(parte 7)

I mercati africani

Se in una visione economica allargata il countertrade può aver senso solo quale strumento di marketing per acquisire nuovi mercati o per collocare prodotti altrimenti di difficile collocazione, si spiega la ragione per la quale questo tipo di scambio non abbia sinora rappresentato un interesse significativo per il continente africano nel suo insieme, al di là delle intenzioni e di qualche caso particolare. La limitata disponibilità di prodotti "secondari" in rapporto a quella dei beni "primari" (per i quali, peraltro, esistono flussi d'esportazione consolidati nel tempo e regolati dalle quotazioni emergenti dalle principali "borse" mondiali) e la cronica fragilità strutturale di molte aree, che spesso sopravvivono solo grazie agli interventi delle principali Organizzazioni di assistenza allo sviluppo, hanno reso il countertrade un fenomeno piuttosto episodico e discontinuo. Comunque le condizioni non sono uniformi in tutto il continente, che presenta situazioni fra loro diversificate nelle tre principali fasce geo-economiche: l'Africa mediterranea, l'area sub-sahariana e la Repubblica del Sud Africa. I Paesi Nord-africani, dall'Egitto al Marocco, hanno in generale una visione del countertrade meno influenzata da quelle esigenze di sopravvivenza che caratterizzano molti Paesi sub-sahariani e lo utilizzano, o lo vorrebbero utilizzare, quale strumento per l'acquisizione di tecnologie della "seconda generazione" e per lo smercio di prodotti eccedenti il loro fabbisogno interno (tessili, alimentari, prodotti energetici, materiali elettrici, cemento, fertilizzanti, ecc.). Dispongono solitamente di strutture commerciali, pubbliche o private, sufficientemente preparate a gestire questo tipo di operazioni e, con l'eccezione della Libia che presenta caratteristiche di "rischio-politico" del tutto particolari, offrono un grado di affidabilità accettabile. Ben diversa è la situazione dei Paesi della cosiddetta "Africa nera", dove le condizioni di generale sottosviluppo e lo squilibrio esistente fra i settori economici fondamentali fanno sì che siano generalmente disponibili per gli scambi compensati solo prodotti qualitativamente modesti o risorse (pesca, legname, minerali, ecc.) che necessitano - a loro volta - di nuovi investimenti per essere effettivamente esportabili e vendibili su mercati più sofisticati. Per citare un esempio, le acque che lambiscono i Paesi del Golfo di Guinea sono note per la ricchezza di pesce pregiato, sfruttata per lo più da grandi organizzazioni di pesca straniere, ed occorrerebbero ulteriori e costose attrezzature (pescherecchi moderni, celle ed impianti frigoriferi, sistemi di confezionamento e di trasporto più efficienti, ecc.) per poter consentire ai Paesi rivieraschi di utilizzarla ai fini compensativi. Un'operazione di countertrade che preveda lo scambio di tali attrezzature contro il prodotto pescato potrebbe avere una sua logica, mentre sarebbe puramente utopistico considerare un ripagamento in prodotti ittici a fronte di forniture di altra natura. Una situazione molto simile si presenta nei confronti del legname pregiato del Ghana e dello Zaire, dove sarebbero disponibili talune concessioni forestali che attendono di essere attrezzate per un utilizzo esportativo. Le bellezze naturalistiche di alcuni Paesi africani stimolano l'interesse per un countertrade che utilizza il "turismo" quale merce di scambio. Le coste egiziane e sudanesi del Mar Rosso, o quelle tanzaniane dell'Oceano indiano, nonchè le ricchezze faunistiche e paesaggistiche del Kenya, dello Zambia e dello Zimbabwe hanno già suggerito l'insediamento di "villaggi" turistici o la ristrutturazione di preesistenti strutture alberghiere, i cui investimenti vengono rimborsati attraverso appositi prelievi, effettuati dagli stessi "tour operators", sulle spese di soggiorno versate in valuta dai turisti. A differenza di quanto riscontrabile nel Nord Africa, i Paesi della fascia sub-sahariana generalmente non dispongono di strutture commerciali sufficientemente preparate a gestire adeguatamente le operazioni compensative. In molti casi, infatti, l'interlocutore è costituito da un Ente di Stato delegato alla commercializzazione di un determinato prodotto (esempio: Cotton Marketing Board) con esperienze e competenza limitate alla gestione del proprio settore. E' piuttosto difficile per i funzionari di questo organismo condurre trattative commerciali che contemplino l'utilizzo dei suoi prodotti per il ripagamento di importazioni non necessariamente destinate all'ente stesso. Il caso, infine, del Sud Africa è del tutto differente dai precedenti. Gli scambi compensati sono visti favorevolmente dalle Autorità locali, non tanto per superare difficoltà valutarie o per smerciare prodotti qualitativamente difficili, bensì semplicemente per aggirare gli ostacoli politico-commerciali esistenti nei suoi confronti. Le transazioni più significative riguardano infatti forniture effettuate ad Enti governativi sudafricani, mentre risultano essere estremamente marginali quelle di tipo più specificatamente privato.