Il "Progetto countertrade"

Articolo pubblicato sulla "Gazzetta Valutaria" n. 3/1988

cod.: GV.88.03.COM.0

Il 12 novembre 1987 si è tenuto a Milano un convegno promosso dall'Associazione Nazionale del Commercio con l'Estero, A.N.C.E., per illu strare le linee direttrici di un programma in corso di attuazione in collabora zione con l'Istituto Nazionale del Commercio con l'Estero, I.C.E., tendente a fornire la necessaria assistenza agli operatori coinvolti in operazioni di coun tertrade. L'incontro ha riscosso un notevole interesse sia per la natura stessa della materia trattata, sia per l'esigenza avvertita dal mondo imprenditoriale di poter disporre, anche nel nostro paese, di una struttura in grado di fornire una risposta concreta ai numerosi interrogativi che si pongono a coloro che de vono affrontare e gestire questa forma di commercio internazionale. L'argomento scambi in compensazione non è nuovo ai lettori di questa rivista che in varie occasioni si è già occupata della materia (1), ma si ritiene oppor tuno, prima di illustrare le linee direttrici dell'iniziativa, fornire qualche ulteriore chiarimento sulle ragioni che hanno determinato l'avvio del progetto mede simo.

Il countertrade in Italia

Nella sua attualità pratica il countertrade si esprime quale strumento di paga mento di esportazioni che non riescono ad ottenere un regolamento moneta rio di tipo tradizionale , ma capita sovente che l'esportatore, dopo aver visto sfumare tutti i suoi tentativi di ottenere dalla controparte un impegno di paga mento in denaro, rinunci a concludere la trattativa od accetti, obtorto collo, la proposta di essere pagato con altre merci. In linea teorica la compensazione potrebbe rivelarsi vantaggiosa se l'esportatore avesse anche un interesse particolare per le merci proposte in controacquisto, mentre invece l'accettazione di questa forma di pagamento rappresenta il più delle volte una soluzione forzosa, talvolta addirittura imprevista, dalla quale scaturiscono una serie di problemi non indifferenti. Innanzi tutto l'operatore si pone il quesito di come, da chi e per quale valore sarà possibile far assorbire i prodotti com pensativi e, quindi, di come valutare i costi dell'operazione. Infine gli rimane il timore che la controparte estera non mantenga fede ai propri impegni e ritardi nella consegna delle merci pattuite o, peggio ancora, non sia neppure nelle condizioni di farlo. Partendo infatti dall'assunto lapalissiano secondo il quale un paese che gode di sufficienti risorse non necessita di imporre o comunque di dover escogitare complesse formule compensative, è sin troppo evidente che i problemi del nostro esportatore hanno un solido fondamento ed una non facile soluzione. Certamente la scelta del rifiuto aprioristico di accettare pa gamenti diversi da quelli monetari elimina tutti i problemi compensativi prima ancora del loro insorgere, ma questa strategia è purtroppo praticabile rara mente; mentre le notizie che in questi giorni giungono da più parti denunciano una sempre più accentuata perdita di competitività dell'"Azienda Italia" ed in particolare proprio nei confronti di quei paesi che lamentano carenze ormai endemiche di valuta trasferibile. A ben guardare si tratta pur sempre di mer cati che dispongono di materie prime che alimentano anche le nostre indu strie, di prodotti alimentari che consumiamo ogni giorno, di generi d'abbigliamento che troviamo in tutti i grandi magazzini. Sono prodotti che entrano nel nostro paese perchè qualche connazionale li ha acquistati nei mercati d'origine pagandoli in valuta, oppure perchè qualche altro operatore straniero, che li ha ottenuti - magari in compensazione - dal paese d'origine, ce li vende facendosi pagare in valuta. Dall'Italia esce quindi valuta forte e, sino a che non ci si sarà pienamente resi conto della necessità di armoniz zare meglio i due flussi d'interscambio per favorire le esportazioni facendo leva sulle importazioni, ci saranno sempre coloro che si lamentano perchè diminuiscono ogni giorno di più le possibilità di ricevere crediti documentari irrevocabili e confermati. Ecco che quindi il rifiuto di accettare formule com pensative assume talvolta connotazioni masochistiche, indice di scarsa vo cazione estera e di incapacità a gestire un marketing internazionale in linea con la realtà di molti mercati esteri. Non si vuole certamente erigere un tempio al countertrade , che rimane pur sempre quella soluzione altamente rischiosa e di non facile realizzazione che già altri hanno definito uno sport non adatto ai dilettanti, ma si cerca di trovare quelle strade che possano renderlo più av vicinabile e meglio gestibile. Per seguire questo percorso occorre innanzi tutto acquisire una concreta conoscenza del fenomeno ed affrontarlo quindi con precise strategie, anche per non cadere nei sottili trabocchetti di quei "venditori di illusioni" che invitano a venire da noi per la soluzione di tutti i vostri problemi.

