Moneta e baratto: una convivenza difficile

Articolo pubblicato sulla "Gazzetta Valutaria" n. 22/1988 e su "I quaderni dell'AICM" n.1/1988

cod.: GV.88.22.COM.0 - cod.: QU.88.01.COM.0

Alcune riflessioni preliminari

Barter, countertrade, "buy-back", sono termini comparsi da qualche tempo alla ribalta di un contesto economico internazionale frastornato da altalene monetarie, da "Tigri ","Tori ", "Big bangs ", "cordate " e da un insieme di av venimenti e di circostanze che, se da una parte stimolano la ricerca eziolo gica di studiosi e di cronisti, dall'altra rendono il comune operatore con l'estero sempre più perplesso e cauto nell'affrontare i propri quotidiani im pegni di lavoro. In pratica si riscontra una crescente difficoltà nella formula zione delle strategie operative da attuare nel medio-lungo periodo, risul tando spesso estremamente arduo distinguere fra ciò che può essere con siderato "moda del momento" e ciò che invece può anticipare o indicare un cambiamento di tendenza con effetti radicali sulle abitudini consolidate in anni passati. Nel caso specifico, gli scambi in compensazione, che costitui scono pur sempre un modo di commerciare "vecchio come il mondo" ma mai anacronistico, sono sorti ai primordi della civiltà sottoforma di baratto e, con le dovute modifiche od integrazioni, si sono sviluppati, con alti e bassi - è vero - ma peraltro senza soccombere mai, fino ai nostri giorni, dove occu pano un posto per niente secondario nel contesto del commercio sia nazio nale che transnazionale (1). L'avvento di terminologie quali multilateralismo, internazionalizzazione, mondializzzazione , ecc., che stimolano la fantasia sulla scia di una rivoluzione telematica e robotizzante in atto, ha fatto forse perdere di vista la natura stessa dello scambio, che presuppone innanzi tutto l'esistenza di un interesse "bilaterale" che favorisce l'incontro fra la do manda e l'offerta dei beni. E da questa "conoscenza" di livello elementare possono svilupparsi rapporti più complessi di cooperazione, di integrazione, di interscambio, ecc., che non escono dai confini della "norma" sino a qu ando non sorgono - a livello più ampio - fattori esogeni che sconvolgono l'ordinato svolgersi delle operazioni quotidiane, facendo assurgere a "sistema distorsivo" ciò che prima scaturiva da semplici scelte utilitaristiche. Per citare un esempio banale, ricolleghiamoci agli anni '60, quando nes suno avrebbe pensato di definire "countertrade" l'iniziativa di quegli im prenditori che avevano fornito impianti a proprie aziende, ubicate nelle Isole Mauritius, per produrre camiceria da vendere quindi in Italia (magari dotata di pur simpatiche etichette "Made in Italy" ). Ebbene, gli impianti venivano sostanzialmente ripagati con il prodotto uscito da quelle stesse fabbriche, con uno schema che oggi verrebbe inevitabilmente definito di "buy-back" . Si trattava, in realtà, di una scelta prettamente basata su ragioni di conve nienza economica, quand'anche non di natura fiscale. Gli esempi potreb bero continuare, ma riguarderebbero sempre iniziative scaturite da valuta zioni imprenditoriali autonome, non condizionate da forme impositive o da motivazioni strettamente valutarie. Le conseguenze delle varie crisi petroli fere, della incontrollabile fluttuazione delle monete, dell'espansione dei NIC, ecc., hanno evidenziato l' estrema vulnerabilità economica di molti paesi che si sono trovati così costretti, in mancanza di altri validi strumenti corret tivi, ad innalzare le più disparate barriere protezionistiche, ivi incluse le varie forme bilaterali di scambio che, pur non essendo peraltro mai state total mente abbandonate, dopo l'avvento della ricostruzione post-bellica sem bravano essere state ufficialmente relegate fra gli scheletri del passato (2). A questo punto è ormai impossibile effettuare distinzioni, a livello statistico, fra ciò che viene scelto e ciò che invece viene imposto e ne sono una chiara dimostrazione le controverse valutazioni sia degli economisti che delle più note Istituzioni internazionali che, quando si riferiscono in generale al "countertrade", sfornano le più fantasiose percentuali (riferite ai valori globali dell'interscambio mondiale) (3). Da questo intrico di situazioni e di opinioni emerge peraltro una realtà obiettiva e di immediata visualizzazione: le difficoltà di penetrazione nei mercati esteri sono sempre più marcate e in molti casi non si può concludere una vendita se, volenti o nolenti, non si acquista qualcos'altro in cambio. Se è vero che "il baratto non potrà elimi nare la moneta, proprio perchè la moneta è stata creata per sconfiggere il baratto", è altrettanto vero che oggi è spesso necessario ricorrere a forme compensative per poter finalizzare molte transazioni con l'estero. Non oc corre tuttavia innalzare altari al "countertrade", come non è opportuno con siderarlo semplicisticamente una moda passeggera: è invece necessario comprendere le sue motivazioni e cercare di risolvere le sue problematiche operative con spirito realistico e con l'uso degli strumenti adeguati.

