(parte 9)

Mercati dell'Asia e del Pacifico

L'area economica che dalla Cina, attraverso il Sud-est asiatico ed il Giappone, raggiunge l'Australia e la Nuova Zelanda è quella che negli ultimi due decenni ha forse espresso le più interessanti esperienze di scambi compensati, sviluppatisi (non del tutto casualmente) quasi contemporaneamente alla crescita dei Paesi di nuova industrializzazione ed all'esplosione del commercio estero giapponese. L'Australia, l'Indonesia, la Malaysia ed altri Paesi della zona, seriamente preoccupati dei possibili effetti negativi prodotti sulle proprie economie dall'espansionismo commerciale di taluni "pericolosi" vicini, hanno messo in atto varie formule protezionistiche basate anche su rapporti bilaterali di scambio, talvolta rigidamente regolati da specifiche normative di legge. In particolare è stato posto l'accento sulle forniture e sulle opere destinate agli Enti Pubblici e soggette ad appalti internazionali. I partecipanti a tali gare devono spesso assicurare la loro disponibilità ad assumere impegni di countertrade (a seconda dei Paesi con lo schema del controacquisto o dell'offset ), per una determinata quota del valore della fornitura. Laddove viene adottata la formula del controacquisto (preferita, ad esempio, dalle Filippine, dalla Malaysia e dall'Indonesia) la cessione di prodotti compensativi locali è vincolata a talune condizioni che tendono a favorire l'acquisizione di nuovi mercati di sbocco ed a privilegiare lo smercio di beni "non tradizionali". Il bilateralismo ha quindi trovato in quelle aree il terreno di crescita più fertile, alimentato anche dalla presenza strategica di centri commerciali e finanziari di prim'ordine, quali Singapore ed Hong Kong. Fra queste due piazze, in particolare, si è manifestata negli ultimi anni una accentuata competitività, che ha fatto seguito ad una crescita d'importanza di Singapore conseguente ai timori del prossimo conglobamento politico di Hong Kong nel più vasto contesto della Repubblica Popolare Cinese. Tutto ciò ha comunque reso possibile il convergere in quelle aree delle attenzioni delle principali strutture di trading (indipendenti o legate ad importanti Gruppi industriali) dei Paesi industrializzati occidentali, che hanno creato localmente loro basi operative d'appoggio, in grado di cogliere e di sfruttare le opportunità che di volta in volta si presentano. In aggiunta all'attività delle onnipresenti Sogo Shoshas giapponesi, dalle filiali di Singapore e di Hong Kong dei principali "countertraders" austriaci, francesi, tedeschi e statunitensi scaturiscono trattative bilaterali che coinvolgono tutta l'area, in un fitto intreccio di scambi e di esperienze. Fra i Paesi che gravitano nella zona la Cina è certamente quello che vanta le più radicate tradizioni in materia di affari di contropartita, abitualmente utilizzati da oltre un trentennio nei rapporti di evidence account (formula operativamente molto simile al clearing tradizionale), particolarmente con i mercati dell'area Comecon. Nei confronti dei Paesi più industrializzati la Cina preferisce invece adottare formule di "equity joint-venture" o di "contractual joint-venture ", che utilizzano il countertrade quale strumento per lo sviluppo delle esportazione dei prodotti eccedenti il fabbisogno interno, fabbricati con l'apporto di capitali e/o di tecnologie dei partners stranieri. Indonesia, Malaysia, Thailandia e Filippine preferiscono invece ottenere impegni di controacquisto, offrendo in cambio i prodotti già esistenti, particolarmente nei settori agricolo, della pesca (di mare o d'acquacultura) e dell'industria manifatturiera leggera (tessili, materiali ed apparecchiature alettriche, ecc.). L'offerta di compensazione è particolarmente pressante nel caso di forniture di una certa rilevanza commissionate da Enti di Stato locali, anche senza la presenza di gare d'appalto internazionali (ad esempio, nel campo delle forniture di apparecchiature per la difesa). L'Australia e la Nuova Zelanda adottano strategie alquanto simili fra loro e sostanzialmente tendenti all'acquisizione di tecnologie avanzate ripagate con la formula dell'offset , che consente a questi Paesi di dare maggior impulso alle attività manifatturiere locali e di contrastare, sul piano interno, la pressante concorrenza giapponese, coreana e di Taiwan. Un caso degno di rilievo è rappresentato dalla Corea del Sud, il cui processo di accentuata industrializzazione ha fatto sì che in poco più di un ventennio il volume delle esportazioni aumentasse di 500 volte, portando il relativo contributo alla formazione del PIL a superare, con il 45 % circa, la corrispondente quota dello stesso Giappone (circa il 13 %). Un sostanzioso aiuto al raggiungimento di tale risultato è stato fornito dalle strutture di trading locali, sorte e sviluppatesi di recente sul modello delle mega-strutture commerciali del "Sol Levante". Recentemente si sono affacciati sulla scena internazionale anche il Vietnam e la Corea del Nord, che cercano un loro più ampio spazio competitivo ed un affrancamento da quella sudditanza politico-economica che per molti anni li aveva legati all'area Comecon e ne aveva frenato i concreti programmi di sviluppo. Purtroppo, le condizioni attuali dei sistemi produttivi vietnamita e Nord-coreano non consentono di andare molto oltre le pure dichiarazioni d'intenti e ci vorrà ancora del tempo (oltre a sostanziosi interventi del "sistema" internazionale) perchè si creino i presupposti per un decollo economico dei due Paesi. In questo quadro ampio e variegato il sistema di trading giapponese trova larghi spazi d'azione anche per il countertrade, che gli permette di conseguire consistenti cifre d'affari e di alimentare ulteriormente l'espansionismo commerciale in atto. Utilizzando le varie formule compensative, la Itoh - ad esempio - tratta in compensazione dai 500 ai 1.500 milioni di dollari all'anno, mentre la Mitsubishi , con i due soli contratti stipulati nei confronti dell'India e della Cina ha gestito affari per oltre 640 milioni di dollari.