Sinergie operative

La compensazione non è una novità del commercio internazionale e, se tal volta viene anche presentata come un fenomeno sorto a seguito delle vicissi tudini degli ultimi anni, affonda le sue radici nel tempo ed in particolare, per quanto riguarda il nostro secolo, negli anni compresi fra le due guerre mon diali. Molte esperienze di oggi si possono ricollegare a quanto avvenuto al lora e tante domande odierne possono trovare, mutatis mutandis, una risposta nelle soluzioni adottate in quei tempi. Proprio dall'esame, anche retrospettivo, del fenomeno si ricava una considerazione di base: la compensazione, quale strumento alternativo alle forme di pagamento tradizionali, richiede una modi fica di alcune strategie di marketing poste in atto sia dalle singole aziende che dall'"Azienda Italia" nel suo insieme. Siamo sostanzialmente di fronte ad una complessa articolazione dell'interscambio tradizionale e la prima modifica che si impone all'impostazione del marketing aziendale riguarda un più inci sivo intervento operativo delle strutture di intermediazione commerciale, con l'abbandono di quelle posizioni autarchiche che avevano sinora spinto le in dustrie nazionali a volersi gestire in forma completamente autonoma sia la vendita dei propri prodotti, sia l'acquisto delle materie necessarie ai propri fabbisogni produttivi. Il "Countertrade" comporta uno scambio bilaterale di merci, per cui l'attenzione dell'operatore non può più soffermarsi unicamente sulla prima parte della transazione, riguardante l'esportazione, bensì deve anche essere estesa, ed in talune circostanze, prima di tutto, alla parte rela tiva all'acquisizione ed all'utilizzo dei beni da ricevere in pagamento. Nella maggioranza dei casi però purtroppo i beni scambiati non sono fra loro com patibili e nemmeno assimilabili alla stessa famiglia merceologica, per cui l'azienda che esporta non ha tendenzialmente alcun interesse ad utilizzare direttamente ciò che dovrebbe ricevere in controacquisto. Per contro, l'importatore che abitualmente utilizza prodotti simili a quelli oggetto del pa gamento compensativo è generalmente poco sensibile, se non del tutto estraneo, alle problematiche di chi deve esportare. S'impone quindi l'intervento di una struttura d'intermediazione commerciale, che attraverso l'accorta gestione dei margini economici disponibili, leghi fra loro i due flussi d'interscambio e favorisca la conclusione dell'operazione.

Vantaggi

I benefici derivanti all'industria esportatrice sono a questo punto ovvii, ed al trettanto evidenti risultano quelli dell'azienda importatrice, nei limiti in cui la struttura di prezzo del prodotto esportato permetta all'intermediario di conce dere all'importatore un vantaggio sul costo del prodotto importato. Il grafico che segue chiarirà meglio il concetto sopra esposto.

