LA CHIESA
DEL NUOVO TESTAMENTO E LA COMUNITÀ DI
QUMRAN
Identità e
distinzione nel manoscritto della Regola della guerra
INTRODUZIONE
Nel 1947 si ha la
sensazionale scoperta delle grotte di Qumran (sulle sponde nord-occidentali del
Mar Morto), che ha portato alla luce antichi manoscritti appartenenti a una società religiosa; mai si era avuta una scoperta del
genere, e mai i semitisti si erano trovati di fronte ai documenti così antichi
di una lingua tuttora viva, appartenente a un periodo pressoché totalmente
oscuro della sua storia, un’epoca gravida di eventi di portata universale, come
la perdita dell’indipendenza nazionale e la
dispersione forzata del popolo ebraico da una parte e la nascita del cristianesimo
dall’altra.
Questa comunità monastica è identificata da una stragrande
maggioranza di studiosi con la setta degli esseni. In effetti
il luogo di Qumran, corrisponde alla località descritta da Plinio il Vecchio
(79 d.C.) e da Filone (45 d.C.) nel suo libro sull’Apologia degli Ebrei e anche
Giuseppe Flavio nella sua Guerra Giudaica scritta verso il 75 d.C. (II,
119-161) ci offre dei dati che in generale si armonizzano bene con i contenuti
dei nostri manoscritti[1] .
I
documenti sono scritti in ebraico ed in aramaico. Questi manoscritti hanno
un’importanza enorme anche per il sorgere del cristianesimo, per questo abbiamo
pensato che sia fecondo uno studio di comparazione con lo scritto della Regola della guerra, in cui possiamo trovare un florilegio di definizioni
della società religiosa essena. Sugli stendardi, sugli scudi, sulle trombe,
l’autore ha posto dei titoli che manifestano l’autocoscienza della comunità, il
concetto che essa aveva di sé. Ci limiteremo a questo testo e a una comparazione terminologica con il primo cristianesimo
e con i dati che ci fornisce il N.T. a riguardo, perché fare uno studio su
tutti i manoscritti di Qumran richiederebbe un tempo molto più lungo; ciò esula
da questo studio. I manoscritti saranno ugualmente citati per confermare delle
idee teologiche di fondo.
Faremo
poi alcune considerazioni teologiche sulle definizioni più importanti per
cogliere le identità e le distinzioni fra questi due movimenti religiosi.
A noi sembra fondamentale per capire
la vita della chiesa del N.T. un confronto con la comunità essena, in questo
modo siamo spinti a cogliere le caratteristiche specifiche del cristianesimo, cioè l’essenza della chiesa che la distingue da qualsiasi
altra realtà religiosa, ma anche vedere le similitudini con il suo ambiente
storico culturale dove essa è vissuta e si è sviluppata, perciò il rapporto
molto stretto con il giudaismo, dal quale viene ma nello stesso tempo si
distacca superandolo.
NOTE STORICHE E METODOLOGICHE
(Per un approccio critico al manoscritto della Regola
della guerra).
Il manoscritto proviene dalla I
grotta di Qumran e consta di diciannove colonne, il rotolo è di pelle,
in pessimo stato. Fu acquistato nel 1947 per conto dell’Università ebraica di
Gerusalemme, presso un antiquario di Betlemme.
Lo scopo principale dell’autore era di
provvedere la setta di norme e piani particolareggiati per quella “guerra di
sterminio dei figli delle tenebre” (I, 10) decisa da
Dio da molto tempo e ora prossima a realizzarsi, che durerà circa 40 anni.
Fonti di questo libro sono la letteratura bellica e in particolare i testi
escatologici e apocalittici; il testo stilisticamente più vicino è il libro del
profeta Daniele, ma l’autore si basa anche su testi normativi del Pentateuco
(le trombe II, 16, insegne III, 13, la battaglia X, 5) e sul libro dei Maccabei.
L’idea fondamentale della regola è che l’autore crede alla
divisione dell’umanità in due settori: quello dei figli della luce, al quale
appartiene la sua setta e tutto il suo popolo, e quello dei figli delle tenebre
al quale appartengono tutti gli altri popoli della terra. Crede nell’imminente
scontro dei due settori; i figli della luce, rispettando le norme della regola,
con l’aiuto degli angeli e l’intervento diretto di Dio distruggeranno i figli
delle tenebre con il loro capo Belial. Il problema della datazione del
manoscritto oscilla secondo gli studiosi dal I sec.
a.C. al 70 d.C.: il cercare di specificare l’età,
porta a delle ipotesi di studio più o meno fondate, la questione perciò rimane
ancora aperta, si avranno più dati alla pubblicazione dei nuovi frammenti[2].
