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Giacomo Campanile

 

 

 

LA CHIESA DEL NUOVO TESTAMENTO E LA COMUNITÀ  DI QUMRAN

 

Identità e distinzione nel manoscritto della Regola della guerra

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Nel 1947 si ha la sensazionale scoperta delle grotte di Qumran (sulle sponde nord-occidentali del Mar Morto), che ha portato alla luce antichi manoscritti appartenenti a una società religiosa; mai si era avuta una scoperta del genere, e mai i semitisti si erano trovati di fronte ai documenti così antichi di una lingua tuttora viva, appartenente a un periodo pressoché totalmente oscuro della sua storia, un’epoca gravida di eventi di portata universale, come la perdita dell’indipendenza nazionale e la dispersione forzata del popolo ebraico da una parte e la nascita del cristianesimo dall’altra.

          Questa comunità monastica è identificata da una stragrande maggioranza di studiosi con la setta degli esseni. In effetti il luogo di Qumran, corrisponde alla località descritta da Plinio il Vecchio (79 d.C.) e da Filone (45 d.C.) nel suo libro sull’Apologia degli Ebrei e anche Giuseppe Flavio nella sua Guerra Giudaica scritta verso il 75 d.C. (II, 119-161) ci offre dei dati che in generale si armonizzano bene con i contenuti dei nostri manoscritti[1] .

I documenti sono scritti in ebraico ed in aramaico. Questi manoscritti hanno un’importanza enorme anche per il sorgere del cristianesimo, per questo abbiamo pensato che sia fecondo uno studio di comparazione con lo scritto della Regola della guerra, in cui possiamo trovare un florilegio di definizioni della società religiosa essena. Sugli stendardi, sugli scudi, sulle trombe, l’autore ha posto dei titoli che manifestano l’autocoscienza della comunità, il concetto che essa aveva di sé. Ci limiteremo a questo testo e a una comparazione terminologica con il primo cristianesimo e con i dati che ci fornisce il N.T. a riguardo, perché fare uno studio su tutti i manoscritti di Qumran richiederebbe un tempo molto più lungo; ciò esula da questo studio. I manoscritti saranno ugualmente citati per confermare delle idee teologiche di fondo.

Faremo poi alcune considerazioni teologiche sulle definizioni più importanti per cogliere le identità e le distinzioni fra questi due movimenti religiosi.

          A noi sembra fondamentale per capire la vita della chiesa del N.T. un confronto con la comunità essena, in questo modo siamo spinti a cogliere le caratteristiche specifiche del cristianesimo, cioè l’essenza della chiesa che la distingue da qualsiasi altra realtà religiosa, ma anche vedere le similitudini con il suo ambiente storico culturale dove essa è vissuta e si è sviluppata, perciò il rapporto molto stretto con il giudaismo, dal quale viene ma nello stesso tempo si distacca superandolo.

 

 

NOTE STORICHE E METODOLOGICHE

(Per un approccio critico al manoscritto della Regola della guerra).

 

 

Il manoscritto proviene dalla I grotta di Qumran e consta di diciannove colonne, il rotolo è di pelle, in pessimo stato. Fu acquistato nel 1947 per conto dell’Università ebraica di Gerusalemme, presso un antiquario di Betlemme.

          Lo scopo principale dell’autore era di provvedere la setta di norme e piani particolareggiati per quella “guerra di sterminio dei figli delle tenebre” (I, 10) decisa da Dio da molto tempo e ora prossima a realizzarsi, che durerà circa 40 anni. Fonti di questo libro sono la letteratura bellica e in particolare i testi escatologici e apocalittici; il testo stilisticamente più vicino è il libro del profeta Daniele, ma l’autore si basa anche su testi normativi del Pentateuco (le trombe II, 16, insegne III, 13, la battaglia X, 5) e sul libro dei Maccabei.

          L’idea fondamentale della regola è che l’autore crede alla divisione dell’umanità in due settori: quello dei figli della luce, al quale appartiene la sua setta e tutto il suo popolo, e quello dei figli delle tenebre al quale appartengono tutti gli altri popoli della terra. Crede nell’imminente scontro dei due settori; i figli della luce, rispettando le norme della regola, con l’aiuto degli angeli e l’intervento diretto di Dio distruggeranno i figli delle tenebre con il loro capo Belial. Il problema della datazione del manoscritto oscilla secondo gli studiosi dal I sec. a.C. al 70 d.C.: il cercare di specificare l’età, porta a delle ipotesi di studio più o meno fondate, la questione perciò rimane ancora aperta, si avranno più dati alla pubblicazione dei nuovi frammenti[2].