In realtà l'esperienza quotidiana dei mercati internazionali ed in particolare di quelli che richiedono scambi in compensazione presenta problematiche ope rative che vanno ben al di là della semplice schematizzazione teorica illu strata più sopra, ma ciònonostante il concetto rimane valido per definire la fat tibilità o meno di una qualsiasi operazione compensativa. In sostanza devono sussistere i seguenti requisiti economici di base:

1) che il valore "normale" del bene "A" permetta all'industria produttrice di destinare una certa percentuale di margine (x) a beneficio della finalizza zione della propria esportazione,
2) che il valore all'origine del bene "B" sia veramente mantenuto nei limiti della "normalità", e questo è un caso che purtroppo non si verifica abitual mente,
3) che l'azienda utilizzatrice dei beni compensativi "B" trovi nel vantaggio (y) un sufficiente incentivo per l'acquisto propostole,
4) che la differenza (x-y) rimasta a favore dell'intermediario remuneri suffi cientemente il lavoro svolto e copra i rischi che sono a carico della sua struttura.

Una delle più frequenti difficoltà che ostacolano la realizzazione di questo tipo di operazioni consiste proprio nella determinazione del valore che qui ab biamo definito "normale". E' infatti chiaro che ciascuna delle cinque entità che intervengono nello scambio cercherà di acquisire il massimo dei benefici possibili dalla parte di operazione nella quale risulta coinvolta ed, in partico lare, l'acquirente estero cercherà di spuntare il minor prezzo possibile mentre l'esportatore estero vorrà trarre il massimo vantaggio dalla propria vendita. Tutto ciò porta ad un altro importante motivo di riflessione, per definire le strategie che devono esere attuate al fine di non vanificare sin dall'inizio la realizzazione dell'operazione. Tale riflessione riguarda fondamentalmente tre aspetti, fra loro complementari:

a - la strategia delle vendite,
b - la strategia degli acquisti,
c - l'azione delle strutture d'intermediazione.

La strategia delle vendite

Le azioni di penetrazione commerciale nei confronti di mercati che attuano forme di pagamento compensativo dovrebbero essere condotte secondo metodologie particolari che, rispetto ai canoni tradizionali, presentano la no vità sostanziale della determinazione, tutt'altro che facile, di quell'elemento (x) che costituirà, in ultima analisi, la chiave risolutiva dell'intera iniziativa. Si po trà forse obiettare che è già insita nella natura stessa della vendita la ten denza ad ottenere il massimo dei risultati tenendo presente il livello di soglia minima al di sotto del quale la transazione non ha più alcun significato, ma qui il problema di fondo consiste nel fatto che il più delle volte chi vuole esportare sa molto bene cosa vuol vendere e come vendere, ma non sa an cora se e cosa gli potrà essere offerto in cambio. Inoltre, fattore ancora più im portante, quale potrà essere il valore "normale" dei beni che gli verranno of ferti in pagamento. Ecco che allora s'impone un'attenzione particolare al prezzo da richiedere alla controparte per il bene da esportare. E' ingenuo in fatti ritenere che per superare questo imbarazzo basti esprimere un'offerta basata su un semplice prezzo cash. Questo è, per contro, il modo più classico di perdere tempo e denaro in una tentata vendita che ben difficilmente arri verà ad una conclusione. Qualora si presentasse la necessità di controacqui stare altri prodotti differenti, il prezzo "cash" potrebbe anche non risultare suf ficiente a contenere il famoso elemento (x) di cui si è parlato più sopra. Alla tradizionale azione di marketing che conduce all'offerta finale del prodotto deve quindi essere affiancata, sin dall'inizio, una valutazione più accurata del mercato nel quale di vuole operare, per stabilire se, ed in quali termini, potrà essere richiesto di regolare la transazione con una cessione di altri beni. In presenza di tale eventualità occorrerà definire, con la massima obiettività, le capacità intrinseche dell'azienda esportatrice di gestire adeguatamente il flusso merceologico di ritorno e, in caso di dubbio,il ricorso ad una struttura di intermediazione specializzata in quei prodotti e sul mercato specifico diventa tassativo. Solamente dopo aver correttamente valutato i costi, i rischi e le mo dalità di gestione dei prodotti di ritorno potrà essere determinato l'elemento (x) e, quindi, formulata l'offerta al potenziale cliente. L'iter procedurale da se guire diventa quindi il seguente:

