Razionalizzare l'import per sviluppare l'export

Articolo pubblicato su "Esportare" - Ago./Sett. 1986 - n.15/18 - pagg. 94 e segg.)

cod.: ES.86.07.MKT.0

La maggioranza dell'opinione pubblica ita liana si rende conto dell'esistenza di una realtà-import quando viene a cono scenza dei dati sui saldi della nostra bilancia commerciale e scopre che se il prezzo del barile di petrolio scende al di sotto di certi livelli possiamo sperare in un bilanciamento delle posizioni o, addirittura, in un saldo positivo degli scambi con l'estero. Oppure, ancora, quando il consumatore si sorprende di trovare sulla propria tavola agrumi provenienti da Israele, fichi secchi turchi o mar mellate australiane; tutti prodotti cioè che ci si chiede come non debbano essere esclusivamente di origine italiana. In realtà, per un paese trasformatore e carente di materie prime quale è il nostro, le importazioni costituiscono una compo nente di primo piano, troppo spesso ignorata o dimenticata dagli organi di stampa e dalle strutture pubbliche e private interessate ai problemi dell'interscambio. Nel clima di multilateralismo degli scambi che aveva ca ratterizzato i decenni passati, l'attenzione degli osservatori si è sempre più soffermata sui problemi dell'esportazione e lo stesso termine "interscambio" è diventato - in senso chiaramente limitativo- quasi sinonimo di "vendite all'estero". Certamente questo apparente disinteresse non è tale presso gli enti che gestiscono le importazioni in forma più diretta, siano essi importatori-utilizza tori od importatori-commercianti, e che quindi sono sensibili ed attenti alle problematiche del settore. Ma sinora le espe rienze e gli interessi che si sono formati nel campo degli approvvigiona menti dall'estero hanno generalmente viaggiato su binari completamente distinti, se non addirittura divergenti, da quelli sui quali marciano le espe rienze e gli interessi dell'export. Capita così, ad esempio, che si acquistino annualmente da taluni paesi in via di sviluppo svariati milioni di dollari di fa rine e semi oleosi, pagati in valuta, e che - per contro - non si possano più vendere a quegli stessi paesi i nostri tradizionali beni industriali in quanto mancano le sufficienti garanzie di incasso dei cre diti. Coloro che curano l'importazione delle commodities non sono general mente interessati alla produzione ed alla vendita di beni industriali, e vice versa. In questa diffor mità d'interessi è nata e cresciuta l'assurda spaccatura del commercio estero in due tronconi distinti che nuocciono su un piano col lettivo e che de vono trovare un diverso assestamento attraverso l'attento coinvolgimento delle strutture pubbliche e private.

Un campione significativo

Da un'analisi effettuata su dati statistici dell'interscambio italiano nei con fronti di un campione di 24 paesi che presentano una costanza di saldi a loro favore nella bilancia com merciale verso il nostro paese scaturiscono interessanti spunti di riflessione (vedi tabella).

Anno

1983

1983

1984

1984

Prodotti

Area/Paese

imp.

exp.

imp.

exp.

Principali importazioni

Europa

Cecoslovacchia

339

183

379

211

Metalli, legnami, cacao, carbone

Polonia

458

290

616

354

Carbone, autoveicoli, carni, pesce

Ungheria

466

319

534

360

Carni, carbone, metalli, legname

Africa

Costa d'Avorio

400

78

418

70

Caffè, legname, frutta, cacao

Liberia

163

99

191

90

Minerali

Maurituania

92

19

120

16

Minerali, pesce

SudAfrica

1975

720

3024

912

Metalli preziosi, carbone, minerali, lane, pelli

Sudan

61

115

121

93

Cotone, olii e grassi alimentari

Uganda

33

17

53

19

Caffè, pelli

Zaire

157

53

195

106

Caffè, minerali

Zambia

117

18

132

17

Minerali

Zimbabwe

99

33

123

55

Cotone, minerali, metalli, pelli

America

Costarica

69

23

80

31

Frutta, caffè

Guatemala

75

11

95

14

Caffè, cotone, frutta

Honduras

29

19

40

26

Frutta, caffè

Argentina

597

396

776

420

Farine e semi oleosi, cereali, pesce, lane

Brasile

1531

343

2164

452

Caffè, auto,minerali, farine e semi oleosi, carni

Cile

299

70

308

104

Minerali, cellulosa, frutta

Colombia

269

141

214

145

Olii combustibili, caffè, frutta

Perù

171

121

200

138

Minerali, olii, cotone

Asia

Bangladesh

78

23

133

19

Pelli, prodotti tessili

Filippine

54

80

109

39

Pesce, minerali, frutta

Indonesia

274

184

325

205

Legnami, minerali, caffè, pelli, prodotti tessili

Malaysia

227

207

326

189

Gomma, olii minerali, legnami

Totale

8033

3562

10676

4085

(Importi in miliardi di lire)