Per un approccio critico ai manoscritti di Qumran e per fare un’equilibrata comparazione fra i due movimenti, bisogna fare alcune riflessioni di metodo sulle loro strette relazioni e dissomiglianze. Prima di tutto mettere in guardia contro la facilità ingenua di ritenere influenze dirette quelle che possono essere soltanto manifestazioni indipendenti di tendenze comuni in quell’epoca. Certo tra il N.T. e gli scritti scoperti a Qumran si incontrano numerosi accostamenti, però gli incontri non sono altro che ricorsi paralleli a fonti comuni, e molto spesso la fonte comune non è altro che l’A.T.

Certo ci può essere stato un influsso diretto di Qumran sul cristianesimo, ma sembra che questo non si sia esercitato fin dalle origini; può essere un influsso esercitato in un secondo tempo e che avrebbe soltanto aiutato il nuovo movimento a formarsi e non a crearsi. Questi influssi sono secondari e perciò non costituiscono assolutamente l’essenza del messaggio cristiano, in più essi sono profondamente trasformati dall’uso che ne vien fatto, perché messi al servizio di un dato nuovo e originale. Queste sono le linee metodologiche direttive in questo studio di comparazione fra l’autocoscienza della comunità di Qumran e l’ecclesiologia del N. T.[3].

 


COMPARAZIONE TERMINOLOGICA

 

FIGLI DELLA LUCE I QM I,1.9.12.14.15; II,17; XIII,16; XIV,17; XVII,16 =  Lc 16,8; Gv 12,36; 1Ts 5,5.

POPOLO di Dio I QM I,5; III,13; XVI,15; XVIII,7; della redenzione I,13; santo XII,1; X,9.11; XIV,12; di santi X,9-11; eterno XIII,7.9; della liberazione XIV,4-5; XI,14; XVII,14 = At 15,14; 18,10; Rm 9,25; 2Cor 6,16; Tt 2,14; Eb 8,10; lPt 2,9.10; 2Pt 2,1; Ap 5,9; 18,4; 21,3;  Mt 21,43 imp..

I SANTI I QM VI,6; VIII,8; III,5; X,8; XII,7; XVI,1; XV,14; = At 9.32; Rm 1,7; 8,27; 15,25; 1Cor 1,2; 6,2; 14,33; 2Cor 1,1; 8,14; Col 3,12; Ef 3,5; 5,26.27; 6,18; 1Ts 5,23;  2Ts 2,13; lPt 1,15; 2,9; Gd 3; Ap 14,12 imp..

COMUNITA’ DI DIO (o assemblea) I QM XIII,16; XII,7; IV,9; V,l; XII,9; II,16; XII,2; = Mt 16,18; 18,17 imp.; At 5,11; 8,1; 9,31; 12,l5; 13,1; 14,23.27; 15,22.41; 18,22; 20,17; Rm 16,1; 1 Cor 1,2; 10,32; 11,16.18.22; 12,28; 14,33; 15,9; Gal 1,13; Ef 1,22; 3,21; 3,10; 5,24.27.32; Col 1,18.24; 1Tm 3,15; Ap 1,4; 2,1.7.12.

PARTITO DI DIO I QM XV,l; della redenzione XVII,6; XIII, 5; XVII,7; della luce XVII,5 = At 28,23.

I CHIAMATI DI DIO (o convocati) I QM III,2; IV,9 = Lc 9,l; Mt 15,10.32; Mc 3,23; 7,14; 10,42; At 6,2; Rm 1,7; 8,28.30; 9,24; 1Cor 1,2.9; 7,15; Gal 1.15; Ef 4,4; Fil 3,14; 1Ts 2,12; 4,7;  2Ts 2,14; 1,9; Eb 5,4; lPt 1,15; 5,10.29; Gd 1; Ap 19,9.

RESTO, SUPERSTITI  I QM XIII,8; XIV,8.16 = Rm  9,27; 11,6.

ISRAELE I QM III,14; VI,6; popolo di X,9; XIV,4; XVI,1 XVII,7.8; XVIII,3 = Gal 6,16.

I POVERI I QM XI,13.9; XIII,14;  XVIII,8; umili XIV,7 = Mt 5,3; 11,5; Lc 4,18; 6,20; 7,22; Rm 15,26; 1Cor 6,10; 2Cor  9,3.

UDITORI DELLA VOCE DI DIO I QM X,10-11= Mt 17,5; 22,33; Mc 4,3; 9,7; 12,37; Lc 5,1; 6,47; 10,16; Gv 10,3.27; Rm 10,17; Ef 1,13; Col 1,5.23; 1Ts 2,1; lGv 1,1.5; 2,24; Ap 3,20 imp..

BENEDETTI DI DIO I QM III,15; = Mt 25,34; Gal 3,9; Ef 1,3.

