Guida agli scambi in compensazione: Le organizzazioni in grado di seguire una compensazione - parte IV

Articolo pubblicato sulla "Gazzetta Valutaria e del Commercio Internazionale", n. 15/1984 pagg. 1048 e segg. (Le parti I, II e III portano la firma di un altro Autore)

Cod.: GV.84.15.COM.3

Il progressivo e costante acutizzarsi delle difficoltà operative incontrate negli ultimi anni dal commercio internazionale ha portato ancora una volta alla ribalta l'argomento degli scambi in compensazione. Come si è potuto rilevare dai precedenti articoli pubblicati su questa rivista (1), la storia delle compensazioni è densa di esperienze che ruotano attorno allo schema-base, più o meno riconducibile alle primordiali forme di baratto. La tecnica mercantile, aiutata dalla fantasia e sollecitata dalle "scottature" qua e là subite lungo il percorso, ha elaborato una gamma multiforme di casi, più o meno sofisticati, per cercare di inquadrare, affinare e standardizzare gli scambi in compensazione. Una cosa è comunque certa: illustrare la tecnica di queste operazioni può essere relativamente facile, mentre realizzarle e realizzarle bene è un esercizio sempre difficile. Questa affermazione nasce dalla semplice considerazione che nei casi "normali" chi vende viene pagato in denaro e se ciò non può avvenire, significa che si è creata una distorsione nell'armonia del sistema. Se il compratore insiste nel voler diventare nello stesso tempo anche venditore, significa che i suoi prodotti non possono essere venduti separatamente ed in modo semplice. Quindi, il cliente in questione impone alla sua controparte l'acquisto di un bene generalmente non richiesto o, quanto meno, non richiesto a quel prezzo. La compensazione diviene allora un'operazione nella quale le due parti in causa entrano con un approccio non privo di una certa dose di ambiguità; infatti, chi è costretto ad acquistare qualcosa che altrimenti non vorrebbe, aumenta il prezzo di vendita dei suoi prodotti di quel quid che compensa la forzatura da lui subita. Per contro, il suo interlocutore sa di dover pagare di più ciò che acquista e cerca quindi di sopravvalutare i propri prodotti, già di per sè stessi poco attraenti. Si crea allora una spirale di aumenti artificiosi che altera comunque l'equilibrio normale del mercato e, infine, falsa i prezzi. E' l'eterna lotta fra il gatto ed il topo, dove talvolta non si comprende chi sia l'uno e chi sia l'altro. Questo modus operandi, una volta assurto a sistema, finisce con lo sconvolgere il mercato e ciò spiega perché le varie istituzioni internazionali, fra le quali il Fondo Monetario Internazionale (2), l'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ed il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), abbiano sempre cercato di frenare in tutti i modi l'espandersi di questa forma distorsiva degli scambi internazionali.

Preoccupazioni legate al diffondersi delle compensazioni.

Le preoccupazioni generate dal diffondersi della compensazione su scala continuativa non sono solo di ordine economico, bensì anche di natura finanziaria. E' noto infatti che l'indebitamento a cui sono giunti molti Paesi, principalmente quelli in via di sviluppo, nei confronti degli Istituti finanziari e dei fornitori esteri, non riesce più a trovare un ragionevole equilibrio con le risorse disponibili in quei Paesi e degenera quindi in forme patologiche di insolvenza, molto vicine alla completa bancarotta. Quelle stesse risorse che, valutate a suo tempo con evidente eccessivo ottimismo, erano state poste a presidio del ripagamento dei debiti finanziari e commerciali contratti all'estero, sono oggi offerte sul mercato quale contropartita commerciale di nuovi acquisti, erodendo così sempre più le capacità degli stessi Paesi a far fronte agli impegni pregressi; In altri termini, certi Paesi stanno vendendo le stesse risorse due volte, quand'anche non tre; perché seguendo l'antica massima della "ciliegia che tira l'altra", la compensazione - una volta avviata - non si limita sempre al semplice scambio pressoché contemporaneo di merci di valore più o meno analogo, ma degenera a sua volta in formule di finanziamento-baratto, dove il "Paese-senza-soldi" acquista qualcosa per ritiro a breve, impegnandosi a pagare con propri prodotti da consegnare nel medio/lungo termine. E' il caso di un lontano, ma ben noto, Paese produttore di grandi quantità di zucchero di canna, che offre sistematicamente la propria produzione a venire, ipotecando un futuro che - fra l'altro - è condizionato anche dalla benevolenza delle condizioni meteorologiche!

