Trading Company: spirito di iniziativa e fantasia

Intervista pubblicata su "Parabancaria" n. 3 - anno II - settembre 1983

cod.: PB.83.09.TRC.0

1 - La trading company richiama spesso il mito della intraprendenza giapponese sui mercati internazionali. Una trading company italiana, secondo lei, potrebbe reperire le risorse necessarie per offrire un servizio di efficace penetrazione e intermediazione sui mercati internazionali nel contesto delle particolari esigenze del nostro commercio estero? In caso affermativo, chi potrebbe trarre maggior beneficio da tale gamma di servizi?

E' vero: il fenomeno sogo shosha non cessa di meravigliare gli operatori economici internazionali, sia per i risultati raggiunti, che per la completezza dei servizi messi a disposizione degli utenti; e molti cercano di imitarne il modello senza peraltro tener conto del fatto che al successo delle trading company giapponesi contribuiscono elementi culturali tipici di quel Paese e ragioni socio-economiche forse irripetibili altrove. In Italia, dove sono presenti a livello sia individuale che d'impresa uno spirito d'iniziativa e una fantasia tipicamente mediterranei, il commercio internazionale è stato troppo spesso considerato dalle aziende manifatturiere con l'ottica del "fai da te", e solo in tempi relativamente recenti si è assistito al nascere di consorzi d'impresa, associazioni imprenditoriali e trading company proiettati verso lo sviluppo dei mercati esteri. Questa esigenza si è fatta vieppiù pressante di fronte alle continue mutazioni dei mercati, all'accentuarsi della concorrenza internazionale e alla necessità vitale di realizzare economie di scala. E' una ricerca di cooperazione intelligente fra imprese che, salvaguardando l'autonomia delle proprie scelte e delle proprie immagini, tendono a massimizzare i risultati ripartendo i ruoli in base alle rispettive competenze ed esperienze. Senza pretendere di imitare l'assioma giapponese che dice: "l'industria produce e la sogo shosha vende", ci si sta avviando verso una suddivisione meglio programmata di strutture, di tecniche, di mezzi e di aree per poter guardare ai mercati esteri con un'ottica che non sia solo quella di considerarli un'alternativa allo smercio dei propri prodotti sul territorio nazionale. Tralasciando in questa sede il discorso sui consorzi o sulle associazioni di categoria, e ritornando nello specifico campo che qui ci interessa, dobbiamo sottolineare che, nella moltitudine di aziende commerciali italiane esistenti, solo poche possono considerarsi, per dimensione, esperienze, strutture e filosofia operativa, delle vere e proprie trading company. Nella maggior parte dei casi troviamo infatti imprese che sono limitate nel prodotto, nelle aree geografiche o nei mezzi disponibili. La trading company che, superando questi limiti, dispone di:

€ assoluta indipendenza nei canali di approvvigionamento (non legata, cioè, a questo o a quel gruppo industriale);
€ presenza in vari Paesi esteri di un'adeguata rete di filiali o di agenti, e disponibilità a costituirne eventualmente dei nuovi;
€ strutture operative agili e preparate ad affrontare e risolvere con rapidità ed efficienza le problematiche dei mercati esteri;
€ adeguati supporti finanziari, atti a favorire in termini di facilitazione di credito sia il produttore che l'utilizzatore;

può quindi considerarsi il canale più idoneo al miglioramento di un interscambio duraturo e profittevole. Ovviamente, le risorse di cui può disporre una trading company italiana non eguagliano, in termini di dimensione, quelle delle più note colleghe giapponesi, ma ciò è anche dovuto al fatto che è solo con una maggior comprensione delle aziende industriali nei confronti della trading che quest'ultima può, nel tempo, migliorare le risorse disponibili e offrire alla propria clientela un insieme di servizi sempre più efficienti e sempre meno onerosi. Tali servizi, nel caso di utenti medi, medio-piccoli, possono sintetizzarsi nell'assistenza all'apertura di nuovi mercati, nella soluzione di tutti i problemi di ordine valutario, contrattuale, doganale, documentale, trasportistico e nell'assistenza finanziaria per lo smobilizzo A breve dei propri crediti.

2 - Quali strategie di sviluppo aziendale, di acquisizione di capacità professionali, di strutture logistiche e di articolazione geografica, di eventuale specializzazione merceologica dovrà seguire, secondo lei, una trading company italiana?

Come già detto, una trading company, per ritenersi tale, dovrebbe già disporre di capacità professionali maturate in anni di attività nel campo del commercio estero, e di strutture logistiche avanzate, per potersi presentare con i mezzi adeguati ad affrontare una concorrenza estera pervasa da forte e crescente aggressività. Si tratta, in altri termini, di una formula imprenditoriale che non si può creare dal nulla e, in particolare, non senza poter disporre - sin dall'inizio - di capacità naturali e professionali cresciute in una valida dinamica internazionale. Per quanto riguarda le aree e i prodotti, ritengo che non vi debbano essere, in generale, delle limitazioni aprioristiche. Si dovranno effettuare indubbiamente delle scelte, ma queste saranno determinate principalmente dalla possibilità e dalla convenienza di garantire un insieme di servizi, sia per i produttori che per gli utilizzatori finali, che diano una certa continuità nel tempo. Ciò implica una serie di considerazioni che in questa sede sarebbe troppo lungo analizzare, ma che si potrebbero così sintetizzare:

€ valutazione del mercato ed esame del rischio-Paese;
€ esame del prodotto, del produttore e dei suoi concorrenti;
€ obiettivi a medio-lungo termine;
€ tipo di collaborazione tecnico-commerciale ottenibile dal produttore;
€ investimenti richiesti e return economici per gli enti interessati;
€ disponibilità delle strutture operative necessarie per affrontare il nuovo mercato-prodotto;
€ capacità di reazione, quindi versatilità aziendale, di fronte alle frequenti e repentine mutazioni dei mercati.

3 - Qual'è la sua opinione in merito al duplice ruolo della trading company italiana di favorire una migliore penetrazione sui mercati internazionali e di razionalizzare l'import italiano?

Il motivo forse più spesso ricorrente all'estero nella critica al made in Italy è basato, a torto o a ragione, sulla discontinuità, sia dell'offerta che della propensione delle aziende italiane a fornire l'assistenza tecnica al prodotto. A parte le considerazioni sulle problematiche prettamente nazionali che spesso concorrono a generare questa nostra immagine all'estero, e che l'intervento della trading non potrà - da sola - correggere, ritengo che quest'ultima potrà svolgere un importante ruolo nella soluzione dei problemi che stanno a monte e a valle. Mi riferisco, da una parte, a una migliore razionalizzazione delle importazioni di quei beni che concorrono al processo di trasformazione in prodotti finiti da esportare e, dall'altra, all'assistenza che la trading company è generalmente in grado di assicurare all'utilizzatore finale. Infine, ma non meno importante, è da considerare la capacità della trading company di effettuare operazioni di compensazione e, quindi, per esempio, di esportare prodotti industriali verso un Paese carente di valuta estera, ottenendone in cambio materie prime o prodotti alimentari a condizioni economicamente vantaggiose. Ma il ruolo della trading company non si ferma a queste semplici schematizzazioni: si tratta, infatti, di uno strumento dotato della necessaria flessibilità per potersi adattare con competenza e serietà ai più svariati utilizzi richiesti dall'interscambio odierno.