Grotta
della Vipera
(testo tratto da
un libro di Marcello Polastri)
In viale Sant’Avendrace,
al numero civico 87, è presente la Grotta della Vipera (Grutta e sa Pibera), il famoso sepolcro gentilizio scavato nella pietra
forte tra la fine del I ed il II secolo d.C., per ospitare Atilia Pomptilla, nobildonna
romana.
Tanto romantica
quanto commuovente, la storia di Atilia e del suo coniuge Cassio Filippo, potrebbe essere
definita per eccellenza, una delle più avvincenti vicende d’amore della Cagliari
antica.
E’ noto che per
ordine dell’Imperatore Nerone, nell’anno 65 dopo Cristo, C. Cassio Logino era stato
condannato all'esilio da scontare in terra sarda e venne raggiunto dal figlio Lucio Cassio
Filippo.
Forse per il
particolare clima della città, reso malsano dalle paludi e dalle lagune limitrofe al
borgo di Sant'Arennera, il giovane Filippo "incontrò" una delle più vecchie e
terribili malattie: la malaria.
Atilia,
dispiaciuta e afflitta da un atroce dolore nel vedere Filippo moribondo, pregò a lungo
gli dei affinché prendessero la propria vita in cambio della guarigione dell'amato sposo.
Evidentemente le
suppliche furono ascoltate e in breve tempo esaudite perché il marito riacquistò la
salute mentre Atilia, serenamente, cessò di vivere.
Con rammarico,
Cassio Filippo diede l'addio alla consorte, facendo scavare, in ricordo del suo grande
amore felicemente durato quarantadue anni (unum et
vigenti bis), un tempio sotterraneo nel cui frontone sovrastante l’ingresso, oltre
alla dedica che onora la matrona deceduta all’età di 60 anni (O.P.O.S. MEMORIAE.
ATILIAE. L.F. POMPTILLAE BENEDICTAE. M.S.P.), sono visibili i due serpenti scolpiti nella
roccia (considerati dal popolo due vipere), preceduti da foglie, posti uno davanti
all'altro per simboleggiare la vita eterna e soprattutto l'immortalità dell'amore
coniugale.
In origine il
sepolcro presentava alcuni elementi decorativi che offrivano agli osservatori uno
spettacolo di rara bellezza e grazia. In particolare, oltre al frontone con il
bassorilievo degli aspidi che hanno dato origine al nome della cavità (nel Seicento nota
come “Cripta serpentum”), erano presenti quattro colonne sormontate da capitelli in
stile ionico e affiancate all'ingresso centrale che aveva le dimensioni di una modesta
porta raggiungibile da una graziosa scala (probabilmente semicircolare), anch'essa
ricavata nella roccia e parzialmente costruita con pietra locale.
Dietro l'ingresso
era situata la camera sepolcrale; ampliata nel corso di due secoli per conservare nuove
urne cinerarie e altre salme, è costituita da un ambiente rettangolare, le cui pareti
presentavano una serie di incisioni greche e latine che completavano i versi di dodici
poesie sentimentali dedicate alla sposa a cui
Filippo era sopravvissuto, dalle quali è stata tratta, anche se in parte, la storia del
monumento.
Ne riporto una
tra le più significative, tradotta fra Settecento e Ottocento da diversi scrittori
(Muratori, Bonada, Burmann, Stefanini, Guarini, Philippe Le Bas, Spano, Della Marmora,
ecc.) dei quali sono da ricordare i versi segnalati dal canonico Giovanni Spano che nel
1859 cercò di comprare il sepolcro per valorizzarlo adeguatamente proteggendolo, così
come scrisse, con “cancelli dorati”, perché in quel periodo veniva utilizzato dal
popolo come immondezzaio e in seguito come riparo notturno per greggi di pecore che
pascolavano nelle vicine colline.
LA POESIA e
FOTOGRAFIA
In alto, nella
parete sinistra della cavità, dando le spalle all’ingresso, fino agli anni Trenta era
leggibile l’epigrafe dedicatoria del monumento, forse commissionata da Filippo a qualche
scuola o “impresa” e tradotta dallo studioso G. Lattimore:
“Qui giace
Pomptilla che abbraccia le ceneri del marito Filippo. In queste urne è chiusa la tomba
dei coniugi che sarà sempre ragione di fama immortale – guardate tutti il tempio di
Giunone dea degli Inferi – mutato il nume di Pomptilla risplende nei secoli”.
Sotto questa
dedica sono leggibili altre incisioni che chiamano in causa direttamente i due sfortunati
sposi:
“Siamo vissuti uniti quarantadue anni - la fedeltà che
ci ha uniti ci ha dato molte gioie”.
“…Mentre Pomptilla piangeva tristemente il marito malato,
per salvarlo, offre la propria vita e immediatamente fu vista scivolare verso la quiete
serena e cessò di vivere.
O dei troppo pronti ad accogliere le più crudeli
preghiere, ad ascoltare questa supplica, di salvare quindi la vita a mio marito perché
perisse quella che per me era la vita più dolce”.
