Quando il Trader resta solo

Articolo pubblicato nel 1989 su "Esportare"

cod.: ES.89.02.TRC.0

Il quadro di riferimento

Pur vantando una tradizione di commercio internazionale che, a partire dalle più antiche popolazioni o dalle famose Repubbliche marinare (con il dove roso ricordo al "trader" per eccellenza, Marco Polo) e sino ai tempi più re centi, ha portato i "mercanti" italiani ad essere presenti in ogni parte del mondo, è doveroso riconoscere che il nostro sistema non dispone a tutt'oggi di strutture di "trading" paragonabili - quanto a magnitudine - a quelle espresse, ad esempio, dal Giappone, dalla Corea del Sud o da alcuni altri Paesi europei. Le motivazioni storiche, geografiche e socio-politiche che hanno permesso la formazione e la crescita delle Sogo Shosha nipponiche, delle mega-Tradings sudcoreane o delle Compagnie inglesi, olandesi o francesi sono state purtuttavia ben diverse da quelle esistenti nella nostra penisola. Il trading italiano, inteso quale funzione d'intermediazione negli scambi con l'estero fra la produzione ed il consumo o fra la produzione e la trasformazione dei beni, è infatti principalmente sorto da noi sulla base di ini ziative di tipo individuale, non stimolate e neppure sostenute da particolari situazioni di politica generale, o da esperienze coloniali di un passato non ancora troppo lontano (esempi della Gran Bretagna, Francia e Olanda). Osserviamo ancora che mentre in altri Paesi le Trading Companies si sono sviluppate come elemento cardine di una precisa strategia d'attacco dei mer cati esteri (caso del Giappone e della Corea del Sud) e quindi come indi spensabile supporto commerciale ad una prorompente espansione dell'apparato industriale, le Case di Commercio Estero italiane, salvo situa zioni particolari, hanno agito quale complemento ad attività di internazionaliz zazione già esistenti, ricercando la propria nicchia d'azione negli spazi la sciati liberi da un sistema industriale che, non appena possibile, il proprio "trading" internazionale preferisce farselo in gran parte da sè. Negli anni '60 e '70 si erano forse creati in Italia i presupposti per la crescita di vere e pro prie General Trading Companies, sulla scia dello sviluppo della nostra eco nomia ma anche per la presenza di una spinta motivazionale di carattere ge nerale che stimolava la creatività, lo spirito di sacrificio ed il coraggio del "rischio". Sono infatti ricollegabili a quei tempi i successi conseguiti da al cune strutture commerciali che -quando ancora il termine "trading company" non era balzato agli onori delle cronache- avevano compreso l'opportunità che si presentava loro di conquistare un proprio spazio nel processo di inter nazionalizzazione che si stava avviando in Italia. Quegli anni hanno infatti fatto riscontrare significativi successi di alcune strutture di trading, non sol tanto sotto il profilo strettamente economico, ma anche per ciò che avevano rappresentato -in termini innovativi- le loro azioni promozionali sull'estero. I modelli di riferimento determinanti erano allora principalmente forniti dalle "Confirming Houses" di stampo britannico o dai "Courtiers" di origine transal pina che -a loro volta- derivavano le loro esperienze e le loro tradizioni dalle "Compagnie commerciali" di stampo coloniale. Le tradings italiane, nuove o rinnovate che fossero a quel tempo, avevano pazientemente e coraggiosa mente costruito una loro nicchia e conquistato un loro spazio operativo ripar tendosi in modo equo -e forse inconsciamente- le aree ed i prodotti trattati. Ciascuna di esse aveva compreso sin d'allora l'importanza di effettuare i ne cessari investimenti per disporre di una "rete" estera -sottoforma di filiali, con sociate, rappresentanti, ecc. e per fornire un insieme di servizi, sia al produt tore che all'utilizzatore finale, tali da impreziosire il ruolo svolto e superare il concetto di pura intermediazione che aveva precedentemente caratterizzato molte imprese di import-export. Il risultato è stato certamente positivo, anche se -al momento - forse non sufficientemente reso noto e palesemente ricono sciuto. Si è dunque detto che "forse" esistevano allora le premesse per la cre scita di vere e proprie General Trading Companies: vediamo di cercare di capire cosa ha impedito che ciò avvenisse in senso ampio o, quanto meno, che ciò