Per un approccio critico ai manoscritti di Qumran e
per fare un’equilibrata comparazione fra i due movimenti, bisogna fare alcune
riflessioni di metodo sulle loro
strette relazioni e dissomiglianze. Prima di tutto mettere in
guardia contro la facilità ingenua di ritenere influenze dirette quelle che
possono essere soltanto manifestazioni indipendenti di tendenze comuni in
quell’epoca. Certo tra il N.T. e gli scritti scoperti a Qumran si incontrano numerosi accostamenti, però gli incontri non
sono altro che ricorsi paralleli a fonti comuni, e molto spesso la fonte comune
non è altro che l’A.T.
Certo
ci può essere stato un influsso diretto di Qumran sul cristianesimo, ma sembra
che questo non si sia esercitato fin dalle origini; può essere un influsso
esercitato in un secondo tempo e che avrebbe soltanto aiutato il nuovo
movimento a formarsi e non a crearsi. Questi influssi sono secondari e perciò
non costituiscono assolutamente l’essenza del messaggio cristiano, in più essi sono profondamente trasformati dall’uso che ne vien
fatto, perché messi al servizio di un dato nuovo e originale. Queste sono le
linee metodologiche direttive in questo studio di comparazione fra
l’autocoscienza della comunità di Qumran e
l’ecclesiologia del N. T.[3].
COMPARAZIONE
TERMINOLOGICA
FIGLI DELLA LUCE I QM I,1.9.12.14.15; II,17; XIII,16; XIV,17;
XVII,16 = Lc 16,8; Gv 12,36; 1Ts 5,5.
POPOLO di
Dio I QM I,5; III,13; XVI,15; XVIII,7; della
redenzione I,13; santo XII,1; X,9.11; XIV,12; di santi X,9-11; eterno XIII,7.9;
della liberazione XIV,4-5; XI,14; XVII,14 = At 15,14; 18,10; Rm 9,25; 2Cor
6,16; Tt 2,14; Eb 8,10; lPt 2,9.10; 2Pt 2,1; Ap 5,9; 18,4; 21,3; Mt 21,43 imp..
I SANTI I QM VI,6;
VIII,8; III,5; X,8; XII,7; XVI,1; XV,14; = At 9.32; Rm 1,7; 8,27; 15,25; 1Cor
1,2; 6,2; 14,33; 2Cor 1,1; 8,14; Col 3,12; Ef 3,5; 5,26.27; 6,18; 1Ts
5,23; 2Ts 2,13; lPt 1,15; 2,9; Gd 3; Ap
14,12 imp..
COMUNITA’ DI DIO (o assemblea) I QM XIII,16; XII,7; IV,9; V,l;
XII,9; II,16; XII,2; = Mt 16,18; 18,17 imp.; At 5,11; 8,1; 9,31; 12,l5; 13,1;
14,23.27; 15,22.41; 18,22; 20,17; Rm 16,1; 1 Cor 1,2; 10,32; 11,16.18.22;
12,28; 14,33; 15,9; Gal 1,13; Ef 1,22; 3,21; 3,10; 5,24.27.32; Col 1,18.24; 1Tm
3,15; Ap 1,4; 2,1.7.12.
PARTITO DI DIO
I QM XV,l; della redenzione XVII,6; XIII, 5; XVII,7;
della luce XVII,5 = At 28,23.
I CHIAMATI DI DIO (o convocati) I QM III,2; IV,9 = Lc 9,l; Mt
15,10.32; Mc 3,23; 7,14; 10,42; At 6,2; Rm 1,7; 8,28.30; 9,24; 1Cor 1,2.9;
7,15; Gal 1.15; Ef 4,4; Fil 3,14; 1Ts 2,12; 4,7; 2Ts 2,14; 1,9; Eb 5,4; lPt 1,15; 5,10.29; Gd
1; Ap 19,9.
RESTO, SUPERSTITI I QM XIII,8;
XIV,8.16 = Rm 9,27; 11,6.
ISRAELE I QM
III,14; VI,6; popolo di X,9; XIV,4; XVI,1 XVII,7.8;
XVIII,3 = Gal 6,16.
I POVERI I
QM XI,13.9; XIII,14;
XVIII,8; umili XIV,7 = Mt 5,3; 11,5; Lc 4,18; 6,20; 7,22; Rm 15,26; 1Cor
6,10; 2Cor 9,3.