(cifre estratte dalle statistiche Istat sul commercio estero, ed.1985)

Il campione esaminato esclude volutamente i paesi industrializzati, con la sola eccezione del Sud Africa, nonchè quelli principalmente produttori di pe trolio, e presenta i seguenti risultati complessivi (importi in miliardi di lire):

Anno

1983

1984

Totale importazioni italiane

8033

10676

Totale esportazioni italiane

3562

4085

Sbilancio

4471

6591

Le cifre considerate nel campione rappresentano, per l'anno 1984 il 7,2% del totale delle importazioni italiane (6,6% per il 1983) ed il 9,1% se consi derate al netto delle importazioni di prodotti destinati ad uso prevalente mente ener getico, quali il petrolio ed i suoi derivati (8,7% per il 1983). Il mix-prodotti è formato, sostanzialmente, da minerali di ferro, rame, zinco, ecc., da legnami, pelli, materie prime e prodotti tessili, cereali, caffè, cacao, farine e semi oleosi, pesce e frutta. Si tratta, in prevalenza, di paesi dove è difficoltoso poter esportare prodotti italiani, sia a causa di problemi valutari (es.: Uganda, Zambia, Zaire, Bangladesh, Polonia), che per l'esistenza delle più svariate barriere prote zionistiche (es.: Malaysia, Indonesia, Brasile).

Export e import

Se su un piano più esteso gli interessi e le esperienze di chi importa sono distinti da quelli di chi esporta, in settori particolari dell'attività più stretta mente industriale si ritro vano talvolta situazioni che rendono possibile una immediata correlazione fra gli acquisti e le vendite nei confronti dell'estero. Questo caso si presenta ogni qualvolta un'impresa utilizza, nel proprio pro cesso industriale, materie prime, semilavorati o componenti acquistati presso la stessa controparte (azienda o paese) alla quale sono stati venduti, o si venderanno, i prodotti finiti. La circo stanza non sempre è conseguente ad una imposizione di "buy back" o di "offset" originata dal cliente estero, bensì può derivare da una precisa valuta zione di convenienza economica che rende possibile, da una parte, acquisire un mercato di sbocco e, dall'altra, diminuire i costi di produzione e migliorare la competitività del prodotto finale. Questa situazione è realizzabile soltanto nei limiti della capacità e della convenienza della specifica azienda indu striale di portare a termine l'iniziativa, trova un più ampio spazio operativo in presenza di un conglome rato industriale che consenta ad una fabbrica di uti lizzare certi beni d'importazione e, ad una seconda fabbrica dello stesso stesso gruppo, di vendere i propri prodotti al medesimo paese estero. Al di là delle particolari circostanze sopra esemplificate, la ricerca delle possibili si nergie fra le due funzioni dell'interscambio richiede interventi ben più ampi e di non facile realizzazione, in quanto coinvolge o realtà indu striali meno di sponibili al semplice utilizzo "in house" del prodotto esistente in quello speci fico mercato estero, od organizzazioni commerciali netta mente differenziate sul piano degli interessi merceologici. Si deve pertanto stabilire a priori chi fa che cosa e quindi cercare di coin volgere le parti alla ricerca di un comune interesse che le possa legare as sieme. Gli interrogativi che s'impongono per cercare di impostare una utile armo nizzazione fra le due funzioni sono so stanzialmente pochi:

--che cosa e da dove si importa, o si potrebbe importare;
--chi importa;
--come e da chi vengono utilizzati i beni importati e, per contro,
--che cosa si esporta
--chi esporta;
--dove si esporta, o si potrebbe esportare.

Si tratta quindi di valutare i dati raccolti alla luce anche delle abitudini e delle regole che governano l'interscambio di taluni prodotti, in particolare per qu anto riguarda le materie prime, i prodotti energetici, le grandi com modities, nonchè dei vincoli comunitari ed extra-comunitari che, a vari livelli, limitano la libera trasferibilità di molte merci. Infine occorre individuare le modalità e le componenti più idonee per dar corso ad una intelligente utilizzazione dell'interscambio, senza peraltro sconfinare verso forme di protezionismo del tipo "io compro da te se tu com pri da me".