consentisse a quelle strutture di ingigantire la propria immagine, tra sformandola in quei modelli di "trading alla giapponese" che vengono spesso indicati quali invidiabili strumenti di soluzione dei nostri ricorrenti problemi dell'interscambio con l'estero. Le cause non sono certamente nè di facile nè di comune identificazione perchè molte sono state le componenti interne ed esterne che hanno -in molti casi- ostacolato il processo di sviluppo così sa pientemente avviato. Su un piano, per così dire, socio-politico le trasforma zioni avvenute sul finire degli anni '60 hanno indubbiamente scosso la carica di entusiasmo che animava le forze più avanzate della nostra imprenditoria; sotto il profilo economico le crisi petrolifere hanno sconvolto gli scenari del commercio internazionale; le vicissitudini finanziarie e le altalene monetarie hanno -infine- contribuito ulteriormente ad aggravare la situazione (o ne sono state la causa trainante). Certamente anche la politica economica e le limita zioni valutarie hanno avuto il loro peso, non consentendo in passato all'Azienda Italia l'impostazione di una strategia di marketing internazionale stabile e razionale che contemplasse l'utilizzo sinergico delle forze imprendi toriali disponibili, ma tutto ciò non deve essere utilizzato come unico alibi a giustificazione di un fenomeno che trova anche le sue radici in un contesto socio-economico denso di un individualismo tipicamente mediterraneo, dif ficilmente modificabile nei tempi brevi. La fonte della creatività e dello spirito d'iniziativa sta sempre nell'uomo, con i suoi pregi e con i suoi difetti, e questa presenza umana è particolarmente significativa nella struttura della trading, dove l'intuizione, la fantasia, il coraggio e l'autonomia decisionale giocano un ruolo primario nel conseguimento del successo. Se rivediamo i casi delle Tradings citate più sopra scopriamo che all'origine del loro più significativo sviluppo c'era sempre un uomo che aveva saputo produrre "un'idea" e potuto realizzarla, traendone quindi i relativi benefici, materiali od immateriali che fossero. Laddove queste condizioni sono rimaste, attraverso una continuità gestionale, l'immagine aziendale si è irrobustita ed ingigantita, in altri casi si è rassegnata ad una collocazione dignitosa ma alquanto marginale, ancorqu ando non è del tutto scomparsa per far posto ad altre iniziative più attuali e dinamiche. Purtroppo infatti la vita umana è soggetta ad un ciclo biologico ir reversibile contro il quale nulla possono fare le altre pur eccezionali doti in possesso dell'individuo. E così anche il "trader" può subire il peso del tempo, portandosi appresso una sua genialità che non sempre gli è stato possibile "trasferire" ad altri, a coloro -cioè- che dovrebbero proseguire ed ampliare il "trend" di crescita aziendale. D'altro canto occorre notare che la trading, a differenza di altre strutture industriali o finanziarie (dove, peraltro, possono facilmente riscontrarsi analoghi problemi di successione gestionale), è un'azienda di soli servizi, dove l'"asset" principale consiste proprio nella ca pacità dei suoi uomini di cogliere al momento giusto le opportunità che si presentano sul mercato e di prevedere per tempo i "bisogni" che si potranno verificare nel futuro. Il fattore-uomo è quindi una delle componenti spesso determinanti per il successo di questo tipo di azienda ed i varî tentativi -sinora tentati- di superarlo, creando complesse ed articolate strutture organizzative formate da funzionari pur preparati e capaci, hanno retto egregiamente sin tantochè c'era al vertice il "trader": sempre e soltanto lui, libero da condizio namenti esterni e vocazionalmente portato verso la gestione calcolata del ri schio. Ciò, peraltro, non rappresenta soltanto un fenomeno di casa nostra: il recente caso statunitense, conseguente all'emanazione dell'Export Trading Company Act del 1982, ne è stato una ulteriore riprova. Non sono infatti ba stati nè i mezzi finanziari, nè i network operativi messi a disposizione dalle banche statunitensi a decretare la fama di quelle tradings, e le pur valide giustificazioni addotte per mitigare gli effetti dello scottante insuccesso non hanno ancora convinto tutti. Ciò che è principalmente mancata è stata la pre senza del "trader", della sua "genialità" e della sua libertà di iniziativa.