UDITORI DELLA VOCE DI DIO I QM X,10-11= Mt 17,5;
22,33; Mc 4,3; 9,7; 12,37; Lc 5,1; 6,47; 10,16; Gv 10,3.27; Rm 10,17; Ef 1,13;
Col 1,5.23; 1Ts 2,1; lGv 1,1.5; 2,24; Ap 3,20 imp..
BENEDETTI DI DIO I QM III,15; = Mt 25,34; Gal 3,9; Ef 1,3.
DIO HA RADUNATO
I QM III,15 = Mt 18,20; 23,37; 24,31; 25,32; Lc 13,34;
Mc 4,1; 5,21; Lc 12,1; Mc 6,30; Gv 18,2; Mc 13,27; Gv 11,52; At 13,44; 14,27;
15,6; 20,6; 2Ts 2,1; Ap 19,17.
SEPARATI PER DIO I QM XIIII,9 = vedi “i santi”.
Le
altre definizioni che ci sembrano meno importanti le elenchiamo
qui di seguito, senza entrare in un’analisi particolareggiata: CONTRIBUTO PER DIO I QM IV,1; ACCAMPAMENTI DI DIO; TRIBÙ DI DIO; FAMIGLIA DI DIO; REPARTI DI
DIO; ASSEMBRAMENTO DI DIO; ESERCITI DI DIO I QM IV, 9-11.
CONSIDERAZIONI TEOLOGICHE
Figli della luce
La definizione di “figli della luce” che si trova
spessissimo sia nel manoscritto della Regola della guerra che negli altri
documenti, sembra che stia molto a cuore alla comunità di Qumran. In questo contesto il
termine figlio è un semitismo che significa suddito, adepto, partecipe di. Gli
adepti di Qumran sono figli della luce, c’è per loro un’opposizione fortissima
fra luce e tenebre, simboli del bene e del male, un dualismo che oppone questi
due imperi in lotta fin dall’inizio. Questo tema del dualismo è centrale nella
dottrina essena, che anticipa sviluppi gnostici posteriori (I QS III,13-IV,26). La figliolanza, secondo la mentalità di Qumran,
è in senso di essere suddito, appartenere a questo
partito della luce; si può parlare quindi di un concetto di figliolanza
analogico, come un modo di partecipare alla luce, essere di un partito ed è
perciò in un senso molto generico.
Anche
nel N.T. molte volte i discepoli di Gesù sono chiamati figli (Mt 5,45; Le
20,36; Rm 8,14.15; Gal 3,26; 4,6; Ef 1,5) e figli della luce (Lc 16,8; Gv
12,36; lTs 5,5), però in un senso profondamente
diverso e nuovo. La figliolanza cristiana ha una sua origine ben precisa: Gesù
Cristo, che è il Figlio e che ha rivelato questo sommo mistero, di unica relazionalità con il Padre dei cieli ai discepoli
(Mt 11,27; Lc 10,22; Gv 1,18). Solo chi accoglie nella fede il Figlio
unigenito, il Verbo della vita, è trasformato e diventa figlio di Dio (Gv
1,12). E’ nella potenza dello Spirito del Figlio che possiamo gridare “Abbà,
Padre” (Rm 8,14; Gal 3,16.26-29)[4] .
Il N. T. sottolinea
l’aspetto personale della figliolanza divina che è un accettare liberamente il
Figlio che ci rende figli, lontano perciò dal predeterminismo dualistico che
troviamo negli esseni (I QS IV,24-25; I QM XIII,9-12).
L’opposizione tenebre-luce si trova
spesso in Paolo (nelle lettere più antiche: 1Ts 5,1-10 e in quelle più recenti:
Col 1,12-13; 5,6-14 ed anche in 2Cor 4,6; 6,14; Rm 2,19; 13,11-13). Nella maggior
parte dei testi il tema si pone in un contesto di
crisi escatologica, di opposizione dualistica tra due campi diversi (2Cor
6,14), ma la differenza radicale è la scadenza escatologica. A Qumran l’ora
della lotta deve ancora venire e resta indeterminata, per Paolo si è realizzato
già un evento decisivo che ha cambiato la storia: è il Cristo che con la sua
morte e risurrezione ha vinto definitivamente le tenebre (1Ts 5,8-10; 2Cor
4.4-6). Per S. Giovanni, Cristo è la luce venuta nel mondo per vincere le tenebre
che regnavano: “Io sono la luce del mondo, chi segue me
non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. (Gv 8,12; 9,5)
”Finché avete la luce credete nella luce e diverrete figli della luce”. (Gv
12,46).
Così
solo chi crede a Cristo luce del mondo e lo accoglie diventa figlio della luce.