L'operatore italiano di fronte alla compensazione

L'affermazione secondo la quale l'operatore italiano è generalmente impre parato ad affrontare il problema della compensazione va forse un poco rivi sta, cominciando -prima di tutto- a delimitare meglio il tema nelle sue linee essenziali e - quindi- ricercando le cause, interne ed esterne, che hanno alimentato questa opinione. Sinteticamente, ci troviamo in presenza di una forma di countertrade o, se vogliamo, di scambio in compensazione, ogni qualvolta un'esportazione non rende ipotizzabile un suo regolamento valu tario di tipo tradizionale. Nella maggioranza dei casi si parla infatti di com pensazione quando è difficile ottenere una disponibilità, o una promessa, immediata di valuta e questo impedimento può generalmente scaturire sia dalla "povertà" vera e propria di un paese, intesa in senso lato, che dalle normative valutarie o burocratiche messe in atto dal Governo del paese stesso. Ogni operazione di countertrade presenta peculiarità proprie e può sorgere sia da accordi intergovernativi stabiliti fra due paesi che dall'iniziativa autonoma di privati. Non è detto, inoltre, che lo scambio rigu ardi necessariamente soltanto merci: mano d'opera, turismo e servizi in ge nere possono in taluni casi costituire utili mezzi di pagamento compensa tivo. C'è chi la compensazione se la va a cercare, in quanto giudica che questo sia uno strumento essenziale per lo sviluppo dei propri affari con l'estero (e quindi ne fa una precisa strategia di marketing) e -per contro- chi se la trova fra capo e collo come una semplice (ma ben diversa) variante alle forme di regolamento di tipo tradizionale. E' facilmente intuibile che le due casistiche sopra esposte comportano conseguenze ben differenziate sia sul piano della gestione che su quello della valutazione circa la validità o meno dello schema in sè stesso. L'operatore che vende ad un paese "povero", ma potenzialmente ricco di materia prima, un impianto facendo selo pagare con prodotti che poi rivenderà facilmente su mercati più "ricchi", correrà certamente un insieme di rischi non indifferenti, ma se avrà agito con oculatezza realizzerà probabilmente i due obiettivi di vendere l'impianto e di commercializzare i prodotti finiti. Per contro, un altro operatore che cede un bene facendosi imporre "obtorto collo" un pagamento compensativo in merci che non conosce, nè in termini quantitativi, nè qualitativi, incontrerà certa mente molti più rischi, con minori probabilità di raggiungere felicemente il suo obiettivo originario. Il primo operatore non potrà che dare una valuta zione positiva sul countertrade da lui promosso, mentre il secondo avrà -inevitabilmente- un'opinione ben diversa. In sostanza, i comportamenti adottati dagli operatori di fronte alle problematiche compensative sono spesso anche una conseguenza del grado di conoscenza individuale