Dove sta andando la trading company italiana?

Stralcio dell'intervento presentato all'incontro del 15 giugno 1990 presso il CIS, Centro Studi d'Impresa, di Valmadrera, Como, sul tema: "L'impresa ed i mercati esteri - Il ruolo e l'attività delle trading company nell'internazionalizzazione dell'economia italiana"

Articolo pubblicato su "Commercio Internazionale" n. 13/1990 e su "Commercio Estero" del 1990

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Premesse

Il commercio estero in generale, e le Trading Companies in particolare, si sono trovati recentemente di fronte a notevoli cambiamenti e ad alcune re altà per un certo verso impreviste nel loro manifestarsi o che comportano ulteriori riflessioni su ruoli e strategie da adottare, sia nel presente che per quanto concerne il medio-lungo periodo. Ci si riferisce, in modo particolare, ad alcuni aspetti non irrilevanti che riguardano principalmente:

1) la crisi dei Paesi in via di sviluppo;
2) l'avvento del Mercato Unico Europeo;
3) l'apertura dei Paesi dell'Est al dialogo verso l'Occidente;
4) il rapido sviluppo delle comunicazioni.

Lo sviluppo delle comunicazioni

Partendo dall'ultimo dei punti citati, e dedicando qualche breve riflessione al passato, si rileva come la Trading Company abbia avuto, nel tempo, un suo ruolo particolare che si è andato via via trasformando a seconda dei varî elementi che caratterizzavano le diverse epoche. I primi "mercanti" su peravano i confini del proprio territorio affrontando ciò che per la maggior parte degli abitanti veniva considerato "l'ignoto" e nella loro disponibilità "all'avventura", nel loro spiccato senso degli affari e nella novità rappresen tata per quei tempi dai prodotti esteri, risiedevano i cardini del loro suc cesso. Con il successivo sviluppo dei mezzi di comunicazione si sono aperte per il Trader maggiori possibilità di allargare la propria presenza su un più ampio mercato e la sua figura ha quindi rappresentato per un certo tempo quella "dell'intermediario" per antonomasia tra la produzione ed il consumo. La rapida espansione verificatasi, soprattutto negli ultimi decenni, nell'ambito dei mezzi di comunicazione, nell'informatica e nelle telecomuni cazioni, ha portato presto ad un capovolgimento della situazione: mentre in precedenza si doveva andare a scoprire il mondo esterno, oggi il mondo stesso entra prepotentemente ed in tempo reale nelle nostre case, nei nostri uffici, nei monitor dei nostri terminali. Quindi anche l'impresa manifatturiera di dimensione medio, medio-piccola, che in passato limitava -per lo più- la propria azione di sviluppo ai ristretti confini del mercato domestico, sof frendo quasi di un complesso d'inferiorità nei confronti di tutto ciò che esi steva al di là della barriera linguistica nazionale e che, quindi, identificava nella Trading lo strumento più idoneo per il superamento di tali limiti, oggi trova una maggiore facilità di azione anche con l'utilizzo degli strumenti messigli a disposizione, direttamente od indirettamente, dalle nuove tecno logie. Ecco che allora anche la figura del Trader muta ed affina le proprie caratteristiche, trasformandosi per necessità in uno specialista di nuove tecniche non solo mercantili e, talvolta, anche in un acrobata finanziario chiamato a risolvere problemi particolarmente complessi.

La crisi dei Paesi in via di sviluppo

Circa il tema riguardante i P.V.S., occorre considerare che queste aree hanno costituito per alcuni decenni i mercati dove meglio si esprimeva l'attività delle Trading Companies nazionali, le quali contribuivano, da una parte, a favorire la realizzazione dei piani di sviluppo e, dall'altra, ad alleg gerire l'impegno di marketing delle aziende manifatturiere. Queste ultime, infatti, hanno spesso trovato nelle Trading Companies lo strumento siner gico più conveniente per una migliore penetrazione commerciale in aree ritenute lontane o particolarmente difficili. Con il perdurare della crisi finan ziaria dei P.V.S. e pur in presenza di una domanda talvolta costante, la possibilità concreta di mantenere i flussi tradizionali di interscambio con queste aree è venuta notevolmente a scemare e a ben poco è sinora ser vita l'illusione dell'utilizzo di formule alternative quali quella del counter trade o degli interventi di sostegno messi in atto dalle varie Istituzioni inter nazionali. La crisi dei P.V.S. ha inoltre spostato l'interesse delle Trading Companies da una posizione prevalentemente export-oriented ad una im port-export-oriented, portandole spesso ad occuparsi dell'acquisizione e del collocamento di prodotti esteri di difficile commercializzazione; e pro prio in questa capacità di adattamento della Trading alle realtà del mercato internazionale risiede la principale peculiarità che la caratterizza rispetto ad altre strutture economiche.