Perciò essere figlio della luce, per il N.T., non
significa appartenere ad un partito eterno della luce per decisione necessaria
da parte di Dio, come si pensava a Qumran (I QM XIII,9-12), ma è una libera scelta
di fede, è amare una persona che è Gesù Cristo in se stesso luce, verità e
vita.
In
alcuni testi paolini si parla di armi della luce e di
una lotta da parte dei cristiani (Ef 6,11-12; Rm 13,12), ma è ben diverso dal
senso bellicistico e violento che trasuda dal documento della Regola della
guerra; qui Dio è guerriero, lotta per i figli della luce contro i Kittim (I QM
I,1.4), che vengono di norma interpretati come i greci e i romani, ma qui si
tratta di un vero e proprio scontro fisico[5] .
Concludendo,
se anche si possono trovare delle identità a livello terminologico fra la
chiesa e Qumran, c’è una differenza di contenuto. L’originalità del
cristianesimo può essere spiegata solo con un intervento di rivelazione da
parte di Dio nuovo ed unico. E’ importante però notare che anche se solo a
livello terminologico e con un’idea molto relativa della figliolanza, è positivo che in quel periodo così fecondo che fu l’inizio
dell’era cristiana anche in un altro gruppo religioso giudaico si sentisse
l’esigenza di riscoprire la dimensione filiale identificandosi con essa; questo
denota una sensibilità religiosa e un’intuizione della comunità di Qumran
veramente pregevole, sviluppata dallo studio assiduo dei libri sacri dell’A.T.,
ma questa realtà della figliolanza sarà capita e vissuta solo con l’evento Gesù
Cristo.
Popolo di Dio
Già
nell’A.T. Jahvé si era scelto un popolo (am Jahvé) che aveva fatto suo con
l’alleanza del Sinai (Es 24,1-11; 19,3-8). Israele appartiene a Jahvé perché
egli lo ha scelto fra tutte le nazioni: “Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro
Dio e voi sarete il mio popolo” (Lv 26,12)[6]. La
comunità di Qumran si definisce e si identifica con il
popolo di Dio. Essi intendono essere il popolo dell’alleanza del Sinai: siamo
di fronte a un ritorno con forza all’antico regime,
alla legge di Mosé; perciò è un ritornare indietro all’ideale popolo
dell’esodo. Anche il Maestro di giustizia come ultimo profeta cerca nel ritorno
integrale all’alleanza di Mosé il senso unico della costituzione del popolo (I QS I,1-11; VIII,15-16), contro il giudaismo istituzionale
del tempio di Gerusalemme che ha tradito la sua vera vocazione all’alleanza con
Dio. Siamo qui di fronte a un movimento religioso
giudaico integralista e tradizionalista, desideroso di tornare alla pienezza
della legge antica.
Nel
N.T. c’è una realtà nuova che non è rivolta alla vecchia alleanza con
nostalgia, ma è garante di una nuova alleanza, annunciata dai profeti (Ger
31,31ss; Ez 37,26) e compiuta dal sangue di Cristo sparso sulla croce, con uno
Spirito nuovo effuso su un nuovo popolo santo (Is 62,12). La novità che questo
nuovo popolo della nuova alleanza non è ristretto al solo Israele o a un partito eletto, come pensavano gli esseni, ma a tutte
le nazioni; entra in causa l’universalismo che è un’idea genuinamente
cristiana, presente nell’A.T. (Ger 4,2; Is 2,2) sviluppata e compiuta nella
chiesa. Bellissima l’affermazione di Paolo su questo tema: “Non c’è più Giudeo
o Greco; non c’è più schiavo o libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti
voi siete uno in Cristo Gesù’ (Gal 3,26-28; 1Cor
12,13; Col 3.11).
Mentre il giudaismo non riuscì mai a superare una certa
ristrettezza particolaristica, il cristianesimo ha come obbligo di raccogliere
nel mondo “i figli dispersi di Dio” (Gv
11,52). Per la chiesa non c’è alcun particolare impedimento (At 8.36) per
l’accoglienza delle genti: sacerdoti (At 6,7), farisei (At 15,5), ebrei e ellenisti (At 6,1),
stranieri (At 8,26-40), infine samaritani (At 8,4-8) e pagani (At 10;
11,15-24), furono accettati allo stesso modo con l’unica condizione di credere
al Cristo risorto.
Il
N.T. per definire la comunità della salvezza preferisce usare il termine
ekklesìa (assemblea cultuale), invece di laòs (popolo), tuttavia la chiesa di
Cristo è veramente un popolo, con tutte le risonanze che il termine contiene.
Essa è vero popolo: “una nazione santa, un popolo acquisito... voi che un tempo
non eravate un popolo e che ora siete il popolo di Dio” (1Pt 2,9-10; Rm
9,25-26)[7] .
