Così l'azienda deve prepararsi al 1992

Articolo pubblicato da "Italia Oggi" del 27 aprile 1988

cod.: ITA.88.93.MKT.0

Milano - Si svolge oggi a Milanofiori l'incontro organizzato da Ipsoa sui vincoli, i rischi e le opportunità per le imprese che esportano. Pubblichiamo uno stralcio dell'intervento di Gian Cesare Marchesi sulle strategie aziendali in vista del 1992.

Rientrando in Italia da un viaggio in Giappone nel dicembre 1987, ho notato che la maggior parte delle imprese cominciava a guardare alla scadenza del fatidico 1992, anno in cui "dovrebbero" cadere le frontiere che separano i Paesi comunitari per dar libera circolazione alle merci e alle persone. Ho volutamente usato il termine "dovrebbero", perché già si parla di possibili rinvii, di slittamenti e di eccezioni. Il nostro Paese resta, fondamentalmente, una realtà ancora malata di provincialismo, che traspare con evidenza ogni qualvolta ci si confronti, su di un piano settoriale, con altri più accreditati partners europei. Basti pensare alla situazione dei nostri porti, aeroporti e ferrovie, al grado di internazionalizzazione del nostro sistema finanziario, al livello di conoscenza delle lingue straniere. D'altro canto la nostra "audacia" ci consente di mantenere la sesta posizione nel novero dei principali esportatori mondiali. Ma, in realtà, se - da una parte - siamo fra i primi esportatori mondiali, lo siamo anche fra quelli importatori, ed il risultato che ne deriva è un deficit commerciale che alla fine del 1987 era pari a circa 8 miliardi di dollari, nonostante l'inaspettato calo del prezzo del petrolio. Tutto ciò è stato reso possibile anche attraverso funambolismi tecnico-commerciali, nei quali siamo maestri, ma cosa succederà se nel 1992 cadranno veramente le barriere comunitarie e il confronto competitivo con le realtà esterne diventerà più evidente? Non limitiamoci quindi a fare i soliti scongiuri di rito, bensì cerchiamo di assumere un atteggiamento meno "provinciale" e di avviare sin d'ora un processo di vera internazionalizzazione, che ci consenta di utilizzare al meglio le nostre capacità intrinseche. Le azioni da compiere sono ben individuate da tempo: si tratta ora di intervenire con determinazione e coerenza, sia in campo normativo che in quello della formazione, negli investimenti (ricerca compresa) e nei consumi, sia nel settore pubblico che in quello privato, in una visione armonica che tenga conto della necessaria gradualità delle modifiche, ma anche dell'esigenza di ridare maggior fiducia agli operatori in termini di sicurezza e di stabilità. La necessità di disporre di una maggiore competitività non va vista soltanto in funzione di creare una barriera protezionistica nei confronti della concorrenza comunitaria all'interno del Mercato Unico Europeo, ma anche con la finalità di recuperare all'esterno quelle posizioni che negli ultimi anni hanno visto il costante regresso dell'<Azienda Italia>. Questa esigenza è ancora più sentita laddove si consideri che nei prossimi anni assisteremo anche all'aggressione selvaggia delle 4 tigri asiatiche. Di fronte a queste prospettive le aziende del nostro Paese devono adeguatamente premunirsi, non soltanto attuando particolari azioni difensive, bensì organizzando sin d'ora precise strategie d'attacco. Per poter far ciò occorre, innanzi tutto, che da parte degli organi legislativi si porti a compimento la revisione globale della normativa (valutaria, doganale, assicurativa, ecc.) per adeguarla, sia a quella degli altri Paesi europei più evoluti, che alle esigenze del commercio internazionale degli anni '90. Da questa base di partenza si dovranno quindi sviluppare indispensabili azioni imprenditoriali tese ad uno sviluppo del marketing estero, sia dal punto di vista puramente strategico che operativo. L'avvento del Mercato Unico Europeo potrebbe inoltre creare particolari problemi e quelle aziende di dimensione medio, medio-piccola che sinora non hanno ancora espresso una precisa "vocazione" internazionale e che hanno considerato l'export come una pura risorsa contingente per sopperire al calo della domanda interna o ad un particolare eccesso di produzione. Purtroppo, quest'ultimo rappresenta il lato più complesso e delicato dell'intera problematica ed apre un discorso di marketing internazionale nel quale l'<Azienda Italia>, eccettuati casi particolari riferiti ad aziende già affermate, si trova fortemente arretrata e su posizioni che, ancora una volta, possiamo definire di tipo "provinciale". Infatti, nonostante i nostri volumi globali di export, come abbiamo visto più sopra, siano tutt'altro che insignificanti, molte "vendite estero" vengono tuttora realizzate sulla base di "acquisti" che vengono richiesti dall'estero, senza che vi sia, da parte delle aziende manifatturiere, una strategia di vendita che permetta loro di conoscere e di "possedere" il mercato di sbocco. In altri termini, sono spesso gli stranieri che acquistano i nostri prodotti, più che essere noi ad andare a venderli all'estero.