Cooperative joint-venture

Pubblicato sulla Gazzetta Valutaria e del Commercio Internazionale - N. 20/1986

cod.: GV.86.20.MKT.0

Da Paesi di recente industrializzazione, e da altri in fase di rinnovamento tec nologico generale, giunge sempre più spesso la richiesta di partecipare alla realiz zazione dei loro programmi industriali con la formula della cooperative joint-ven ture; uno schema che, pur somigliando sotto certi punti i vista a quello del buy-back (1), in realtà se ne differenzia sensibilmente per la mag giore complessità della sua struttura. In pratica, il richiedente la tecnologia propone che il fornitore della stessa:

a) predisponga uno studio di fattibilità completo;
b) offra la fornitura dell'impianto e, spesso, il relativo finanziamento;
c) sottoscriva una certa quota del capitale della costituenda società;
d) intervenga nella fase di montaggio, direzione lavori e messa a regime degli impianti;
e) metta a disposizione il know-how produttivo;
f) fornisca l'assistenza tecnica e il training al personale locale;
g) s'impegni all'acquisto di una parte della produzione o, quanto meno, colla bori in forma concreta all'esportazione dei prodotti che usciranno dall'impianto.

Non si tratta quindi più di una joint-venture di tipo tradizionale, nella quale due o più parti si accordano liberamente per la realizzazione di interessi co muni o, comunque, similari, bensì di una formula molto più complessa, e in un certo senso "ricattatoria", nella quale il bisogno di esportare del fornitore viene abilmente sfruttato dal richiedente al fine di sopperire alle sue carenze tecnologiche, finan ziarie e di marketing. Lo schema non è peraltro nuovo, es sendo già stato più volte utilizzato, soprat tutto da Paesi ad economia centra lizzata, per tentare di risolvere i propri problemi di sviluppo. Recentemente però il fenomeno ha raggiunto particolare notorietà, a seguito della massiccia richiesta, proveniente soprattutto dalle varie province ci nesi e dall'Ungheria, di progetti industriali che contemplano questa forma d'intervento (2).

Le motivazioni della domanda

I bisogni che determinano la domanda di cooperative joint-venture sono, come detto, fondamentalmente di tre tipi, strettamente legati fra loro. Vediamo di esami narli più in dettaglio.

1) Carenze tecnologiche

La spinta a una più accentuata industrializzazione, o a un rammoderna mento dell'apparato produttivo, deriva sia da un bisogno di maggior sod disfacimento della domanda interna, conseguente a sua volta a scelte po litiche più disponibili verso le esperienze esterne, che dalla necessità di creare delle strutture produttive in grado di presentarsi sui mercati esteri in condizioni di maggiore competitività. La do manda di tecnologia, nella con figurazione della cooperative joint-venture, si con centra non tanto verso i grandi impianti siderurgici, petrolchimici, chimici o, co munque, interessanti le produzioni industriali di base, quanto in quelle industrie atte a fornire prodotti, semilavorati o finiti, immediatamente utilizzabili sui mercati (interni ed esteri) e particolarmente in grado di sfruttare meglio le risorse dispo ni bili. Vediamo così il proliferare di questo tipo di domanda nei settori agro-indu striale, del pellame e della pelletteria, del tessile, degli elettrodomestici e della com ponentistica elettrica o elettronica, della lavorazione del legno, della metalmecca nica leggera, ecc. La richiesta tecnologica non si limita all'acquisizione di un nuovo impianto e del relativo know-how produttivo iniziale, ma estende la sua validità nel tempo, sot toforma di assistenza tecnica in senso lato, tale da garantire all'impianto stesso una perfetta effi cienza "meccanica" e gli adeguamenti tecnologici che, presto o tardi, si renderanno indispensabili. Le caratteristiche proprie di questi mercati, e il grado di "maturità industriale" da loro raggiunta, impongono un'offerta di tecnologia valida e non già obsoleta, o addirittura di scarto, come pur troppo capita di vedere nel caso di molti Paesi in via di sviluppo. D'altro canto, la richiesta di packages integrati tende anche a garantire l'acquirente l'acquisto di qualcosa che possa realmente servirgli per il con segui mento dei propri piani di sviluppo.