I santi
Nella tendenza alla santità
gli esseni di Qumran e i fedeli di Cristo, visti dal di
fuori, sono abbastanza vicini. La stessa autodefinizione di “i santi” ci può
far capire un certo parallelismo terminologico. Sia a Qumran
che nel cristianesimo primitivo si ha un radicalismo nel compimento della volontà
di Dio, una severità morale. Nella comunità essena si ha
un “inasprimento della Torà”: tutte le prescrizioni della legge devono
essere osservate. Un duro codice penale (I QS VI, 24 fino a VII,5) mantiene la disciplina tra gli “uomini della santità”. Proprio se si considera la rigorosità casuistica e la severità
disciplinare degli esseni, si noterà la profonda differenza con il primo cristianesimo.
Gesù si differenzia da tutto il giudaismo di allora. Caratteristiche di lui
sono la libertà di fronte alle prescrizioni del sabato o di purità legale (Mc
7,18-23) e la ricapitolazione di tutti i precetti al comandamento principale
dell’amore di Dio e del prossimo. Ugualmente la novità dell’amore verso i
nemici (Mt 5,48) è un’idea completamente opposta al pensiero di Qumran[8].
La
differenza tra la “santità” di Qumran e quella dei primi cristiani è fondata su
qualcosa di più profondo che non un tipo di ascesi
morale. Nella chiesa ogni santificazione avviene in “Gesù Cristo” (1Cor 1.2), nel lavacro del battesimo attraverso la
comunicazione dello Spirito Santo (1Cor
6,11).
La chiesa può affermare che
Cristo l’ha amata e ha dato se stesso per essa, per
santificarla mentre la purificava nel lavacro dell’acqua per mezzo della parola
(Ef 5,25s).
I bagni di immersione
e le purificazioni cultuali in Qumran non possedevano l’importanza salvifica
che aveva il primo sacramento cristiano, per il quale il credente attinge la
partecipazione alla redenzione istituita nel sangue di Gesù (Rm 5,9; Ef 1,7; Eb
9,11-14; 10,19s; 1Pt 1.2.18s; lGv 1,7; Ap 1,5): “Noi siamo santificati
dall’oblazione del corpo di Gesù Cristo” (Eb 10,10). Così anche le varie
benedizioni sui cibi e i pasti cultuali degli esseni sono lontani
essenzialmente dalla celebrazione eucaristica cristiana, che è il partecipare
al corpo e al sangue di Cristo (1Cor 10,16) e il
cibarsi della carne e del Sangue del Figlio dell’uomo glorificato (Gv 6,53-58).
La
differenza fondamentale è ancora l’evento salvifico Cristo, da cui gli esseni
sembrano essere estranei, cosicché loro mezzi di santificazione restano dei
riti cultuali, ancorati all’antica legge: essi sono solo degli esercizi legali,
legati alla vecchia economia (I QS VII,96-10; I,4,1; I
QS I,3; I QM II,5), che rendono santi esteriormente. In tal
modo gli appartenenti alla chiesa veramente si possono definire i santi (Ef
1,4; 1Cor 14,33; Fil 4,21; Ap 14,12) così come li chiama a proposito S. Paolo
(1Cor 1,2). E’ Cristo l’agente principale della santificazione: “Cristo
si è immolato per la chiesa, al fine di santificarla” (Ef 5,26). Lo Spirito che
è santo rende il cristiano partecipe della stessa
santità divina (1Cor 3,6s; Ef 2,22). Lo spirito di Cristo, effuso in abbondanza
a pentecoste sugli apostoli (At 2,3-4), è segno escatologico nei nuovi tempi
della salvezza[9].
Comunità di Dio
(o assemblea)
Comunità o assemblea, in ebraico qahal,
designa un’assemblea convocata per un atto religioso, spesso cultuale (Dt 23;
1Re8; Sal 22,26); anche il termine ‘edah significa comunità, ma in senso
sacerdotale. Il greco dei settanta traduce qahal con ekklesìa e ‘edah
con synagoghé. Ora, mentre la comunità del N.T. si definisce ekklesìa, il
partito di Qumran sembra che abbia usato il termine ‘edah. In
effetti la comunità di Qumran è una comunità sacerdotale. I suoi componenti si chiamano “figli di Sadoq” (Dan 4,3s) da Sadoq
sacerdote di Salomone (1Re 2,35). I sacerdoti stabiliscono le norme che
regolano la vita di tutta la comunità. Il Maestro di giustizia è sacerdote (IQp. Hab. II,8s). Nel consiglio di
comunità, accanto a dodici laici, ci sono tre sacerdoti (IQS 8,1). Un sacerdote
esercita l’importante ministero del “sorvegliante” (Mebaqqer)
(IQS 6,12.14); egli ha il compito di insegnare, sorvegliare sulla
disciplina e sul diritto. La grande importanza che avevano
i sacerdoti emerge chiaramente nel manoscritto della Regola della guerra. Nella
battaglia un ruolo insostituibile era dato al suono della tromba, strumento
usato dai sacerdoti avente un carattere religioso ma anche una funzione bellica
(IQM III,2; VIII,12; IX,9). Così l’organizzazione del
culto durante la guerra (III,1-4), in cui la funzione
primaria del sommo sacerdote è di incoraggiare i guerrieri benedicendo,
supplicando Dio per la vittoria. Si può affermare che il sacerdozio è al centro
di questo scenario di guerra.