Compensazioni, una medicina amara.

D'altro canto taluni comportamenti sono comprensibili, anche se non sempre giustificabili in una logica di fredda valutazione economica: i Paesi che hanno subito una drastica chiusura delle fonti di finanziamento esterno, necessarie allo sviluppo del proprio processo evolutivo, cercano in tutti i modi di reagire, escogitando quelle forme di escamotage che possano evitar loro la completa paralisi. La difficoltà principale sta nelle scelte che questi Paesi devono effettuare. Se attraverso lo strumento degli scambi in compensazione riescono finalmente a realizzare investimenti veramente produttivi nel breve periodo, possono sperare in un recupero - seppur graduale - delle posizioni precedentemente perdute, ma se ripetono errori di scelta già commessi in passato, realizzando - come spesso fatto per soli fini politici interni - "cattedrali nel deserto" economicamente ingiustificate, la strada della compensazione diviene un semplice narcotico che non modifica il decorso irreversibile della malattia. A queste considerazioni di carattere generale, che motivano una iniziale resistenza degli operatori economici verso tutte le forme più o meno sofisticate di baratto, subentrano in un secondo tempo valutazioni di tipo soggettivo che portano a concludere che la compensazione è ormai entrata a far parte - in una certa misura - del nostro vivere quotidiano e che occorre quindi, obtorto collo, accettarla come si subisce una medicina amara quando non c'è altra soluzione migliore a portata di mano. Il problema dell'operatore si restringe allora al suo microcosmo, alle particolarità della specifica transazione, alle modalità operative ed alla ricerca delle migliori soluzioni per rendere accettabile, e possibilmente indolore, la medicina che deve assumere. Come si è visto in precedenza, le tipologie delle operazioni in compensazione sono talmente eterogenee e difformi l'una dall'altra che la loro schematizzazione diviene una forzatura accademica, spesso lontana dalla realtà operativa. Si può senz'altro affermare che ogni transazione ha una propria configurazione motivazionale ed un proprio iter operativo; le scelte decisionali e le strategie di attuazione dipendono quindi ancora una volta dall'esperienza dell'operatore, dalla convenienza economica e dalla valutazione dei rischi.

Gli operatori italiani e le compensazioni.

