Cassiciacum (forse Cassago, in Brianza), in attesa del battesimo, sono di
natura schiettamente filosofica, attestante un forte influsso neoplatonico: i
dialoghi Contra academicos, De vita beata, De ordine. Poco dopo il battesimo, a
Milano, scrive invece una sorta di esame di coscienza in due libri, non portati
a termine, dal titolo Soliloquia. Entrata ormai nell'ambito pieno del
cristianesimo, la sua attività di scrittore si sviluppa in gran parte sul fronte
della polemica contro le eresie pullulanti soprattutto nell'Africa
settentrionale. L'importanza di A. nel rifiuto di certe teorie e nella
formulazione diversa di certi dogmi o norme morali è per questo immensa. Prima
venne la lotta contro i manichei (De libero arbitrio, De magistro, De vera
religione, De utilitate credendi e, più tardi, Contra Faustum) centrata sul tema
della Verità. Essa risiede nell'animo dell'uomo, salda e immutabile contro la
mutevolezza del mondo esteriore; il Bene è l'unica realtà davvero esistente e
tutto quanto esiste è bene, mentre il Male è, all'opposto, l'assenza di essere,
non è; nell'uomo è la mancanza di capacità a conformarsi pienamente al volere
del Creatore. La novità di A. consiste nel riprendere questi temi di origine
platonica e neoplatonica alla luce della concezione cristiana. Da questo punto
di vista la vita interiore e intellettuale è resa possibile dalla luce divina
che è dentro noi ed è la fonte della fede e al tempo stesso di una ricerca
inesauribile diretta a enuclearla nella sua purezza: questa concezione (teoria
dell'illuminazione) porterà A. alla formula del credo ut intelligam. A. andò
sempre maggiormente prendendo coscienza di questa novità del suo pensiero, così
come della «novità» del cristianesimo attraverso l'approfondimento della
problematica religiosa che la partecipazione alla vita attiva della Chiesa gli
impose. In Africa egli si trovò di fronte allo scisma dei donatisti, che
legavano la validità dei sacramenti alla purezza della vita di colui che li
amministrava e negavano ogni gerarchia ecclesiastica: li combatté con una serie
di opere (Psalmus contra partem Donati, De Baptismo, Contra epistulam Petiliani,
De unitate Ecclesiae) e con interventi ai concili di Cartagine del 403 e 411,
affermò la validità dei sacramenti indipendentemente dalla persona che li
amministrava e ribadì i diritti della Chiesa di Roma. La terza polemica, contro
i pelagiani, fu la più importante e quella che impegnò A. nel problema più arduo
della morale cristiana: il rapporto fra grazia e libero arbitrio. Contro la
negazione di Pelagio che il peccato originale avesse intaccato radicalmente la
libertà originaria dell'uomo e quindi la sua capacità di fare il bene, A.
sottolineò energicamente la necessità della grazia divina per la salvazione: la
natura umana, di per sé corrotta, non merita che la dannazione e solo la
misericordia divina in Cristo, che liberamente concede al di là di ogni calcolo
umano la grazia santificante, può restaurarla. Le tesi dibattute nella polemica
antipelagiana, in cui A. fu portato talora ad accentuare un aspetto del
problema, daranno luogo a discussioni teologiche che ancor oggi non sono
esaurite: «La concezione pessimistica della condizione umana, che già prima di
A. aveva alimentato tutto un filone del pensiero cristiano d'Africa
(Tertulliano, Arnobio) e che in A. era stata rinforzata dall'esperienza
manichea, lo ha portato al di là delle posizioni paoline interpretate nel senso
più rigido, fino a un punto in cui l'insegnamento della Chiesa non lo ha potuto
più seguire » (M. Simonetti). Tra le opere in proposito del «dottore della
grazia» ricordiamo De peccatorum meritis et remissione et de baptismo
parvulorum, De spiritu et littera, De natura et gratia, Contra Iulianum.