del fenomeno che, per varie ragioni, non è sempre facilmente valutabile in tutte le sue sfaccettature e configurazioni. Se, da una parte, la scarsa cono scenza delle meccaniche operative non consente ancora a molti imprendi tori di casa nostra un approccio corretto al countertrade, vi sono almeno altri due fattori non meno importanti che alimentano un certo distacco italiano da questa prassi che, invece, è ben presente e sfruttata in altri paesi industria lizzati a noi vicini. Il primo dei due fattori risiede in quella atavica abitudine nostrana di voler "fare tutto da sè", con la presunzione di "fare meglio", che porta a considerare con un certo scetticismo le iniziative che richiedono una collaborazione attiva (e certamente onerosa) di terzi. Finchè si tratta di gra zioso assistenzialismo, tutti d'accordo, ma quando -come nel caso del countertrade- occorre spesso ripartire con terzi non solo i rischi, ma anche i benefici, il discorso cambia. E' d'altro canto un aspetto che non tocca sol tanto la materia in argomento, ma che si estende ad abbracciare l'intero spettro del commercio estero italiano e che sta alla base dello scarso suc cesso ottenuto, ad esempio, dalle forme consortili e del limitato sviluppo (se paragonato a quello di altri paesi esteri anche a noi vicini) del sistema di Tradings italiano (4). Il secondo fattore è invece di origine esterna all'azienda e, in un certo senso, di tipo istituzionale. L'operatore con l'estero sembra essere il bersaglio prediletto di tutte le esercitazioni normative dei nostri legislatori, e sotto il tiro incrociato di leggi, decreti, circolari, testi unici, riforme, disegni di legge, ecc. vengono spese in modo assolutamente im produttivo troppe ore della giornata per adempiere alle formalità imposte dal "sistema", perdendo così molte opportunità di un più proficuo lavoro. Il countertrade, in particolare, è ancora indirettamente frenato nella sua ope ratività da alcuni vincoli quali, ad esempio, le disposizioni sul "commercio di transito", la politica dei "contingenti", l'obsolescenza della Legge 227, ecc. Ma questa forma di scambio è , prima di tutto, la combinazione di una esportazione e di una importazione (o di un transito) e quindi è condizionata anche da tutte le altre tradizionali complicazioni burocratiche riguardanti in generale il nostro commercio con l'estero. Dalle dichiarazioni recentemente espresse dai nostri responsabili politici, nonchè dalle recenti "liberalizzazioni normative" è emersa la volontà di porre rimedio ad una si tuazione divenuta ormai insostenibile e che non favorisce certamente la ri presa di competitività delle nostre esportazioni. Purtroppo le opportunità la sciate sono ormai perdute e ci vorrà del tempo perchè, ad esempio, si ri creino in Italia le necessarie esperienze per poter operare -come si faceva un tempo- nel commercio di transito (5).

