L’epigrafe
dedicatoria del monumento, forse commissionata da Filippo “Qui giace
Pomptilla che abbraccia le ceneri del marito Filippo. In queste urne è chiusa la tomba
dei coniugi che sarà sempre ragione di fama immortale – guardate tutti il tempio di
Giunone dea degli Inferi – mutato il nome di Pomptilla risplende nei secoli”.
Sotto
questa dedica sono leggibili altre incisioni che chiamano in causa direttamente i due
sfortunati sposi:
“Siamo
vissuti uniti quarantadue anni - la fedeltà che ci ha uniti ci ha dato molte gioie”.
“…Mentre Pomptilla piangeva tristemente il marito malato, per salvarlo, offre la
propria vita e immediatamente fu vista scivolare verso la quiete serena e cessò di
vivere.
O dei troppo pronti ad accogliere le più crudeli preghiere, ad ascoltare questa supplica,
di salvare quindi la vita a mio marito perché perisse quella che per me era la vita più
dolce”.
La
carica poetica dei versi in latino diventa ancor più forte nei sottostanti distici in
greco presenti nella stessa parete:
“La
parca aveva interamente sgomitolato il filo fatale, ma la saggia Pomptilla, con le sue
preghiere, ha placato la spietata messaggera della morte – Pomptilla, la donna virtuosa
di Filippo ha perso la vita per salvare il suo amato sposo.
L’amore dello sposo ha innalzato questo tempio in ricordo di Pomptilla.
Lei casta vittima ha ben meritato di essere onorata – infatti mentre il marito lasciava
Roma ella soffrì per lui e quando fu rapita dalla morte il marito la pianse…”.
Nella
parete destra, altre incisioni in latino, rese quasi illeggibili dalle intemperie e dall’incuria,
replicano e arricchiscono di contenuti la struggente vicenda d’amore:
“Figlia
di Roma seguendo fin qui le gravi vicende dell’infelice marito, io, Atilia, per amore di
Filippo, qui mi sono consacrata ai ben accetti e a me che pregavo che la sua vita
pagassero con la mia, fu inevitabile che gli dei dessero ascolto e da ciò abbiamo
guadagnato fama.
Quello
che credi un tempio e dinanzi al quale ti segni, o casuale viandante, in realtà è il
custode delle ceneri e delle fragili ossa di Pomptilla.
Sono prigioniera della terra sarda per aver seguito mio marito ed è fama che per il mio
uomo io ho voluto morire”.
(L'immagine della
Grotta della Vipera è stata ricostruita consultando il prospetto pubblicato nell'Atlante
del viaggio in Sardegna di A. Della Marmora del 1840)
(Marcello
Polastri)
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