La strategia degli acquisti

Ogniqualvolta si sente parlare di paesi che offrono prodotti in compensazione ci si chiede come mai questi beni non vengano semplicemente esitati sul mercato dallo stesso produttore per generare valuta in una logica multilate rale di scambio. Le ragioni sono molteplici, suffragate da tesi approfondite e lungamente dibattute, ma in ultima analisi la risposta è una sola: il produttore vuole realizzare un prezzo superiore a quello che il mercato sarebbe disposto a pagare per quello specifico bene. Tutte le altre spiegazioni, più o meno complesse, più o meno dotte, riconducono alla fine alla stessa semplice con clusione. L'impreparazione a gestire un marketing all'esportazione, le ecce denze produttive, l'arretratezza tecnologica, il bisogno di conquistare nuovi mercati, il desiderio di internazionalizzare i cosiddetti "non traditional items", ecc., visti nell'ottica dello specifico prodotto dimostrano che il rapporto qua lità/prezzo è generalmente squilibrato rispetto a quanto il mercato internazio nale è in grado realmente di corrispondere in una logica di libera concor renza. E' la molla del bisogno che spinge questi paesi a realizzare il massimo possibile attraverso l'azione ricattatoria del io compro da te se tu compri da me . Con il risultato, peraltro scontato, di creare una spirale distorsiva nei prezzi che poi, a conti fatti, riporta la sostanza più o meno all'origine. In questa realtà complessa, e sotto certi profili ambigua, ci si deve muovere per collo care i beni ricevuti in compensazione, con l'ulteriore aggravante che spesso l'operatore si presenta sul mercato come offerente marginale ed, in questa veste, deve scontare il prezzo del biglietto di ingresso. Infatti non dimenti chiamo che, soprattutto nel settore delle "grandi commodities" i ruoli sono già da tempo ben definiti e che gli operatori abituali conoscono tutti i meandri del labirinto in cui si muovono. Quando si presenta sul mercato un nuovo offe rente con una partita di merce che, è evidente, si è trovato fra capo e collo per via di un regolamento compensativo, l'Establishment non si lascia sfuggire l'occasione di concludere un buon affare. Tutto ciò sottolinea che la ricerca di collocamento di prodotti compensativi, dopo la finalizzazione delle intese per l'esportazione del bene principale, si rivela altamente rischiosa e spesso di spersiva. La metodologia corretta di acquisizione e collocamento dei prodotti compensativi deve partire da uno stadio molto più arretrato; l'ideale sarebbe poter rovesciare completamente lo schema tradizionalmente adottato, ricon siderando il tutto secondo il seguente iter procedurale:

1) esame del paese nel quale si vuole esportare,
2) ricerca dei possibili prodotti da ricevere in controacquisto,
3) ricerca di possibili utilizzatori di tali prodotti,
4) formalizzazione di accordi ben definiti per la realizzazione dell'operazione,
5) vendita del bene principale.

E', in sostanza, l'attuazione di una strategia d'acquisto di taluni prodotti, fina lizzata alla vendita di altri beni, che anticipa - e quindi rende meglio gover nabili - i problemi che si sono visti in precedenza. Il punto delicato di questa ipotesi di lavoro consiste nel fatto che l'azienda industriale si troverebbe asso lutamente impreparata , da un punto di vista pratico, ma anche istituzionale, ad affrontare un marketing d'acquisto e di vendita di prodotti quasi certamente molto diversi da quelli abitualmente gestiti. In realtà è un ruolo che non le compete e che chiama in campo una struttura commerciale disposta ad affron tare quel problema in tutta la sua dinamica.