2) Necessità finanziarie

Al fornitore viene richiesto di partecipare finanziariamente al capitale di ri schio della nuova iniziativa, in una percentuale tale da lasciare comunque quasi sempre nelle mani del richiedente la maggioranza azionaria e, con seguentemente, i destini della società. Ciò può diventare importante e in una certa misura rischioso per il minority Shareholder, laddove si consideri che in quei mercati le strategie di gestione delle aziende non sono sempre condotte sulla base di criteri strettamente economici e che le politiche, per esempio, di prezzo (sia all'interno che all'esportazione) sono spesso det tate da motivazioni di ordine politico. In ogni caso la richiesta di intervento straniero nella compagine societaria è motivata, sia dal desiderio di re sponsabilizzare più tangibilmente il fornitore dell'impianto nel rispetto dei propri impegni, sia dalla necessità di beneficiare di li quidità in valuta forte da utilizzare per il pagamento delle quote anticipate degli impianti impor tati. Mentre per taluni tipi di forniture ritenute particolarmente prioritarie - o che necessitano di ingenti investimenti - i Paesi richiedenti sono talvolta disposti a pro curare direttamente le risorse necessarie, o a far ricorso all'assistenza finanziaria specifica (3), nel caso più comune di impianti medio o medio piccoli è il fornitore che, il più delle volte, deve procurare un finanziamento (che verrà ripagato con rimesse rateizzate in valuta, o con forme miste che contemplino anche la cessione in com pensazione di parte dei prodotti dell'impianto) (4). Nonostante quanto detto sopra, una delle difficoltà spesso più ardua da supe rare è costituita proprio dal pagamento della quota anticipata, prevista nei casi di finanziamento attuato nell'ambito della legge n. 227 (5). Se infatti, come solitamente ac cade, la società estera è stata creata ex-novo, può capitare che l'apporto monetario dei soci, sottoforma di decimi versati a fronte del capitale sottoscritto, non sia suffi ciente a "coprire" il down-payment richiesto, a meno che il sistema fi nanziario lo cale non intervenga con un "finanziamento tampone" ad inte grare quanto man cante. Talvolta si verifica inoltre che la partecipazione al capitale da parte del part ner locale di maggioranza, venga attuata non in forma monetaria, bensì sottoforma di apporto di beni, quali il terreno, i fab bricati, ecc., per cui può determinarsi una carenza di liquidità che condi ziona buona parte del cosiddetto bridging period.

3) Carenza di adeguate strutture di marketing internazionale

Le motivazioni economiche che stanno alla base delle richieste di una coope rative joint-venture sono dovute anche ad aspettative di sviluppo delle esportazioni e, proprio per le caratteristiche comuni alle economie centralizzate, non esiste all'interno di questi sistemi una struttura di marke ting estero capace, da sola, di realizzare gli obiettivi previsti. Ecco allora che al fornitore straniero non viene soltanto richiesto di procurare la tecno logia industriale, ma anche l'accesso ai ca nali di distribuzione nei mercati a valuta forte per i prodotti che usciranno dalla nuova fabbrica. Nonostante la produzione possa spesso essere tranquillamente assorbita dalla do manda interna del Paese, o da quella di altri mercati gravitanti nell'area geo-po litica alla quale appartiene il Paese richiedente (es.: Comecon), quest'ultimo impone al foreign partner l'obbligo della commercializzazione di parte della produzione in Paesi a valuta forte. Ciò soprattutto per soddi sfare l'esigenza di penetrazione in nuovi mercati e per procurare quella valuta estera della quale il Paese non può fare a meno. Dal punto di vista del fornitore dell'impianto, la commercializzazione del pro dotto finito estero può non rappresentare un problema particolare laddove esista la possibi lità di un utilizzo in house. Nella pratica ciò si verifica solo quando il forni tore stesso è in grado di inserire, in tutto o in parte, il prodotto estero nel proprio ciclo ordinario di produzione, oppure, ancora, quando i prodotti esteri possono es sere affiancati a quelli nazionali e venduti attraverso l'esistente network commer ciale dello stesso fornitore. In tutti gli altri casi, invece, il problema si presenta di ben diversa entità e, quasi certamente, deve essere affrontato con l'assistenza di una differente struttura operativa avente caratteristiche specificatamente commerciali.