DIO HA RADUNATO I QM III,15 = Mt 18,20; 23,37; 24,31; 25,32; Lc 13,34; Mc 4,1; 5,21; Lc 12,1; Mc 6,30; Gv 18,2; Mc 13,27; Gv 11,52; At 13,44; 14,27; 15,6; 20,6; 2Ts 2,1; Ap 19,17.

SEPARATI PER DIO I QM XIIII,9 =  vedi “i santi”.

Le altre definizioni che ci sembrano meno importanti le elenchiamo qui di seguito, senza entrare in un’analisi particolareggiata: CONTRIBUTO PER DIO I QM IV,1; ACCAMPAMENTI DI DIO; TRIBÙ DI DIO; FAMIGLIA DI DIO; REPARTI DI DIO; ASSEMBRAMENTO DI DIO; ESERCITI DI DIO I QM IV, 9-11.


CONSIDERAZIONI TEOLOGICHE

 

 

Figli della luce

 

 

La definizione di “figli della luce” che si trova spessissimo sia nel manoscritto della Regola della guerra che negli altri documenti, sembra che stia molto a cuore alla comunità di Qumran. In questo contesto il termine figlio è un semitismo che significa suddito, adepto, partecipe di. Gli adepti di Qumran sono figli della luce, c’è per loro un’opposizione fortissima fra luce e tenebre, simboli del bene e del male, un dualismo che oppone questi due imperi in lotta fin dall’inizio. Questo tema del dualismo è centrale nella dottrina essena, che anticipa sviluppi gnostici posteriori (I QS III,13-IV,26). La figliolanza, secondo la mentalità di Qumran, è in senso di essere suddito, appartenere a questo partito della luce; si può parlare quindi di un concetto di figliolanza analogico, come un modo di partecipare alla luce, essere di un partito ed è perciò in un senso molto generico.

Anche nel N.T. molte volte i discepoli di Gesù sono chiamati figli (Mt 5,45; Le 20,36; Rm 8,14.15; Gal 3,26; 4,6; Ef 1,5) e figli della luce (Lc 16,8; Gv 12,36; lTs 5,5), però in un senso profondamente diverso e nuovo. La figliolanza cristiana ha una sua origine ben precisa: Gesù Cristo, che è il Figlio e che ha rivelato questo sommo mistero, di unica relazionalità con il Padre dei cieli ai discepoli (Mt 11,27; Lc 10,22; Gv 1,18). Solo chi accoglie nella fede il Figlio unigenito, il Verbo della vita, è trasformato e diventa figlio di Dio (Gv 1,12). E’ nella potenza dello Spirito del Figlio che possiamo gridare “Abbà, Padre” (Rm 8,14; Gal 3,16.26-29)[4] .

Il N. T. sottolinea l’aspetto personale della figliolanza divina che è un accettare liberamente il Figlio che ci rende figli, lontano perciò dal predeterminismo dualistico che troviamo negli esseni (I QS IV,24-25; I QM XIII,9-12).

          L’opposizione tenebre-luce si trova spesso in Paolo (nelle lettere più antiche: 1Ts 5,1-10 e in quelle più recenti: Col 1,12-13; 5,6-14 ed anche in 2Cor 4,6; 6,14; Rm 2,19; 13,11-13). Nella maggior parte dei testi il tema si pone in un contesto di crisi escatologica, di opposizione dualistica tra due campi diversi (2Cor 6,14), ma la differenza radicale è la scadenza escatologica. A Qumran l’ora della lotta deve ancora venire e resta indeterminata, per Paolo si è realizzato già un evento decisivo che ha cambiato la storia: è il Cristo che con la sua morte e risurrezione ha vinto definitivamente le tenebre (1Ts 5,8-10; 2Cor 4.4-6). Per S. Giovanni, Cristo è la luce venuta nel mondo per vincere le tenebre che regnavano: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. (Gv 8,12; 9,5) ”Finché avete la luce credete nella luce e diverrete figli della luce”. (Gv 12,46).

Così solo chi crede a Cristo luce del mondo e lo accoglie diventa figlio della luce. Perciò essere figlio della luce, per il N.T., non significa appartenere ad un partito eterno della luce per decisione necessaria da parte di Dio, come si pensava a Qumran (I QM XIII,9-12), ma è una libera scelta di fede, è amare una persona che è Gesù Cristo in se stesso luce, verità e vita.

In alcuni testi paolini si parla di armi della luce e di una lotta da parte dei cristiani (Ef 6,11-12; Rm 13,12), ma è ben diverso dal senso bellicistico e violento che trasuda dal documento della Regola della guerra; qui Dio è guerriero, lotta per i figli della luce contro i Kittim (I QM I,1.4), che vengono di norma interpretati come i greci e i romani, ma qui si tratta di un vero e proprio scontro fisico[5] .