L'avvento del Mercato Unico europeo

Il secondo punto, riguardante la scadenza ormai vicina del 1992, è più di rettamente legato al tema specifico dell'internazionalizzazione e pone una sua problematica innovativa, sia sul significato stesso di "commercio estero" che sul ruolo specifico riguardante l'intermediazione negli scambi con l'estero. Con il prossimo crollo delle ultime barriere nazionali, il Belgio, la Gran Bretagna e gli altri Paesi comunitari saranno infatti ciò che soltanto poco più di 100 anni fa era, ad esempio, Bergamo rispetto a Macerata ed il mercato domestico ha ormai superato, nella logica dell'impresa, i confini naturali delle Alpi. Per contro, sorgono da più parti talune tendenze all'accentuazione dei localismi, non sempre privi di sottili mire protezionisti che e con effetti e problematiche ancora tutti da definire. Benchè si debba obiettivamente ammettere che per la maggior parte delle Trading europee (e -beninteso- con le dovute eccezioni), il ruolo d'intermediazione in ambito comunitario sia sempre stato inferiore rispetto a quello sviluppato verso al tre aree più lontane e difficili, anche questa accelerata europeista richiede alla Trading Company di porsi in una posizione innovativa rispetto al pas sato. Il problema è forse ancora più sentito da parte del nostro sistema che, a differenza di quanto esistente in altri Paesi vicini, dove le Trading hanno rafforzato e consolidato negli anni una loro presenza internazionale che traeva origine da condizioni interne ed esterne più favorevoli, ha posto -in passato- una serie non indifferente di ostacoli allo sviluppo di questo tipo di aziende. Si fa qui riferimento, in particolare, non solo ai vincoli di natura valutaria e doganale che -come noto- per anni hanno colpito in genere tutto l'interscambio italiano, ma anche a quelle barriere psicologiche, culturali, fi nanziarie e perfino giuridiche che hanno spesso rallentato l'intervento si nergico e sistematico delle Case di commercio estero italiane. Il confronto diretto con le altre strutture europee pone quindi varî problemi, innanzi tutto di adeguamento ad esperienze senza dubbio più ampie e, conseguente mente, di ricerca di maggiori integrazioni e concentrazioni aziendali.

L'apertura dei Paesi dell'Est

Da ultimo occorre considerare, pur nella perdurante incertezza del suo di venire, il fenomeno della "Perestrojka", che indubbiamente pone il tema della internaziona- lizzazione su di una piattaforma del tutto imprevista e, per un certo verso, forse alternativa alla crisi dei P.V.S. In altri termini, le prospettive di sviluppo e di recupero dei ritardi strutturali dei Paesi dell'Est europeo alimentano la speranza che questi mercati possano presto con trobilanciare, anche per il "sistema trading" nel suo insieme, le difficoltà in contrate negli ultimi anni nei confronti delle aree emergenti. Certamente i bisogni provenienti dall'Est sono di natura ben differente da quelli dei P.V.S. ed il ruolo della Trading potrà trovare uno spazio tanto più significa tivo quanto più sarà mirato alla realizzazione di progetti integrati che coin volgano non soltanto la pura e semplice fornitura dei beni strumentali ri chiesti, bensì anche tutte le altre funzioni (project financing, management consulting, training, commercializzazione dei prodotti finiti, ecc.) legate alla economicità del progetto stesso.