I "perchè" della domanda di compensazione

I paesi che attuano la compensazione, sotto varie forme e con diverse giu stificazioni più o meno ufficiali, hanno superato da tempo il centinaio, ma in realtà questa forma di scambio non sempre riesce a trovare una sua realiz zazione operativa tale da renderla facilmente attuabile. La causa principale di tali difficoltà risiede spesso proprio nella palese ambiguità delle motiva zioni addotte, che non trovano sempre riscontro nella concretezza dei fatti. Se su un piano prettamente accademico si possono esprimere validissime tesi a sostegno (o contro) la prassi compensativa, sotto il profilo strettamente pratico non sempre queste argomentazioni trovano conferma nella concre tezza delle specifiche operazioni. La carenza di disponibilità valutarie, l'impossibilità di godere (come per il passato) di risorse finanziarie messe a disposizione dal "sistema" internazionale (6), la necessità di sopperire alla mancanza di un adeguato "marketing" estero, la volontà di esportare beni non tradizionali, ecc., sono validissime giustificazioni che però nascondono spesso il semplice desiderio di realizzare dalla vendita dei beni offerti in compensazione un valore superiore a quello offerto dal mercato. E si tratta, sostanzialmente, di un gioco sottile, in quanto chi accetta quei valori cerca di recuperarne le differenze ricaricando il prezzo di vendita dei propri prodotti in esportazione: viene a crearsi così una spirale inflazionistica che, alla fine, distorce l'equilibrio formale dei valori di mercato ma non cambia la so stanza delle cose. D'altro canto, se un prodotto -in base alle proprie carat teristiche- ha, in un certo momento, un determinato valore, significa che esiste una domanda disposta a corrispondere quel prezzo e solo quel prezzo. Qualsiasi tentativo di "forzarlo" si rivela, alla fine, assolutamente sterile. Per citare un esempio, fra i tanti, si ricorda il tentativo effettuato non molto tempo fa da una nota azienda di trading d'oltr'alpe di concordare con un Ente di Stato nord-africano un contratto "open" di compensazione per svariati milioni di dollari. I nord-africani hanno offerto prodotti a prezzi ben superiori rispetto a quelli che venivano abitualmente praticati nelle loro esportazioni regolate in "hard currency" e gli esportatori europei non sono riusciti a "ricaricare" le relative differenze nei prezzi dei loro beni. A quanto risulta, il contratto è rimasto a livello di documentazione, disponibile per uso puramente didattico. Lo scetticismo che traspare in forma evidente da que ste considerazioni intende mettere in guardia dai facili entusiasmi a cui ci si potrebbe abbandonare di fronte ad una "novità" quale potrebbe apparire a prima vista il "countertrade". In realtà, a lato di situazioni chiaramente di storsive, esistono anche concrete possibilità di lavoro che vanno però ricer cate con pazienza e con coerenza, sulla base proprio dell'esistenza di quell'interesse bilaterale citato in premessa.

Necessità di adeguate strategie

L'esperienza ha dimostrato che le operazioni compensative hanno un senso se vengono impostate sulla base di una precisa strategia di marke ting, nel rispetto delle reali esigenze delle parti coinvolte e con il concorso di tutti gli "strumenti" necessari per la loro corretta esecuzione.

Riprendendo infatti l'esempio della camiceria citato in premessa, vediamo che l'ideatore dell'operazione aveva quasi certamente attuato una sua pre cisa linea d'azione partente da alcuni presupposti di base:

1) L'esistenza di una "domanda interna" vivace e remunerativa per quei capi d'abbigliamento,
2) La disponibilità a fornire gli impianti ed il "know-how" necessari alla produzione in quel paese estero di prodotti di ritorno interessanti,
3) L'impossibilità di farsi pagare in valuta i beni esportati, ma la fiducia in un rimborso attraverso l'acquisto dei prodotti finiti,
4) La consapevolezza di una "capacità" intrinseca del paese estero a pro durre quanto richiesto (sia in termini di materie prime che di mano d'opera),
5) La possibilità di ottenere benefici economici dai due flussi merceologici.
6) La possibilità di stipulare con la controparte estera precisi accordi a sal vaguardia dei numerosi rischi connessi con questa operazione.