Obblighi del fornitore

Da quanto sopra esposto emerge, innanzi tutto, che la richiesta di cooperative joint-venture coinvolge un insieme di prestazioni ben più complesse di quelle rela tive a una tradizionale cessione di know-how e di impianti. Il fornitore viene chiamato a svolgere un package di funzioni plurime che contemplano la progetta zione, la cessione di beni strumentali e della relativa tecnologia, l'assistenza finan ziaria, la disponibilità all'investimento nell'equity e, infine, la commercializzazione internazionale di una parte dei prodotti finali. Considerando l'attuale struttura del nostro apparato economico e il modesto li vello di internazionalizzazione dello stesso, poche sono le aziende nazionali in grado di gestire interamente e con sufficiente competenza l'intero pac chetto richiesto dalla controparte. Le società di engineering, sempre fatta ec cezione per quelle di rilevanza in ternazionale, i cui ruoli possono - ovvia mente - essere più ampi, sono in grado di predisporre la progettazione, pro curare i giusti fornitori degli impianti, assistere nella fase di montaggio, assi curare l'assistenza tecnica e, in una certa misura, ga rantire il know-how di produzione, ma possono già trovare le prime difficoltà ope rative nella parteci pazione azionaria e nell'organizzazione del pacchetto finanzia rio richiesto dal progetto. Quando, poi, si tratta di vendere il prodotto finale, si ri chiedono esperienze di marketing, sia strategico che operativo, che generalmente esulano dal loro specifico campo di attività. Le imprese manifatturiere produt trici degli impianti, a loro volta, sono in grado di procurare tutto il pacchetto tecnologico richiesto, ma possono trovare anch'esse talune difficoltà nel ga rantire il sostegno finanziario e nell'investimento partecipativo. Inoltre, se non riescono ad utilizzare nel loro stesso interno i prodotti finali della nuova fab brica, dovranno rivolgersi altrove per la commercializzazione di tali beni.

Vendita dei prodotti finali

La vendita dei prodotti esteri rappresenta quindi uno degli aspetti più scottanti dell'operazione e, salvo casi sporadici di beni particolarmente appetibili, trova di per sè stessa scarso interesse anche per un'organizzazione specificata mente com merciale, alla quale venga richiesto di assumersi, a priori, l'onere e la responsabi lità di assolvere unicamente questo compito. Infatti, di fronte all'impegno fermo ri chiesto dalla controparte (di garantire una quota pre-de terminata di vendita su un prodotto che ancora non si può conoscere in tutti i suoi reali aspetti qualitativi e che non può rendersi disponibile a breve) pos sono sorgere molte perplessità e incertezze. Non bisogna dimenticare, infine, che, trattandosi per lo più di merci prove nienti da Paesi dai quali si può te mere una concorrenza sempre più accentuata (attuata spesso anche attra verso azioni di vero e proprio dumping), esistono, o è prevedibile che ven gano introdotte, le più disparate barriere protezionistiche, sot toforma di divieti o di contingenti all'importazione, dazi doganali particolari, ecc., che limitano le possibilità di una libera concorrenza.

Collaborazione fra differenti imprese

Una particolare formula di collaborazione orizzontale, che prevede l'intervento operativo di una trading company (6), può rispondere in molti casi alla domanda di cooperative joint-venture proveniente dall'estero. Stando a questo schema, i differenti compiti vengono attribuiti singolarmente a cia scuna azienda, secondo le proprie capacità e le proprie esperienze, evitando di correre quei rischi che si potrebbero presentare in una soluzione accen trata in un solo fornitore. In pratica, le varie unità operative potranno svolgere i seguenti ruoli:

- la società di engineering: fornitura della progettazione, assistenza al mon taggio, fornitura del know-how iniziale, assistenza tecnica nella fase pro duttiva, training, eventuale partecipazione al capitale;
- l'azienda manifatturiera: costruzione dell'impianto, montaggio, assistenza tecnica post-vendita, eventuale partecipazione al capitale;
- la trading company: capo-fila dell'operazione, fornitura dell'impianto, or ganizzazione del pacchetto finanziario, gestione delle vendite di ritorno, eventuale partecipazione al capitale.

La suddivisione concreta dei ruoli, dei rischi e dei benefici dipenderà poi dalle particolarità della singola operazione e dagli accordi di collaborazione che ver ranno espressamente stipulati fra le varie unità operative. Attuando uno schema quale quello sopra indicato, si potrà rispondere positi vamente, e in senso compiuto, alla domanda estera, avendo determinato con esat tezza "chi-fa-che-cosa". Inoltre ciascuna delle aziende partecipanti "potrà coprirsi le spalle" nei suoi lati più deboli, attraverso l'esperienza e le capacità specifiche delle altre aziende interessate all'operazione.