Versatilità e capacità innovativa

Queste riflessioni cercano di dare una ragione alla realtà del trading inter nazionale e, soprattutto, italiano che, come accennato, negli ultimi anni ha subìto varî mutamenti, tuttora in fase di analisi e di assestamento. Un esempio viene, peraltro, anche dal lontano Giappone, dove lo stesso feno meno delle Sogo Shoshas, che per anni avevano costituito un modello di riferimento invidiabile (seppur inimitabile per ragioni di differente cultura e struttura) sta rapidamente trasformandosi in un complesso sistema di inte ressi finanziari, immobiliari e, comunque, speculativi, che sottraggono spazi notevoli al ruolo originario, essenzialmente commerciale. Capacità innova tiva e versatilità rappresentano quindi i punti-cardine delle Trading, ma - come per il passato - queste semplici caratteristiche non possono costituire, da sole, la panacea che risolve i problemi insolubili o, comunque, "non profit". Occorre inoltre ricordare che se per Trading Company si vogliono intendere organizzazioni commerciali indipendenti, di tipo "profit oriented", che si inseriscono con adeguati strumenti e strutture fra i due poli estremi della produzione e del consumo, esse non vanno confuse con altre unità di tipo semplicemente promozionale o di tipo assistenziale, il cui operato non mira -in via diretta- al raggiungimento del profitto. Le esperienze -non solo italiane- degli ultimi anni hanno infatti ampiamente dimostrato che il trading odierno presenta obiettivi e difficoltà di realizzazione che non possono es sere affrontati e risolti con successo se non si dispone di una serie di ele menti insostituibili ed inscindibili fra loro, quali il background finanziario, precise strategie di sviluppo, l'esperienza e, soprattutto, la disponibilità di valide, motivate e qualificate risorse umane.

Il fenomeno compensativo

La crisi dei P.V.S. ha sollevato anche il tema innovativo di una diversifica zione di strategie quali, ad esempio, il countertrade e l'import. La prima delle due linee, il countertrade, pur continuando a mietere più o meno meri tati allori (particolarmente nei confronti delle aree delle ex economie pianifi cate) ha subìto notevoli ridimensionamenti nei Paesi in via di sviluppo che, come accennato, hanno forse finalmente compreso che era mera illusione risolvere i problemi finanziari locali ricorrendo a questo tipo di pratica com merciale, che ora viene limitata al suo più razionale utilizzo di strumento per una miglior penetrazione di marketing internazionale. Da questo motivo è nato l'interesse del trading a favorire i P.V.S. nella commercializzazione dei loro prodotti su mercati nuovi e, conseguentemente, ad occuparsi maggior mente dell'import in genere. E' questo un ruolo che, peraltro, non è nuovo per talune Trading (di matrice soprattutto francese, belga, inglese ed olan dese) che, anzi, sin dalla loro nascita, ritrovavano proprio la loro "missione originaria" nell'importazione dei prodotti dalle colonie d'oltremare. Per in ciso, a questo tipo di Trading si era poi aggiunta tutta una serie di altri ope ratori, peraltro non esattamente riconducibili alla definizione di "Trading Companies", particolarmente specializzati nella gestione di prodotti e mate rie prime d'importazione di largo mercato.

