Strumenti per un commercio mondiale

Articolo pubblicato su "Terziaria" N. 6 del Novembre-Dicembre 1988

cod.: TE.88.O6.MKT.0

Dalle notizie apparse sulla stampa specializzata (1) si è recentemente ap preso che l'Istituto Nazionale per il Commercio Estero, I.C.E., intende organiz zare le proprie strutture, sia centrali che periferiche, per seguire più da vicino il fenomeno delle esportazioni italiane e per disporre, quindi, di dati e di do cumentazione che possano rendersi utili a tutti gli operatori. Si tratta di un programma che, fra l'altro, s'inserisce in un più vasto quadro di ristruttura zione (2) che vede questo Ente proiettato verso una dimensione d'immagine più funzionale ed aderente alle attuali necessità di maggiore internazionaliz zazione della nostra economia. In effetti il tema delle importazioni ha rappre sentato per molti anni una specie di "oggetto misterioso" del quale sono sem pre state ignorate la reale dinamica, la struttura e, fattore ancor più significa tivo, le strade attraverso le quali il nostro Paese si approvvigiona di una così imponente e svariata massa di prodotti che vengono abitualmente pagati -senza particolari problemi- in valuta (3). A parte, infatti, gli "addetti ai lavori" di rettamente coinvolti nella gestione delle importazioni e, comunque, per lo più confinati nelle specializzazioni merceologiche loro congeniali, le informazioni disponibili sono alquanto scarne e sono state sempre rilevate su un piano pu ramente statistico per finalità soprattutto di verifica della bilancia commerciale nel suo insieme, per grandi settori merceologici e nei confronti dei varî Paesi, senza tener conto delle pur altrettanto significative considerazioni che potreb bero scaturire da un esame più disaggregato e critico della materia. D'altro canto le politiche e le abitudini che hanno interessato sino a qualche anno fa il nostro commercio con l'estero hanno sempre fatto sì che questo settore dell'interscambio venisse alquanto trascurato ed addirittura abbandonato a sè stesso per quanto riguarda gli strumenti operativi e talune scelte merceologi che. Salvo attuare -in caso di particolari necessità della bilancia valutaria, o per altre ragioni di carattere politico più generale- correttivi normativo/valutarî o normativo/doganali tendenti a contenere i flussi merceologici ed i relativi esborsi in moneta trasferibile. L'imprescindibile necessità per il nostro Paese di importare materie prime e semilavorati destinati ad alimentare un apparato industriale costantemente teso e stimolato a sviluppare il proprio export ha fatto anche in modo che venissero a crearsi varie forme di assistenzialismo e di protezionismo non solo concreto, ma anche "psicologico", generalizzate o specifiche, intese a colpire quegli operatori che gestivano le importazioni di beni in un certo senso concorrenziali a quelli prodotti dall'industria nazionale. Ciò è risultato particolarmente evidente nelle fissazioni dei famosi "contingenti" per molte merci provenienti dai Paesi dell'Est e nelle varie bar riere, tariffarie e non, di volta in volta innalzate nei confronti di particolari pro dotti o di determinati schemi operativi (ad esempio il commercio di transito e gli scambi in compensazione). Anche la burocrazia spicciola, lasciata libera di agire secondo la propria ottica, non proprio e non sempre lungimirante, ha giocato il suo ruolo e ne è un esempio -fra i tanti- quello delle merci prove nienti da un Paese dell'Africa sub-sahariana. Si tratta di un caso indubbia mente limitato e -si spera- temporaneo, ma sintomatico di un atteggiamento di carattere più generale e, certamente, "terzomondista". Il Paese in questione si trova, purtroppo, ben al di sotto di quella "via di sviluppo" che gli è stata eu femisticamente attribuita, e notoriamente beneficia di sostanziosi aiuti-dono erogati a piene mani dai Fondi di assistenza e di sviluppo dei varî Paesi, compreso l'Italia. Cerca faticosamente di affacciarsi sui mercati internazionali non solo con i suoi beni agricoli tradizionali, ma anche con qualche prodotto di un'industria comunque tecnologicamente arretrata, priva di parti di ricam bio, soggetta alle più svariate disfunzioni (carenza di elettricità e di altre fonti energetiche, problemi di trasporto, reti idriche inefficienti, ecc.) e che non dov rebbe assolutamente far sorgere timori concorrenziali a chicchessia. Fa inol tre parte dei Paesi A.C.P., legato quindi doganalmente - attraverso gli accordi di Lomè - alla Comunità Economica Europea, che dovrebbe garantirgli un in terscambio privilegiato in esenzione di dazi e balzelli varî. Orbene, le Autorità di quel Paese, a causa di quegli incomprensibili fenomeni che frequente mente succedono nei PVS, non hanno purtroppo ancora provveduto a rifor nire le proprie Dogane di un timbro ufficiale con il