Si è trattato quindi di una scelta di "countertrade" che, molto probabilmente, non ha mancato di dare i suoi frutti nei tempi previsti e, forse, anche oltre. Certamente questo caso non fa testo, ma dimostra come la compensazione non significhi soltanto la ricerca affannosa di un partner che collochi da qu alche parte prodotti di ritorno, di difficile esitazione, forzatamente ritirati da un cliente estero privo di valuta convertibile. Una strategia valida parte quindi spesso dalla ricerca preventiva di ciò che si può ragionevolmente acquistare da un paese che attua la compensazione per poi giungere alla vendita del prodotto principale. E' questo un modo di anticipare un pro blema, comunque esistente, per poterlo meglio pilotare e gestire. S'inserisce però, a questo punto, il problema della capacità o meno dell'azienda esportatrice di effettuare con la necessaria competenza la ri cerca suddetta, tenendo conto del fatto che -il più delle volte- non ci si trova di fronte solo a merceologie grosso modo assimilabili a quelle abitualmente trattate (come nel caso più sopra esemplificato), bensì anche ai più svariati prodotti che, per definizione, sono già di per sè stessi difficilmente vendibili, o per una questione di qualità, o per la scarsa competitività del prezzo. E la commercializzazione di ciascun prodotto segue sue linee particolari in un contesto di usi, di schemi, di strutture e di vincoli che richiedono conoscenze particolari, difficilmente improvvisabili (7). L'estrema segmentazione di esperienze che si è formata nel nostro paese è tale che ciascun prodotto importato ha i propri specifici cultori che ne conoscono tutto lo scibile e che, per converso, non sono generalmente interessati alle problematiche di chi, invece, deve esportare. Si tratta, sostanzialmente, di due mondi comple tamente differenti e separati da ben diverse capacità negoziali: chi acquista dall'estero materie prime, semilavorati od anche prodotti finiti, ricerca la fonte di approvvigionamento che più lo aggrada e (limitazioni permettendo) regola in valuta i propri acquisti, mentre chi esporta -particolarmente in paesi "difficili"- trova con una certa facilità un acquirente, ma non riesce al trettanto facilmente a concludere la vendita proprio a causa delle difficoltà di ottenimento della valuta. D'altro canto il "sistema" non è stato sinora in grado di sviluppare strutture tali da poter concentrare in misura significativa le due distinte funzioni dell'interscambio, ed anche le "Tradings" esistenti hanno, a loro volta, maturato esperienze settoriali (export, import, mono-paese o mono-prodotto) che non sempre consentono loro di gestire con fa cilità prodotti o mercati che esulano dalla gamma abituale. L'adozione di nuove strategie va quindi intesa non solo in funzione della singola impresa, bensì nel contesto più ampio della stessa Azienda Italia , con un coinvolgi mento ancora più attento di tutte le strutture, pubbliche e private, disponibili.

Le recenti "liberalizzazioni in materia di countertrade"

E' doveroso riconoscere che in questi ultimi mesi è stato fatto molto, a livello pubblico, per far recuperare una certa competitività italiana alle operazioni compensative. Le nuove normative valutarie entrate in vigore il 1° ottobre 1988 (T.U. del 31/3/1988, con riferimento al DPR 454 del 29/9/1987) hanno, ad esempio, tolto l'obbligo della preventiva autorizzazione ministeriale per i regolamenti compensativi fra residenti e non residenti, salvo l'introduzione della successiva tempestiva comunicazione all'UIC attraverso una banca abilitata. Inoltre una particolare nota di Mincomes stabilisce nuovi "orientamenti in materia di rilascio di autorizzazioni di importazione dai Paesi a commercio di Stato, in supero rispetto ai contingenti fissati e per prodotti per i quali non siano fissati contingenti di importazione" al fine di aprire talune maglie alla necessità di ritirare prodotti compensativi. La SACE, nelle more della tanto attesa riforma della ormai obsoleta legge 227, ha deciso di adottare una più ampia apertura per le operazioni assistite da garanzie di pagamento rappresentate dalla consegna di prodotti compen sativi, e su questa linea sono già state rilasciate diverse coperture assicura tive nei confronti di determinati PVS, in deroga alla "pausa di riflessione" ed alla "sospensiva". Infine, l'ICE non solo ha costituito e resa operativa la "Sezione countertrade" per fornire assistenza agli operatori in materia com pensativa, ma sta anche organizzando un monitoraggio delle importazioni italiane, teso ad una più analitica conoscenza del fenomeno e -come si so steneva più sopra- ad uno sfruttamento più razionale della nostra capacità di acquisto dall'estero per lo sviluppo delle nostre esportazioni.

