Si alzano nuove barriere

Articolo pubblicato su "Terziaria" - Sett/Ott 1986 - n.5 - pagg. 57 e segg.

cod.: TE.86.07 MKT.0

La tendenza di molti paesi ad attuare forme più o meno accentuate di pro te zionismo, miranti a salvaguardare le proprie economie dalle ripercussioni negative derivanti dai vari fenomeni recessivi, ha portato il commercio inter nazionale a dover affrontare situazioni ogni giorno più difficili ed impreve di bili. Di fronte alle altalene dei sistemi monetari, al susseguirsi di crisi ener ge tiche dagli sviluppi incontrollabili ed all'incancrenirsi delle posizioni debi torie di molti Stati, il sogno della libera circolazione delle merci e della eterna multi lateralità degli scambi ha dovuto lasciare il passo al risorgere di barriere do ganali e di transazioni strettamente bilaterali che si credevano ormai retaggio di tempi passati. Le muraglie protezionistiche si innalzano ogni giorno di più, lasciando sempre minori spazi ad una competitività di tipo tradizionale basata sulla qualità e sul prezzo dei prodotti, nonchè sulla libera iniziativa dei singoli operatori. Contingentamenti, licenze o divieti all'importazione, imposizione di scambi compensati, barriere tariffarie e vin coli di ogni genere costituiscono ormai una costante alla quale non si sot traggono più neppure quei paesi che, da tempo, sono strenui difensori del più ortodosso liberalismo commerciale. Contenere al massimo le importa zioni e sviluppare, con tutti i mezzi, le esportazioni sembra essere diventato il motto di tutti quei mercati che non rie scono a gestire adeguatamente le proprie risorse e contenere i disavanzi delle loro bilance valutarie con mi sure correttive interne. La conseguenza più appariscente, scaturita da que sto groviglio di situazioni, è che verso taluni paesi in via di sviluppo è diven tato pressochè impossibile continuare ad ope rare, se non attraverso forme di esasperato funambulismo mercan tile/valutario. La stessa concezione ca nonica del marketing internazionale, inteso come attività di promozione e penetrazione commerciale in un certo mercato da attuarsi attraverso un in sieme coordinato di azioni strategiche che sollecitano, scovano, gestiscono e mantengono viva la domanda del prodotto, viene sempre più spesso sconvolta dalla necessità di dover inserire, preven tivamente, un'azione di marketing all'acquisto. In sostanza, su talune aree commerciali, si può vendere solo se si è prima in grado di acquistare o, comunque, di assicurare l'acquisto di prodotti locali. Magari addirittura in mi sura superiore all'entità delle possibili vendite. Con questo concetto, sia ben chiaro, non stiamo in troducendo il tema classico del countertrade che, da parte sua, presup pone di aver effettuato prima un'azione promozionale sul bene da vendere per ottenere, quindi, il pagamento in altre merci, bensì stiamo addirittura ro vesciando il problema dicendo: "vediamo prima cosa possiamo acquistare e, poi, cosa possiamo vendere". Non si tratta ancora di dare ulteriore spazio a quelle forme di protezionismo di cui si è parlato in pre cedenza, bensì di studiare ed attuare una migliore razionalizzazione dei flussi importativi a beneficio di uno sviluppo delle esportazioni verso i mercati più difficili e, al trimenti, irraggiungibili. La maggioranza dell'opinione pubblica ita liana si rende conto dell'esistenza di una realtà-import quando viene a cono scenza dei dati sui saldi della nostra bilancia commerciale e scopre che se il prezzo del barile di petrolio scende al di sotto di certi livelli possiamo sperare in un bilanciamento delle posizioni o, addirittura, in un saldo positivo degli scambi con l'estero. Oppure, ancora, quando il consumatore si sorprende di trovare sulla propria tavola agrumi provenienti da Israele, fichi secchi turchi o mar mellate australiane; tutti prodotti cioè che ci si chiede come non debbano essere esclusivamente di origine italiana. E ciò, beninteso, solo per citare qualche caso elementare. In realtà, per un paese trasformatore e carente di materie prime quale è il nostro, le importazioni costituiscono una compo nente di primo piano, troppo spesso ignorata o dimenticata dagli organi di stampa e dalle strutture pubbliche e private interessate ai problemi dell'interscambio. Nel clima di multilateralismo degli scambi che aveva ca ratterizzato i decenni passati, l'attenzione degli osservatori si è sempre più soffermata sui problemi dell'esportazione e lo stesso termine "interscambio" è diventato - in senso chiaramente limitativo- quasi sinonimo di "vendite all'estero". La maggioranza dei convegni, studi, seminari, ecc. si sono sem pre svolti sul tema dell'esportazione. Lo stesso ICE, Istituto Commercio Estero, pubblica da anni un quotidiano ed altri interessanti ed utili periodici, imperniati sistematica mente sul tema dell'export, fornendo notizie, richieste di merci, dati sulle gare d'appalto, ma ha quasi sempre ignorato che il "commercio estero" per il no stro paese è formato da due componenti che, quando ci va bene, si equival gono: gli acquisti dall'estero e le esportazioni. L'armonizzazione delle due funzioni dovrebbe essere un motivo di maggior interesse per l'intera colletti vità. Certamente questo apparente disinteresse non è tale presso gli enti che gestiscono le importazioni in forma più diretta, siano essi importatori-utilizza tori od importatori-commercianti, e che quindi sono sensibili ed attenti alle problematiche del settore. Ma sinora le espe rienze e gli interessi che si sono formati nel campo degli approvvigiona menti dall'estero hanno generalmente viaggiato su binari completamente distinti, se non addirittura divergenti, da quelli sui quali marciano le espe rienze e gli interessi dell'export. Capita così, ad esempio, che si acquistino annualmente da taluni paesi in via di sviluppo svariati milioni di dollari di fa rine e semi oleosi, pagati in valuta, e che -per contro- non si possano più vendere a quegli stessi paesi i nostri tradizionali beni industriali in quanto mancano le sufficienti garanzie di incasso dei cre diti. Coloro che curano l'importazione delle commodities non sono general mente interessati alla produzione ed alla vendita di beni industriali, e vice versa. In questa diffor mità d'interessi è nata e cresciuta l'assurda spaccatura del commercio estero in due tronconi distinti che nuocciono su un piano col lettivo e che de vono trovare un diverso assestamento attraverso l'attento coinvolgimento delle strutture pubbliche e private. Da un'analisi effettuata su dati statistici dell'interscambio italiano nei con fronti di un campione di 24 paesi che presentano una costanza di saldi a loro favore nella bilancia com merciale verso il nostro paese scaturiscono interessanti spunti di riflessione (vedi tabella).