Una testimonianza sugli ultimi 30 anni

Negli anni '50 l'immagine più ricorrente del Trader italiano era ancora le gata a nomi di personaggi che riscutevano la generale ammirazione per aver avuto il coraggio e la determinazione di penetrare in aree lontane e difficili, contribuendo anch'essi all'affermazione del "Made in Italy". Sulla scia della ripresa economica italiana del secondo dopoguerra si erano in fatti sviluppate in Italia alcune strutture commerciali che si distinguevano dalle tradizionali Case di import-export per una maggiore apertura nei con fronti delle strategie comunemente usate, un più vivace spirito d'iniziativa e per un "carisma" che infondeva coraggio e motivazione a tutto il sistema. Uno di questi personaggi, che circa 10 anni fa è purtroppo scomparso, ebbe allora il coraggio e l'audacia di penetrare (e l'opportunità di conseguire successi notevoli) nella difficile realtà economica della Russia post-stalini sta ed in quelle parimenti non facili della Cina di Mao Tse Tung e di Cuba. Un altro di questi imprenditori si interessò ai mercati dell'Africa, introdu cendo in modo sistematico beni strumentali italiani in molti Paesi che ave vano appena ottenuto, od erano in procinto di ottenere, la tanto sospirata indipendenza dai passati regimi colonialisti. Ed ancora, un altro Trader andò ad occupare le aree più lontane del Sud-Est asiatico, creando strut ture e promuovendo iniziative che contribuivano all'affermazione del pro dotto italiano. Si trattava, sostanzialmente, di uomini dotati di un notevole spirito d'iniziativa e della capacità, oltre che di "scovare" la domanda, di prevederne il sorgere e lo sviluppo. Un modus operandi, quindi, basato sia sull'intuito che sulla profonda conoscenza dei mercati e delle loro chiavi d'accesso. Benché a tali uomini, ed alle loro rispettive aziende, si affiancas sero da una parte numerose altre aziende più o meno similari e, dall'altra, operatori specializzati nella sola importazione di materie prime, commodi ties e beni di consumo, la principale caratteristica del trading sviluppato dalle "Case di commercio estero italiano" di allora era basata sull'esportazione del prodotto italiano. Nel corso degli anni '60 alcune strutture italiane compresero poi l'esigenza emergente in molti Paesi in via di sviluppo di dare avvio ad una fase di rammodernamento o di creazione delle infrastrutture commerciali o industriali. E' infatti una caratteristica di quegli anni l'interesse di talune aziende alla partecipazione a joint-ventures all'estero, alla creazione ed alla fornitura di impianti legati a progetti indu striali. Già in questa fase, quindi, il ruolo del Trader estendeva il proprio in tervento, dalla pura azione di intermediazione commerciale nella compra-vendita di beni, alla più complessa fornitura e gestione di tecnologie. Negli anni '70, a seguito delle crisi petrolifere, prima, e delle insorgenti difficoltà finanziarie, poi, mantenere le presenze in molti mercati con le modalità pre cedenti era diventato per tutti ben più difficile di prima. La Trading, reattiva mente più flessibile dell'impresa manifatturiera, ha forse risentito degli effetti negativi originati da queste difficoltà in un arco temporale più lungo rispetto, appunto, all'industria. Ma comunque li ha avvertiti anch'essa, con conse guenze talvolta non marginali. Ed ancora una volta ha cercato di porvi ri medio, dapprima facendo ricorso al mercato finanziario che, assistito anche da coperture assicurative pubbliche, poteva concedere alle controparti ta lune dilazioni di pagamento ed, in seguito, escogitando od utilizzando altri strumenti (buy-back, counterpurchase, ecc.) che limitassero i danni ed i ri schi prodotti dalla carenza di valuta. In questo ultimo ruolo chi meglio della Trading infatti poteva (e può) muoversi con la necessaria flessibilità ed au tonomia per eseguire operazioni che spesso comportano la gestione di prodotti fra loro differenti, con possibili sfasamenti temporali fra l' aller e il retour e con procedure operative che spaziano dal semplice contratto di compra-vendita al più complesso schema di project-financing? Il risorgere massiccio della compensazione ha riproposto per un certo periodo, in ter mini spiccatamente operativi, la necessità del supporto della Trading nelle sue varie sfaccettature, che vanno dalla semplice prestazione di servizi di trading tradizionale al countertrading puro. Come già accennato, il feno meno "countertrade" ha purtroppo mostrato presto anche i suoi lati nagativi meno appariscenti ma, ciò nonostante, da un aspetto di tecnica commer ciale più o meno abituale si è giunti, negli ultimi due o tre anni, ad enfatiz zare il problema, facendolo talvolta passare come la soluzione ideale per risolvere i problemi strutturali e finanziari di molti Paesi esteri. Questa di storsione ideologica non è stata peraltro voluta, né tanto meno favorita, dalla Trading, che ha sempre denunciato le difficoltà ed i limiti dell'abuso della pratica compensativa, proprio perchè ne conosceva sin troppo bene il meccanismo, talvolta perverso.