L'intervento più alto di A. nella dogmatica cattolica è costituito peraltro dal
trattato De Trinitate, in 15 libri, degli anni 400-416. Dimostrata dapprima la
unità e l'uguaglianza delle tre Persone sulla base della Scrittura e sostenuta
l'identità della loro sostanza, A., dopo un approfondito discorso teologico,
conclude nell'ultimo libro che quaggiù si può soltanto adombrare debolmente il
mistero: la Trinità divina ci sarà veramente chiara dalla futura visione «faccia
a faccia». Fra le opere esegetiche di A. primeggiano, anche per mole, le
Enarrationes in Psalmos; degli scritti pastorali numerosi sono i Sermones. Da
ultimo citiamo i suoi due scritti più famosi: Confessiones e De Civitate Dei. Il
primo, scritto in 13 libri, dal 397 al 400, è un ripensamento della vita di A.
dalla nascita alla conversione, sotto la luce del rapporto fra uomo e Dio, e
risulta un libro di intima emozione, in cui si alternano in modo a volte
sconcertante i fatti con le discussioni psicologiche, filosofiche, esegetiche
(sul tempo, la memoria, l'interpretazione delle Scritture, ecc.); si mescolano
stili raffinati e invenzioni letterarie a espressioni immediate del sentimento
riuscendo così una delle opere più sconvolgenti e moderne dell'antichità, che
non ha mai cessato di attrarre i lettori in ogni tempo. Nel De Civitate Dei si
dibatte invece la storia di tutto il mondo. L'opera fu composta negli ultimi
lustri della vita di A. per difendere il cristianesimo dall'accusa dei pagani di
essere la causa della rovina dell'impero, accusa rinnovata con particolare
vigore dopo il sacco di Roma a opera di Alarico (410). L'autore stesso ne
riassume in questo modo i 22 libri nelle Retractationes: «I primi 5 libri
tendono a confutare quei tali che sostengono necessarie alla prosperità del
mondo la venerazione di molti dei..., e che le presenti calamità derivano
dall'abbandono di questo culto. I 5 seguenti sono rivolti contro coloro che
riconoscono come questi mali non mancarono mai..., ma che il culto di molti dei
e il far loro sacrifici sono utili per la vita futura... I 4 libri seguenti
contengono l'origine delle due città, delle quali l'una è il Regno di Dio,
l'altra il regno di questo mondo; i 4 seguenti descrivono il progresso e lo
sviluppo delle due città..., mentre gli ultimi 4 descrivono il loro destino
finale ». L'opera è dunque una vera e propria teologia della storia. La storia
umana è la storia della lotta tra la Terra e il Cielo: l'amor sui che portato
sino al disprezzo di Dio genera la città terrena e l'amor Dei che portato sino
al disprezzo di sé genera la città di Dio. Le due città coesistono sulla Terra
mescolate insieme sin dall'inizio della storia umana e saranno divise solo dal
giudizio finale. PEDAGOGIA AGOSTINIANA La posizione pedagogica di A. si ricava
essenzialmente dal De magistro, dal De catechizandis rudibus e, in tono minore,
dalle Confessiones e dalle Epistole. Il principio della «verità interiore», tema
fondamentale della sua speculazione filosofica, resta valido anche
nell'educazione. Il compito dell'educatore è di portare alla luce la verità che
esiste nell'animo umano ed è segno della presenza divina nell'uomo. Quindi il
vero Maestro, il solo Maestro, è Cristo. L'opera dell'educatore, del maestro
esteriore, ha solamente il compito di preparare l'ambiente all'azione del
«Maestro interiore», del Verbo (audiam quid loquatur in me Dominus Deus), e di
disporre il campo per l'irrorazione della grazia. Se per A. la conoscenza delle
discipline liberali (grammatica, dialettica, retorica, ecc.) è necessaria come
processo purificatore e formativo per l'anima, la conoscenza delle verità
religiose è invece indispensabile e deve essere attuata anche nelle menti più
umili. A questo punto viene analizzata l'opera educativa che deve essere vitale
e lontana dai formalismi delle istituzioni: il maestro deve accostarsi
all'educando con amore e umiltà e così facendo realizza e perfeziona se stesso,
vivificando anche gli aspetti più semplici e consueti del compito educativo.
MUSICA Le esigenze della liturgia indussero il solerte vescovo d'Ippona a
dedicare alla musica un trattato (De musica, in 6 libri), compiuto nel 389 e
riguardante la musica liturgica antica (specie da un punto di vista ritmico e
metrico), con accenni alla pratica musicale del tempo. S. AGOSTINO NELLA STORIA
DELLA CULTURA In un giudizio complessivo su A. e sulla sua opera dobbiamo dire
che la vastità della cultura, l'altezza dell'ingegno, la vivacità del
temperamento ne hanno fatto non solo uno dei geni più alti del cristianesimo, ma
uno degli scrittori più grandi d'ogni tempo. Dal punto di vista, infine,
teologico e storiografico, il suo apporto è fondamentale non solo per la
comprensione di tutto il pensiero medievale ma anche di quello di buona parte
della Riforma protestante.