Trading Company: una realtà da riscoprire

Articolo pubblicato sul Notiziario Commerciale Quindicinale di Commercio Estero della CCIAA di Milano- N. 9 del 15 maggio 1987

cod.: CE.87.09.TRC.0

Il termine "Trading Company" definisce ormai, nell'accezione più comune, quelle aziende che un tempo erano conosciute come "imprese di import-ex port", "commissionarie internazionali", "case di commercio estero", "compagnie mercantili internazionali" e così via. La moda del momento e l'assillante ricerca di nuovi strumenti di sviluppo del processo di internaziona lizzazione hanno però anche abusato del termine "trading", attribuendogli si gnificati che, talvolta, esulano dalla natura stessa del "trade", cioè da quella assunzione in proprio, da parte del "trader", dei rischi derivanti dalla compra vendita di un bene. Ed è proprio questa specifica caratteristica imprenditoriale che contraddistingue una Trading Company, indipendentemente dalla sua dimensione, dalla specializzazione o dalla diversificazione delle strategie operative che adotta nell'esplicazione delle sue funzioni. Partendo da questa ortodossia interpretativa, rientra senz'altro fra le Trading Companies anche quella micro-struttura commerciale, formata magari dai componenti di un solo nucleo familiare, che importa occhiali da sole prodotti ad Hong Kong o che, conoscendo alla perfezione il mercato cubano, vende ai locali Enti di Stato ri cambi per autoveicoli. In sostanza acquisto e vendita in proprio, assunzione del relativo rischio commerciale e, quindi, imprenditorialità pura. Ovviamente l'allargamento della struttura aziendale amplia anche il ventaglio degli inte ressi e delle esperienze. La Trading di maggiori dimensioni tende così ad oc cupare più vasti spazi di presenza in termini merceologici, geografici e di mo dalità di lavoro. Vediamo infatti che queste aziende agiscono sia nell'intermediazione pura, contando sul conseguimento di sole commissioni, sia nell'acquisizione di partecipazioni in altre aziende commerciali o indu striali, i cui fini si integrano con quelli della stessa Trading Company. La tro viamo ancora presente nelle gare d'appalto internazionali, nella realizzazione di opere all'estero, in consorzio o in associazione d'impresa cpn società di engineering o di impiantistica, nella esecuzione di scambi in compensazione, nell'assistenza finanziaria, ecc.

L'assunzione del rischio

La matrice comune che sta sempre alla base di questa attività apparente mente eterogenea e fantasiosa risiede nella disponibilità della Trading ad as sumersi i rischi connessi alla gestione delle proprie iniziative. Pur non fabbri cando direttamente i beni che tratta, la Trading produce un servizio comple mentare all'attività specificatamente manifatturiera od industriale; servizio che non va però inteso nel senso assistenziale nei confronti di una domanda ge neralizzata e, spesso, non chiaramente definita. Sotto questo profilo la fun zione della Trading non può e non deve sostituire quella svolta da altri orga nismi, pubblici e privati, che istituzionalmente curano unicamente compiti di assistenza, promozione e consulenza nell'interscambio ed ai quali anche la Trading stessa può rivolgersi per il completamento delle proprie esigenze co noscitive. Certamente il ruolo operativo svolto deve rappresentare qualcosa di valido e di esclusivo, altrimenti costituirebbe una forma, per così dire, "parassitaria" d'intervento e, quindi, inutile. E' proprio con la ricerca di un uti lizzo razionale e reciprocamente vantaggioso delle risorse che si realizza l'incontro fra la domanda e l'offerta del servizio di trading. Non si deve co munque generare l'impressione che la Trading sia come il medico che viene interpellato quando si ha, o si teme di avere o, ancora, si vuole prevenire una malattia; essa costituisce una struttura economica autonoma che non neces sariamente si limita a tenere disponibile un servizio rimanendo in attesa che il "paziente" si presenti in ambulatorio. Solitamente va lei stessa a scovare la domanda di un certo bene, ricercando quindi la relativa disponibilità dove ri tiene più opportuno. Per fare un esempio, se una Trading già ben introdotta nel Malawi identifica in quel mercato uno spazio interessante per la vendita di impianti per la panificazione, ricerca in Italia o altrove il fabbricante che ritiene più idoneo e porta a termine l'operazione attuando scelte autonome e sob barcandosi i relativi impegni. Ma se, per contro, il fabbricante di queste appa recchiature si rivolgesse estemporaneamente ad una Trading qualsiasi of frendole la possibilità di vendere i suoi prodotti nel Malawi, potrebbe anche sentirsi rispondere che qual mercato non la interessa o che il prodotto offerto non rientra fra quelli trattati o trattabili. Al di là della banalità dell'esempio pre cedente è importante sottolineare la caratterizzazione specialistica della maggior parte delle Trading italiane. La specializzazione per aree, per pro dotti o per modalità d'intervento è frutto di scelte e di esperienze ben precise e, spesso, conseguenza di limitazioni strutturali che sconsigliano queste aziende commerciali ad avventurarsi in eccessivi ampliamenti della propria abituale sfera d'intervento. Il sistema di trading oggi esistente in Italia è sorto a seguito di iniziative soprattutto di carattere individuale, a parte casi, che peral tro si riscontrano fra le principali aziende del settore, di strutture create da gruppi finanziari o industriali. L'iniziativa pubblica o semi-pubblica non ha in vece sinora espresso risultati di rilievo nel campo del trading, e ciò trova fra l'altro una conferma e, si fa per dire, un conforto, in analoghe esperienze di altri paesi industrializzati.

