Intervista del Daily News a Gian Cesare Marchesi, Direttore del servizio finanziario di Intersomer S.p.A. di Milano, Vice-presidente dell'ANCE, Associazione Nazionale del Commercio con l'Estero e Membro di Giunta della Camera di Commercio I.A.A. di Milano

cod. CON.88.BB.TRC.1

D - Volendo sintetizzare, come è stato l'andamento degli affari della sua Società nel corso del 1987 e quali sono le previsioni per l'anno 1988 ?

R - Il 1987, come d'altronde anche il 1986, non sono stati certamente anni facili per il commercio estero in generale e, in particolare, per tutte quelle aziende di trading che operano prevalentemente con determinati Paesi an cora eufemisticamente definiti "in via di sviluppo". Il permanere delle ben note difficoltà economico-finanziarie che ormai da anni caratterizzano molte aree "emergenti" del mondo, unito alle incertezze ed alle continue fluttuazioni delle monete, nonchè al dilagante protezionismo, hanno costituito un serio motivo di preoccupazione ed hanno condizionato lo sviluppo degli affari in generale. Purtroppo il livello di crisi raggiunto da alcuni Paesi è tale da non consentire loro non solo di far fronte al rimborso degli interessi sui prestiti pregressi, ma nemmeno di poter importare i beni più essenziali, senza dover far ricorso agli aiuti internazionali. Anche l'anno in corso ha subito gli effetti di questa situazione e, nonostante i tentativi in corso a livello internazionale (riunione di Berlino inclusa) per trovare un rimedio alla crisi in atto, non si in travvedono nel breve-medio periodo concrete possibilità di una normalizza zione e di una ripresa significativa. Intersomer è particolarmente attenta alle problematiche che interessano in generale quei Paesi e, avendo avuto nei decenni passati una particolare specializzazione nell'esportazione di beni strumentali italiani prevalentemente destinati ai Paesi dell'Africa sub-saha riana, ha da qualche tempo avviato un processo di ampliamento sia di aree che di prodotti, in modo da potersi creare delle "alternative" e non frenare il suo naturale processo di sviluppo. Abbiamo così esteso gli interessi, ad esempio, anche ad alcuni mercati dell'Asia, del Sud-est asiatico e dell'America latina, diversificando nel contempo la gamma merceologica ed ampliando le modalità del nostro intervento con la fornitura di un ventaglio più ampio di servizi. Il tutto, ovviamente, senza abbandonare le aree più tradizio nali nelle quali siamo da tempo presenti con nostre strutture permanenti e con notevoli investimenti. A questo proposito occorre tener presente che la filoso fia operativa della Intersomer è sempre stata quella di non limitarci a svol gere un semplice ruolo di "commercianti", ma anche di cercare di compren dere le necessità ed i problemi dei Paesi nei quali operiamo ed assisterli -per quanto a noi possibile- nel loro processo di sviluppo. Abbiamo compreso da tempo che il modo migliore per aiutare quelle aree (e mantenervi una nostra presenza significativa) consiste nel fornir loro non solo gli strumenti tecnolo gici ad essi necessari, ma anche il kow-how, un'adeguata assistenza tecnica ed il training indispensabili per il corretto utilizzo e funzionamento di tali tec nologie. Intersomer ha così avviato interessanti iniziative per lo sviluppo delle produzioni locali, sia agricole che industriali, e ci siamo attivati per im portare in Italia -ed in altri mercati- taluni prodotti provenienti dai Paesi verso i quali abbiamo, appunto, esportato i nostri beni strumentali. Il piano strate gico della Intersomer per i prossimi 5 anni prevede ulteriori ampliamenti delle nostre capacità di penetrazione nei mercati esteri da attuarsi, sia attra verso il potenziamento delle nostre strutture operative interne ed estere, che tramite l'allargamento del "pacchetto" di servizi offerti e di funzioni svolte, su perando così quella caratterizzazione di azienda soltanto "export oriented" che ci aveva contraddistinto per molti anni.

D - Lei ha ripetutamente posto l'attenzione sulla diversificazione della Vostra attività: ci vuole meglio chiarire questo concetto?