Concludendo, se anche si possono trovare delle identità a livello terminologico fra la chiesa e Qumran, c’è una differenza di contenuto. L’originalità del cristianesimo può essere spiegata solo con un intervento di rivelazione da parte di Dio nuovo ed unico. E’ importante però notare che anche se solo a livello terminologico e con un’idea molto relativa della figliolanza, è positivo che in quel periodo così fecondo che fu l’inizio dell’era cristiana anche in un altro gruppo religioso giudaico si sentisse l’esigenza di riscoprire la dimensione filiale identificandosi con essa; questo denota una sensibilità religiosa e un’intuizione della comunità di Qumran veramente pregevole, sviluppata dallo studio assiduo dei libri sacri dell’A.T., ma questa realtà della figliolanza sarà capita e vissuta solo con l’evento Gesù Cristo.

 

 

Popolo di Dio

 

 

Già nell’A.T. Jahvé si era scelto un popolo (am Jahvé) che aveva fatto suo con l’alleanza del Sinai (Es 24,1-11; 19,3-8). Israele appartiene a Jahvé perché egli lo ha scelto fra tutte le nazioni: “Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo” (Lv 26,12)[6]. La comunità di Qumran si definisce e si identifica con il popolo di Dio. Essi intendono essere il popolo dell’alleanza del Sinai: siamo di fronte a un ritorno con forza all’antico regime, alla legge di Mosé; perciò è un ritornare indietro all’ideale popolo dell’esodo. Anche il Maestro di giustizia come ultimo profeta cerca nel ritorno integrale all’alleanza di Mosé il senso unico della costituzione del popolo (I QS I,1-11; VIII,15-16), contro il giudaismo istituzionale del tempio di Gerusalemme che ha tradito la sua vera vocazione all’alleanza con Dio. Siamo qui di fronte a un movimento religioso giudaico integralista e tradizionalista, desideroso di tornare alla pienezza della legge antica.

Nel N.T. c’è una realtà nuova che non è rivolta alla vecchia alleanza con nostalgia, ma è garante di una nuova alleanza, annunciata dai profeti (Ger 31,31ss; Ez 37,26) e compiuta dal sangue di Cristo sparso sulla croce, con uno Spirito nuovo effuso su un nuovo popolo santo (Is 62,12). La novità che questo nuovo popolo della nuova alleanza non è ristretto al solo Israele o a un partito eletto, come pensavano gli esseni, ma a tutte le nazioni; entra in causa l’universalismo che è un’idea genuinamente cristiana, presente nell’A.T. (Ger 4,2; Is 2,2) sviluppata e compiuta nella chiesa. Bellissima l’affermazione di Paolo su questo tema: “Non c’è più Giudeo o Greco; non c’è più schiavo o libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù’ (Gal 3,26-28; 1Cor 12,13; Col 3.11).

Mentre il giudaismo non riuscì mai a superare una certa ristrettezza particolaristica, il cristianesimo ha come obbligo di raccogliere nel mondo “i figli dispersi di Dio”  (Gv 11,52). Per la chiesa non c’è alcun particolare impedimento (At 8.36) per l’accoglienza delle genti: sacerdoti (At 6,7), farisei (At 15,5), ebrei e ellenisti (At 6,1),  stranieri (At 8,26-40), infine samaritani (At 8,4-8) e pagani (At 10; 11,15-24), furono accettati allo stesso modo con l’unica condizione di credere al Cristo risorto.

Il N.T. per definire la comunità della salvezza preferisce usare il termine ekklesìa (assemblea cultuale), invece di laòs (popolo), tuttavia la chiesa di Cristo è veramente un popolo, con tutte le risonanze che il termine contiene.

Essa è vero popolo: “una nazione santa, un popolo acquisito... voi che un tempo non eravate un popolo e che ora siete il popolo di Dio” (1Pt 2,9-10; Rm 9,25-26)[7] .

 

 

I santi

 

 

Nella tendenza alla santità gli esseni di Qumran e i fedeli di Cristo, visti dal di fuori, sono abbastanza vicini. La stessa autodefinizione di “i santi” ci può far capire un certo parallelismo terminologico. Sia a Qumran che nel cristianesimo primitivo si ha un radicalismo nel compimento della volontà di Dio, una severità morale. Nella comunità essena si ha un “inasprimento della Torà”: tutte le prescrizioni della legge devono essere osservate. Un duro codice penale (I QS VI, 24 fino a VII,5) mantiene la disciplina tra gli “uomini della santità”. Proprio se si considera la rigorosità casuistica e la severità disciplinare degli esseni, si noterà la profonda differenza con il primo cristianesimo. Gesù si differenzia da tutto il giudaismo di allora. Caratteristiche di lui sono la libertà di fronte alle prescrizioni del sabato o di purità legale (Mc 7,18-23) e la ricapitolazione di tutti i precetti al comandamento principale dell’amore di Dio e del prossimo. Ugualmente la novità dell’amore verso i nemici (Mt 5,48) è un’idea completamente opposta al pensiero di Qumran[8].