La carica poetica
dei versi in latino diventa ancor più forte nei sottostanti distici in greco presenti
nella stessa parete:
“La parca aveva interamente sgomitolato il filo fatale,
ma la saggia Pomptilla, con le sue preghiere, ha placato la spietata messaggera della
morte – Pomptilla, la donna virtuosa di Filippo ha perso la vita per salvare il suo
amato sposo.
L’amore dello
sposo ha innalzato questo tempio in ricordo di Pomptilla.
Lei casta
vittima ha ben meritato di essere onorata – infatti mentre il marito lasciava Roma ella
soffrì per lui e quando fu rapita dalla morte il marito la pianse…”.
Nella parete
destra, altre incisioni in latino, rese quasi illeggibili dalle intemperie e dall’incuria,
replicano e arricchiscono di contenuti la struggente vicenda d’amore:
“Figlia di Roma seguendo fin qui le gravi vicende dell’infelice
marito, io, Atilia, per amore di Filippo, qui mi sono consacrata ai ben accetti e a me che
pregavo che la sua vita pagassero con la mia, fu inevitabile che gli dei dessero ascolto e
da ciò abbiamo guadagnato fama.
Quello che
credi un tempio e dinanzi al quale ti segni, o casuale viandante, in realtà è il custode
delle ceneri e delle fragili ossa di Pomptilla.
Sono
prigioniera della terra sarda per aver seguito mio marito ed è fama che per il mio uomo
io ho voluto morire”.
All’occhio
attento del visitatore, oltre alle epigrafi, ai loculi funerari, alle nicchie che
accolsero le urne cinerarie e al “pluviale” scavato intorno al frontone per
proteggerlo dall’azione delle acque piovane, non sfuggiranno alcuni fori circolari
visibili nelle pareti.
Tali fori,
scavati tra il 1822 e 1823, dovevano favorire
l'inserimento delle mine per spianare l'area e fornire lo spazio necessario per costruire
un tratto della strada statale per Sassari che porta il nome del Re di Sardegna, Carlo
Felice.
Purtroppo le
esplosioni di alcune cariche, mandando in frantumi la roccia, distrussero l'affiancato “Colombario
di Berillio” e avevano già provocato danni irreparabili al sito quando il fortunato
intervento del Generale Alberto Della Marmora, che inviò una richiesta ufficiale al Re,
evitò ulteriori manomissioni che avrebbero occultato quel che oggi viene considerato a
buon titolo: un monumento nazionale!
Qui di
seguito, per i più appassionati, sono trascritte le poesie latine tradotte tra Settecento
e Novecento da vari studiosi. Tra i tanti sono stati considerati i testi del Le Bas, del
conte A. Della Marmora, e del canonico Spano.
Iscrizione
scolpita a grandi lettere nel frontone:
O.P.O.O.S.
MEMORIAE. ATILIAE. L.F. POMPTILLAE. BENEDICTAE. M.S.P.
Iscrizione
scolpita nella roccia che completa l’architrave della porta interna:
D. M.
ATILIAE L.F.
POMPTILLAE MAMMAE OPTIMAE F. ET. C. CASSIO PHILIPPO PARENTIBUS SANCTIS. L. ATILIUS FELIX CALATINUS ET M. ATILIUS REGULUS
ET L. CASSIUS
LIBERIS POSTERISQUE SUIS.
Le lunghe
iscrizioni metriche in latino, nelle pareti interne che precedono la camera mortuaria:
Hic Pomptilla jacet cineres
amplexa Philippi
Conjugis his aris
includitur arca duorum
Quae facit ad
famae vivens erit argumentum
Iunonis aedes
infernae cernite cuncti
Numine mutato
fulget Pomptilla per aevom.
Unum et viginti
bis juncti viximus annos
Una fides nobis
gaudia multa dedit
Et priora ad
lethen quum sit Pomptilla recepta
Tempore tu dixit
vive Philippe meo.
Nunc aeterna
quies ditisque silentia maesta
Hanc statuere
amplam proprietate domum
Languentem
tristis dum flet Pomptilla maritum
Vovit pro vita
conjugis ipsa mori
Protinus in
placidam delabi visa quietem
Occidit o celeres
in mala vota Dei
Has audire preces
vitam servare marito
Ut pereat vita
dulcior illa mihi.
All’angolo
sinistro seguono queste iscrizioni:
Templa viri
pietas fecit pro funere magno
Pomptillae meruit
victima casta coli.
Nam se devovit
Roma fugiente marito
Rapta viro semper
flebitur illa suo.
Nella parte
opposta, sulla destra, seguono altri versi:
Urbis alumna
graves caus hucusque secuta
Conjugis
infelicis Atilia cura Philippi
Hic sita sum
Manibus gratis sacrata mariti
Pro cujus vita
vitam pensare precanti
Indulsere dei
necesse et fama meremur
Nelle
pareti laterali seguono altri due versi riportati dal canonico Spano, importanti perché
oltre ad essere riservati ai visitatori, sono attualmente illeggibili:
Quod credis
templum quod forte viator adoras
Pomptillae
cineres ossaque parva tegit
Sardoa tellure
premor comitata maritum
Proque viro fama
est me voluisse mori.
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