datario predisposto per l'anno 1988 ed i diligenti funzionari doganali locali continuano ad utilizzare i vecchi timbri correggendo pazientemente a mano l'anno 1987 in 1988. Questo timbro viene utilizzato per convalidare i modelli EUR1 e gli altri docu menti ufficiali relativi alle merci esportate verso i Paesi comunitari. Si badi bene che la dimostrazione dell'avvenuta esportazione nell'anno 1988 appari rebbe in modo inequivocabile anche da una serie di altri elementi che com pongono la normale documentazione di spedizione delle merci, ma ciò evi dentemente non soddisfa le esigenze burocratiche delle nostre Dogane che, in questa circostanza, bloccano semplicemente l'operazione non consen tendo l'immissione della merce sul territorio nazionale a meno che l'importatore non corrisponda un dazio cauzionale (il cui rimborso, poi, av viene con le tradizionali tempistiche del caso) o non si assoggetti ad una serie di adempimenti che, comunque, non evitano il pagamento di pesanti soste portuali ed altri simili ammennicoli. Questa situazione sta verificandosi ormai da nove mesi! Ha certamente costituito un'ulteriore barriera, anche se indi retta e -forse- involontaria, il fatto che in Italia vi sia stato un generale e palese disinteresse nei confronti degli importatori e delle modalità con le quali ven gono attuate le importazioni. Se vi sono state talune attenzioni, di tipo comun que privatistico, queste sono state principalmente motivate da interessi setto riali, oppure dalla necessità di una riduzione di costi (nascita di gruppi d'acquisto o di consorzi). Per il resto c'è stato un incomprensibile ed ingiustifi cato vuoto. Hanno brillato per la loro assenza le istituzioni pubbliche interes sate allo sviluppo dell'interscambio, ma anche -in una certa misura- gli istituti di ricerca e tutte quelle organizzazioni, stampa specializzata inclusa, proiet tate verso i problemi dell'interscambio. Ripercorrendo a ritroso le cronache dell'ultimo decennio si ritrova sistematicamente il motivo delle esportazioni quale dominante di convegni, seminari, studi, proposte, analisi, ricerche, ecc. Sulla rilevanza delle importazioni e sul ruolo che una loro più programmata e coordinata gestione potrebbe giocare nel contesto della struttura economica nazionale c'è stato invece solo qualche sporadico intervento, che poteva an che correre il rischio di essere tacciato di voler minare l'equilibrio della bilan cia dei pagamenti ed il tasso occupazionale della nostra industria (4). Ora il Presidente dell'ICE, nel suo intervento riportato dalla stampa afferma, fra l'altro, che <il fatto di voler considerare le importazioni una variabile indipen dente è un errore, anche come conoscenza dei fenomeni commerciali, perchè è impossibile stabilire rapporti strutturali e duraturi con gli altri Paesi se non si sa bene cosa e come si importa> e questa considerazione, unita ad altre pa rimenti innovative espresse dal Ministro del Commercio con l'Estero, fanno ritenere che, finalmente, si siano create le premesse e le condizioni politiche necessarie per potersi muovere nella direzione giusta. Non ci si deve però il ludere che siano ottenibili nel breve termine risultati concreti ed evidenti. Per un sistema come il nostro, operante da troppi anni sulla base di incertezze e restrizioni normative che hanno creato un divario fra l'attività quotidiana degli operatori con l'estero e le strutture preposte al suo sviluppo e controllo, il rin novamento non potrà essere nè facile, nè immediato. Si prenda, ad esempio, il caso del "commercio di transito", quella particolare forma di scambio inter nazionale che presuppone il passaggio delle merci "estero su estero". Gli operatori del nostro Paese, un tempo particolarmente attivi nel settore, sono stati ripetutamente colpiti da provvedimenti restrittivi che hanno fatalmente portato ad un abbandono delle loro presenze sui mercati esteri e ad una perdita delle esperienze a suo tempo acquisite. Oggi coloro che ancora ope rano in questo campo sono ridotti a poche pur valide unità, mentre in Italia entrano le merci più disparate (cotoni , caffè, legname, carte e cellulose, ecc.) venduteci da nominativi esteri che risiedono in Paesi non produttori di tali beni, ma che fanno del "transito" uno degli strumenti principali della loro atti vità internazionale. Capita così che quei "rapporti strutturali e duraturi " con i Paesi produttori, cui si faceva cenno più sopra, siano stabiliti proprio da questi operatori stranieri, e che noi -in altri termini- si faccia passivamente del "protezionismo per conto terzi". Orbene, non potranno certamente bastare provvedimenti governativi più liberali o volontà politiche di recupero a cam biare tout court la situazione: si tratta invece di dover cominciare pian piano a ricreare una immagine ed una presenza che