La differenza tra la “santità” di Qumran e quella dei primi cristiani è fondata su qualcosa di più profondo che non un tipo di ascesi morale. Nella chiesa ogni santificazione avviene in “Gesù Cristo” (1Cor 1.2), nel lavacro del battesimo attraverso la comunicazione dello Spirito Santo (1Cor  6,11).

La chiesa può affermare che Cristo l’ha amata e ha dato se stesso per essa, per santificarla mentre la purificava nel lavacro dell’acqua per mezzo della parola (Ef 5,25s).

I bagni di immersione e le purificazioni cultuali in Qumran non possedevano l’importanza salvifica che aveva il primo sacramento cristiano, per il quale il credente attinge la partecipazione alla redenzione istituita nel sangue di Gesù (Rm 5,9; Ef 1,7; Eb 9,11-14; 10,19s; 1Pt 1.2.18s; lGv 1,7; Ap 1,5): “Noi siamo santificati dall’oblazione del corpo di Gesù Cristo” (Eb 10,10). Così anche le varie benedizioni sui cibi e i pasti cultuali degli esseni sono lontani essenzialmente dalla celebrazione eucaristica cristiana, che è il partecipare al corpo e al sangue di Cristo (1Cor 10,16) e il cibarsi della carne e del Sangue del Figlio dell’uomo glorificato (Gv 6,53-58).

La differenza fondamentale è ancora l’evento salvifico Cristo, da cui gli esseni sembrano essere estranei, cosicché loro mezzi di santificazione restano dei riti cultuali, ancorati all’antica legge: essi sono solo degli esercizi legali, legati alla vecchia economia (I QS VII,96-10; I,4,1; I QS I,3; I QM II,5), che rendono santi esteriormente. In tal modo gli appartenenti alla chiesa veramente si possono definire i santi (Ef 1,4; 1Cor 14,33; Fil 4,21; Ap 14,12) così come li chiama a proposito S. Paolo (1Cor 1,2). E’ Cristo l’agente principale della santificazione: “Cristo si è immolato per la chiesa, al fine di santificarla” (Ef 5,26). Lo Spirito che è santo rende il cristiano partecipe della stessa santità divina (1Cor 3,6s; Ef 2,22). Lo spirito di Cristo, effuso in abbondanza a pentecoste sugli apostoli (At 2,3-4), è segno escatologico nei nuovi tempi della salvezza[9].

 

 

Comunità di Dio

(o assemblea)

 

 

          Comunità o assemblea, in ebraico qahal, designa un’assemblea convocata per un atto religioso, spesso cultuale (Dt 23; 1Re8; Sal 22,26); anche il termine ‘edah significa comunità, ma in senso sacerdotale. Il greco dei settanta traduce qahal con ekklesìa e ‘edah con synagoghé. Ora, mentre la comunità del N.T. si definisce ekklesìa, il partito di Qumran sembra che abbia usato il termine ‘edah. In effetti la comunità di Qumran è una comunità sacerdotale. I suoi componenti si chiamano “figli di Sadoq” (Dan 4,3s) da Sadoq sacerdote di Salomone (1Re 2,35). I sacerdoti stabiliscono le norme che regolano la vita di tutta la comunità. Il Maestro di giustizia è sacerdote (IQp. Hab. II,8s). Nel consiglio di comunità, accanto a dodici laici, ci sono tre sacerdoti (IQS 8,1). Un sacerdote esercita l’importante ministero del “sorvegliante” (Mebaqqer) (IQS 6,12.14); egli ha il compito di insegnare, sorvegliare sulla disciplina e sul diritto. La grande importanza che avevano i sacerdoti emerge chiaramente nel manoscritto della Regola della guerra. Nella battaglia un ruolo insostituibile era dato al suono della tromba, strumento usato dai sacerdoti avente un carattere religioso ma anche una funzione bellica (IQM III,2; VIII,12; IX,9). Così l’organizzazione del culto durante la guerra (III,1-4), in cui la funzione primaria del sommo sacerdote è di incoraggiare i guerrieri benedicendo, supplicando Dio per la vittoria. Si può affermare che il sacerdozio è al centro di questo scenario di guerra.