In
contrapposizione alla comunità sacerdotale di Qumran, la chiesa
neotestamentaria può essere considerata come un movimento laicale. Gesù nel
vangelo non si è mai attribuito il termine di sacerdote, però tutta la sua vita
orientata verso la croce ha un senso di offerta e di
preghiera al Padre, per questo l’autore della lettera agli Ebrei afferma che
Gesù è l’unico e vero sommo sacerdote della sua comunità (Eb 4,14). Egli però
non proviene da un sacerdozio levitico, ma dalla tribù di Giuda (Eb 7,14).
Nella comunità dei discepoli di Gesù, le ascendenze sacerdotali non hanno alcuna importanza. Gli apostoli non si
definiscono mai sacerdoti, ma tutta la chiesa ha il carattere sacerdotale (1Pt
2,5; Ap 1,6; 5,10; 20,6)[10].
Partito di Dio
La chiesa non parla mai di sé come un partito, mentre
questo termine viene diverse volte attribuito nel N.T. alle varie sette del
giudaismo (ai sadducei e ai farisei, At 23,6.9; 15,5; 26,5). Il cristianesimo perciò non si sente una setta, un
partito, ma l’originalità della chiesa di fronte all’ebraismo e agli esseni è
la sua idea di cattolicità: secondo l’ordine di missione ricevuto da Cristo la salvezza deve essere portata in tutti i luoghi e a
tutte le nazioni; questa coscienza rende la chiesa una comunità aperta
all’evangelizzazione e non autosufficiente.
Israele
Mentre la comunità di Qumran ha
una chiara coscienza di essere il vero Israele, quello fedele all’alleanza del
Sinai, gli scritti del N.T. si guardano bene dall’applicare il termine Israele
alla chiesa di Cristo; c’è solo un accenno in S. Paolo (Gal 6,16) dove egli
manda la benedizione sull’Israele di Dio, ma non è chiaro per gli esegeti se si
riferisce alla chiesa o ai giudei. Il motivo forse che ha spinto la comunità di
Gesù a non identificarsi con Israele, è dato dal fatto che Israele popolo
scelto ed eletto da Dio non ha accolto il Messia, anzi
lo ha condannato a morire sulla croce.
La
comunità di Cristo non ha voluto definirsi
Israele, per non confondersi con quella nazione che non aveva accolto il
suo Signore. Anche l’interna tensione universalistica del
primo cristianesimo fa andare oltre i recinti del vecchio Israele, per
estendere la salvezza fino agli ultimi confini della terra. Questo è il
segno di un superamento di una mentalità nazionalistica.
I poveri
e gli umili
Secondo
l’interesse che la bibbia dà alla dimensione di povertà dell’uomo, anche gli
esseni e i cristiani, come due grandi movimenti spirituali con l’unica fonte
nella rivelazione antico-testamentaria, danno valore ai poveri (in ebraico
ànawim), che teologicamente significa essere abbassato, afflitto, perciò
riguarda non solo una condizione sociale ed economica, ma è una disposizione
interna, un atteggiamento dell’animo nei confronti di Jahvé. Nel
vangelo si legge che Cristo proclama beati i poveri (Mt 5,3; Lc 6,20); essi
sono gli eredi del regno. Cristo è il messia dei poveri, consacrato per
portare la buona novella ai poveri (Lc 4,18; Mt 11,5). Cristo invita tutti coloro che soffrono a venire a lui, perché è “mite e umile
di cuore” (Mt 11,19).