sono soprattutto il risultato di una esperienza di lavoro quotidiano. Riprendendo l'esempio del PVS citato più sopra, è significativo notare come oltre il 70 % delle sue esportazioni di pro dotti tessili indirizzate al mercato europeo siano utilizzate da imprese italiane: ciò nonostante fra i "clienti" delle fabbriche esportatrici non vi sono italiani. Il tutto transita attraverso operatori svizzeri, belgi, ecc. Lo stesso più o meno si verifica per il caffè peruviano, molti frutti tropicali, ecc. Gestire meglio le impor tazioni significa quindi anche erodere gradualmente quelle posizioni di forza di cui dispongono quegli stranieri che vendono sul nostro mercato prodotti provenienti da Paesi terzi, e consentire ai nostri operatori di essere conosciuti dai produttori esteri non solo come lontani "utilizzatori finali" dei loro beni, bensì anche come diretti "clienti" primarî. Tutto ciò non rappresenterebbe un pericolo nè per l'equilibrio della bilancia commerciale, nè per l'apparato pro duttivo nazionale, perchè non si tratterebbe di importare altro di più di ciò che -attraverso vie tortuose- già arriva abitualmente in Italia. Si tratta semplice mente di riportare entro i confini nazionali una certa quota di valore aggiunto e di permettere l'acquisizione di "titoli di merito" nei confronti dei Paesi produt tori, tale da consentire anche una nostra migliore presenza in termini esporta tivi. Negli ultimi mesi è stata data una particolare enfasi alla criticità della situ azione dell'"Azienda Italia" per quanto riguarda la sua posizione e la sua competitività internazionale, anche se talune notizie di agenzia hanno creato una certa confusione mescolando i risultati della nostra bilancia commerciale con quelli della bilancia dei pagamenti. Indubbiamente le preoccupazioni che derivano dal calo di competitività dei settori tradizionalmente trainanti (tessile-abbigliamento, mobili, oreficeria, ecc.) sono più che fondate e richie dono l'urgente messa in atto di contromisure adeguate. Sotto il profilo norma tivo vi sono chiare indicazioni di una volontà politica di rinnovo ("liberalizzazione" valutaria, ampliamento dei "contingenti", apertura verso il "countertrade", revisione della Legge 227, ecc.), ma tutto ciò non è sufficiente se non si trasmette questa ventata di rammodernamento anche ai livelli ope rativi, pubblici e privati, del Paese. Le normative più liberali possono rivelarsi assolutamente pleonastiche se, ad esempio, i conseguenti decreti di attua zione consentono all'apparato amministrativo di continuare -come prima- a dare una propria indipendente interpretazione. Inoltre non è chiaramente suf ficiente operare a livello legislativo ma è anche necessario "formare uno spi rito d'internazionalizzazione", dando maggior fiducia alle forze operative del Paese e riconoscendo loro il ruolo che attualmente svolgono e che -certa mente - le impegnerà in misura ancor più notevole una volta cadute le rima nenti barriere europee. In questo contesto occorre, ad esempio, definire ed istituzionalizzare la figura della "Trading Company", mettendole a disposi zione quegli strumenti (non solo di carattere normativo) che possano con sentirle più ampî spazi di manovra e maggiori sinergie con le altre strutture economiche del Paese. Occorre, inoltre (ed in questo caso l'ICE si rivelerà certamente utile, a patto che non sia tentato di trasformarsi, a sua volta, in operatore commerciale) identificare analiticamente i canali attraverso i quali si muovono i nostri flussi importativi e cercare di indirizzarli - laddove oppor tuno e conveniente - verso una gestione più nazionale. Purtroppo, come si è detto, questo esercizio non potrà dare frutti immediati, anche perchè -a livello istituzionale, e per quanto almeno riguarda l'import, non si conoscono ancora sufficientemente le problematiche, le abitudini e le dinamiche presenti nel settore e perchè - sia all'interno che all'esterno del Paese - sorgeranno certamente notevoli reazioni difensive, tendenti a salvaguardare talune "rendite di posizione" acquisite nel tempo. Occorre però proseguire lungo questa strada prefissando modalità, tempi ed obiettivi nella consapevolezza che questo può e deve essere un ulteriore strumento per la promozione del "made in Italy" e per il riequilibrio della nostra bilancia commerciale.

Note:

(1) Ved.: "Un monitor dell'ICE per sorvegliare le importazioni", Il Sole-24ore, 23 agosto 1988
(2) Ci si riferisce al progetto di riforma dell'ICE recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri
(3) Cfr., fra gli altri: G.C. Marchesi, "Si alzano nuove barriere", Terziaria, N.5, sett/ott 1986
(4) Cfr.: "Contributo del commercio all'internazionalizzazione dell'economia italiana", rapporto preliminare per il convegno Confcommercio del 16 Aprile 1986, Confcommer-cio/Ance,Roma,1986