In contrapposizione alla comunità sacerdotale di Qumran, la chiesa neotestamentaria può essere considerata come un movimento laicale. Gesù nel vangelo non si è mai attribuito il termine di sacerdote, però tutta la sua vita orientata verso la croce ha un senso di offerta e di preghiera al Padre, per questo l’autore della lettera agli Ebrei afferma che Gesù è l’unico e vero sommo sacerdote della sua comunità (Eb 4,14). Egli però non proviene da un sacerdozio levitico, ma dalla tribù di Giuda (Eb 7,14). Nella comunità dei discepoli di Gesù, le ascendenze sacerdotali non hanno alcuna importanza. Gli apostoli non si definiscono mai sacerdoti, ma tutta la chiesa ha il carattere sacerdotale (1Pt 2,5; Ap 1,6; 5,10; 20,6)[10].

 

 

Partito di Dio

 

 

La chiesa non parla mai di sé come un partito, mentre questo termine viene diverse volte attribuito nel N.T. alle varie sette del giudaismo (ai sadducei e ai farisei, At 23,6.9; 15,5; 26,5). Il cristianesimo perciò non si sente una setta, un partito, ma l’originalità della chiesa di fronte all’ebraismo e agli esseni è la sua idea di cattolicità: secondo l’ordine di missione ricevuto da Cristo la salvezza deve essere portata in tutti i luoghi e a tutte le nazioni; questa coscienza rende la chiesa una comunità aperta all’evangelizzazione e non autosufficiente.

 

 

Israele

 

 

          Mentre la comunità di Qumran ha una chiara coscienza di essere il vero Israele, quello fedele all’alleanza del Sinai, gli scritti del N.T. si guardano bene dall’applicare il termine Israele alla chiesa di Cristo; c’è solo un accenno in S. Paolo (Gal 6,16) dove egli manda la benedizione sull’Israele di Dio, ma non è chiaro per gli esegeti se si riferisce alla chiesa o ai giudei. Il motivo forse che ha spinto la comunità di Gesù a non identificarsi con Israele, è dato dal fatto che Israele popolo scelto ed eletto da Dio non ha accolto il Messia, anzi lo ha condannato a morire sulla croce.

La comunità di Cristo non ha voluto definirsi  Israele, per non confondersi con quella nazione che non aveva accolto il suo Signore. Anche l’interna tensione universalistica del primo cristianesimo fa andare oltre i recinti del vecchio Israele, per estendere la salvezza fino agli ultimi confini della terra. Questo è il segno di un superamento di una mentalità nazionalistica.

 

 

I  poveri  e gli umili

 

Secondo l’interesse che la bibbia dà alla dimensione di povertà dell’uomo, anche gli esseni e i cristiani, come due grandi movimenti spirituali con l’unica fonte nella rivelazione antico-testamentaria, danno valore ai poveri (in ebraico ànawim), che teologicamente significa essere abbassato, afflitto, perciò riguarda non solo una condizione sociale ed economica, ma è una disposizione interna, un atteggiamento dell’animo nei confronti di Jahvé. Nel vangelo si legge che Cristo proclama beati i poveri (Mt 5,3; Lc 6,20); essi sono gli eredi del regno. Cristo è il messia dei poveri, consacrato per portare la buona novella ai poveri (Lc 4,18; Mt 11,5). Cristo invita tutti coloro che soffrono a venire a lui, perché è “mite e umile di cuore” (Mt 11,19).

          Gesù esige dai suoi il distacco interno dai beni temporali: questa povertà materiale è buona quando è ispirata dalla fiducia filiale in Dio (Mt 6,19ss; Lc 8,14), dal desiderio di seguire Gesù, dalla generosità nei confronti dei fratelli (Lc 18,15; Mt 19,13-14). La comunità dei primi cristiani, raggruppata a Gerusalemme attorno agli apostoli, si sforzava anch’essa di imitare la loro povertà e la chiesa ha sempre conservato la nostalgia e la pratica di questa vita apostolica, in cui “nessuno chiamava suo ciò che gli apparteneva” (At 4,32; Ef. 2,44). Anche se la chiesa primitiva aveva forte il senso della povertà e ne viveva la realtà, non si riscontra nel N.T. una definizione di se stessa come “poveri”.

Per i membri di Qumran la proprietà è comune (I QS I,11s; V,2s; VI,19-23). La comunità si prende cura di tutti coloro che sono bisognosi, e si definiscono diverse volte nel documento della Regola della guerra “i poveri”. Anche la comunità delle origini praticava un’ideale comunione di beni (At 2,44) e si prendeva cura dei poveri (At 6,1). La differenza è che nella chiesa c’era libertà nel donare i propri beni, mentre a Qumran ciò era obbligatorio.[11]

 

 

Uditori della voce di Dio

 

 

Sappiamo che la vita della comunità di Qumran era impregnata di un forte amore alle Scritture, una venerazione per questi libri santi che li faceva alzare anche di notte per meditare sulla parola di Dio.

