Ruolo delle Trading Companies

Articolo pubblicato sulla "Gazzetta Valutaria e del Commercio Internazionale" n. 18/1984

cod.: GV.84.18.TRC 0

Da qualche tempo a questa parte in Italia si sente sempre più spesso parlare di trading companies. Si riunisce convegno un gruppo di aziende industriali produttrici di un certo tipo di bene, vengono dibattute le tematiche congiunturali più attuali, quali in costo del lavoro, la scala mobile, l'ascesa del dollaro, ecc., e quando di tocca il tema delle esportazioni da più parti si levano voci che suggeriscono la creazione di una trading company intersettoriale che possa dare nuovo impulso alle vendite all'estero. Da altre parti vengono sollecitati gli Istituti bancari a farsi promotori di iniziative per la costituzione di nuove tradings, partendo dalla convinzione che alla base del successo di queste iniziative debba esistere una consistente disponibilità di mezzi finanziari. Ma non basta. Infatti si nota la tendenza costante da parte di varie istituzioni, sorte con finalità diverse (consorzi fra imprese per la creazione di un marchio comune o per la partecipazione a fiere, studi di consulenza commerciale, intermediari vari, ecc.), ad autodefinirsi o ad autotrasformarsi in trading companies. Da cosa nasce questo improvviso desiderio di tradings? Senza dubbio da obiettive necessità congiunturali che richiedono l'utilizzo di più attuali strumenti per poter affrontare adeguatamente i mercati esteri, ma anche da sollecitazioni di tipo suggestivo che spesso trascurano la realtà per lasciarsi trascinare da una moda o da un'illusione temporanea.

Trading Companies e Case di Commercio Estero

Che parlare di trading companies sia una moda di oggi è evidente: in Italia da tempi forse immemorabili esistono Case di Commercio Estero che, fra gli alti e bassi che si verificano nella vita delle migliori famiglie, hanno certamente contribuito e contribuiscono in misura sensibile a gestire una componente significativa del nostro interscambio. Eppure di queste aziende, che esaminate in profondità sono certamente delle trading companies, seppure "Italian Style", non se ne è quasi mai parlato prima. Come detto sono certamente delle tradings all'italiana, nate e cresciute cioè nel nostro contesto geografico, storico, socio-economico e normativo, ma senza che ciò possa e debba suonare come sinonimo di staticità nei confronti dell'evoluzione dei mezzi, delle tecniche e delle strategie richieste dalla dinamica dei mercati esteri. Sulla spinta della moda il termine trading company non viene quasi ami attribuito alle esistenti Case di Commercio estero italiane, ma viene destinato a quelle ipotetiche nuove iniziative che dovrebbero sorgere nel nostro Paese prendendo a modello i famosi fenomeni giapponesi, sud coreani o, ultimi nati, statunitensi. Cerchiamo di dare una spiegazione a tutto ciò. Alla base c'è indubbiamente il fascino che emana dai risultati e dall'immagine che le trading companies di quei Paesi hanno costruito in questi ultimi decenni, nonché l'illusione che gli stessi schemi operativi possano essere utilizzati tel-quel nel nostro Paese. E non è detto che le esistenti Case di Commercio estero italiane non abbiano già assimilato ed utilizzato quanto di buono potesse essere stato "insegnato" da questi modelli stranieri. Ma c'è anche una seconda motivazione. L'atavica diffidenza del nostro spirito mediterraneo nei confronti di qualsiasi forma di concreto associazionismo o di integrazione paritetica. In realtà si auspica la formazione di tradings che possano essere strettamente controllate dai promotori. Quindi, non delle Case di Commercio Estero indipendenti (quali, fra l'altro, sono per la maggior parte quelle dei modelli citati) con le quali allacciare dei rapporti di integrazione orizzontale tendenti al conseguimento di vere economie di scala. O non si è capito il ruolo della trading company , oppure in Italia non ce n'è bisogno.Si è ovviamente più propensi a credere che la prima spiegazione sia quella più attendibile. Se le esistenti trading companies italiane non sono in grado di soddisfare le esigenze di chi sollecita la creazione di nuove strutture ad hoc, ciò è forse dovuto al fatto che queste esigenze spesso si basano su una componente di esasperato individualismo che trascura il principio di una equilibrata distribuzione di risorse, di rischi e di margini di profitto. La trading company che deve assumersi tutti i rischi (come sarebbe nei desideri di molti di coloro che l'affrontano per la prima volta) o che non deve assumersene alcuno (come sarebbe voluto da quelle t.c. nate per partenogenesi da gruppi intersettoriali) o non esiste o non è una trading company raffrontabile ai modelli ai quali ci si vorrebbe ispirare. Il rischio è una delle componenti intrinseche dell'impresa; si tratta di trovare il suo giusto equilibrio dentro e fuori la trading company, nello spirito di un razionale utilizzo dei mezzi e delle risorse disponibili.

Legislazione e sviluppo delle trading companies

D'altro canto la realtà delle normative vigenti non è certo di ausilio allo sviluppo delle Case di Commercio Estero italiane. Basti pensare alle vaste problematiche connesse con il famigerato art. 8 della legge sull'IVA, alle limitazioni imposte dalle disposizioni sul commercio di transito, alle restrizioni in materia di corresponsione all'estero di compensi d'intermediazione o di provvigioni, ecc. Al fatto stesso che non esiste a tutt'oggi - a livello normativo - una precisa e specifica collocazione delle Case di Commercio Estero. La trading company è comunque una realtà concretamente presente nel nostro Paese e rappresentata da un numero di aziende che per dimensione, esperienze e finalità, sono in grado di assistere la più vasta gamma di esigenze. Sono inoltre dotate, per loro stessa natura, della sufficiente versatilità che consente loro di potersi adattare alle più svariate soluzioni operative. Si tratta di approcciarle con lo spirito giusto e, soprattutto, con la convinzione di voler percorrere la stessa strada fianco a fianco, senza timore di perdere la propria autonomia o la propria individualità.

Nota:

Cfr. in proposito anche in GVCI 16/1983, pagg. 1118 e segg. e 17/1993, pagg. 1196 e segg. Per unapprofondimento della tematica cfr.: S. Alessandrini, Le trading companies e il commercio italiano di esportazione, Cescom, ed. Angeli, Milano, 1982; Gli operatori commerciali nel processo di internazionalizazione dell'economia italiana, a cura di C. Secchi, ed. Angeli, Milano, 1984; Atti del convegno "Marco Polo", ANCE, Venezia, 11-12 ottobre 1979.