R - Si tratta di una diversificazione di strategie: un modo nuovo di concepire il trading: più in linea con le esigenze dei tempi e con le realtà del commercio internazionale. Ma occorre, a questo punto, aprire una parentesi per cercare di definire, più in generale, la posizione delle Trading Companies nel conte sto storico-economico italiano. A differenza di altri Paesi quali il Giappone e la Corea del Sud -che hanno creato un sistema di Tradings quale strategia di sviluppo programmato nei confronti dell'estero- o di altre Nazioni europee -che hanno alle spalle un lungo passato di trading "coloniale"- l'Italia dispone di un sistema sorto spontaneamente, dai tempi più antichi, per libera e co raggiosa iniziativa dei singoli imprenditori. Tutto ciò ha fatto sì che il commer cio estero italiano venga gestito, in modo estremamente "aperto" e concor renziale, sia direttamente dalle imprese manifatturiere che dalle strutture più tipicamente commerciali. E' evidente che in un tale contesto prevale soprat tutto il concetto di utilità individuale e, in altri termini, se la gestione di un de terminato mercato o di una certa operazione non presenta particolari difficoltà essa viene generalmente svolta interamente dall'azienda manifatturiera senza bisogno dell'intervento di una struttura d'intermediazione. Questo è il principale motivo che ha limitato la crescita delle Tradings italiane e che le ha, in un certo senso, "costrette" a crearsi proprie nicchie di presenza nei mercati più lontani e difficili o ad occuparsi delle operazioni più complesse. Se questo però è stato valido negli anni passati, quando -tutto sommato- il commercio internazionale restava incanalato in schemi ben definiti e basati fondamentalmente sul principio premiante del giusto rapporto "qualità/prezzo" delle merci, oggi le cose sono certamente cambiate e l'incidenza dei "non-price-factors" richiede l'utilizzo di più complessi e flessibili strumenti di marke ting sia strategico che operativo. Ad esempio, il risorgere del fenomeno del "countertrade", la necessità di attuare più complesse formule di "project fi nancing", di "joint-venture", ecc., rendono indispensabile l'utilizzo di sinergie operative che superino il concetto tradizione del "do-it-yourself". E' proprio in questo quadro che Intersomer si è mossa e si è strutturata per poter rispon dere adeguatamente alle istanze del mondo imprenditoriale e per mettere a disposizione del "sistema" un insieme di esperienze e di capacità che solo chi ha una lunga dimestichezza con i mercati esteri può esprimere. Diversificazione significa quindi ampliamento dell'offerta di "servizi reali" e fornitura di packages integrati per la soluzione dei problemi dell'interscambio. Per fare un esempio, abbiamo affrontato con successo il tema del counter trade con alcuni Paesi emergenti sovvertendo radicalmente lo schema tradi zionale che ha sempre governato questo tipo di operazioni. Infatti, anzichè offrire un determinato bene in esportazione per poi cercare disperatamente di collocare da qualche parte i prodotti compensativi offertici in pagamento, ab biamo prima ricercato i prodotti compensativi di nostro interesse, li abbiamo acquistati e, poi, abbiamo collocato i nostri beni in esportazione. Abbiamo quindi creato i presupposti perchè il Paese estero generasse la valuta neces saria al ripagamento delle nostre merci, senza cadere nella trappola di un countertrade imposto e pertanto ben difficilmente difficile da gestire.

D - Può citare un mercato in particolare?

R - Certamente. Mi fa piacere segnalare, ad esempio, l'accordo che Intersomer ha sottoscritto nell'agosto 1988 con l'Ente di Stato della Tanzania preposto alla gestione delle industrie tessili locali (National Textile Corp. Ltd.). In base a tale intesa stiamo acquistando in via esclusiva per l'Italia filati, tessuti e maglieria di cotone e ci siamo impegnati a fornire mac chinari ed impianti, tecnologia ed assistenza per il potenziamento della pro duzione locale. Si tratta di un caso nel quale la "diversificazione" si è espressa sottoforma di una cooperazione industriale e commerciale che potrà dimostrarsi concretamente utile ad entrambe le parti.

D - Si parla di un "nuovo Rinascimento" italiano. Cosa ne pensa?

R -Il Rinascimento "storico", quello -per intenderci- del sedicesimo secolo, ha rappresentato -fra l'altro- l'espressione più alta dell'ingegno e della fantasia che gli italiani hanno saputo esprimere nella cultura e nell'arte quale rea zione all'oscurantismo medioevale. Ma l'ingegno e la fantasia sono doti che ogni italiano, in misura più o meno evidente, possiede naturalmente dentro di sè. Il nostro popolo conosce bene quella che noi definiamo "l'arte di arran giarsi", cioè la capacità di reagire alle situazioni difficili utilizzando la propria inventiva per creare quel qualcosa di nuovo che permetta di "rinascere" e di superare gli ostacoli più ardui. Non si spiegherebbe altrimenti il fenomeno di un Paese che, afflitto per anni dalla instabilità dei Governi, dal terrorismo poli tico, dalla conflittualità sindacale, dalla debolezza della propria moneta e dalla Mafia, è riuscito a conquistare le prime posizioni fra le Nazioni più indu strializzate del Mondo. Forse non vinciamo molte medaglie alle Olimpiadi, ma "saliamo sul podio" quando ci confrontiamo, in termini di fantasia e d'inventiva, con molti altri Paesi! Queste doti sono più che altro espresse a li vello individuale e, sotto il profilo economico, si ritrovano particolarmente in quella miriade di aziende di piccola o media dimensione che costituiscono la vera ossatura del nostro sistema produttivo. L'imprenditore italiano è dapper tutto, e girovagando per il mondo si porta appresso, assieme alla propria tec nologia, anche la sua creatività ed il suo coraggio.

