E in Italia lo Stato sta a guardare...

Articolo pubblicato da Successo - n. 7/8 - Luglio/Agosto 1985

cod.: SS.85.07.COM.0

L'incapacità dimostrata da organismi economico-monetari sovranazionali, quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, di assicurare continuità al sistema multilaterale degli scambi in presenza di forti debolezze della dinamica economica, è certamente uno dei motivi che hanno dato libero sfogo all'espansione ormai generalizzata della compensazione, in tutte le sue forme.

Negli ultimi tempi si sono così affacciati sulla scena anche i paesi in via di sviluppo ed i paesi produttori di petrolio del Terzo Mondo, spostando in misura massiccia verso l'asse nord-sud quel sistema bilaterale di scambi che era stato, in passato, una componente ricorrente nel commercio est-ovest.

Le motivazioni che spingono questi ultimi mercati a offrire e, spesso, a imporre regolamenti compensativi, sono ben diverse da quelle dei paesi ad economia pianificata, come pure differenti sono i problemi ed i rischi che l'operatore del paese industrializzato incontra nella gestione delle operazioni. Dietro al countertrade c'è infatti quasi sempre una economia monetariamente dissestata che propone in pagamento beni "elementari", in cambio degli strumenti necessari a far sopravvivere il suo già lento e difficile processo di sviluppo.

Si tratta principalmente di un'offerta di materie prime, di idrocarburi e di grandi commodities che, entro certi limiti, non pone soverchie problematiche di tipo qualitativo, ma che è spesso soggetta al rischio di mancata consegna dei prodotti nei tempi concordati. Capita infatti talvolta che la somma dei beni impegnati dal paese nei vari accordi da lui sottoscritti superi le capacità produttive o esportative del paese stesso, con conseguenti "insolvenze" o ritardi nelle consegne dei prodotti promessi.

E', se vogliamo, quel rischio politico di mancato pagamento che, nelle forme più ortodosse del commercio internazionale regolate in valuta, l'operatore trova, o trovava possibile, coprire attraverso schemi assicurativi generalmente di tipo pubblico quali, ad esempio, quelli gestiti in Italia dalla SACE.

Nel campo degli scambi in compensazione però le compagnie assicurative statali non intervengono ancora, sia per via della loro dedizione istituzionale alla causa del multilateralismo degli scambi, che per la loro tradizionale lenta reattività ad adeguarsi alle mutevoli e improvvise esigenze del mercato.

Ciò ha lasciato ampi spazi al sistema assicurativo privato, che sta sempre più dedicando attenzione alla copertura dei rischi, soprattutto politici, del countertrade. Maestri di cerimonia sono per ora le grandi compagnie britanniche e statunitensi che, praticamente, monopolizzano il mercato.

Nel nostro paese ci si trova, come al solito, spiazzati. Le compagnie nazionali non sono ancora autorizzate ad assumere questo tipo di rischi e l'operatore commerciale deve far ricorso all'estero, dopo aver atteso pazientemente le necessarie autorizzazioni da ben due ministeri, quello del commercio con l'estero e quello dell'industria.

Anche in questo caso si manifesta la ghettizzazione operativa in cui troppo spesso si sente confinato l'operatore italiano, costretto a muoversi in una fitta rete di disposizioni limitative, nei confronti di una concorrenza estera meno vincolata -se non addirittura ben sostenuta- dal proprio apparato pubblico. L'aspetto assicurativo è solo un lato del problema ma, in generale, l'atteggiamento delle nostre strutture pubbliche è ancora troppo distaccato e indifferente, come se l'alta incidenza del countertrade nel mercato internazionale riguardasse la vita di un altro pianeta e non toccasse invece gli interessi vitali della nostra economia.