Conclusioni

Nella speranza che il sistema economico internazionale ritrovi gradual mente la strada per un ritorno -indolore- al multilateralismo, con conse guente abbattimento delle numerose barriere esistenti, occorre far sì che la medicina amara della compensazione possa essere ingerita senza troppi "effetti collaterali". In questa ottica è necessario che si prenda ancora più completa coscienza della realtà e che si mettano in atto tutti gli strumenti adeguati a favorire una maggiore libertà di movimento del mondo imprendi toriale, nel rispetto dei principî di salvaguardia del livello occupazionale e della bilancia valutaria. Un più razionale utilizzo delle nostre capacità im portative, la ricerca di più strette sinergie operative fra industria e commer cio, l' abbattimento dei rimanenti "lacci e lacciuoli" che imbrigliano il sistema, un maggior e più coordinato utilizzo delle risorse che le Istituzioni dedicano alla promozione degli scambi con l'estero, dovrebbero costituire l'obiettivo di una razionale strategia d'intervento per lo sviluppo del processo di inter nazionalizzazione della nostra economia.

Milano, 18 Settembre 1988

Note:

(1) Per un più completo esame delle varie tipologie in cui si possono presentare gli scambi compensati ci si può riferire alla bibliografia esistente ed, in particolare, alla "Guida agli scambi in compensazione", edita dall'Associazione Nazionale del Commercio con l'estero, ANCE, C.so Venezia, 47/49, Milano,1986
(2) Si ricorda che, a partire dalla "grande crisi del '29" sino al termine della seconda guerra mondiale, gran parte delle transazioni internazionali avvenivano in forma bilaterale con l'utilizzo delle varie forme di clearing di cui sono rimaste talune pendenze tuttora scoperte. La creazione di organismi finanziari sovranazionali, quali il Fondo Monetario, la Banca Mondiale, ecc., fu promossa proprio al fine di mettere ordine in una situazione di mercato che ormai sfuggiva ad ogni possibile controllo. Queste istituzioni, unitamente al G.A.T.T., l' O.C.S.E., la C.E.E. ed altre, rimangono strettamente legate al principio della multilatera lità degli scambi e, pur prendendo atto dell'involuzione venutasi a creare nel contesto in ternazionale, invitano i paesi ad esse aderenti a mantenere una posizione di "non coin volgimento diretto" nelle operazioni di countertrade. Ciò determina, evidentemente, l'attuazione di politiche bivalenti, laddove ufficialmente si condanna la compensazione per poi praticamente favorirla mettendo in atto strutture di assistenza, di consulenza, ecc.
(3) Tali stime oscillano fra il l'8 ed il 30 % del totale dell'interscambio e gli scostamenti dipen dono sostanzialmente dai criteri di volta in volta usati per identificare ciò che si intende per "countertrade". Non esistendo infatti una nomenclatura ufficiale che possa catalogare e rilevare statisticamente questo tipo di operazioni (peraltro talvolta assolutamente sfug genti a qualsiasi tipo di rilevazione), le quantificazioni si basano su parametri spesso di na tura soggettiva e, quindi, non sempre attendibili.
(4) Sul tema "Trading Companies" si rimanda alla bibliografia esistente ed, in particolare, alle seguenti opere: S.Alessandrini, "Le Trading Companies" e il commercio italiano di espor tazione, Cescom/F.Angeli, Milano, 1982; S.Alessandrini, "Le Trading Companies in Lombardia", Il Sole/24 ore, Milano, 1985; S.Alessandrini/C. Secchi ( a cura di), "Il ruolo delle Trading Companies nel processo di internazionalizzazione dell'economia italiana", Cescom/F.Angeli, Milano, 1986
(5) Cfr.: Atti del convegno: "Commercio di transito, un contributo alla nostra economia", Ice/Ance, Roma, 1983
(6) Dal grafico sottoriportato appare l'incremento del debito verso l'estero dei Pvs negli anni 1981/88, che evidenzia -senza necessità di ulteriori commenti- la ragione principale che spinge anche queste aree a tentare la strada della compensazione per salvaguardare, se non un minimo livello di crescita, almeno la loro sopravvivenza.

(7) Vedasi: "Se compensare è legge, lo scambio è denaro", in "Terziaria", n. 6/1987 , ed an che: "Importare meglio per esportare di più", in "Gazzetta Valutaria e del Commercio Internazionale", n. 22/1986, a cura di G.C. Marchesi