Gesù esige dai suoi il distacco interno
dai beni temporali: questa povertà materiale è buona quando è ispirata dalla
fiducia filiale in Dio (Mt 6,19ss; Lc 8,14), dal desiderio di seguire Gesù,
dalla generosità nei confronti dei fratelli (Lc 18,15; Mt 19,13-14). La
comunità dei primi cristiani, raggruppata a Gerusalemme attorno agli apostoli,
si sforzava anch’essa di imitare la loro povertà e la chiesa ha sempre
conservato la nostalgia e la pratica di questa vita apostolica, in cui “nessuno
chiamava suo ciò che gli apparteneva” (At 4,32; Ef. 2,44). Anche
se la chiesa primitiva aveva forte il senso della povertà e ne viveva la
realtà, non si riscontra nel N.T. una definizione di se stessa come “poveri”.
Per
i membri di Qumran la proprietà è comune (I QS I,11s; V,2s;
VI,19-23). La comunità si prende cura di tutti coloro
che sono bisognosi, e si definiscono diverse volte nel documento della Regola
della guerra “i poveri”. Anche la comunità delle
origini praticava un’ideale comunione di beni (At 2,44) e si prendeva cura dei
poveri (At 6,1). La differenza è che nella chiesa c’era libertà nel donare i
propri beni, mentre a Qumran ciò era obbligatorio.[11]
Uditori della voce di Dio
Sappiamo
che la vita della comunità di Qumran era impregnata di
un forte amore alle Scritture, una venerazione per questi libri santi che li faceva
alzare anche di notte per meditare sulla parola di Dio.
Nel
N.T. la parola di Dio si concretizza in un evento, in
una persona, Gesù Cristo; la sua morte e risurrezione sono il centro del
kerigma apostolico. La buona novella, quale ultima parola di Dio, viene rivolta a tutti gli uomini, che ascoltandola saranno
salvati (At 15,7; 18,8; 19,10; 24,24).
I chiamati di Dio o convocati
I
seguaci di Qumran avevano la coscienza di essere stati chiamati da Jahvé, per
un’importante missione, salvaguardare la religione ebraica dal decadimento e
dal compromesso, che in quel periodo il giudaismo ufficiale aveva con il potere
politico corrotto. I qumraniani credevano fermamente a questa chiamata di Dio;
non per loro volontà, ma per una predeterminazione eterna di Dio essi dovevano
mantenere pura la religione dei padri e così aspettare il messia escatologico
(in realtà essi ne aspettavano due, un messia
sacerdotale della tribù di Aronne e uno regale della tribù di Giuda).
Nel N.T. è Gesù che chiama a sé le folle
per istruirle alla verità di Dio ( Mt 15,10; Mc 7,14), così egli chiama anche i
discepoli, per svelare loro i misteri del Regno (Lc 9,1; Mt 15,32; Mc
10,42-43). Nei vangeli è Dio che in Cristo chiama il popolo, per
guarirlo, ammaestrarlo, sfamarlo (Lc 9,10-17; Mt 14,13-21). Si nota che da
questa folla chiamata vengono scelti i dodici (Lc
6,13-16; Mc 3,16-19; Mt 10,1-4). Essi dopo la Pasqua diventano i testimoni
oculari della risurrezione e ricevono il mandato da parte di Cristo di portare
la buona novella a tutte le genti (Mc 16,15), così dopo la pentecoste
gli apostoli sono i garanti della convocazione della comunità; essi diventano
i segni della chiamata di Dio nella chiesa (At 6, 2), ma è sempre Dio che in
Cristo chiama le genti alla salvezza (Fil 3,14; 1Ts 2,12).
S.
Paolo afferma che Dio ci ha chiamati per mezzo del
vangelo (2Ts 2,14) alla comunione con il suo Figlio (1Cor 1,9), a vivere nella
pace (1Cor 7,17), per ricevere l’eredità eterna promessa (Eb 5,4) e per
partecipare alle nozze dell’Agnello (Ap 19,9).
Dio ha radunato
Come
il popolo di Israele,
la comunità di Qumran si sente radunata attorno a Jahvé, nell’obbedienza
alla legge e nell’ascolto della sua parola.
I
cristiani credono che dove due o tre sono riuniti nel nome di Gesù egli è in
mezzo a loro (Mt 18,20). Nel vangelo la folla numerosa si
radunava attorno a Gesù (Mc 4,1; 5,21; Lc 12,1); anche gli apostoli si
radunavano attorno a Gesù per ascoltare la sua parola (Mc 6,30; Gv 18,2; At
1,6). Il Cristo è stato mandato dal Padre per radunare i figli di Dio
dispersi (Gv 11,52). Dopo l’ascensione al cielo gli
apostoli radunano i discepoli e attendono lo Spirito Santo (At 2,1-13). Essi
diventano coloro che radunano la comunità di Dio (At
13,44). La comunità si raduna anche per ascoltare la parola
di Dio (At 13, 44), per spezzare il pane (At 20,6; 1Cor 11,33.20), per pregare
insieme (1Cor 14,26; 2Ts 2,1). Nel giudizio escatologico il Cristo
glorioso convocherà tutte le nazioni per giudicarle (Mt 25,32)
e tutti gli eletti (Mt 13,27) saranno radunati per il grande banchetto
di Dio (Ap 16,17).