Una questione di vocazione

Evidentemente "fare del trading operativo" è, ancora una volta, una questione di vocazione, di intraprendenza, di spirito di sacrificio, di fantasia e di profes sionalità: tutti ingredienti che difficilmente si costruiscono solo in laboratorio. Negli ultimi anni, in concomitanza con lo sviluppo del "parabancario", si è ri scontrato un interesse via via più marcato da parte del sistema bancario verso la creazione di organismi particolari che offrono servizi di intermediazione, di assistenza e di consulenza nel settore dell'interscambio, particolarmente a beneficio delle medie e piccole aziende. Si tratta, in sostanza, di una scelta fra la creazione all'interno degli istituti di credito di nuclei specialistici (come peraltro attuato da molti istituti esteri, ad esempio inglesi) e la costituzione di unità esterne, formalmente autonome, dotate di mezzi finanziari sufficienti ed in grado di utilizzare gli spunti e le sollecitazioni provenienti dalla rete di sportelli della stessa banca. Le limitazioni normative dettate dalla vigente "legge bancaria" impediscono comunque a queste strutture, definite trading di servizi" , di assumere rischi commerciali derivanti da operazioni di compra-vendita di beni e, d'altro canto, la proverbiale prudenza con la quale operano i più importanti istituti bancari sotto sotto ben si adatta alle limitazioni opera tive imposte dalla legge alle loro partecipate. La realtà del trading italiano è quindi abbastanza amplia e diversificata; purtuttavia spesso viene dibattuto il tema di quanto l'offerta di trading sia in grado di soddisfare la domanda. Occorre, a questo punto, chiarire ulteriormente i termini del problema. Innanzi tutto, come è già stato detto, la Trading Company, in quanto tale, opera gene ralmente in base a proprie scelte gestionali e non quale sportello assisten ziale aperto ad un pubblico eterogeneo e generalizzato. Inoltre, benchè le scelte sin qui effettuate abbiano fatto maturare esperienze più tese all'esportazione che non all'importazione, la Trading è in grado di gestire en trambi i canali dell'interscambio. Quando però si parla di "domanda di trading" lo si fa esclusivamente in funzione dell'assillante necessità dell'"Azienda Italia " di incrementare le proprie quote di export. Gli utilizzatori di beni d'importazione che sentono lo stesso "bisogno di trading" sono pochi; questo rappresenta senz'altro un motivo di più attenta riflessione sulla reale natura della "domanda". In sostanza, non si cercherebbe tanto di attuare sinergie operative fra industria e terziario con l'obiettivo del raggiungimento di eco nomie di scala (che peraltro troverebbero ampi spazi di vantaggio anche in una migliore razionalizzazione dei flussi importativi) nell'ambito di una chiara strategia di export, quanto di fornire, in un certo senso, un alibi alla inconfes sata incapacità di attuare "in house" adeguate e tempestive azioni di recupero in funzione dei mutamenti dei mercati internazionali. Si tratta, in verità, di ca renze strutturali, sia di marketing sia finanziarie, che vedono spesso i nostri operatori smarrirsi di fronte alle pur obiettive difficoltà di una realtà estera sempre più dominata da una concorrenza agguerrita, dalla mancanza di di sponibilità valutarie e da barriere protezionistiche esasperate. Anche le Tradings devono affrontare quotidianamente gli stessi avversari, con l'aggravante di una maggiore rigidità del rapporto interno fra costi e ricavi, ma con il vantaggio di una maggiore abitudine, derivante dalla lunga esperienza internazionale, che fornisce a queste aziende una più ampia capacità di adattamento alle variazioni esterne. La Trading non può dunque rappresen tare l'ancora di salvataggio, bensì il compagno di viaggio, col quale si pos sono affrontare con maggior efficacia gli scogli più difficili, impiegando più ra zionalmente le risorse e le esperienze disponibili.