Più spazio alle "Tradings"

Articolo pubblicato sul Notiziario Commerciale Quindicinale di Commercio Estero della C.C.I.A.A. di Milano, N. 7 del 15 aprile 1987

cod.: CE.87.07.TRC.0

Nel corso degli ultimi anni si è detto e si è scritto molto sul tema Trading Company , ma l'oggetto sembra essere rimasto ancora misterioso per tanti e, come tale, stimolo di fantasie e di ambizioni di non sempre facile lettura. Osservando attentamente la stampa più qualificata si notano spesso motivi ri correnti: " In Italia non esiste un valido sistema di Tradings....."; "Le poche Tradings esistenti non sono in grado...."; "Occorre concedere alle banche la possibilità di istituire Trading Companies....", ecc. Ma chi vive da svariati anni la vita della trading company nel suo stesso interno e si interessa, anche da un punto di vista conoscitivo, del fenomeno nel suo contesto italiano ed inter nazionale, resta talvolta perplesso di fronte a queste dichiarazioni che sem brano voler ignorare sia la realtà esistente, sia le particolari circostanze in cui essa è nata e si è sviluppata. La presenza delle Tradings italiane affonda in fatti le sue radici in una dinamica socio-economica, completamente differente da quella di altri paesi, nella quale certamente non potrebbe trovare spazio la trasposizione tout-court di modelli importati dall'estero e, peggio ancora, im posti dall'interno. Ciò non significa che le Tradings di casa nostra abbiano raggiunto il livello ottimale di funzionalità nel processo di internazionalizza zione dell'economia ma, anzi, che molti correttivi possono e devono essere apportati per renderle più idonee ad affrontare i compiti richiesti dalle conti nue mutazioni dei mercati internazionali. E' comunque ben diverso affrontare il tema nello spirito di una migliore conoscenza e di un più ampio utilizzo delle Tradings stesse che non strumentalizzarlo per cercare di sovrapporre al si stema esistente altri organismi quasi certamente privi di quelle esperienze e di quella imprenditorialità che costituiscono il patrimonio essenziale di qual siasi casa di commercio estero.

Sterili alternative

Esperimenti di vario tipo sono già stati tentati negli ultimi anni, non solo in Italia ma anche all'estero, alla ricerca di nuove formule che, alla fine, si sono arenate quasi sistematicamente di fronte a quelle carenze di base cui si è fatto cenno più sopra. E' significativo l'esempio statunitense che, attraverso una specifica legge del 1982, ha permesso al sistema bancario di costituire proprie Trading Companies. Il presupposto da cui era partita l'Amministrazione Reagan era ineccepibile: la banca dispone delle risorse fi nanziarie necessarie, della conoscenza di come opera il commercio interna zionale, di una rete estera di filiali atte a promuovere e seguire gli affari. La buccia di banana era però in agguato, costituita fondamentalmente da due elementi: l'inesperienza nel gestire commercialmente l'interscambio e la diffe rente valutazione del rischio che la banca attua rispetto al trader. Tutto ciò può essere ricondotto ad un semplice caso esemplificativo: se un'industria riesce a vendere all'estero il proprio prodotto contro il pagamento per contanti non ha certamente bisogno della Trading Company. Se invece teme di incorrere in rischi, ai quali non si sente preparata, effettua una scelta: o li affronta da sola, o cerca un partner con cui dividerli o, infine, rinuncia all'operazione. Se però anche l'eventuale partner effettua la sua valutazione con l'obiettivo del "rischio-zero", per definizione l'operazione non si conclude comunque. Il Trader invece va generalmente più in là. Studia ed attua tutti i possibili fu nambulismi tecnico-commerciali e finanziari suggeriti dalla sua esperienza e fornisce la sua assistenza per concludere l'operazione, assumendosi quei ri schi, calcolati, che costituiscono appunto la precisa caratteristica dell'impresa commerciale. Per la Trading si tratta quindi di pura imprenditorialità, mentre, purtroppo, si ha talvolta l'impressione del diffondersi di una certa confusione fra assistenza ed assistenzialismo e, peggio ancora, fra assistenzialismo ed imprenditorialità.

Non creare carrozzoni

Per ampliare gli spazi del nostro commercio estero non è tanto necessario istituire d'ufficio inutili carrozzoni sulle cui performances si sono già peraltro riscontrate recenti esperienze significative, bensì è doveroso operare con co raggiose aperture verso un più dinamico e razionale utilizzo delle strutture esistenti. Se per "Trading Company" vogliamo intendere quelle case di com mercio estero dotate di professionalità, mezzi e modalità operative che con sentono loro di attivarsi con competenza ed assunzione di rischi nei vari set tori dell'interscambio, basta un sereno sguardo alla realtà italiana per ren dersi conto che queste organizzazioni già ci sono e che si tratta soltanto di utilizzarle meglio. L'Associazione Nazionale del Commercio Estero (A.N.C.E.) raggruppa, fra grandi e piccole, circa un migliaio di case di commercio estero e, pur rappresentando ampliamente il settore a livello nazionale, non copre tuttavia l'intero universo del trading italiano.

I nodi da sciogliere

Ciò che è dunque necessario per stimolare lo sviluppo razionale di sinergie operative nel commercio estero è una miglior comprensione del ruolo svolto e delle potenzialità espresse dalle Tradings. Per giungere a ciò si dovrebbero però sciogliere vari nodi che imbrigliano tuttora il settore e lo limitano nella sua operatività. Prima di tutto si tratta di superare le barriere di resistenza e di diffidenza che a vari livelli si esprimono ancora nei confronti dell'intermediazione. Ridurre cioè quelle forme di individualismo e quel con cetto del "fai-da-te" che spingono le aziende a rivolgersi alla Trading solo qu ando non riescono a condurre in porto da sole le attività estere più com plesse. Secondariamente occorre far sì che il sistema finanziario venga fatto uscire da quella fase di provincialismo in cui è stato confinato negli ultimi de cenni e che, internazionalizzandosi maggiormente, possa operare anch'esso in sintonia con le altre componenti economiche già vocazionalmente "mondializzate". Infine occorre che la Pubblica Amministrazione, come peral tro riconosciuto anche nello stesso Libro bianco recentemente predisposto da Mincomes, adegui le proprie prestazioni, e non soltanto i suoi controlli, alle vere necessità del commercio internazionale e rimuova l'assurda serie di ostacoli e di vincoli che impediscono un confronto competitivo dei nostri ope ratori sui mercati esteri. Non si tratta quindi di inventare nulla di nuovo. Il Giappone, sul cui modello di sviluppo spesso ci si sofferma con spirito di emulazione, a suo tempo aveva avvertito la necessità di creare ex-novo un sistema di Tradings, in quanto il suo isolazionismo storico lo aveva lasciato al di fuori delle grandi correnti commerciali, mentre il nostro paese vanta già una più che millenaria tradizione mercantile che ha sempre visto i suoi operatori presenti nei mercati anche più lontani. Le strutture, la fantasia, il coraggio e l'imprenditorialità dei traders ci sono: è sufficiente che queste risorse possano esprimersi, integrarsi e svilupparsi in una dinamica più favorevole, al di là di inutili e demagogiche dichiarazioni di principio.