L'intervento delle strutture commerciali

La presenza pressochè costante di un intermediario commerciale nel conte sto delle operazioni compensative è ormai un fatto acquisito e poche sono le operazioni che, per loro specifica natura, non richiedono questo tipo d'intervento. Il termine "intermediario" è stato qui inserito nella sua più vasta accezione comprendendovi sia le strutture commerciali interne di cui un'azienda può disporre ( le cosiddette Countertrade units ) che le più com plesse organizzazioni esterne (Countertraders e/o Trading Companies ). Occorre tuttavia osservare che questo intervento assume differenti connota zioni e raggiunge diversi risultati a seconda di quando e di come viene ri chiesto ed attuato. Come abbiamo già avuto modo di vedere, nella pratica più corrente quando l'esportatore sta per concludere la propria vendita e si rende conto di non poter adeguatamente gestire il flusso di ritorno ricerca una colla borazione esterna, prospettando un'operazione che, quasi certamente, è già pregiudicata in partenza. Le risposte che giungono sono infatti spesso di questo tipo:

a) l'operazione non interessa,

oppure:

b) per intervenire nel collocamento dei prodotti compensativi occorre desti nare una percentuale che, il più delle volte, è superiore a quel famoso elemento (x) qui ripetutamente citato.

La seconda risposta, apparentemente positiva, in molti casi non lo è affatto, in quanto l'entità della percentuale richiesta (premi di sfioramento, commissioni ed amminnicoli vari) potrebbe non consentire all'esportatore di rimanere entro la sua soglia minima di profitto. Inoltre, al di là della pura e semplice percen tuale, dovranno essere considerati altri elementi di rischio che potrebbero es sere lasciati a carico dell'esportatore. Infine, fra i malintesi più frequenti, c'è anche quello di ritenere che tutte le strutture commerciali abbiano, più o meno, lo stesso tipo di esperienza e lo stesso tipo di operatività. La realtà in vece indica che la specializzazione per area e per prodotto è particolarmente necessaria e che, in considerazione della vasta gamma di merceologie e di mercati interessanti il countertrade, non è pensabile che ciascuna entità sia, da sola, in grado di gestire qualsiasi operazione. Il "Trader", è vero, può a sua volta rivolgersi ad altri operatori di sua conoscenza per ricercare forme di collaborazione orizzontali, ma questo non riduce certamente l'entità della percentuale di cui si è parlato più sopra. Tutto ciò riporta quindi, ancora una volta, il discorso a quanto detto in premessa: è importante che il ricorso all'intermediazione non derivi da un'incapacità operativa dell'esportatore ri scontrata a giochi già fatti, bensì dalla consapevolezza che gli scambi in com pensazione comportano una serie di ostacoli che si possono agevolmente superare se esiste, sin dall'inizio, una sinergia operativa fra le varie figure im prenditoriali.

Le linee del "progetto countertrade"

Come abbiamo visto nelle note che precedono, la necessaria sinergia fra l'esportatore, la struttura commerciale e l'utilizzatore dei beni di ritorno può facilitare la soluzione di molti dei problemi connessi con le operazioni com pensative. Ma abbiamo anche visto che, per varie ragioni storiche, culturali ed istituzionali, è difficile che le auspicate sinergie possano estendersi ad ab bracciare tutto il "sistema" se non vengono creati strumenti adeguati a supe rare le naturali diffidenze dei singoli. In pratica occorre che sia messo a di sposizione degli operatori un insieme di presupposti che possano avvicinare le parti indirizzandole verso l'interlocutore "giusto" per la soluzione della specifica operazione. Si tratta, innanzi tutto, di sapere chi fa che cosa e fino a quale punto esistono le disponibilità ad intervenire in forma sinergica per la realizzazione di obiettivi che possono risultare di comune interesse ed, infine, di coinvolgere più attivamente le Strutture Pubbliche perchè questa azione non rimanga confinata entro i limiti di un inutile corporativismo. Il "progetto" parte proprio da queste premesse che intende sviluppare secondo le se guenti linee d'azione:

1) ottenere un maggior coinvolgimento delle Istituzioni Pubbliche nelle pro blematiche del countertrade e, secondo le varie competenze: a) impostare un sistema informativo che possa mettere sistematicamente a disposizione degli operatori un insieme di notizie (normative estere, segnalazioni su prodotti disponibili, proposte d'affari, andamenti dei mercati, ecc.) tale da agevolare la conoscenza delle realtà dei paesi che abitualmente chiedono di operare in contropartita; b) giungere ad una maggiore liberalizzazione di tutti quei "lacci e lacciuoli" che a tutt'oggi imbrigliano le possibilità di manovra degli operatori (autorizzazioni ministeriali, contingenti, commer cio di transito, assicurazione del credito export, ecc.);

2) interessare maggiormente gli "importatori abituali" ai vantaggi che potreb bero derivar loro da un utilizzo sinergico delle loro capacità d'acquisto di merci che provengono da mercati che operano in countertrade ;

3) selezionare le strutture d'intermediazione commerciale più idonee (sia per esperienza che per disponibilità) a svolgere il ruolo di coesione fra le esi genze degli esportatori e quelle degli utilizzatori di merci estere;

4) creare strumenti idonei (banche dati, servizi consulenziali, ecc.) per fornire risposte rapide e concrete alle istanze che quotidianamente provengono da quegli operatori nazionali (in modo particolare le MPI industriali) che ri cercano i giusti "partners" per la co-gestione di affari di reciprocità.