Nel N.T. la parola di Dio si concretizza in un evento, in una persona, Gesù Cristo; la sua morte e risurrezione sono il centro del kerigma apostolico. La buona novella, quale ultima parola di Dio, viene rivolta a tutti gli uomini, che ascoltandola saranno salvati (At 15,7; 18,8; 19,10; 24,24).

 

 

I chiamati di Dio o convocati

 

 

I seguaci di Qumran avevano la coscienza di essere stati chiamati da Jahvé, per un’importante missione, salvaguardare la religione ebraica dal decadimento e dal compromesso, che in quel periodo il giudaismo ufficiale aveva con il potere politico corrotto. I qumraniani credevano fermamente a questa chiamata di Dio; non per loro volontà, ma per una predeterminazione eterna di Dio essi dovevano mantenere pura la religione dei padri e così aspettare il messia escatologico (in realtà essi ne aspettavano due, un messia sacerdotale della tribù di Aronne e uno regale della tribù di Giuda).

          Nel N.T. è Gesù che chiama a sé le folle per istruirle alla verità di Dio ( Mt 15,10; Mc 7,14), così egli chiama anche i discepoli, per svelare loro i misteri del Regno (Lc 9,1; Mt 15,32; Mc 10,42-43). Nei vangeli è Dio che in Cristo chiama il popolo, per guarirlo, ammaestrarlo, sfamarlo (Lc 9,10-17; Mt 14,13-21). Si nota che da questa folla chiamata vengono scelti i dodici (Lc 6,13-16; Mc 3,16-19; Mt 10,1-4). Essi dopo la Pasqua diventano i testimoni oculari della risurrezione e ricevono il mandato da parte di Cristo di portare la buona novella a tutte le genti (Mc 16,15), così dopo la pentecoste gli apostoli sono i garanti della convocazione della comunità; essi diventano i segni della chiamata di Dio nella chiesa (At 6, 2), ma è sempre Dio che in Cristo chiama le genti alla salvezza (Fil 3,14; 1Ts 2,12).

S. Paolo afferma che Dio ci ha chiamati per mezzo del vangelo (2Ts 2,14) alla comunione con il suo Figlio (1Cor 1,9), a vivere nella pace (1Cor 7,17), per ricevere l’eredità eterna promessa (Eb 5,4) e per partecipare alle nozze dell’Agnello (Ap 19,9).

 

 

Dio ha radunato

 

 

Come il popolo di Israele,  la comunità di Qumran si sente radunata attorno a Jahvé, nell’obbedienza alla legge e nell’ascolto della sua parola.

I cristiani credono che dove due o tre sono riuniti nel nome di Gesù egli è in mezzo a loro (Mt 18,20). Nel vangelo la folla numerosa si radunava attorno a Gesù (Mc 4,1; 5,21; Lc 12,1); anche gli apostoli si radunavano attorno a Gesù per ascoltare la sua parola (Mc 6,30; Gv 18,2; At 1,6). Il Cristo è stato mandato dal Padre per radunare i figli di Dio dispersi (Gv 11,52). Dopo l’ascensione al cielo gli apostoli radunano i discepoli e attendono lo Spirito Santo (At 2,1-13). Essi diventano coloro che radunano la comunità di Dio (At 13,44). La comunità si raduna anche per ascoltare la parola di Dio (At 13, 44), per spezzare il pane (At 20,6; 1Cor 11,33.20), per pregare insieme (1Cor 14,26; 2Ts 2,1). Nel giudizio escatologico il Cristo glorioso convocherà tutte le nazioni per giudicarle (Mt 25,32) e tutti gli eletti (Mt 13,27) saranno radunati per il grande banchetto di Dio (Ap 16,17).

 

 

CONCLUSIONI

 

 

E’ stato interessante e costruttivo questo studio di comparazione fra il manoscritto della Regola della guerra e gli scritti del N.T.; abbiamo trovato delle sintonie a livello terminologico non indifferenti, che ci hanno fatto riflettere sulla particolare situazione culturale e religiosa di quel periodo storico. Ma abbiamo notato anche delle divergenze sostanziali a livello di contenuto e di realtà.

Il cristianesimo pone le sue radici nell’ebraismo, come la comunità di Qumran, ma se ne distanzia per fattori fondamentali. L’elemento cristologico separa nettamente le due esperienze religiose, così anche l’elemento pneumatologico che è una conseguenza dell’evento Cristo. Lo Spirito Santo ricopre, trasforma e guida la chiesa. L’ecclesiologia del N.T. è una realtà in rapporto vitale sia con la cristologia che con la pneumatologia. La chiesa è cosciente che la salvezza escatologica si è fatta presente in Gesù Cristo, che è stato messo a morte nella carne ma reso vivente nella potenza dello Spirito. Un’altra notevole differenza è l’universalismo cristiano.