Anno

1983

1983

1984

1984

Prodotti

Area/Paese

imp.

exp.

imp.

exp.

Principali importazioni

Europa

Cecoslovacchia

339

183

379

211

Metalli, legnami, cacao, carbone

Polonia

458

290

616

354

Carbone, autoveicoli, carni, pesce

Ungheria

466

319

534

360

Carni, carbone, metalli, legname

Africa

Costa d'Avorio

400

78

418

70

Caffè, legname, frutta, cacao

Liberia

163

99

191

90

Minerali

Maurituania

92

19

120

16

Minerali, pesce

SudAfrica

1975

720

3024

912

Metalli preziosi, carbone, minerali, lane, pelli

Sudan

61

115

121

93

Cotone, olii e grassi alimentari

Uganda

33

17

53

19

Caffè, pelli

Zaire

157

53

195

106

Caffè, minerali

Zambia

117

18

132

17

Minerali

Zimbabwe

99

33

123

55

Cotone, minerali, metalli, pelli

America

Costarica

69

23

80

31

Frutta, caffè

Guatemala

75

11

95

14

Caffè, cotone, frutta

Honduras

29

19

40

26

Frutta, caffè

Argentina

597

396

776

420

Farine e semi oleosi, cereali, pesce, lane

Brasile

1531

343

2164

452

Caffè, auto,minerali, farine e semi oleosi, carni

Cile

299

70

308

104

Minerali, cellulosa, frutta

Colombia

269

141

214

145

Olii combustibili, caffè, frutta

Perù

171

121

200

138

Minerali, olii, cotone

Asia

Bangladesh

78

23

133

19

Pelli, prodotti tessili

Filippine

54

80

109

39

Pesce, minerali, frutta

Indonesia

274

184

325

205

Legnami, minerali, caffè, pelli, prodotti tessili

Malaysia

227

207

326

189

Gomma, olii minerali, legnami

Totale

8033

3562

10676

4085

(Importi in miliardi di lire)

(cifre estratte dalle statistiche Istat sul commercio estero, ed.1985)

Il campione esaminato esclude volutamente i paesi industrializzati, con la sola eccezione del Sud Africa, nonchè quelli principalmente produttori di petrolio (1), e presenta i seguenti risultati complessivi (importi in miliardi di lire):