D -Tornando alla Intersomer ed in particolare ai beni strumentali da Voi trat tati, mi dica qual'è il settore dal quale ricavate maggior profitto: la vendita del bene principale o l'after-sale-service.

R -Nella politica di Intersomer l'acquisizione ed il mantenimento di un mer cato rappresentano un obiettivo ben più importante del risultato economico che si potrebbe ottenere da una semplice operazione "spot" isolata e fine a sè stessa. In questo senso è irrilevante che si tratti di beni strumentali o di altri prodotti. In altri termini, preferiamo guadagnare meno da una operazione che ci permette di dare continuità al nostro lavoro in un determinato mercato, piuttosto che operare in modo casuale su opportunità isolate.

D - Secondo la Sua opinione, qual'è in questo momento l'immagine del "Made in Italy" nel mondo?

R -Il "Made in Italy" continua ad essere molto apprezzato, soprattutto per la sua caratteristica di essere il prodotto di un Paese che ha saputo creare uno "stile" a misura d'uomo. E la dimostrazione più evidente del successo consi ste proprio nel continuo tentativo di molti altri Paesi di cercare di imitare il "modello italiano". Vorrei cercare di chiarire meglio il mio concetto di "misura d'uomo". L'imprenditore italiano, proprio per le sue caratteristiche d'inventiva e di adattabilità, ha saputo creare il prodotto giusto per il mercato giusto. Senza con questo voler generalizzare, ricordo che la "moda" italiana -nei varî settori dell'abbigliamento, delle calzature, dell'oreficeria, dell'arredamento, ecc.- non è certamente stata creata per i Paesi a basso tasso di crescita, così come la gran massa di beni strumentali italiani non sono abitualmente desti nati ai Paesi più tecnologicamente avanzati. E' controproducente trasferire un sofisticato impianto industriale in un Paese del Terzo Mondo che poi non lo può o non lo sa utilizzare adeguatamente. Se oggi esiste una certa difficoltà nello sviluppo delle nostre esportazioni ciò è dovuto - a mio avviso- più alla diminuita capacità di acquisto di certi Paesi ed alla presenza di sempre più pesanti barriere protezionistiche che non al minore gradimento del "Made in Italy".

D -Un'ultima domanda: supponendo che la tendenza liberalizzatrice dei mer cati dell'Est europeo, e dell'Unione Sovietica in particolare, sia una realtà, vede la possibilità per la Trading Company italiana di svolgere un ruolo si gnificativo?

R -Non vi sono difficoltà perchè ciò avvenga. Sottolineo che molte Trading Companies italiane già operano da anni con quei Paesi e ricordo, anzi, che una importante Trading italiana iniziò ad operare con successo con l'Unione Sovietica quando era ancora in atto la "guerra fredda". Fu una delle poche aziende occidentali che riuscì allora a concludere affari con quel Paese. Inoltre occorre tener presente che nelle strategie di liberalizzazione dei Paesi dell'Est europeo è previsto un più ampio spazio alla creazione di Joint-Ventures con partners occidentali e tale schema operativo in molti casi ri chiede l'intervento di una Trading Company che possa svolgere, non soltanto il ruolo di "chef-de-file" per l'avvio della nuova attività produttiva, ma anche quello di assistenza per la commercializzazione dei nuovi prodotti sui mercati occidentali. Non dimentichiamo infatti che uno dei più gravi problemi delle aziende dell'Est consiste proprio nella loro incapacità strutturale di penetrare tecnologicamente e commercialmente nei mercati occidentali. E i casi sono soltanto due: o le aziende dell'Est organizzano in proprio il necessario network o si affidano a strutture già esistenti. La seconda soluzione sembra essere, nel breve-medio periodo, la migliore. Tutto, ovviamente, dipenderà dalla reale volontà e dalla possibilità di quei Paesi di attuare concretamente i programmi che si sono prefissi e dal grado di liberalizzazione che vorranno introdurre nei loro sistemi economici. Le Trading Companies italiane sono pronte a collaborare ed a svolgere il loro ruolo senza pregiudizi nè riserve.

Milano, 15 Ottobre 1988