La funzione commerciale

La sede più naturale nella quale dovrebbero nascere, agire e svilup parsi buona parte delle azioni più sopra illustrate, dovrebbe risiedere nella "trading company", cioè in quella partico lare struttura commerciale che, col locandosi in una posizione mediana fra la produzione ed il consumo, po trebbe essere in grado di assicurare, all'uno ed all'altro, maggiore econo micità degli approvvigionamenti e migliore asssi stenza nella commercializ zazione dei prodotti. Per poter far ciò dovrebbe però esistere, anche nel nostro paese, un sistema di trading analogo quanto a ma gnitudine a quello giapponese, adeguata mente dimensionato, quindi, a ge stire un così ampio spettro di interessi e di volumi d'affari in modo struttural mente omogeneo. La stessa trading company che, per sua propria specializ zazione merceo logica e geografica, è interessata ad esportare un certo gruppo di beni verso una determinata area, dovrebbe poter ricevere anche il mandato di curare gli acquisti, da quella stessa area, di altri beni (che potreb bero anche non aver nulla a che fare con i primi) da fornire agli utilizzatori nazionali. Anche in questo campo, comunque, la netta distinzione fra l'import e l'export ha interessato pressochè tutti gli operatori, ed oggi ri scontriamo l'esistenza di una pluralità di aziende, dalle più grandi alle più piccole, che si occupano generalmente o dell'uno o dell'altro degli aspetti dell'interscambio. Con la sola differenza che, a causa delle solite deforma zioni terminologiche impo ste dalle mode del momento, vengono oggi comu nemente definite trading company quelle aziende che sono prevalentemente "export oriented", men tre restano senza una precisa etichettatura anglo-sas sone le aziende com merciali che trattano anche ingenti quantità di prodotti all'importazione. Gli importatori di petrolio sono così definiti "petrolieri", mentre agli importatori di carne, cereali o di altre commodities viene, ancor più sem plicemente at tribuita la qualifica di "commerciante" o di "grossista". Ma, a parte questa parentesi linguistica, vi è una profonda differenza di esperienze fra le due entità commerciali. Chi è uso importare lana, cacao, legname, zinco o qualsiasi altra merce, ne ha assimilato tutto lo scibile. Per contro, questo stesso operatore non conosce pressochè nulla della vendita all'estero di quei beni dell'industria italiana di trasformazione che formano la base dell'esperienza delle "trading companies export oriented". Se pensare di po ter giungere un giorno, nel nostro sistema economico, ad una completa fu sione delle differenti esperienze può essere considerata mera illusione, non è invece vano cercare di individuare possibili collabo razioni fra i due diversi mondi. In ultima analisi, queste sinergie si possono trasformare anche in con creti vantaggi economici per i due gruppi di operatori. Se, infatti, una diversa ca nalizzazione dei flussi d'importazione può consentire l'espansione dell'export, non è improbabile che quelle stesse merci estere possano ve nire a costare meno all'utilizzatore nazionale proprio grazie al vantaggio dato all'azienda che ha potuto esportare di più.

Il ruolo pubblico

Per superare lo scoglio delle abi tudini fortemente radicate nelle esperienze e negli interessi quotidiani degli operatori, si rende necessario un coinvol gimento attivo delle strutture pubbli che istituzionalmente preposte allo svi luppo od al controllo delle operazioni d'interscambio. Nei limiti, beninteso, degli impegni che legano l'Italia alle più vaste intese di carattere internazionale quali il FMI, il GATT, il Consensus, ecc., le strutture pubbliche dovrebbero fornire al "sistema" il supporto conosci tivo, normativo ed operativo necessario all'attuazione di una più ampia inte grazione fra le due funzioni dell'interscambio. Questi interventi "dall'altro" dovrebbero operare lungo due linee parallele:

1) da una parte, fornire il massimo possibile di informazioni e di assistenza agli operatori per un coinvolgimento più organico delle potenzialità dispo nibili;

2) dall'altra parte, operare con coraggio e con determinazione verso un reale snellimento di tutti quei "lacci e lacciuoli" che a livello valutario,fiscale, do ganale e finanziario continuano a demotivare, e spesso a vanificare, le ini ziative promozionali degli operatori con l'estero, ancora troppo spesso visti solo nell'ottica di possibili "esportatori clandestini di valuta".

Un ultimo aspetto che, a nostro avviso, richiede maggior interesse da parte delle strutture pubbliche, è quello relativo alla necessità di "investire di più nella ricerca". E' giunto il momento di trarre un bilancio dei risultati ottenuti si nora da alcune normative che i nostri ultimi Governi hanno finalmente ema nato per agevolare l'export e giungere, attraverso una seria ricerca cri tica sulla dinamica del commercio internazionale, ad una razionalizzazione degli interventi e ad un miglior coordinamento delle varie iniziative.