Il sistema italiano

Le principali caratteristiche del sistema italiano di trading possono quindi es sere così sintetizzate:

- la mancanza di grandi General Trading Companies, sia pubbliche che pri vate, e quindi la presenza di un numero pur elevato di strutture, quasi esclusivamente di matrice privata, a dimensione media, se non medio-pic cola,
- la tendenza ad essere prevalentemente "export oriented",
- una marcata specializzazione individuale per area, per prodotto o per mo dalità operative,
- la scarsa propensione a gestire operazioni "offshore",
- l' abitudine a trattare con Paesi "difficili" verso i quali è necessario espri mere notevoli doti di coraggio, di intraprendenza e di fantasia .

Nel variegato universo delle Case di Commercio Estero è peraltro spesso difficile effettuare precise classificazioni alla ricerca di motivi comuni che pos sano comparare fra loro le varie strutture esistenti: ciascuna entità operativa ha generalmente proprie particolari caratteristiche che non sempre trovano ri scontro in altre aziende apparentemente analoghe. Si tratta spesso di conno tazioni legate ad esperienze individuali che hanno impresso a ciascuna im presa un suo particolare modus operandi difficilmente applicabile ad altre strutture esterne. Ma da tutto questo insieme di elementi, apparentemente limitativi, non ci si deve lasciar trarre in inganno e pur nella sua segmenta zione di funzioni, di esperienze e di possibilità operative il sistema funziona, contribuendo in misura notevole allo sviluppo del commercio estero italiano. D'altro canto i vari tentativi che sono stati sinora fatti, su iniziativa pubblica o semi-pubblica, per creare ex-novo strutture di trading "alla giapponese", pur dotate delle necessarie risorse finanziarie e di supporto, sono presto naufra gati nella impossibilità di coagulare "a tavolino" quell'insieme di elementi, spesso immateriali, che costituiscono il patrimonio più significativo di una Trading Company. In considerazione della realtà esistente risulta quindi al quanto difficoltoso determinare a priori "chi fa che cosa e come" nel campo del trading italiano mancando -fra l'altro- a livello di rilevazioni ufficiali, una precisa nomenclatura che identifichi le Case di Commercio Estero e ricono sca loro specifici compiti, funzioni e prerogative. In concreto esistono, a lato del ben più numeroso gruppo di Tradings private grandi e piccole, "Tradings di Gruppo" (appartenenti ad importanti raggruppamenti industriali), Tradings bancarie (che per la maggior parte svolgono funzioni soggette alle limitazioni imposte dalla vigente Legge bancaria che non consente loro l'assunzione di rischi commerciali diretti), Consorzi import od export con funzioni di trading ed, infine, uno stuolo numeroso di Traders e di Buyers. Oltre un migliaio di Case di Commercio Estero italiane si ritrovano unite nell'Associazione Nazionale del Commercio con l'Estero, A.N.C.E., l'ente che raggruppa, in forma liberamente associativa ed a carattere nazionale, la maggior parte delle strutture più significative.