Funzione della trading company

Nella configurazione sopra schematizzata, tutte le incombenze non stretta mente tecnico-produttive verrebbero svolte dalla società di trading, sia che questa abbia, fin dall'inizio, promosso l'operazione, sia che ne sia stata coin volta in un se condo tempo da una delle altre due aziende. La trading com pany, agendo in qualità di capo-commessa, assumerebbe tutte le incom benze nelle quali, per vocazione e per esperienza, è particolarmente prepa rata:

1) assistenza nella preparazione dello studio di fattibilità, per quanto rigu arda gli aspetti economico-finanziari (economic forecast, cash-flow, project financing, ecc.) e nella determinazione delle possibilità di com mercializzazione dei prodotti fi nali (quantità vendibile, prezzi, canali di distribuzione, mercati di sbocco, ecc.);
2) coinvolgimento diretto nella fase contrattuale (stesura del contratto-base, degli accordi di partecipazione, degli accordi commerciali di buy-back, del technical agreement, ecc.);
3) organizzazione del pacchetto finanziario richiesto ed eventuale assi stenza finanziaria ai vari fornitori italiani di beni e servizi;
4) ottenimento delle eventuali autorizzazioni valutarie e delle possibili ga ran zie assicurative;
5) acquisto dei materiali e dei macchinari necessari alla costruzione della nuova fabbrica;
6) coordinamento delle spedizioni di tutto quanto richiesto, in modo da poter ri spettare, in termini di tempo, il lay-out di montaggio dell'impianto;
7) assunzione della quota di partecipazione concordata. La quota potrebbe an che essere ripartita fra la trading, la società di engineering e l'industria produt trice degli impianti;
8) pagamento ai vari fornitori nazionali, in modo che questi ultimi non deb bano essere direttamente coinvolti in problematiche finanziarie, pur rima nendo responsabili circa la qualità del prodotto fornito;
9) fatturazione al cliente estero, emissione dei SAL e svolgimento di tutte le in combenze valutarie, doganali, ecc., relative alle esportazioni italiane;
10) acquisto e rivendita dei prodotti finali, gestione delle operazioni finanzia rie conseguenti.

Il ruolo della trading company diventa essenziale anche per una equa distri buzione di responsabilità e rischi sulle varie componenti che intervengono nella realizzazione del progetto, in proporzione ai rispettivi apporti. L'intervento della società commerciale può essere generalmente considerato dalle altre aziende componenti il team nazionale, "a costo zero". Infatti, per effetto delle economie di scala che si attuano nella formulazione sopra sche matizzata, la remunerazione della trading company non sarà altro se non il costo che le varie aziende (di engineering e di produzione) dovrebbero sop portare per gestire diret tamente, e forse senza altrettanta professionalità, l'insieme delle incombenze ri chieste.

Note:

(1) Cfr.: S. Alessandrini,"Gli aspetti economici degli accordi di buy-back", in Commercio 5, 1980; G.C. Marchesi, "Guida agli scambi in compensazione", in GVCI 15 e 16/1984 e 7, 8, 9, 10 e 11/1985; G.C. Marchesi, "Guida agli scambi in compensazione", 2a edizione, IBI/ANCE, Milano, 1986
(2) Basti, a tal proposito, osservare le numerose segnalazioni pubblicate nel mese di settembre sul quotidiano diffuso agli operatori dall'istituto Nazionale del Commercio con l'Estero (ICE)
(3) Si ricorda che il ricorso ai finanziamenti erogati dalle Banche di sviluppo internazionali gravi tanti intorno all'Organizzazione delle nazioni Unite (es: International Bank for Reconstruction and Development) non è sempre possibile per i mercati ad economia cen tralizzata, salvo casi isolati (es.: Ungheria)
(4) Cfr.: nota 1
(5) Si ricorda che nel caso di utilizzo di una "linea di credito finanziario" operante nell'ambito dell'art. 15, legge 24 maggio 1977, n. 227, non potrà essere consentito che i rimborsi av vengano a mezzo di beni, da parte del debitore, in forma compensativa. Cfr.: G.C. Marchesi, "Finanza e tecnica delle esportazioni", Ipsoa, Milano 1985
(6) Sul tema, cfr.: S. Alessandrini, "Le trading companies e il commercio italiano di esporta zione", Cescom/F. Angeli, 1982; C. Secchi, "Gli operatori commerciali nel processo di inter nazionalizzazione dell'economia italiana", Cescom/F. Angeli, 1984; G.C. Marchesi, "Trading companies", in GVCI 16 e 17/1983 e n. 18/1984