L'intervento del "sistema"

L'Associazione Nazionale del Commercio con l'Estero, ANCE, che raggruppa le più significative aziende italiane del settore, nel momento in cui la tematica compensativa cominciava a riemergere dalle ceneri del passato in tutta la sua complessità, si è premurata di mettere a disposizione di una più vasta utenza il bagaglio conoscitivo di cui disponeva, soprattutto nello spirito di una migliore conoscenza del fenomeno e di un'avvertimento circa i ri schi ai quali si poteva andare incontro "prendendolo troppo alla leggera". Il tutto si è espresso anche attraverso la diffusione delle prime "Guide" prope deutiche italiane e -fatto ancor più significativo- attraverso una costante azione sviluppata presso le Istituzioni Pubbliche per lo snellimento di taluni "lacci e lacciuoli" che impedivano ai nostri operatori di potersi confrontare ad armi pari con i concorrenti di altri Paesi. Ma si è trattato anche di un ponte lanciato dalle Trading italiane per permettere all'industria manifattu riera nazionale di utilizzare meglio le esperienze e la disponibilità delle Case di commercio estero nella corretta esecuzione delle operazioni di contropartita. La tendenza attuale, che ha comunque ridimensionato in chiave quantitativamente più contenuta, ma qualitativamente migliore, la vera natura del fenomeno, è maggiormente orientata verso forme di coope razione industriale che, partendo dall'identificazione di un progetto ben de finito, costruiscano un project-financing che preveda anche forme di ripa gamento in prodotti finali o, comunque, provenienti dal Paese estero (buy-back od offset). E le Trading italiane sono, come sempre, disponibili a for nire la loro assistenza e la loro professionalità, nell'ambito delle loro spe cializzazioni individuali di area o di prodotto e con la collaborazione siner gica delle altre realtà operative esistenti (engineering, finanziarie, assicura tive, ecc.).

La Trading e la MPI

Una delle osservazioni che spesso vengono sollevate a proposito del ruolo che la Trading svolge, o dovrebbe svolgere, nell'ambito dello sviluppo dell'interna- zionalizzazione della MPI italiana, riguarda l'insufficenza delle strutture esistenti e la loro scarsa propensione ad interessarsi delle esi genze delle MPI stesse. Da tutto ciò si alimenta e si giustificherebbe il desi derio ricorrente di creare nuove Trading di matrice pubblica o semi-pubblica o, comunque, di strutture similari che possano rispondere meglio alla do manda di maggiori servizi reali alle aziende manifatturiere. Purtroppo que ste osservazioni ricordano, talvolta, la protesta di coloro che imputano alla nostra struttura assicurativa pubblica una gretta insensibilità, laddove viene rifiutato di "coprire" il rischio politico di Paesi decisamente e cronicamente insolventi. Un conto è infatti l'assistenza ed un altro, ben diverso, è l'assistenzialismo. L'esperienza di questi ultimi anni ha infatti ampiamente dimostrato che "fare il trading" non è facile e che se si toglie alla Trading la possibilità di esercitare un proprio ruolo autonomo ed indipendente nella scelta delle strategie e "dei compagni di viaggio", con l'ottica dell'azienda "profit oriented", si ottiene solo il risultato di creare costosi carrozzoni, più o meno pubblici e spesso fini unicamente a sè stessi. In Italia vi sono già le strutture di Trading consentite dall'economia del sistema e queste organiz zazioni operano offrendo indifferentemente la propria esperienza ad aziende manifatturiere grandi, medie e piccole, ma basandosi -prevalente mente- su criteri di stretta convenienza economica e su una autonoma valu tazione del rischio. Indubbiamente ci si trova ancora di fronte ad una certa rigidità del sistema, peraltro più motivata da una eccessiva specializzazione e frammentazione delle risorse che non da un rifiuto aprioristico all'ampliamento delle possibilità d'intervento. In questo contesto ed anche sulla scia dei fenomeni evolutivi esterni, il Trader saprà certamente reagire con la fantasia e la determinazione che da sempre lo caratterizzano, attu ando necessariamente quei mutamenti strategici e strutturali che potranno portare ad ulteriori sviluppi del trading italiano e ad una sua più adeguata risposta alle pur sempre mutevoli domande del mercato.

Milano, 18 giugno 1990