Caratteristiche operative

Dal quadro generale che è stato più sopra delineato risulta piuttosto com plesso, e tutto sommato forse sterile, stabilire quante e quali siano le strutture operative italiane che, in una dimensione internazionale, possano essere de finite "General Trading Companies". Se con questo termine vogliamo inten dere quelle organizzazioni multifunzionali che, pur in varia misura e con le inevitabili specializzazioni, trattano indifferentemente l'import, l'export, l'"offshore", gli scambi in compensazione ed in genere tutti gli aspetti nei quali si può esprimere il commercio internazionale, dobbiamo limitare il numero a non più di una trentina di aziende che peraltro, se su un piano di efficienza e di capacità professionale reggono il confronto con le più famose colleghe straniere, da un punto di vista dimensionale si ritrovano su posizioni molto più contenute. Al solo scopo di chiarire meglio il concetto, se osserviamo -ad esempio- la struttura organizzativa di una qualsiasi delle grandi Sogo Shosha giapponesi vediamo che il suo organico supera facilmente le 10.000 unità, con presenze sparse in ogni angolo del globo. Ebbene, in termini com parativi, le più importanti Case di Commercio Estero italiane mediamente non superano le 100 persone. Le modalità operative sono anche strettamente condizionate dalla situazione del mercato, dalle dimensioni strutturali e dalle scelte strategiche effettuate da ciascuna azienda. Vi sono quindi organizza zioni specializzate in una particolare merceologia che viene esportata in un'area ben delimitata, altre che si occupano solamente di importazioni di un determinato prodotto da uno o più Paesi, altre ancora che si limitano a svol gere funzioni di pura intermediazione, di rappresentanza o di agenzia, e così via. E' una situazione, d'altro canto, ben nota a chi opera in campo interna zionale e che si ritrova pressochè in tutte le economie di quei Paesi industria lizzati che lasciano spazio alla libera iniziativa imprenditoriale. Se quindi si ritrovano nelle Tradings italiane precise specializzazioni, frutto di scelte spe cifiche o di circostanze particolari, si nota anche che tali indirizzi rispecchiano le caratteristiche più generali del commercio estero italiano nel suo insieme. La necessità nazionale di esportare i prodotti in ogni parte del mondo ha mo tivato le Case di Commercio Estero ad essere principalmente "export orien ted" e ad orientare le proprie scelte merceologiche verso i prodotti più rap presentativi del "Made in Italy". Per quanto riguarda le aree d'intervento, e te nuto conto di quanto espresso più sopra circa il ruolo "complementare" svolto in genere dal sistema di trading italiano, si nota una certa specializzazione delle Case di Commercio Estero verso i Paesi extra-comunitari ed in partico lare verso le aree in via di sviluppo o verso i mercati dell'est. I rapporti com merciali con Paesi altamente industrializzati o, comunque, che non presen tano particolari difficoltà contingenti, sono generalmente condotti in forma di retta dalle aziende manifatturiere e gli spazi operativi lasciati a disposizione delle Tradings sono relativamente modesti. Le possibilità operative sono an che fortemente condizionate da due fattori limitativi che penalizzano partico larmente il trading italiano: le normative esistenti e il ricorso al credito finan ziario. Il primo aspetto è riferito all'insieme di leggi, decreti, norme, vincoli e procedure che, nonostante le liberalizzazioni recentemente poste in atto, co stituiscono ancora una barriera burocratica di non facile superamento che contrasta con le necessità di rapidità decisionale imposte dal commercio in ternazionale. Il secondo punto riguarda una certa difficoltà esistente per le Case di Commercio Estero di poter disporre dei necessari strumenti finan ziari o di sostegno che consentano loro di far fronte alle richieste di credito dei mercati esteri. Infine occorre sottolineare che sono maturi i tempi perchè la funzione stessa della Trading venga riconosciuta a livello ufficiale per il contributo che essa può fornire allo sviluppo del nostro interscambio con l'estero: è quindi giunto il momento che questo importante strumento di pro mozione degli scambi venga adeguatamente incentivato e motivato con specifiche attribuzioni che lo facciano uscire dal quell'isolamento e da quella generalizzata indifferenza in cui per troppi anni si è trovato ad operare. Occorre superare il concetto sempre latente che la Trading sia una struttura, per così dire, "parassitaria" che non aggiunge nulla alla capacità intrinseca del sistema manifatturiero di autogestirsi completamente il marketing estero. La realtà quotidiana del commercio internazionale, con le innumerevoli pro blematiche operative che la caratterizzano, ha ampiamente dimostrato che l'intervento sinergico e istituzionalizzato di una struttura commerciale snella ed aggressiva quale è quella della Trading può rendersi indispensabile per la finalizzazione di molte operazioni e per il consolidamento delle nostre posi zioni nei mercati esteri.

Milano, 10 Dicembre 1988