Prescindendo per il momento da coloro che per vocazione si occupano prevalentemente di triangolazioni commerciali, di compensazioni, o di quelle operazioni più in generale definite off-shore, la maggior parte degli operatori nazionali si trova impreparata ad accettare, con cognizione di causa, offerte di pagamento in merci. Chi detiene la tecnologia per produrre un bene industriale non saprebbe il più delle volte come e dove collocare partite di manioca provenienti dall'Indonesia, o di juta del Bangladesh, ed il risultato sarebbe quasi sempre l'abbandono della trattativa al suo nascere. Ciò è dovuto ad una pluralità di cause, fra le quali possiamo qui evidenziarne alcune. Innanzi tutto, la gran parte degli operatori italiani ha acquisito una particolare esperienza nel trattare le specifiche linee merceologiche da loro stessi prodotte e/o commercializzate, senza acquisire però un sufficiente bagaglio conoscitivo per poter trattare altri prodotti in controacquisto. Inoltre, le favorevoli condizioni in cui si è svolto negli ultimi decenni il commercio internazionale in genere, hanno permesso di concludere gran parte delle esportazioni di beni e servizi (se si escludono le operazioni in compensazione effettuate da pochi specialisti o da talune grandi Aziende verso Paesi dell'Est europeo e la Cina) sulla base di regolamenti in valuta, senza dover far ricorso a formule di pagamento più complesse. Infine, nell'immediato dopoguerra, le condizioni imposte all'Italia dalle nazioni vincitrici hanno portato all'isolamento geo-economico di Trieste (naturale punto di transito degli scambi Est-Ovest e Nord-Sud), ed hanno fatto gradualmente perdere al nostro Paese gran parte di quella ricchezza di esperienze nel commercio off-shore che era stata accomulata negli anni precedenti da un nutrito gruppo di qualificati operatori triestini. Di fronte all'odierna generale riluttanza dell'operatore italiano ad affrontare il problema della compensazione, sia sul piano conoscitivo che su quello più strettamente operativo, si assiste ad una continua espansione del giro d'affari delle case di commercio estero, particolarmente austriache, tedesche ed inglesi, specializzate in questo genere di transazioni. La loro ascesa è stata peraltro agevolata anche da una maggiore autonomia operativa permessa dalle normative valutarie, fiscali e doganali dei loro Paesi, rispetto alle limitazioni ed ai vincoli presenti nella disciplina italiana.

Trading Company e compensazioni.

Pur dovendo operare nell'ambito delle possibilità concesse dalle disposizioni vigenti, anche in Italia si sono comunque affermate poche ma valide case di commercio estero (oggi si preferisce definirle Trading Company), che sono in grado di assistere l'operatore nazionale in tutte le fasi in cui si svolge una trattativa da regolarsi in compensazione. In effetti, il ricorso alla Trading Company rappresenta la soluzione obbligata per l'operatore/produttore, in quanto questo tipo di azienda per vocazione, struttura, esperienza e versatilità è in grado di svolgere tutte quelle funzioni che l'esportatore tradizionale difficilmente potrebbe curare. Si tratta però di identificare bene a priori certi presupposti di base che possano consentire una integrazione ottimale delle capacità operative e negoziali delle due entità, il produttore e la Trading Company, altrimenti il matrimonio fra i due non avrebbe storia. Sostanzialmente, possono verificarsi due casi distinti: nel primo è la Trading Company stessa che promuove l'operazione principale a cui fa da corollario il pagamento in compensazione; nel secondo è il produttore che si rivolge alla Trading Company per ottenere l'assistenza nella collocazione dei prodotti ottenuti in contropartita.

Per quanto concerne il primo caso, ci si trova di fronte ad una organizzazione che conosce già la meccanica e le regole che governano gli scambi in compensazione e quindi sa dove collocare le merci avute in cambio; è in grado di valutarne a priori il "premio di sfioramento" (o "disaggio") ed ha già sicuramente effettuato una propria accurata valutazione sul rischio globale dell'operazione. Il produttore nazionale diviene quindi un "fornitore" della Trading Company e come tale deve unicamente preoccuparsi, dal punto di vista commerciale, della concorrenzialità del suo prodotto vis-à-vis degli altri potenziali fornitori.