CONCLUSIONI
E’
stato interessante e costruttivo questo studio di comparazione fra il
manoscritto della Regola della guerra e gli scritti
del N.T.; abbiamo trovato delle sintonie a livello terminologico non
indifferenti, che ci hanno fatto riflettere sulla particolare situazione
culturale e religiosa di quel periodo storico. Ma
abbiamo notato anche delle divergenze sostanziali a livello di contenuto e di
realtà.
Il
cristianesimo pone le sue radici nell’ebraismo, come la comunità di Qumran, ma
se ne distanzia per fattori fondamentali. L’elemento cristologico separa
nettamente le due esperienze religiose, così anche l’elemento pneumatologico
che è una conseguenza dell’evento Cristo. Lo Spirito Santo ricopre, trasforma e
guida la chiesa. L’ecclesiologia del N.T. è una realtà in rapporto vitale sia
con la cristologia che con la pneumatologia. La chiesa è cosciente che la
salvezza escatologica si è fatta presente in Gesù Cristo, che è stato messo a
morte nella carne ma reso vivente nella potenza dello Spirito. Un’altra
notevole differenza è l’universalismo cristiano.
E’
importante sottolineare che la comunità di Qumran si
definiva non solo con dei sostantivi, designando se stessa come popolo,
comunità, Israele, ma anche con delle forme verbali, come i chiamati, i
separati, i radunati, dando un senso più dinamico al loro concetto di comunità.
Anche nell’ecclesiologia bisognerebbe dare più spazio
alle forme verbali, specialmente quelle usate nel vangelo di Giovanni, che
esprimono con più evidenza delle azioni e delle relazioni.
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teologiaxtutti. A cura di Giacomo Campanile
[1] Monaldi L., I
manoscritti di Qumran, introduzione pp. 9-89, Torino 1971; A. George P. Grelot, Introduzione al Nuovo Testamento, pp.
136-154. Per indicare i diversi manoscritti di Qumran, ci serviremo delle
seguenti abbreviazioni: l’iniziale Q
significa Qumran; segue l’abbreviazione del titolo dell’opera in ebraico, p = pesher,
S = serek o regola, H =
hodapoth o inni, M = milhamah =
guerra. La Regola della
comunità (IQS), la Regola della
guerra (IQM), il Documento di Damasco
(CDC). I testi sono sempre citati seguendo la colonna del manoscritto in
numeri romani. Inoltre Antico Testamento e Nuovo
Testamento saranno abbreviati rispettivamente con A. T. e N. T.
[2] Monaldi
o.c., pp. 271-283.
[3] Benoit P., Esegesi e
teologia, Roma 1971, il buon articolo a pag. 545-582.
[4] Il fondamentale studio di Renzo Lavatori, L’Unigenito dal Padre, Gesù nel suo mistero, di Piglio, Bologna 1983,il capitolo a pag. 181-216, La figliolanza divina partecipata ai credenti , in cui si fonda la dimensione filiale come realtà profondamente comunitaria. Anche I. De La Potterie-Lyonnet S., La vita secondo le Spirito condizione del cristiano, Roma 1967, pp. 35-74.
[5] Penna R., L’ambiente
storico-culturale delle origini cristiane, Bologna 1984, pp. 58-66.
[6] Dufour X.L., DTB, Torino
1978, voce “popolo”, coll. 930-942 di P.
Grelot. Eichrodt W., Teologia
dell’Antico Testamento, vol. I, Dio e
popolo, Brescia 1979.
[7] Schnackenburg R., La chiesa nel Nuovo Testamento, Brescia 1975, pp. 160-168., Feiner J. Loherer M., Mysterium salutis, vol.VII, Brescia 1981, pp. 117-258.
[8]
Schelkle
K.H.,
Teologia del Nuovo Testamento, vol.
IV ecclesiologia-escatologia, Bologna 1980, pp. 22-23. DTB, o.c. voce “santo”, coll. 1144 -1151 di J. De Vaulx.
[9] Schnatkenburg, o.c., pp. 129-148.
[10] Schekle K.H., o.c., pp. 22-23. MS, o.c.,
pp.41-45.
[11] DTB,
o.c., voce “chiesa”, coll. 166-179. P. Ternan.