Anno

1983

1984

Totale importazioni italiane

8033

10676

Totale esportazioni italiane

3562

4085

Sbilancio

4471

6591

Le cifre considerate nel campione rappresentano, per l'anno 1984 il 7,2% del totale delle importazioni italiane (6,6% per il 1983) ed il 9,1% se consi derate al netto delle importazioni di prodotti destinati ad uso prevalente mente ener getico, quali il petrolio ed i suoi derivati (8,7% per il 1983). Il mix-prodotti è formato, sostanzialmente, da minerali di ferro, rame, zinco, ecc., da legnami, pelli, materie prime e prodotti tessili, cereali, caffè, cacao, farine e semi oleosi, pesce e frutta. Si tratta, in prevalenza, di paesi dove è difficoltoso poter esportare prodotti italiani, sia a causa di problemi valutari (es.: Uganda, Zambia, Zaire, Bangladesh, Polonia), che per l'esistenza delle più svariate barriere prote zionistiche (es.: Malaysia, Indonesia, Brasile). Se su un piano più esteso gli interessi e le esperienze di chi importa sono distinti da quelli di chi esporta, in settori particolari dell'attività più stretta mente industriale si ritro vano talvolta situazioni che rendono possibile una immediata correlazione fra gli acquisti e le vendite nei confronti dell'estero. Questo caso si presenta ogni qualvolta un'impresa utilizza, nel proprio pro cesso industriale, materie prime, semilavorati o componenti acquistati presso la stessa controparte (azienda o paese) alla quale sono stati venduti, o si venderanno, i prodotti finiti. La circo stanza non sempre è conseguente ad una imposizione di "buy back" o di "offset" originata dal cliente estero, bensì può derivare da una precisa valuta zione di convenienza economica che rende possibile, da una parte, acquisire un mercato di sbocco e, dall'altra, diminuire i costi di produzione e migliorare la competitività del prodotto finale. Questa situazione è realizzabile soltanto nei limiti della capacità e della convenienza della specifica azienda indu striale di portare a termine l'iniziativa, trova un più ampio spazio operativo in presenza di un conglome rato industriale che consenta ad una fabbrica di uti lizzare certi beni d'importazione e, ad una seconda fabbrica dello stesso stesso gruppo, di vendere i propri prodotti al medesimo paese estero. Al di là delle particolari circostanze sopra esemplificate, la ricerca delle possibili si nergie fra le due funzioni dell'interscambio richiede interventi ben più ampi e di non facile realizzazione, in quanto coinvolge o realtà indu striali meno di sponibili al semplice utilizzo "in house" del prodotto esistente in quello speci fico mercato estero, od organizzazioni commerciali nettamente differenziate sul piano degli interessi merceologici. Si deve pertanto stabilire a priori chi fa che cosa e quindi cercare di coinvolgere le parti alla ricerca di un comune interesse che le possa legare assieme. Gli interrogativi che s'impongono per cercare di impostare una utile armonizzazione fra le due funzioni sono sostanzialmente pochi:

-- che cosa e da dove si importa, o si potrebbe importare;
-- chi importa;
-- come e da chi vengono utilizzati i beni importati e, per contro,
-- che cosa si esporta
-- chi esporta;
-- dove si esporta, o si potrebbe esportare.

