(parte 8)

L'area medio-orientale e la Turchia

I recenti e gravi avvenimenti che hanno direttamente coinvolto l'intera area medio-orientale hanno anche causato uno sconvolgimento nei normali flussi d'interscambio, con conseguenze talvolta disastrose per gli esportatori da tempo introdotti in quei mercati. L'auspicato avvio di un processo di ricostruzione post-bellica e, in seguito, di un rilancio economico dell'intera area, daranno certamente nuovo slancio ad iniziative imprenditoriali che dovranno essere accompagnate, almeno nella fase iniziale, da adeguati sostegni finanziari messi a disposizione dall'intera comunità internazionale. Certamente le vicende medio-orientali degli ultini decenni, sfociate nella tragedia - anche ecologica - del Golfo, comporteranno la necessità di ridisegnare alcuni schemi ai quali gli operatori si erano ormai da tempo adattati, sia in termini di modalità di approccio ai mercati che di mix-prodotti trattati. Auspicabilmente, si potrà parlare più di beni strumentali che non di apparecchiature belliche o di beni voluttuari e forse perderà finalmente importanza quella figura dello sponsor che per anni aveva costituito una sorta di canale obbligato per l'introduzione del prodotto occidentale in molti mercati medio-orientali. In questo momento menzionare il countertrade nei confronti di quest'area può quindi aver senso solo in forma retrospettiva, nella speranza che la situazione torni al più presto alla normalità e che possano essere riprese, con maggior serenità, le ordinarie relazioni commerciali. Arabia Saudita, Giordania, Iraq ed Iran costituiscono le aree medio-orientali che, sotto differenti forme e motivazioni, si sono servite in passato del countertrade in misura talvolta rilevante, utilizzando quale bene di scambio il principale prodotto loro di-sponibile (il petrolio per l'Arabia Saudita, l'Iraq e l'Iran; i fosfati per quanto riguarda la Giordania). La cessione di petrolio in ripagamento delle importazioni di beni strumentali, mezzi di trasporto, forniture militari e beni di consumo ha spesso costituito un semplice ripiego cui sono ricorsi i Paesi produttori per aggirare le limitazioni quantitative loro imposte dagli accordi stabiliti in sede OPEC o per superare le difficoltà conseguenti al calo della domanda mondiale di greggio. In presenza di una forte richiesta e di prezzi remunerativi il barter petrolifero ha invece segnato il passo ed i Paesi arabi hanno preferito operare secondo gli schemi più tradizionali del regolamento valutario. Una parentesi particolare si era verificata nel corso del conflitto Iran-Iraq, quando i contendenti avevano dovuto fare un largo impiego compensativo della principale risorsa dei rispettivi Paesi per garantirsi l'approvvigionamento del materiale bellico e dei beni di prima necessità richiesti dalle circostanze della guerra. Per contro è noto che l'Arabia Saudita, da sempre proclamatasi strenuo difensore degli accordi OPEC, abbia "barattato" anch'essa il petrolio, ma solo in occasione di particolari operazioni riguardanti l'acquisto di velivoli militari o di apparecchi civili, soprattutto utilizzati dalla compagnia di bandiera "Saudia". Non godendo delle ricchezze petrolifere di altri Paesi arabi, la Giordania ha gettato invece sul piatto del countertrade i fosfati, che costituiscono la principale risorsa locale (6.845.000 tonnellate estratte nel 1987 su un totale mondiale di circa 144 milioni) e che hanno permesso la conclusione di importanti contratti con la Corea del Sud, Taiwan, la Malaysia, il Giappone, gli Stati Uniti ed alcuni Paesi europei. Se i Paesi sinora citati hanno in comune fra loro la caratteristica di essere praticamente "monoprodotto", la vicina Turchia, più diversificata dal punto di vista produttivo e meglio collocata sotto il profilo geo-politico e geo-economico, ha potuto svolgere un ruolo di "cuscinetto", intervenendo in operazioni "triangolate" fra alcuni Paesi arabi (Iran, Iraq, Libia ed Algeria) o dell'Est-europeo (URSS) e mercati occidentali (Europa e Stati Uniti). Si è trattato, in realtà, di volumi complessivamente piuttosto modesti, ma che hanno consentito al Paese di mantenere l'ambito ruolo di "porta dell'Oriente" e di acquisire una notevole esperienza nel commercio internazionale più sofisticato. La Turchia è anche il Paese dove è sorta ed ha trovato le sue prime sperimentazioni quella forma piuttosto atipica di transazione compensativa che si colloca a metà strada fra il project financing ed il countertrade e che viene denominata Build, Operate and Transfer (BOT).

Si tratta di uno schema applicabile soprattutto a progetti infrastrutturali di un certo rilievo (ponti, strade, dighe, centrali elettriche, ferrovie, ecc.), nei quali il progettista-costruttore straniero finanzia i lavori e li realizza (build ), gestendo quindi il servizio (operate ) con recupero dell'investimento a suo tempo effettuato e cedendo, alla fine, la proprietà dell'opera all'ente locale designato (transfer ). Di questi accordi, molto particolari e complessi, ne sono stati sinora conclusi in Turchia circa una decina, ma la formula sembra aver riscosso interesse anche in altri Paesi, specialmente in quelli latino-americani. La Turchia ha anche saputo intelligentemente costruire un sistema di trading ben organizzato e dinamico. Attraverso una serie di normative specifiche e di particolari incentivi ha infatti stimolato la concentrazione di varie attività imprenditoriali attorno alla figura di strutture commerciali ad hoc che ora costituiscono il nerbo del processo di internazionalizzazione del Paese. Le Trading Companies turche (sono definite tali solo quelle organizzazioni commerciali che rispettano determinati volumi minimi annui di esportazione e che dispongono di particolari caratteristiche di capitale, struttura, ecc.) si sono dimostrate estremamente attive, non solo nella realizzazione di operazioni riguardanti l'interscambio tradizionale, bensì anche nella conclusione di transazioni "triangolari" che, come accennato in precedenza, vedono soprattutto coinvolti, da una parte, i Paesi industrializzati dell'Occidente e, dall'altra, le aree delle ex-economie socialiste.