Diverso è invece il secondo caso, che s'incontra quando la promozione dell'operazione principale (vendita del prodotto italiano) è curata d'iniziativa dal produttore nazionale. In assenza di precise conoscenze circa le meccaniche della compensazione e del prodotto da ritirare in contropartita, è assolutamente necessario lasciare aperti ampi spazi negoziali con la controparte estera per quanto concerne in particolare i prezzi., le tempistiche di spedizione e di ritiro, le modalità di regolamento compensativo. Tutti questi aspetti dovranno essere esaminati attentamente e per tempo con la Trading Company, in modo da poter definire i termini contrattuali con la controparte estera una volta in possesso di tutte le necessarie coordinate. Nella prassi quotidiana capita infatti d'incontrare operatori nazionali che hanno trattato autonomamente un'operazione con l'estero e presentato già un'offerta (quotazione) come se la trattativa potesse essere regolata in valuta, nonostante fosse noto che quel determinato Paese opera solamente in regime di compensazione. Se una volta ricevuta la quotazione il potenziale cliente offre in pagamento proprie merci, l'operatore nazionale non ha più la possibilità (a meno di erodere il proprio margine di profitto) di sopportare i "premi di sfioramento", le commissioni, ecc., che la compensazione gli comporterebbe e - a quel punto - il ricorso alla Trading Company diventa assolutamente inutile. Ne scaturisce una regola semplice: gli esportatori che non hanno dimestichezza con gli scambi in compensazione si avvalgano, sin da subito, delle case specializzate di commercio estero, esistenti in Italia o altrove, oppure ... lascino perdere l'affare.

Decalogo di chi opera in contropartita.

Secondo un ormai famoso "decalogo" in uso fra chi opera in contropartita, prima di entrare nel vivo di una operazione, soprattutto con un Paese in via di sviluppo, è bene definire i seguenti punti:

1 - assicurarsi che il Paese estero veramente insista nell'offrire una contropartita merceologica e, se esistono, procurarsi copia delle norme che regolano questa forma di scambio;

2 - identificare l'autorità locale preposta a concedere le licenze d'importazione; verificare le norme che le regolano ed accertarsi che il cliente sia in grado di ottenere tutte le autorizzazioni richieste per procedere all'importazione delle merci che gli si intende vendere;

3 - cercare di convincere, per quanto possibile, il cliente ad offrire in compensazione determinati suoi prodotti, anziché lasciarlo libero di cedere ciò che più gli aggrada;

4 - verificare la posizione delle merci offerte in compensazione nei confronti dei contingenti all'importazione (quote);

5 - accertarsi che il Paese del cliente non ponga dei limiti territoriali alla rivendita dei suoi prodotti;

6 - stabilire la possibilità o meno di collocare direttamente i prodotti ottenuti in contropartita, determinando - in caso positivo - anche dove collocarli ed a quale prezzo;

7 - pre-calcolare la possibile perdita nella rivendita dei prodotti ottenibili dall'estero;

8 - se non si è in grado di garantire direttamente la rivendita, contattare una casa di commercio estero specializzata, perché si responsabilizzi da subito sul futuro collocamento di tali prodotti;

9 - cercare di capire se il Paese estero adotta nel campo delle compensazioni la politica dell'export first, cioè se è disposto a spedire i suoi prodotti prima di aver importato quelli che gli si vuole vendere. Questo caso certamente alleggerirebbe una parte dei rischi connessi con l'operazione;

10 - accertare la disponibilità del cliente a delegare a una banca italiana (o comunque di prim'ordine) il compito di gestire attraverso un trustee account (chiamato anche escrow account) le movimentazioni monetarie della compensazione. Gli accrediti derivanti dalla vendita dei prodotti ricevuti devono cioè essere utilizzati per pagare i prodotti spediti all'estero.

Si tratta, ovviamente, di punti d'esame preliminari che non esauriscono certo tutte le domande e le problematiche connesse con la complessità degli scambi in compensazione, ma che possono certamente costituire la base per valutarne a priori la fattibilità.

Note:

1 - GVCI 12,13 e 14/84
2 - La conferenza internazionale tenutasi nel luglio 1944 a Bretton Woods, con la presenza di 44 Paesi, gettò le basi per una nuova politica monetaria e commerciale, basata sull'oro e sul dollaro, che doveva porre termine alla generale confusione a cui erano giunti gli scambi internazionali, ormai dominati dagli scambi in compensazione. Fu appunto in quella occasione che ebbe origine la costituzione del Fondo Monetario Internazionale e quella della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (I.B.R.D.)