Ciò che a prima vista potrebbe apparire come mera utopia in realtà fa già parte di un progetto in fase di realizzazione e sia l'I.C.E. che l'A.N.C.E. , con il concorso di altri organismi interessati al problema, stanno attivamente lavo rando per renderlo al più presto operativo. Per quanto riguarda l'I.C.E. è noto, fra l'altro, che sono già state effettuate, nel corso del 1987, specifiche "missioni conoscitive" in alcuni fra i paesi esteri maggiormente attivi nella do manda di scambi compensati e che nel "programma promozionale" dell'anno in corso sono inserite ulteriori interessanti iniziative. D'altro canto il tema "countertrade" è affiorato in varie occasioni anche a livello "politico", ad esempio sia nel "libro bianco" del Ministro Formica che nel programma pro mozionale per l'export 1988 dell'attuale Ministro per il Commercio Estero Ruggiero, con esplicite chiamate in causa della "227" e della SACE (2). Occorre tuttavia ricordare che l'argomento "countertrade" , se è difficile e sca broso sotto il profilo operativo, lo è forse ancora di più sul piano "politico". Il nostro paese è infatti strettamente legato a tutti quegli Organismi internazio nali (G.A.T.T., O.C.S.E., Banca Mondiale, ecc) che da sempre sono convinti sostenitori del più ortodosso multilateralismo negli scambi e che, giustamente, vedono il risorgere della "compensazione" come un pericolo nei confronti dello sviluppo del libero scambio. Ci si trova quindi in una strana posizione dalla quale si nota, da una parte, il dilagare pressochè incontrollato delle pra tiche compensative che si impongono sempre più quale strumento per la so pravvivenza degli scambi con certi mercati e, dall'altra, un'apparente "dissociazione" delle Istituzioni Pubbliche (non solo italiane) che vogliono evitare di essere formalmente coinvolte in azioni od iniziative che possano "istituzionalizzare" qualsiasi ritorno al bilateralismo commerciale. Osservando le politiche adottate da altri paesi a noi vicini, vediamo infatti che non si è pra ticamente fatto nulla per evitare il diffondersi del countertrade , ma che non si sono neppure creati appositi "strumenti pubblici" per promuoverlo. In generale si è praticamente adottata la politica del laisser faire, con ampia libertà per le strutture di tipo privatistico di operare secondo proprie scelte, aiutate -benin teso- dall'esterno con le forme più disparate di "supporti indiretti"attuati con notevole pragmatismo. Sono, a questo proposito significative le esperienze inglesi, francesi, statunitensi, ecc.(3). In questa situazione non ci si può senz'altro attendere che l'Italia marci "controcorrente" e che vengano elargite onorificenze pubbliche a chi opera nel campo compensativo, ma -quanto meno- si pretende che gli operatori di casa nostra possano confrontarsi, sul piano della competitività, ad armi pari con i colleghi degli altri paesi occiden tali. In particolare non viene richiesta una specifica "legge agevolativa sugli scambi in compensazione", bensì che vengano rimossi gli ostacoli che impe discono all'operatore di potersi muovere con la necessaria rapidità decisio nale (ad esempio, togliendo l'obbligo della preventiva autorizzazione mini steriale) e che siano disponibili in via sistematica tutte le informazioni utili a far meglio conoscere le possibilità esistenti nei vari mercati. Il programma che il nostro Istituto Nazionale per il Commercio con l'Estero sta mettendo a punto si basa proprio su questi concetti, che non significano quindi un suo coinvolgi mento nella promozione delle operazioni compensative, quanto un intervento indiretto che permetterà al mondo imprenditoriale di disporre di tutti quegli elementi conoscitivi necessari per valutare la convenienza o meno di affron tare la compensazione, sia come strategia di sviluppo dei propri affari che come necessità contingente sulla specifica operazione. L'Istituto raccoglierà in via sistematica, sia in Italia che all'estero, tutte le informazioni reperibili sulla materia (operatori, normative, prodotti, richieste, ecc.) e si attiverà per diffondere presso gli operatori una maggiore conoscenza delle tecniche, delle problematiche e dei rischi connessi con questo tipo di transazioni. Sulla base delle segnalazioni pervenute dalle categorie economiche più interes sate l'I.C.E. si adoprerà inoltre per sollecitare lo snellimento di tutte quelle pastoie burocratico-normative che attualmente intralciano l'esecuzione delle operazioni di import-export in genere e che frenano lo sviluppo del nostro commercio estero nel suo insieme. Da parte A.N.C.E. è invece in corso un'azione complementare che tende, da una parte, ad individuare fra le Trading Companies ad essa associate le strutture commerciali più idonee a fornire il necessario supporto commerciale richiesto per la gestione del countertrade (con esatta individuazione della specializzazione per area e/o per prodotto) e, dall'altra, ad interessare gli "importatori abituali" a cooperare maggiormente nell'assorbimento dei prodotti di ritorno provenienti dai paesi esteri, beninteso nella salvaguardia del rispetto dei principi che governano l'equilibrio della nostra bilancia commerciale. Gli obiettivi da raggiungere non sono certamente nè facili nè immediati, ma il cammino si presenterà senza dubbio meno arduo se vi sarà il convinto coinvolgimento di tutti coloro che auspicano un sollecito recupero di quelle posizioni che l'"Azienda Italia" ha recentemente perduto in termini di concorrenzialità sui vari mercati esteri.

Note:

(1) Ved., dello stesso autore, in GVCI n. 15 e 16 del 1984, n.7, 8, 9, 10 e 11 del 1985, n.22 del 1986 e n. 7 del 1987
(2) Ved. "Rilancio dell'export, la sfida per il 1988" in Il Sole-24 ore del 2 gennaio 1988
(3) Ved. "Guida agli scambi in compensazione", ed. 1986, ottenibile su richiesta presso l'A.N.C.E., Corso Venezia, 47/49, 2O121 Milano, tel.77.5O.320

Milano, 18 Gennaio 1988