Si tratta quindi di valutare i dati raccolti alla luce anche delle abitudini e delle regole che governano l'interscambio di taluni prodotti, in particolare per qu anto riguarda le materie prime, i prodotti energetici, le grandi com modities, nonchè dei vincoli comunitari ed extra-comunitari che, a vari livelli, limitano la libera trasferibilità di molte merci. Infine occorre individuare le modalità e le componenti più idonee per dar corso ad una intelligente utilizzazione dell'interscambio, senza peraltro sconfinare verso forme di protezionismo del tipo "io compro da te se tu com pri da me". La sede più naturale nella quale dovrebbero nascere, agire e svilup parsi buona parte delle azioni più sopra illustrate, dovrebbe risiedere nella "trading company", cioè in quella partico lare struttura commerciale che, col locandosi in una posizione mediana fra la produzione ed il consumo, po trebbe essere in grado di assicurare, all'uno ed all'altro, maggiore econo micità degli approvvigionamenti e migliore asssi stenza nella commercializ zazione dei prodotti. Per poter far ciò dovrebbe però esistere, anche nel nostro paese, un sistema di trading analogo quanto a ma gnitudine a quello giapponese, adeguata mente dimensionato, quindi, a ge stire un così ampio spettro di interessi e di volumi d'affari in modo struttural mente omogeneo. La stessa trading company che, per sua propria specializ zazione merceo logica e geografica, è interessata ad esportare un certo gruppo di beni verso una determinata area, dovrebbe poter ricevere anche il mandato di curare gli acquisti, da quella stessa area, di altri beni (che potreb bero anche non aver nulla a che fare con i primi) da fornire agli utilizzatori nazionali. A parte qualche caso isolato di trading company che già opera in questa di rezione, uno schema di carattere generale, così come idealizzato più sopra, è difficilmente attuabile e può persino apparire alquanto utopistico a causa delle diverse realtà in cui si sono sviluppate, nel tempo, le nostre prin cipali esperienze di trading. Infatti anche in questo campo la netta distinzione fra l'import e l'export ha interessato pressochè tutti gli operatori, ed oggi ri scontriamo l'esistenza di una pluralità di aziende, dalle più grandi alle più piccole, che si occupano generalmente o dell'uno o dell'altro degli aspetti dell'interscambio. Con la sola differenza che, a causa delle solite deforma zioni terminologiche impo ste dalle mode del momento, vengono oggi comu nemente definite trading company quelle aziende che sono prevalentemente "export oriented", men tre restano senza una precisa etichettatura anglo-sas sone le aziende com merciali che trattano anche ingenti quantità di prodotti all'importazione. Gli importatori di petrolio sono così definiti "petrolieri", mentre agli importatori di carne, cereali o di altre commodities viene, ancor più sem plicemente at tribuita la qualifica di "commerciante" o di "grossista". Ma, a parte questa parentesi linguistica, vi è una profonda differenza di esperienze fra le due entità commerciali. Chi è uso importare lana, cacao, legname, zinco o qualsiasi altra merce, ne ha assimilato tutto lo scibile. Per contro, questo stesso operatore non conosce pressochè nulla della vendita all'estero di quei beni dell'industria italiana di trasformazione che formano la base dell'esperienza delle "trading companies export oriented". Se pensare di po ter giungere un giorno, nel nostro sistema economico, ad una completa fu sione delle differenti esperienze può essere considerata mera illusione, non è invece vano cercare di individuare possibili collabo razioni fra i due diversi mondi. In ultima analisi, queste sinergie si possono trasformare anche in con creti vantaggi economici per i due gruppi di operatori. Se, infatti, una diversa ca nalizzazione dei flussi d'importazione può consentire l'espansione dell'export, non è improbabile che quelle stesse merci estere possano ve nire a costare meno all'utilizzatore nazionale proprio grazie al vantaggio dato all'azienda che ha potuto esportare di più. Per superare lo scoglio delle abi tudini fortemente radicate nelle esperienze e negli interessi quotidiani degli operatori, si rende necessario un coinvol gimento attivo delle strutture pubbli che istituzionalmente preposte allo svi luppo od al controllo delle operazioni d'interscambio. Nei limiti, beninteso, degli impegni che legano l'Italia alle più vaste intese di carattere internazionale quali il FMI, il GATT, il Consensus, ecc., le strutture pubbliche dovrebbero fornire al "sistema" il supporto conosci tivo, normativo ed operativo necessario all'attuazione di una più ampia inte grazione fra le due funzioni dell'interscambio. Non si tratta certamente di giungere ad emettere provvedimenti coercitivi tipo quello, ad esempio, di Malta che -accortasi del persistere di una pe sante situazione di squilibrio della bilancia commerciale con il Giappone- decise improvvisamente di vie tare tutte le importazioni di prodotti del Sol Levante; bensì di creare una serie di presupposti per un più razionale coor dinamento dei flussi. Questi interventi "dall'altro" dovrebbero operare lungo due linee parallele:

1) da una parte, fornire il massimo possibile di informazioni e di assistenza agli operatori per un coinvolgimento più organico delle potenzialità dispo nibili;
2) dall'altra parte, operare con coraggio e con determinazione verso un reale snellimento di tutti quei "lacci e lacciuoli" che a livello valutario,fiscale, do ganale e finanziario continuano a demotivare, e spesso a vanificare, le ini ziative promozionali degli operatori con l'estero, ancora troppo spesso visti solo nell'ottica di possibili "esportatori clandestini di valuta".

Un ultimo aspetto che, a nostro avviso, richiede maggior interesse da parte delle strutture pubbliche, è quello relativo alla necessità di "investire di più nella ricerca". E' giunto il momento di trarre un bilancio dei risultati ottenuti si nora da alcune normative che i nostri ultimi Governi hanno finalmente ema nato per agevolare l'export e giungere, attraverso una seria ricerca cri tica sulla dinamica del commercio internazionale, ad una razionalizzazione degli interventi e ad un miglior coordinamento delle varie iniziative. Queste note sono state predisposte allo scopo di "gettare un sasso nello stagno" e stimo lare gli "addetti ai lavori", sia pubblici che privati, verso un coinvolgimento più attento su un tema peraltro già ampiamente sviluppato in senso utilitaristico da altri paesi anche a noi vicini. I tempi impongono interventi di tipo decisa mente innovativo, che devono es sere attuati al più presto, per non correre il rischio di dover assistere ad ulte riori irreversibili perdite di competitività sui mercati esteri.

Note:

(1) L'esclusione dal campione di paesi quali l'Algeria, la Libia, l'Unione Sovietica, ecc., che pure presentano consistenti saldi a loro favore della bi lancia commerciale, è stata motivata dal de siderio di mettere in risalto l'esistenza di "altri" paesi verso i quali sarebbe possibile interve nire in forma privatistica senza il richiamo a specifici accordi bilaterali di tipo intergovernativo.