 

          E’ importante sottolineare che la comunità di Qumran si definiva non solo con dei sostantivi, designando se stessa come popolo, comunità, Israele, ma anche con delle forme verbali, come i chiamati, i separati, i radunati, dando un senso più dinamico al loro concetto di comunità. Anche nell’ecclesiologia bisognerebbe dare più spazio alle forme verbali, specialmente quelle usate nel vangelo di Giovanni, che esprimono con più evidenza delle azioni e delle relazioni.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

·     Le fonti: I manoscritti di Qumran, traduzione di  Moraldi L., Torino 1971.

·     L’originale ebraico secondo la vocalizzazione di Lohse E., Die texte aus Qumran hebraische und deutsch, mit masoretischer Punktation..., Munchen 1964 (= Darmstadt 1971).

·     AA.VV., Le concordanze del Nuovo Testamento, Torino 1978.

·     Benoit P., Esegesi e teologia, Roma 1971. pp. 545-582.

·     Dufour X. L., Dizionario di teologia biblica, Torino 1978.

·     Eichrodt W., Teologia dell’Antico Testamento, vol. I, Dio e popolo, Brescia 1979.

·     George A. Grelot P., Introduzione al Nuovo Testamento, vol. I, Agli inizi dell’era cristiana, Roma 1977, pp. 136-154,  studio di J. Carmignac.

·     Feiner J. Loherer M., Mysterium salutis, vol. VII, Brescia l981.

·     Lavatori R., L’Unigenito dal Padre, Bologna 1983, pp. 181-216.

·     Schelkle K. H., Teologia del Nuovo Testamento, vol. IV, ecclesiologia-escatologia, Bologna 1980, pp. 17-27.

·     Schnackenburg R., La chiesa nel Nuovo Testamento, Brescia 1975, pp. 129-152.

·     Segalla G., Giovanni, Roma 1978.

·     Penna R., L’ambiente storico-culturale delle origini  cristiane, Bologna 1984, pp. 58-66.

·     La Bibbia di Gerusalemme, Bologna 1974.

 

teologiaxtutti. A cura di Giacomo Campanile



[1] Monaldi L., I manoscritti di Qumran, introduzione pp. 9-89, Torino 1971; A. George P. Grelot, Introduzione al Nuovo Testamento, pp. 136-154. Per indicare i diversi manoscritti di Qumran, ci serviremo delle seguenti abbreviazioni: l’iniziale Q significa Qumran; segue l’abbreviazione del titolo dell’opera in ebraico, p = pesher, S = serek o regola, H = hodapoth o inni, M = milhamah = guerra. La Regola della comunità (IQS), la Regola della guerra (IQM), il Documento di Damasco (CDC). I testi sono sempre citati seguendo la colonna del manoscritto in numeri romani. Inoltre Antico Testamento e Nuovo Testamento saranno abbreviati rispettivamente con A. T. e N. T.

 

[2]  Monaldi o.c., pp. 271-283.

[3] Benoit P., Esegesi e teologia, Roma 1971, il buon articolo a pag. 545-582.

 

[4] Il fondamentale studio di Renzo Lavatori, L’Unigenito dal Padre, Gesù nel suo mistero, di Piglio, Bologna 1983,il capitolo  a pag. 181-216, La figliolanza divina partecipata ai credenti , in cui si fonda la dimensione filiale come realtà profondamente comunitaria. Anche I. De La Potterie-Lyonnet S., La vita secondo le Spirito condizione del cristiano, Roma 1967, pp. 35-74.

[5]  Penna R., L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane, Bologna 1984, pp. 58-66.

 

[6] Dufour X.L., DTB, Torino 1978, voce “popolo”, coll. 930-942 di P. Grelot. Eichrodt W., Teologia dell’Antico Testamento, vol. I, Dio e popolo, Brescia 1979.

[7]  Schnackenburg R., La chiesa nel Nuovo Testamento, Brescia 1975, pp. 160-168., Feiner J. Loherer M., Mysterium salutis, vol.VII, Brescia 1981, pp. 117-258.

[8] Schelkle K.H., Teologia del Nuovo Testamento, vol. IV ecclesiologia-escatologia, Bologna 1980, pp. 22-23. DTB, o.c. voce “santo”, coll. 1144 -1151 di J. De Vaulx.

 

[9] Schnatkenburg, o.c., pp. 129-148.

[10] Schekle K.H., o.c., pp. 22-23. MS, o.c., pp.41-45.

 

[11]  DTB, o.c., voce “chiesa”, coll. 166-179. P. Ternan.